  
                  
 Australia e Nuvole 
                  
                intervista a Nadia Piave di Renzo 
                  Sabatini 
				
  
                  Una cantante lirica di origine italiana, nata e cresciuta a Sydney, oltre vent'anni fa ebbe modo di partecipare alla realizzazione del lp Le Nuvole.  E da tempo è impegnata a far conoscere Fabrizio in quell'isola-continente dall'altra parte del mondo. 
                 
                  Figlia di migranti 
                  italiani, nata e cresciuta a Sydney, dove vive e lavora a un 
                  passo dal prestigioso conservatorio insediato nelle vecchie 
                  scuderie reali che si affacciano sulla splendida baia, Nadia 
                  Piave è una cantante dalla bella voce classica, con l'animo 
                  diviso fra la musica barocca, il rock, i canti dei trovatori 
                  d'oltralpe, la canzone d'autore e chissà quanti altri 
                  generi e stili. 
                  Per me è anche e soprattutto l'artista australiana 
                  che sta tentando di diffondere la poesia di De André 
                  in quel lontano Paese, che per me ha l'aria inconfondibile di 
                  casa. I suoi gorgheggi nelle battute finali di Ottocento, 
                  la voce calda e piena quando intona Marinella, la sua 
                  splendida versione di Bocca di Rosa, sono 
                  come altrettante promesse che fanno ben sperare per il futuro. 
                  Negli anni in cui andava in onda la trasmissione radiofonica 
                  su De André, però, non la conoscevo, ed è 
                  stato quasi per caso se ho saputo che molti anni prima aveva 
                  cantato nelle Nuvole. Realizzammo allora solo una brevissima 
                  intervista, andata perduta nel caotico computer della radio. 
                  In seguito ho avuto modo di conoscere e apprezzare le doti 
                  artistiche e umane di Nadia, ed è proprio perché 
                  lei, oggi, ha in cantiere un progetto artistico per far conoscere 
                  De André al pubblico variegato e multiculturale delle 
                  grandi metropoli australiane, che ho pensato, ora che siamo 
                  giunti quasi alla conclusione, di inserire in questa rubrica 
                  un'intrusa. Infatti, l'intervista che segue è stata realizzata 
                  solo recentemente e non fa parte quindi del lavoro andato in 
                  onda ormai parecchi anni fa. Ma mi sembra che questa testimonianza 
                  sia il “link” ideale fra passato e futuro, che in 
                  qualche modo faccia parte comunque di quell'esperienza, perché 
                  Nadia è un po' il punto di passaggio fra un lavoro ormai 
                  concluso e quello che si può ancora fare per far conoscere 
                  De André in Australia. Perché abbiamo capito, 
                  anche da alcune delle testimonianze di persone di altre lingue 
                  e culture pubblicate su questa rivista, che la poesia di De 
                  André veramente non ha confini.  
                  E così per me Nadia oggi rappresenta la speranza di 
                  riuscire a diffondere la poesia del cantautore genovese in quella 
                  terra lontana, magari anche solo per ricordare ai tanti smemorati 
                  che anche gli aborigeni australiani hanno avuto, nella tragica 
                  storia della colonia, le loro terribili Sand Creek. 
                   
                  Nata in Australia da immigrati italiani, vivi a Sydney, 
                  porti i tuoi spettacoli in giro per il Paese e insegni canto1. 
                  Come sei approdata alla carriera artistica? La tua famiglia 
                  ti ha incoraggiato o ostacolato? 
                  Direi che la carriera di cantante e d'insegnante di canto mi 
                  ha, in un certo senso, un po' inseguita per tutta la vita, anche 
                  se alla fine sono stata proprio io a sceglierla. Sono cresciuta 
                  in una famiglia di albergatori e sicuramente non è stato 
                  per nulla facile, per i miei genitori, capire una figlia dall'animo 
                  artistico, anche se poi hanno fatto di tutto per appoggiarmi. 
                  Direi che sì, mi hanno incoraggiato, ma c'era anche, 
                  ogni tanto, qualche ostacolo. Ostacoli che nascevano più 
                  che altro dalla difficoltà, per i miei genitori, di comprendere 
                  una figlia che voleva azzardare una carriera che, in effetti, 
                  è una lotteria, piuttosto che prendere una strada che 
                  porta un po' più di sicurezza, se non altro economica. 
                  Ma penso che in fondo si tratti di una storia abbastanza comune 
                  fra gli artisti. Devo dire però che senza il loro appoggio 
                  finanziario, durante il periodo di studio in Italia, negli anni 
                  ottanta, non sarei diventata l'artista che sono oggi... e sicuramente 
                  non avrei incontrato De André! 
                   
