rivista anarchica
anno 44 n. 388
aprile 2014





Australia e Nuvole

intervista a Nadia Piave di Renzo Sabatini


Una cantante lirica di origine italiana, nata e cresciuta a Sydney, oltre vent'anni fa ebbe modo di partecipare alla realizzazione del lp Le Nuvole.  E da tempo è impegnata a far conoscere Fabrizio in quell'isola-continente dall'altra parte del mondo.


Figlia di migranti italiani, nata e cresciuta a Sydney, dove vive e lavora a un passo dal prestigioso conservatorio insediato nelle vecchie scuderie reali che si affacciano sulla splendida baia, Nadia Piave è una cantante dalla bella voce classica, con l'animo diviso fra la musica barocca, il rock, i canti dei trovatori d'oltralpe, la canzone d'autore e chissà quanti altri generi e stili.
Per me è anche e soprattutto l'artista australiana che sta tentando di diffondere la poesia di De André in quel lontano Paese, che per me ha l'aria inconfondibile di casa. I suoi gorgheggi nelle battute finali di Ottocento, la voce calda e piena quando intona Marinella, la sua splendida versione di Bocca di Rosa, sono come altrettante promesse che fanno ben sperare per il futuro.
Negli anni in cui andava in onda la trasmissione radiofonica su De André, però, non la conoscevo, ed è stato quasi per caso se ho saputo che molti anni prima aveva cantato nelle Nuvole. Realizzammo allora solo una brevissima intervista, andata perduta nel caotico computer della radio.
In seguito ho avuto modo di conoscere e apprezzare le doti artistiche e umane di Nadia, ed è proprio perché lei, oggi, ha in cantiere un progetto artistico per far conoscere De André al pubblico variegato e multiculturale delle grandi metropoli australiane, che ho pensato, ora che siamo giunti quasi alla conclusione, di inserire in questa rubrica un'intrusa. Infatti, l'intervista che segue è stata realizzata solo recentemente e non fa parte quindi del lavoro andato in onda ormai parecchi anni fa. Ma mi sembra che questa testimonianza sia il “link” ideale fra passato e futuro, che in qualche modo faccia parte comunque di quell'esperienza, perché Nadia è un po' il punto di passaggio fra un lavoro ormai concluso e quello che si può ancora fare per far conoscere De André in Australia. Perché abbiamo capito, anche da alcune delle testimonianze di persone di altre lingue e culture pubblicate su questa rivista, che la poesia di De André veramente non ha confini.
E così per me Nadia oggi rappresenta la speranza di riuscire a diffondere la poesia del cantautore genovese in quella terra lontana, magari anche solo per ricordare ai tanti smemorati che anche gli aborigeni australiani hanno avuto, nella tragica storia della colonia, le loro terribili Sand Creek.

Nata in Australia da immigrati italiani, vivi a Sydney, porti i tuoi spettacoli in giro per il Paese e insegni canto1. Come sei approdata alla carriera artistica? La tua famiglia ti ha incoraggiato o ostacolato?
Direi che la carriera di cantante e d'insegnante di canto mi ha, in un certo senso, un po' inseguita per tutta la vita, anche se alla fine sono stata proprio io a sceglierla. Sono cresciuta in una famiglia di albergatori e sicuramente non è stato per nulla facile, per i miei genitori, capire una figlia dall'animo artistico, anche se poi hanno fatto di tutto per appoggiarmi. Direi che sì, mi hanno incoraggiato, ma c'era anche, ogni tanto, qualche ostacolo. Ostacoli che nascevano più che altro dalla difficoltà, per i miei genitori, di comprendere una figlia che voleva azzardare una carriera che, in effetti, è una lotteria, piuttosto che prendere una strada che porta un po' più di sicurezza, se non altro economica. Ma penso che in fondo si tratti di una storia abbastanza comune fra gli artisti. Devo dire però che senza il loro appoggio finanziario, durante il periodo di studio in Italia, negli anni ottanta, non sarei diventata l'artista che sono oggi... e sicuramente non avrei incontrato De André!

Le radici italiane hanno influito nelle scelte artistiche o la tua è un'espressione totalmente legata alla matrice culturale della terra dove sei nata e cresciuta?
Io mi ritengo molto fortunata proprio per il fatto di appartenere a due culture, quella italiana e quella australiana: questo mi ha consentito di avere uno sguardo più ampio, sia sulla musica che sul mondo. Ho avuto la bellissima possibilità di fare delle scelte sia con gli occhi di una cultura come quella italiana ed europea, che ha le sue radici agli albori dell'arte, sia con gli occhi di una cultura nuovissima e freschissima, come quella australiana.