                  Le radici italiane hanno influito nelle scelte artistiche 
                  o la tua è un'espressione totalmente legata alla matrice 
                  culturale della terra dove sei nata e cresciuta? 
                  Io mi ritengo molto fortunata proprio per il fatto di appartenere 
                  a due culture, quella italiana e quella australiana: questo 
                  mi ha consentito di avere uno sguardo più ampio, sia 
                  sulla musica che sul mondo. Ho avuto la bellissima possibilità 
                  di fare delle scelte sia con gli occhi di una cultura come quella 
                  italiana ed europea, che ha le sue radici agli albori dell'arte, 
                  sia con gli occhi di una cultura nuovissima e freschissima, 
                  come quella australiana. 
                   
                  Tempo fa mi hai raccontato di aver conosciuto De André 
                  attraverso Rimini, trovato su una bancarella. 
                  Perché quel disco ti è piaciuto? 
                  Per rispondere è necessario che ti spieghi come sono 
                  finita in Italia verso la fine degli anni settanta, cioè 
                  il periodo in cui ho incontrato la musica di De André. 
                  Avevo 16 anni e, a Sydney, seguivo la strada della musica folk 
                  e blues. Cantavo nei locali, accompagnata alla chitarra da una 
                  ragazza conosciuta tramite un annuncio che avevo messo nel “Rolling 
                  Stone magazine”2. Il problema 
                  è che, oltre a seguire quel genere di musica, andavo 
                  dietro anche ai musicisti... e questo non piaceva certo ai miei! 
                  Figurati che mi avevano mandata a scuola in un convento! E così 
                  sono stata spedita in Italia, per andare a vivere con una zia 
                  zitella. Questo è, per l'appunto, uno di quei famosi 
                  ostacoli alla carriera artistica di cui parlavo prima. Come 
                  potevano pensare, i miei, che la cara zia potesse nutrire la 
                  mia anima di cantante non lo so... ma comunque era una donna 
                  di gran gusto e mi ha fatto conoscere il mondo della moda italiana, 
                  una cosa che non mi è affatto dispiaciuta. Oggi, guardando 
                  le cose in retrospettiva, tutto questo mi fa ridere, ma a quei 
                  tempi mi fece piangere tantissimo! 
                  Comunque è proprio in quel periodo che mi è capitato 
                  di ascoltare la canzone Rimini3 
                  alla radio e mi hanno subito colpito le armonie e la soavità 
                  della voce di De André e la voce sottile, quasi fosse 
                  quella di uno spettro, di Dori Ghezzi, che cantava il ritornello. 
                  E poi mi hanno colpito le parole: non avevo mai sentito cosi 
                  tante parole in una sola canzone trasmessa da una radio 
                  popolare. De André mi è sembrato subito diverso 
                  da tutti gli altri cantautori che conoscevo. Certo, all'epoca 
                  conoscevo solo quelli che cantavano in inglese: a Sydney cantavo 
                  le canzoni di cantanti folk tipo Gordon Lightfoot e Woody Guthrie; 
                  qualcosa di Jackson Brown e poi di un certo Bob Dylan e di Leonard 
                  Cohen. Ma trovavo proprio la voce di De André cosi dolce 
                  ed accogliente; qualità che non avevo mai sentito prima 
                  nelle voci dei cantautori che conoscevo. Purtroppo a quei tempi 
                  non avevo i mezzi per approfondire di più la comprensione 
                  dei testi delle sue canzoni. È vero che poi ho trovato 
                  l'LP su una bancarella a Roma e non ho potuto fare a meno di 
                  comprarlo e tutt'oggi lo conservo. Anche la copertina del disco 
                  mi ha colpita: anche dal packaging avevo capito di aver 
                  conosciuto un grande artista! 
                   
                  Come donna e come artista cosa ti colpisce maggiormente 
                  della poetica e della musica di De André? 
                  Prima di tutto penso che si senta che De André ama l'umanità, 
                  con tutti i suoi pregi e con tutti i suoi difetti, e presenta 
                  questi pregi e questi difetti come ingredienti dell'animo umano. 
                  Per De André non penso che abbia importanza essere donna 
                  o uomo; penso che lui osservi le persone, che siano donne o 
                  uomini. Per questo è facile cantare le sue canzoni. Ricordo 
                  che una volta ho fatto un concerto in cui cantavo brani di Pino 
                  Daniele e sono rimasta un po' stupita quando il presentatore 
                  ha sottolineato il fatto che ero una donna che cantava canzoni 
                  scritte da un uomo, definendolo addirittura “un bell'esperimento”. 
                  Eppure non mancano gli esempi, anche storici, basterebbe anche 
                  solo pensare alle troubairitz del medioevo, le donne 
                  che cantavano poesie d'amore e davano voce ai sentimenti del 
                  cuore, alle parole scritte dal “cavaliere” alla 
                  sua “signora”. Penso che lo stesso De André 
                  conoscesse bene quella tradizione dell'amor cortese e che ne 
                  sia stato un sostenitore. Anzi, se fosse nato a quei tempi sicuramente 
                  sarebbe stato lui stesso un trovatore. 
                   
                  Un giorno sei stata chiamata a far parte del team che 
                  ha registrato Le Nuvole, un lavoro molto 
                  raffinato del De André maturo. Puoi raccontarci com'è 
                  andata? Perché hanno chiamato proprio te dall'Australia 
                  per andare a registrare a Milano? Quale parte hai avuto? E che 
                  ricordo hai delle sedute in sala di registrazione? 
                  Be', quanto ad essere stata chiamata dall'Australia, devo chiarire 
                  che in realtà in quel periodo mi trovavo già a 
                  Milano. Conclusi gli studi al conservatorio di Sydney, nel 1986, 
                  andai subito in Italia, a Siena, per fare un corso di perfezionamento 
                  sulla musica barocca. Dopo il corso, grande avventuriera, sono 
                  andata a vivere a Milano dove, per potermi pagare le lezioni 
                  di canto, avevo trovato un lavoro come guardarobiera in un bel 
                  ristorante a San Babila (poteva andarmi peggio...). Poi, dopo 
                  un'audizione, sono stata chiamata per un periodo a Firenze, 
                  per lavorare nel Coro del Maggio Musicale. Quella è stata 
                  un'esperienza fantastica: ero una delle poche coriste disposte 
                  a cantare la musica d'arte contemporanea e questo mi ha dato 
                  l'occasione di partecipare ad un'opera di Sylvano Bussotti, 
                  diretta dal grande Derek Jarman4, 
                  che aveva come interprete principale l'attrice Tilda Swinton5 
                  (che però recitava, non cantava!). Quando si è 
                  conclusa l'esperienza fiorentina sono tornata a Milano, città 
                  che oramai amavo e dove sono rimasta fino al 1991. Lì 
                  sono riuscita a trovare vari lavori, come cantante freelance, 
                  ma anche con il Coro della Rai di Milano. È accaduto 
                  così che, nel 1989, sono stata chiamata, con altre quattro 
                  ragazze dalla Fonit Cetra, a fare una registrazione in studio. 
                  Mi dissero che si trattava di registrare un coretto per un artista 
                  italiano, senza precisare chi fosse. Penso che se avessi saputo 
                  che in realtà si trattava di De André sarei potuta 
                  svenire! 
                  La parte che dovevamo interpretare era il coretto rustico in 
                  Ottocento6. A quei tempi 
                  usavo ancora il mio nome di nascita, Nadia Pellicciari, e appaio 
                  con questo nome sul disco7. 
                  A questo punto devo parlare del grande Piero Milesi, che aveva 
                  scritto gli arrangiamenti e dirigeva il coro. Dopo l'esperienza 
                  di Ottocento, per tutti gli anni novanta e per i primi 
                  anni del duemila, ho avuto il grande piacere di restare in contatto 
                  con lui. Ci siamo scritti molto e mi mandò anche una 
                  copia del suo ultimo lavoro con De André, Anime salve8. 
                  È stato lui a suggerirmi di realizzare un bellissimo 
                  progetto per voce e liuto: un ottimo consiglio, un'idea che 
                  resta nella lista dei progetti da realizzare. Ad ogni modo, 
                  Milesi dirigeva il coro e De André, sì, era molto 
                  perfezionista. Sapeva esattamente quale timbro di voce voleva 
                  da noi. Noi, del coro della Rai, inizialmente cantavamo con 
                  queste voci belle impostate, ma lui, con molta gentilezza, ci 
                  fece capire che il suono non andava bene, che doveva essere 
                  il più rustico possibile, senza però essere stonati! 
                  Quella session è durata qualche ora e, da quello che 
                  mi ricordo, siamo poi andati in studio solo due volte, la prima 
                  con De André presente e la seconda solo con Milesi. È 
                  stato davvero divertente. 
                  Come cantante mi sono stupita della facilità che aveva 
                  De André di spostarsi da una voce più impostata 
                  a una voce quasi recitante. Non so se abbia mai registrato delle 
                  poesie, sue o di altri, ma penso che avrebbe potuto benissimo 
                  fare anche l'attore, con quella voce. Questa sua capacità 
                  di usare la voce mi ha davvero colpita, ed è quello che, 
                  anni dopo, mi ha spinto a dare un taglio un po' teatrale a certe 
                  sue canzoni. 
                   