Tempo fa mi hai raccontato di aver conosciuto De André attraverso Rimini, trovato su una bancarella. Perché quel disco ti è piaciuto?
Per rispondere è necessario che ti spieghi come sono finita in Italia verso la fine degli anni settanta, cioè il periodo in cui ho incontrato la musica di De André. Avevo 16 anni e, a Sydney, seguivo la strada della musica folk e blues. Cantavo nei locali, accompagnata alla chitarra da una ragazza conosciuta tramite un annuncio che avevo messo nel “Rolling Stone magazine”2. Il problema è che, oltre a seguire quel genere di musica, andavo dietro anche ai musicisti... e questo non piaceva certo ai miei! Figurati che mi avevano mandata a scuola in un convento! E così sono stata spedita in Italia, per andare a vivere con una zia zitella. Questo è, per l'appunto, uno di quei famosi ostacoli alla carriera artistica di cui parlavo prima. Come potevano pensare, i miei, che la cara zia potesse nutrire la mia anima di cantante non lo so... ma comunque era una donna di gran gusto e mi ha fatto conoscere il mondo della moda italiana, una cosa che non mi è affatto dispiaciuta. Oggi, guardando le cose in retrospettiva, tutto questo mi fa ridere, ma a quei tempi mi fece piangere tantissimo!
Comunque è proprio in quel periodo che mi è capitato di ascoltare la canzone Rimini3 alla radio e mi hanno subito colpito le armonie e la soavità della voce di De André e la voce sottile, quasi fosse quella di uno spettro, di Dori Ghezzi, che cantava il ritornello. E poi mi hanno colpito le parole: non avevo mai sentito cosi tante parole in una sola canzone trasmessa da una radio popolare. De André mi è sembrato subito diverso da tutti gli altri cantautori che conoscevo. Certo, all'epoca conoscevo solo quelli che cantavano in inglese: a Sydney cantavo le canzoni di cantanti folk tipo Gordon Lightfoot e Woody Guthrie; qualcosa di Jackson Brown e poi di un certo Bob Dylan e di Leonard Cohen. Ma trovavo proprio la voce di De André cosi dolce ed accogliente; qualità che non avevo mai sentito prima nelle voci dei cantautori che conoscevo. Purtroppo a quei tempi non avevo i mezzi per approfondire di più la comprensione dei testi delle sue canzoni. È vero che poi ho trovato l'LP su una bancarella a Roma e non ho potuto fare a meno di comprarlo e tutt'oggi lo conservo. Anche la copertina del disco mi ha colpita: anche dal packaging avevo capito di aver conosciuto un grande artista!

Come donna e come artista cosa ti colpisce maggiormente della poetica e della musica di De André?
Prima di tutto penso che si senta che De André ama l'umanità, con tutti i suoi pregi e con tutti i suoi difetti, e presenta questi pregi e questi difetti come ingredienti dell'animo umano. Per De André non penso che abbia importanza essere donna o uomo; penso che lui osservi le persone, che siano donne o uomini. Per questo è facile cantare le sue canzoni. Ricordo che una volta ho fatto un concerto in cui cantavo brani di Pino Daniele e sono rimasta un po' stupita quando il presentatore ha sottolineato il fatto che ero una donna che cantava canzoni scritte da un uomo, definendolo addirittura “un bell'esperimento”. Eppure non mancano gli esempi, anche storici, basterebbe anche solo pensare alle troubairitz del medioevo, le donne che cantavano poesie d'amore e davano voce ai sentimenti del cuore, alle parole scritte dal “cavaliere” alla sua “signora”. Penso che lo stesso De André conoscesse bene quella tradizione dell'amor cortese e che ne sia stato un sostenitore. Anzi, se fosse nato a quei tempi sicuramente sarebbe stato lui stesso un trovatore.

Un giorno sei stata chiamata a far parte del team che ha registrato Le Nuvole, un lavoro molto raffinato del De André maturo. Puoi raccontarci com'è andata? Perché hanno chiamato proprio te dall'Australia per andare a registrare a Milano? Quale parte hai avuto? E che ricordo hai delle sedute in sala di registrazione?
Be', quanto ad essere stata chiamata dall'Australia, devo chiarire che in realtà in quel periodo mi trovavo già a Milano. Conclusi gli studi al conservatorio di Sydney, nel 1986, andai subito in Italia, a Siena, per fare un corso di perfezionamento sulla musica barocca. Dopo il corso, grande avventuriera, sono andata a vivere a Milano dove, per potermi pagare le lezioni di canto, avevo trovato un lavoro come guardarobiera in un bel ristorante a San Babila (poteva andarmi peggio...). Poi, dopo un'audizione, sono stata chiamata per un periodo a Firenze, per lavorare nel Coro del Maggio Musicale. Quella è stata un'esperienza fantastica: ero una delle poche coriste disposte a cantare la musica d'arte contemporanea e questo mi ha dato l'occasione di partecipare ad un'opera di Sylvano Bussotti, diretta dal grande Derek Jarman4, che aveva come interprete principale l'attrice Tilda Swinton5 (che però recitava, non cantava!). Quando si è conclusa l'esperienza fiorentina sono tornata a Milano, città che oramai amavo e dove sono rimasta fino al 1991. Lì sono riuscita a trovare vari lavori, come cantante freelance, ma anche con il Coro della Rai di Milano. È accaduto così che, nel 1989, sono stata chiamata, con altre quattro ragazze dalla Fonit Cetra, a fare una registrazione in studio. Mi dissero che si trattava di registrare un coretto per un artista italiano, senza precisare chi fosse. Penso che se avessi saputo che in realtà si trattava di De André sarei potuta svenire!
La parte che dovevamo interpretare era il coretto rustico in Ottocento6. A quei tempi usavo ancora il mio nome di nascita, Nadia Pellicciari, e appaio con questo nome sul disco7.
A questo punto devo parlare del grande Piero Milesi, che aveva scritto gli arrangiamenti e dirigeva il coro. Dopo l'esperienza di Ottocento, per tutti gli anni novanta e per i primi anni del duemila, ho avuto il grande piacere di restare in contatto con lui. Ci siamo scritti molto e mi mandò anche una copia del suo ultimo lavoro con De André, Anime salve8. È stato lui a suggerirmi di realizzare un bellissimo progetto per voce e liuto: un ottimo consiglio, un'idea che resta nella lista dei progetti da realizzare. Ad ogni modo, Milesi dirigeva il coro e De André, sì, era molto perfezionista. Sapeva esattamente quale timbro di voce voleva da noi. Noi, del coro della Rai, inizialmente cantavamo con queste voci belle impostate, ma lui, con molta gentilezza, ci fece capire che il suono non andava bene, che doveva essere il più rustico possibile, senza però essere stonati! Quella session è durata qualche ora e, da quello che mi ricordo, siamo poi andati in studio solo due volte, la prima con De André presente e la seconda solo con Milesi. È stato davvero divertente.
Come cantante mi sono stupita della facilità che aveva De André di spostarsi da una voce più impostata a una voce quasi recitante. Non so se abbia mai registrato delle poesie, sue o di altri, ma penso che avrebbe potuto benissimo fare anche l'attore, con quella voce. Questa sua capacità di usare la voce mi ha davvero colpita, ed è quello che, anni dopo, mi ha spinto a dare un taglio un po' teatrale a certe sue canzoni.

Dicono che non fosse facile lavorare con Fabrizio De André, che era notoriamente molto esigente. Cosa ti resta, dal punto di vista umano, di quell'esperienza? Com'era Fabrizio fuori dallo studio di registrazione?
Personalmente, per quel poco che ho potuto conoscerlo, l'ho trovato un gran gentiluomo. In un momento di pausa ho avuto anche il coraggio di avvicinarmi per dirgli che il suo era stato il primo disco di un artista italiano che avessi mai ascoltato, addirittura prima di Battisti! Lui sorrise: penso che fosse davvero contento di sapere che qualcuno lo conosceva anche in Australia.
Il momento umano bellissimo che mi ricordo è stato verso la fine delle prove, quando telefonò a Dori Ghezzi, chiamandola affettuosamente Dora. Una telefonata semplice, in cui diceva cose del tipo: “Sarò a casa fra poco”. Ricordo con precisione che poi disse: “Sì, butta la pasta”. Abbiamo tutti sorriso, per essere stati testimoni di questo momento di semplice intimità domestica di uno che, in fondo, era un grande divo.