                  Dicono che non fosse facile lavorare con Fabrizio De André, 
                  che era notoriamente molto esigente. Cosa ti resta, dal punto 
                  di vista umano, di quell'esperienza? Com'era Fabrizio fuori 
                  dallo studio di registrazione? 
                  Personalmente, per quel poco che ho potuto conoscerlo, l'ho 
                  trovato un gran gentiluomo. In un momento di pausa ho avuto 
                  anche il coraggio di avvicinarmi per dirgli che il suo era stato 
                  il primo disco di un artista italiano che avessi mai ascoltato, 
                  addirittura prima di Battisti! Lui sorrise: penso che fosse 
                  davvero contento di sapere che qualcuno lo conosceva anche in 
                  Australia. 
                  Il momento umano bellissimo che mi ricordo è stato verso 
                  la fine delle prove, quando telefonò a Dori Ghezzi, chiamandola 
                  affettuosamente Dora. Una telefonata semplice, in cui 
                  diceva cose del tipo: “Sarò a casa fra poco”. 
                  Ricordo con precisione che poi disse: “Sì, butta 
                  la pasta”. Abbiamo tutti sorriso, per essere stati testimoni 
                  di questo momento di semplice intimità domestica di uno 
                  che, in fondo, era un grande divo. 
                   
                  Oggi nel tuo repertorio ci sono alcune canzoni di De André. 
                  Canto spesso Rimini e Bocca di Rosa, quest'ultima 
                  in una versione un po' teatrale. Ovviamente ho cantato anche 
                  Ottocento e poi La Canzone di Marinella. Ho in 
                  programma di preparare Don Raffaè, La Guerra 
                  di Piero e la bellissima Volta la Carta, nello stesso 
                  modo teatrale che uso per Bocca di Rosa. Troverei difficile 
                  dire che c'è una canzone di De André che non amo. 
                  Tutto ciò fa parte di un progetto più ampio, che 
                  è quello di mettere in scena un intero spettacolo per 
                  far conoscere la sua musica qui in Australia. È un progetto 
                  che mi impegnerà per qualche anno. 
                   
                  La tua versione teatrale di Bocca di Rosa, oltre 
                  che molto bella, è anche molto interessante: hai mantenuto 
                  il testo cantato in italiano ma introduci ogni strofa con un 
                  parlato in inglese, una spiegazione ironica e divertente che 
                  fa entrare il pubblico nello spirito della canzone e ne svela 
                  i significati, mentre sullo sfondo il pianoforte continua sommessamente 
                  la melodia. Come nasce la tua Bocca di Rosa che, in inglese, 
                  è diventata “Red Rose”?  
                  Sono molto fiera di questa versione e non vedo l'ora d'inciderla! 
                  Fortunatamente Bocca di Rosa, come tanti altri “racconti” 
                  di De André, è molto divertente e piacevole da 
                  tradurre: c'è una storia, con un inizio, un apice ed 
                  una conclusione, e mi diverte molto rendere questo tipo di storie 
                  in modo quasi teatrale. Faccio una cosa simile con una bellissima 
                  canzone di Dylan, Tangled Up in Blue, che è una 
                  specie di “road song”, dove si segue la storia d'amore 
                  del protagonista, dal primo incontro con l'amante fino alla 
                  fine della relazione. Riguardo a De André, penso che 
                  questo tipo di rappresentazione sarà un po' quello che 
                  caratterizzerà il lavoro che intendo fare sulle sue canzoni, 
                  il mio biglietto da visita. 
                   