Oggi nel tuo repertorio ci sono alcune canzoni di De André.
Canto spesso Rimini e Bocca di Rosa, quest'ultima in una versione un po' teatrale. Ovviamente ho cantato anche Ottocento e poi La Canzone di Marinella. Ho in programma di preparare Don Raffaè, La Guerra di Piero e la bellissima Volta la Carta, nello stesso modo teatrale che uso per Bocca di Rosa. Troverei difficile dire che c'è una canzone di De André che non amo. Tutto ciò fa parte di un progetto più ampio, che è quello di mettere in scena un intero spettacolo per far conoscere la sua musica qui in Australia. È un progetto che mi impegnerà per qualche anno.

La tua versione teatrale di Bocca di Rosa, oltre che molto bella, è anche molto interessante: hai mantenuto il testo cantato in italiano ma introduci ogni strofa con un parlato in inglese, una spiegazione ironica e divertente che fa entrare il pubblico nello spirito della canzone e ne svela i significati, mentre sullo sfondo il pianoforte continua sommessamente la melodia. Come nasce la tua Bocca di Rosa che, in inglese, è diventata “Red Rose”?
Sono molto fiera di questa versione e non vedo l'ora d'inciderla! Fortunatamente Bocca di Rosa, come tanti altri “racconti” di De André, è molto divertente e piacevole da tradurre: c'è una storia, con un inizio, un apice ed una conclusione, e mi diverte molto rendere questo tipo di storie in modo quasi teatrale. Faccio una cosa simile con una bellissima canzone di Dylan, Tangled Up in Blue, che è una specie di “road song”, dove si segue la storia d'amore del protagonista, dal primo incontro con l'amante fino alla fine della relazione. Riguardo a De André, penso che questo tipo di rappresentazione sarà un po' quello che caratterizzerà il lavoro che intendo fare sulle sue canzoni, il mio biglietto da visita.

Il pubblico australiano come le accoglie e come le capisce quelle canzoni? Non sarebbe meglio tradurle?
Per me è sempre importantissimo rendere le canzoni in lingua originale. Questa è la mia scuola, sia che debba interpretare i lieder dei grandi compositori dell'800, sia che si tratti delle canzoni di Poulence o di Satie in francese. Detto questo, però, mi rendo conto che non è facile far vivere davvero, far comprendere nel profondo, testi tanto impegnativi quali sono quelli di De André. Per arrivare a una comprensione che le faccia davvero apprezzare c'è bisogno che il pubblico abbia comunque una traduzione che tenga conto di tante sfumature. Proprio per questo ho scelto di inserire dei passaggi in inglese tra i versi in italiano: per spiegare agli ascoltatori gli avvenimenti e far loro capire cosa sta accadendo nella canzone che stanno ascoltando. È un po' come quando guardiamo un quadro, un dipinto di Picasso, di Kandinsky, di Warhol, o anche dei grandi maestri del '500 e fino al '900: certe volte abbiamo bisogno di un piccolo aiuto, una breve spiegazione che ci aiuti ad avere la giusta percezione del dipinto, altrimenti rischiamo di perdere qualche particolare, qualche aspetto che non avremmo notato se non ci fosse stata quella spiegazione ad aiutarci. Questo è il mio modo di presentare De André al pubblico australiano. Perché le parole di De André meritano di essere capite, ma mi piace anche che il pubblico possa ascoltare e apprezzare quelle canzoni in lingua originale.

Insomma, hai buoni propositi per il futuro: vorresti diventare la cantante che avrà fatto conoscere De André al grande pubblico australiano?
Sarebbe un sogno, ma è un sogno che si può realizzare e ci sto lavorando. C'è davvero la possibilità di portare le canzoni di De André al grande pubblico australiano, anche perché, fortunatamente, in Australia non mancano i canali per far conoscere ad un pubblico di varia provenienza le canzoni di De André, ad esempio tramite la radio nazionale e la nostra rete di mass media multiculturali9.
Penso che sia anche interessante il fatto che quelle canzoni siano cantate da una donna, con una voce che non assomiglia per nulla a quella di De André! La mia intenzione, comunque, non è di fare delle cover, ma piuttosto di rendere omaggio ad un grande maestro, con interpretazioni che mi vengono di volta in volta suggerite dagli stessi testi. È ora che il mondo fuori dall'Italia conosca De André, almeno quanto conosce quello che, a sua volta, fu il suo grande maestro, Georges Brassens.