                  Il pubblico australiano come le accoglie e come le capisce 
                  quelle canzoni? Non sarebbe meglio tradurle? 
                  Per me è sempre importantissimo rendere le canzoni in 
                  lingua originale. Questa è la mia scuola, sia che debba 
                  interpretare i lieder dei grandi compositori dell'800, sia che 
                  si tratti delle canzoni di Poulence o di Satie in francese. 
                  Detto questo, però, mi rendo conto che non è facile 
                  far vivere davvero, far comprendere nel profondo, testi tanto 
                  impegnativi quali sono quelli di De André. Per arrivare 
                  a una comprensione che le faccia davvero apprezzare c'è 
                  bisogno che il pubblico abbia comunque una traduzione che tenga 
                  conto di tante sfumature. Proprio per questo ho scelto di inserire 
                  dei passaggi in inglese tra i versi in italiano: per spiegare 
                  agli ascoltatori gli avvenimenti e far loro capire cosa sta 
                  accadendo nella canzone che stanno ascoltando. È un po' 
                  come quando guardiamo un quadro, un dipinto di Picasso, di Kandinsky, 
                  di Warhol, o anche dei grandi maestri del '500 e fino al '900: 
                  certe volte abbiamo bisogno di un piccolo aiuto, una breve spiegazione 
                  che ci aiuti ad avere la giusta percezione del dipinto, altrimenti 
                  rischiamo di perdere qualche particolare, qualche aspetto che 
                  non avremmo notato se non ci fosse stata quella spiegazione 
                  ad aiutarci. Questo è il mio modo di presentare De André 
                  al pubblico australiano. Perché le parole di De André 
                  meritano di essere capite, ma mi piace anche che il pubblico 
                  possa ascoltare e apprezzare quelle canzoni in lingua originale. 
                   
                  Insomma, hai buoni propositi per il futuro: vorresti diventare 
                  la cantante che avrà fatto conoscere De André 
                  al grande pubblico australiano? 
                  Sarebbe un sogno, ma è un sogno che si può realizzare 
                  e ci sto lavorando. C'è davvero la possibilità 
                  di portare le canzoni di De André al grande pubblico 
                  australiano, anche perché, fortunatamente, in Australia 
                  non mancano i canali per far conoscere ad un pubblico di varia 
                  provenienza le canzoni di De André, ad esempio tramite 
                  la radio nazionale e la nostra rete di mass media multiculturali9. 
                  Penso che sia anche interessante il fatto che quelle canzoni 
                  siano cantate da una donna, con una voce che non assomiglia 
                  per nulla a quella di De André! La mia intenzione, comunque, 
                  non è di fare delle cover, ma piuttosto di rendere omaggio 
                  ad un grande maestro, con interpretazioni che mi vengono di 
                  volta in volta suggerite dagli stessi testi. È ora che 
                  il mondo fuori dall'Italia conosca De André, almeno quanto 
                  conosce quello che, a sua volta, fu il suo grande maestro, Georges 
                  Brassens. 
                   
                  E gli altri progetti in campo artistico? 
                  Continuo a propormi con il mio trio di voce, chitarra e fisarmonica, 
                  con canzoni italiane e francesi e ho molti altri impegni artistici, 
                  specie con la musica barocca. Poi aleggia sempre nell'aria quel 
                  bellissimo progetto per voce e liuto, per portare in scena le 
                  canzoni di due artisti molto lontani fra loro ma che curiosamente 
                  hanno in comune anzitutto il nome: entrambi si chiamavano Robert 
                  Johnson. Il primo era un liutista della corte di Giacomo I nell'Inghilterra 
                  del '600, e l'altro è il grande bluesman del Mississippi 
                  degli anni '30 del ventesimo secolo. Questo è, per l'appunto, 
                  il progetto che aveva incoraggiato Piero Milesi. Lui aveva una 
                  particolare simpatia per questo progetto, perché tutti 
                  e due si chiamavano Robert Johnson e in qualche modo tutti e 
                  due facevano il blues, solo che uno faceva il blues vero e proprio 
                  mentre l'altro, vissuto secoli prima, faceva i “blues” 
                  del culto della melancholia, cioè della malinconia, 
                  un culto molto popolare nella letteratura, nell'arte e nella 
                  musica del tardo '500, e dei primi del '600. Il liutista Robert 
                  Johnson scriveva canzoni per le commedie della compagnia di 
                  Shakespeare, i King's Men... ed è interessante notare 
                  quest'altra coincidenza: il secondo nome del Robert Johnson 
                  del Missisippi era Leroy, per l'appunto, The King! 
                   