E gli altri progetti in campo artistico?
Continuo a propormi con il mio trio di voce, chitarra e fisarmonica, con canzoni italiane e francesi e ho molti altri impegni artistici, specie con la musica barocca. Poi aleggia sempre nell'aria quel bellissimo progetto per voce e liuto, per portare in scena le canzoni di due artisti molto lontani fra loro ma che curiosamente hanno in comune anzitutto il nome: entrambi si chiamavano Robert Johnson. Il primo era un liutista della corte di Giacomo I nell'Inghilterra del '600, e l'altro è il grande bluesman del Mississippi degli anni '30 del ventesimo secolo. Questo è, per l'appunto, il progetto che aveva incoraggiato Piero Milesi. Lui aveva una particolare simpatia per questo progetto, perché tutti e due si chiamavano Robert Johnson e in qualche modo tutti e due facevano il blues, solo che uno faceva il blues vero e proprio mentre l'altro, vissuto secoli prima, faceva i “blues” del culto della melancholia, cioè della malinconia, un culto molto popolare nella letteratura, nell'arte e nella musica del tardo '500, e dei primi del '600. Il liutista Robert Johnson scriveva canzoni per le commedie della compagnia di Shakespeare, i King's Men... ed è interessante notare quest'altra coincidenza: il secondo nome del Robert Johnson del Missisippi era Leroy, per l'appunto, The King!

So che ti piace molto anche Joni Mitchell10. C'è in Australia un cantautore o una cantautrice che, in qualche modo, fa pensare a De André e alla sua poetica?
Joni Mitchell è davvero una poetessa. Mi fai venire in mente una storiella del tempo in cui vivevo a Firenze: eravamo nel 1987 e un giorno, mentre stavo andando al lavoro, camminando verso il Teatro Comunale, mi sono fermata a guardare una delle bellissime vetrine di via della Vigna Nuova. C'era pochissima gente in giro a quell'ora ed ecco che mi trovo accanto a una signora che si ferma anche lei a guardare la stessa vetrina: era proprio lei, la Mitchell, in Italia per una tournée! Sono rimasta colpita, ma non ho avuto il coraggio di parlarle, perché sembrava così tranquilla, in quel momento di anonimato, in giro per la città a guardare le vetrine... mi piacciono molto questi piccoli momenti, quando si ha l'occasione di vedere i grandi divi nella loro vita normale.
Per quanto riguarda il panorama australiano devo dire che un cantautore che, nei testi, viva nell'ambito della poesia, come De André, non lo conosco. Abbiamo certamente il grande Paul Kelly11, poi Jessy Younan che purtroppo ci ha lasciati prematuramente12; ci sono le canzoni deliziose di Steve Kilbey13. Ma non siamo a livello della poetica di De André. A parte questi autori, comunque, devo dire che la mia conoscenza della canzone australiana è più sul versante della canzone d'arte, con compositori come Dan Walker, Sally Whitwell, Margaret Sutherland e la grande Peggy Glanville-Hicks14. Un sogno che coltivo è quello di riuscire un giorno a rendere queste canzoni in modo cosiddetto “popolare”, non per sottrarle al posto che spetta loro nell'ambito della canzone d'arte ma perché hanno melodie stupende, abbinate a liriche bellissime, ricche di poesia, e mi piacerebbe farle conoscere al grande pubblico. Questo in fondo è il criterio che mi ha avvicinato alle canzoni di De André e, in fin dei conti, penso che una canzone debba parlare ugualmente alla mente ed al cuore.