                  So che ti piace molto anche Joni Mitchell10. 
                  C'è in Australia un cantautore o una cantautrice che, 
                  in qualche modo, fa pensare a De André e alla sua poetica? 
                  Joni Mitchell è davvero una poetessa. Mi fai venire in 
                  mente una storiella del tempo in cui vivevo a Firenze: eravamo 
                  nel 1987 e un giorno, mentre stavo andando al lavoro, camminando 
                  verso il Teatro Comunale, mi sono fermata a guardare una delle 
                  bellissime vetrine di via della Vigna Nuova. C'era pochissima 
                  gente in giro a quell'ora ed ecco che mi trovo accanto a una 
                  signora che si ferma anche lei a guardare la stessa vetrina: 
                  era proprio lei, la Mitchell, in Italia per una tournée! 
                  Sono rimasta colpita, ma non ho avuto il coraggio di parlarle, 
                  perché sembrava così tranquilla, in quel momento 
                  di anonimato, in giro per la città a guardare le vetrine... 
                  mi piacciono molto questi piccoli momenti, quando si ha l'occasione 
                  di vedere i grandi divi nella loro vita normale. 
                  Per quanto riguarda il panorama australiano devo dire che un 
                  cantautore che, nei testi, viva nell'ambito della poesia, come 
                  De André, non lo conosco. Abbiamo certamente il grande 
                  Paul Kelly11, poi Jessy Younan 
                  che purtroppo ci ha lasciati prematuramente12; 
                  ci sono le canzoni deliziose di Steve Kilbey13. 
                  Ma non siamo a livello della poetica di De André. A parte 
                  questi autori, comunque, devo dire che la mia conoscenza della 
                  canzone australiana è più sul versante della canzone 
                  d'arte, con compositori come Dan Walker, Sally Whitwell, Margaret 
                  Sutherland e la grande Peggy Glanville-Hicks14. 
                  Un sogno che coltivo è quello di riuscire un giorno a 
                  rendere queste canzoni in modo cosiddetto “popolare”, 
                  non per sottrarle al posto che spetta loro nell'ambito della 
                  canzone d'arte ma perché hanno melodie stupende, abbinate 
                  a liriche bellissime, ricche di poesia, e mi piacerebbe farle 
                  conoscere al grande pubblico. Questo in fondo è il criterio 
                  che mi ha avvicinato alle canzoni di De André e, in fin 
                  dei conti, penso che una canzone debba parlare ugualmente alla 
                  mente ed al cuore. 
                 Renzo Sabatini 
                 Note 
                 
                  - Informazioni sulla carriera artistica di Nadia Piave sono 
                    disponibili su nadiapiave.com. 
                  
 - Rollingstone.com. 
                  
 - Dall'omonimo album pubblicato nel 1978.
                  
 - Sylvano Bussotti (Firenze, 1931), compositore, interprete, 
                  pittore, letterato, regista, scenografo e attore, ha al suo 
                  attivo spettacoli di teatro musicale realizzati nell'ambito 
                  della “BussottiOperaBallet” da lui fondata nel 1984. 
                  Derek Jarman (1942-1994) regista e sceneggiatore britannico, 
                  protagonista di una filmografia sperimentale e precursore nella 
                  lotta per i diritti degli omosessuali.
                  
 - Tilda Swinton (Londra, 1960), attrice britannica, ha al suo 
                  attivo molti film e opere teatrali. Per il regista Derek Jarman 
                  è stata un vero punto di riferimento, attrice protagonista 
                  di molti suoi film.
                  
 - Nel disco Le Nuvole, pubblicato nel 1990.
                  
 - La normativa australiana consente di cambiare con una certa 
                  facilità sia il nome che il cognome. Sebbene non obbligatoria, 
                  è ancora largamente diffusa la consuetudine, da parte 
                  delle donne, di assumere il cognome del marito dopo il matrimonio.
                  
 - Pubblicato nel 1996.
                  
 - Le grandi metropoli australiane sono ormai caratterizzate 
                    per la presenza di tante comunità linguistiche ed è 
                    in voga, da alcuni decenni, una politica di promozione attiva 
                    del multiculturalismo, intesa come valorizzazione delle tante 
                    culture presenti nel Paese. Per chi volesse approfondire si 
                    consiglia di visitare i siti della SBS (sbs.com.au), broadcast 
                    radio-televisivo che trasmette in oltre quaranta lingue, e 
                    della radio nazionale ABC (abc.net.au). 
                  