Renzo Sabatini

Note

  1. Informazioni sulla carriera artistica di Nadia Piave sono disponibili su nadiapiave.com.
  2. Rollingstone.com.
  3. Dall'omonimo album pubblicato nel 1978.
  4. Sylvano Bussotti (Firenze, 1931), compositore, interprete, pittore, letterato, regista, scenografo e attore, ha al suo attivo spettacoli di teatro musicale realizzati nell'ambito della “BussottiOperaBallet” da lui fondata nel 1984. Derek Jarman (1942-1994) regista e sceneggiatore britannico, protagonista di una filmografia sperimentale e precursore nella lotta per i diritti degli omosessuali.
  5. Tilda Swinton (Londra, 1960), attrice britannica, ha al suo attivo molti film e opere teatrali. Per il regista Derek Jarman è stata un vero punto di riferimento, attrice protagonista di molti suoi film.
  6. Nel disco Le Nuvole, pubblicato nel 1990.
  7. La normativa australiana consente di cambiare con una certa facilità sia il nome che il cognome. Sebbene non obbligatoria, è ancora largamente diffusa la consuetudine, da parte delle donne, di assumere il cognome del marito dopo il matrimonio.
  8. Pubblicato nel 1996.
  9. Le grandi metropoli australiane sono ormai caratterizzate per la presenza di tante comunità linguistiche ed è in voga, da alcuni decenni, una politica di promozione attiva del multiculturalismo, intesa come valorizzazione delle tante culture presenti nel Paese. Per chi volesse approfondire si consiglia di visitare i siti della SBS (sbs.com.au), broadcast radio-televisivo che trasmette in oltre quaranta lingue, e della radio nazionale ABC (abc.net.au).
  10. Joni Mitchell (1943), grande cantautrice e pittrice canadese. L'artista, ora settantenne, ha più volte annunciato il ritiro dalla scena ma continua ad essere saltuariamente presente a vari eventi. Per approfondimenti: jonimitchell.com.
  11. Nato nel 1955, Paul Kelly è probabilmente il cantautore più conosciuto nel panorama musicale australiano contemporaneo, con un sound decisamente rock e frequenti incursioni nel folk. Per approfondimenti: paulkelly.com.au.
  12. Jessy Younan, cantautore e promettente chitarrista, deceduto nel 2008 a soli 35 anni, di leucemia.
  13. Nato in Inghilterra nel 1954 ma cresciuto artisticamente in Australia, è stato fra i protagonisti di numerosi progetti musicali fra cui la rock band “The Church” (thechurchband.net).
  14. Si intende qui per canzone d'arte (Art Song) il genere che si ispira a un repertorio vocale classico, generalmente con accompagnamento del pianoforte.
(intervista realizzata nel gennaio 2014)



In direzione ostinata e contraria

Con questa intervista, prosegue la pubblicazione su “A” di una parte significativa delle 27 interviste radiofoniche realizzate da Renzo Sabatini e andate in onda in Australia nel programma “In direzione ostinata e contraria” sulle frequenze di Rete Italia fra il maggio 2007 e l’agosto 2008. In tutto si è trattato di sessanta puntate (ciascuna della durata di circa quaranta minuti, per un totale di quasi 40 ore di trasmissioni), nel corso delle quali sono state trasmesse le 27 interviste e messe in onda tutte le canzoni di Fabrizio De André. Si tratta dunque della più lunga e dettagliata serie radiofonica mai dedicata al cantautore genovese.

Se proponiamo questi testi, è innanzitutto per dare ancora una vlta spazio e voce a quelle tematiche e a quelle persone che di spazio e voce ne hanno poco o niente nella “cultura” ufficiale. E che invece anche grazie all’opera del cantautore genovese sono state sottratte dal dimenticatoio e poste alla base di una riflessione critica sul mondo e sulla società, con quello sguardo profondo e illuminante che Fabrizio ha voluto e saputo avere. Con una profonda sensibilità libertaria e – scusate la rima – sempre in direzione ostinata e contraria.

Precedenti interviste pubblicate: a Piero Milesi (“A” 370, aprile 2012), a Carla Corso (“A” 371, maggio 2012), Porpora Marcasciano (“A” 372, maggio 2012), Franco Grillini (“A” 373, estate 2012), Massimo (“A” 374, ottobre 2012), Santino “Alexian” Spinelli (“A” 375, novembre 2012)); Paolo Solari (“A” 376, dicembre-gennaio 2012-2013); Gianni Mungiello, Armando Xifai, Alfredo Franchini (“A” 377, febbraio 2013); Giulio Marcon e Gianni Novelli (“A” 378, marzo 2013); Sandro Fresi e Paola Giua (“A” 379, aprile 2013); Luca Nulchis (“A” 380, maggio 2013); don Andrea Gallo (“A“ 381, giugno 2013; Paolo Finzi (“A” 382, estate 2013); Gabriella Gagliardo (“A” 383, ottobre 2013); Amara Lakhous (“A” 384, novembre 2013); Raffaella Saba (“A” 385, dicembre 2013-gennaio 2014); Paolo Maddonni (“A“ 386, febbraio 2014); Stefano Benni (“A” 387, marzo 2014).

la redazione di “A”