 - Joni Mitchell (1943), grande cantautrice e pittrice canadese. 
                    L'artista, ora settantenne, ha più volte annunciato 
                    il ritiro dalla scena ma continua ad essere saltuariamente 
                    presente a vari eventi. Per approfondimenti: jonimitchell.com. 
                  
 - Nato nel 1955, Paul Kelly è probabilmente il cantautore 
                    più conosciuto nel panorama musicale australiano contemporaneo, 
                    con un sound decisamente rock e frequenti incursioni nel folk. 
                    Per approfondimenti: paulkelly.com.au. 
                  
 - Jessy Younan, cantautore e promettente chitarrista, deceduto 
                  nel 2008 a soli 35 anni, di leucemia.
                  
 - Nato in Inghilterra nel 1954 ma cresciuto artisticamente 
                    in Australia, è stato fra i protagonisti di numerosi 
                    progetti musicali fra cui la rock band “The Church” 
                    (thechurchband.net). 
                  
 - Si intende qui per canzone d'arte (Art Song) il genere che 
                  si ispira a un repertorio vocale classico, generalmente con 
                  accompagnamento del pianoforte.
                  
  
                  (intervista realizzata nel gennaio 2014)
				  
  
                
                   
                    |   In 
                        direzione ostinata e contraria  
                       Con 
                        questa intervista, prosegue la pubblicazione su “A” 
                        di una parte significativa delle 27 interviste radiofoniche 
                        realizzate da Renzo Sabatini e andate 
                        in onda in Australia nel programma “In direzione 
                        ostinata e contraria” sulle frequenze di Rete Italia 
                        fra il maggio 2007 e l’agosto 2008. In tutto si 
                        è trattato di sessanta puntate (ciascuna della 
                        durata di circa quaranta minuti, per un totale di quasi 
                        40 ore di trasmissioni), nel corso delle quali sono state 
                        trasmesse le 27 interviste e messe in onda tutte le canzoni 
                        di Fabrizio De André. Si tratta dunque della più 
                        lunga e dettagliata serie radiofonica mai dedicata al 
                        cantautore genovese. 
                       Se proponiamo questi testi, 
                        è innanzitutto per dare ancora una vlta spazio 
                        e voce a quelle tematiche e a quelle persone che di spazio 
                        e voce ne hanno poco o niente nella “cultura” 
                        ufficiale. E che invece anche grazie all’opera del 
                        cantautore genovese sono state sottratte dal dimenticatoio 
                        e poste alla base di una riflessione critica sul mondo 
                        e sulla società, con quello sguardo profondo e 
                        illuminante che Fabrizio ha voluto e saputo avere. Con 
                        una profonda sensibilità libertaria e – scusate 
                        la rima – sempre in direzione ostinata e contraria. 
                       Precedenti interviste 
                        pubblicate: a Piero 
                        Milesi (“A” 370, aprile 2012), a Carla 
                        Corso (“A” 371, maggio 2012), Porpora 
                        Marcasciano (“A” 372, maggio 2012), Franco 
                        Grillini (“A” 373, estate 2012), Massimo 
                        (“A” 374, ottobre 2012), Santino 
                        “Alexian” Spinelli (“A” 375, 
                        novembre 2012)); Paolo 
                        Solari (“A” 376, dicembre-gennaio 2012-2013); 
                        Gianni Mungiello, 
                        Armando Xifai, Alfredo Franchini (“A” 
                        377, febbraio 2013); Giulio 
                        Marcon e Gianni Novelli (“A” 378, marzo 
                        2013); Sandro 
                        Fresi e Paola Giua (“A” 379, aprile 2013); 
                        Luca Nulchis 
                        (“A” 380, maggio 2013); don 
                        Andrea Gallo (“A“ 381, giugno 2013; Paolo 
                        Finzi (“A” 382, estate 2013); Gabriella 
                        Gagliardo (“A” 383, ottobre 2013); Amara 
                        Lakhous (“A” 384, novembre 2013); Raffaella 
                        Saba (“A” 385, dicembre 2013-gennaio 2014); 
                        Paolo Maddonni 
                        (“A“ 386, febbraio 2014); Stefano 
                        Benni (“A” 387, marzo 2014). 
                       la redazione di “A”  | 
                   
                 
                
               |