Lei è la fondatrice in Italia del Comitato 
                    per i Diritti Civili delle Prostitute. Come nasce questo comitato, 
                    quale percorso l’ha portata a fondarlo e quali sono 
                    i suoi obiettivi? 
                  Il comitato nasce nel 1993, da un piccolo gruppo di donne. 
                    La ragione per cui lo abbiamo fondato è che non accettavamo 
                    più la discriminazione che le donne prostitute subivano 
                    e tutte le violenze e i soprusi da parte della polizia, e 
                    non accettavamo più che tutta una serie di diritti 
                    ci venissero negati in quanto facevamo questo lavoro. Bisogna 
                    ricordare che in Italia non è proibito prostituirsi, 
                    quindi noi partivamo da questo: se non è proibito prostituirsi, 
                    allora perché impedire di vivere liberamente la propria 
                    vita? Così abbiamo fondato questa associazione, questo 
                    comitato, con l’obiettivo di far cambiare la legge che, 
                    in Italia, regola la prostituzione. Però avevamo anche 
                    un obiettivo molto più prestigioso che era quello appunto 
                    di modificare l’opinione pubblica rispetto alle donne 
                    che si prostituiscono. Speravamo che la gente, conoscendoci, 
                    parlando con noi, cambiasse quell’atteggiamento di rifiuto 
                    che ha rispetto a queste donne.
                  Dopo tutti questi anni qual è il bilancio? 
                    Il Comitato ha ottenuto dei riconoscimenti, le vostre lotte 
                    hanno portato dei risultati, Il vostro impegno è servito 
                    a cambiare un po’ la mentalità comune su questo 
                    tema?
                  Secondo me sì. A noi personalmente è servito 
                    molto. È stato un lungo percorso di lavoro sia politico 
                    che sociale. Però direi che in questo momento c’è 
                    un approccio quanto meno diverso, quanto meno più rispettoso 
                    delle persone, che non vanno necessariamente a indagare nella 
                    vita delle donne che fanno questo lavoro anche se naturalmente 
                    questo non succede in tutti gli strati della società. 
                    La legge però non è stata ancora assolutamente 
                    cambiata, stiamo ancora lottando perché la cambino. 
                    Ogni tanto viene fuori qualche proposta demenziale da parte 
                    dei governi di destra (a volte anche i governi di sinistra 
                    non ci vanno leggeri!), però diciamo che a tutt’oggi 
                    abbiamo ancora la legge Merlin. Che è comunque una 
                    buona legge e che non deve assolutamente essere cancellata 
                    per intero ma andrebbe piuttosto modificata in un paio di 
                    punti, laddove impedisce alle donne di lavorare nelle proprie 
                    case e nella parte dove c’è questo reato, che 
                    è il reato di favoreggiamento, per cui chiunque favorisca 
                    o faciliti la donna prostituta può essere denunciato. 
                    Quest’ultima è la parte più penalizzante 
                    della legge, perché crea tutto un cordone di diffidenza 
                    attorno alla vita delle prostitute.
                  Nel libro “gli occhi della memoria”, 
                    di Romano Giuffrida, lei ha scritto che ascoltando De André 
                    ha sentito montare la sua dignità, dalla quale poi 
                    sono arrivati l’orgoglio e la ribellione. Ci vuole raccontare 
                    in che modo si è specchiata in canzoni come Via 
                    del Campo?
                  Io ho sempre amato profondamente De André. Quando 
                    ho sentito queste canzoni dove con enorme rispetto, con molta 
                    sensibilità e con molta delicatezza si parlava di queste 
                    donne, io mi sono sentita anzitutto, ovviamente, molto gratificata. 
                    E poi è stato quasi come se mi infondessero coraggio: 
                    è nato dentro di me il coraggio della ribellione, direi 
                    proprio così. Perché ho sentito che, se un uomo 
                    così importante, un uomo che io veramente adoravo, 
                    diceva queste cose così belle di queste donne allora, 
                    perché non provarci? Perché non alzare la testa 
                    e chiedere i propri diritti? Perché non gridare a tutti: 
                    “sono anch’io Bocca di Rosa, sono anch’io 
                    una di Via del Campo e pretendo che voi mi accettiate per 
                    quello che sono e non cerchiate di cambiarmi”. Ecco, 
                    questo è stato per me veramente fondamentale.
                   Lei allora ha sentito che queste canzoni erano anche 
                    un po’ anche le sue? Cioè che non erano state 
                    scritte solo per gli altri ma anche proprio per lei? 
                  Ma io le ho sentite veramente per me! Le canzoni di solito 
                    parlano di donne molto “perbene”, parlano di amore, 
                    parlano di relazioni cosiddette “normali”. Lui 
                    cantava veramente la diversità, cantava l’emarginazione, 
                    raccontava la vita di tutti questi personaggi di cui nessuno 
                    osava nemmeno pronunciare il nome. 
                  
                     
                        | 
                    
                     
                      Carla 
                          Corso   | 
                    
                  
                  
 Sole 
                    contro il mondo intero
                  Lei ha potuto condividere questo suo sentimento con 
                    altre? Ha incontrato altre prostitute che avrebbero volentieri 
                    detto “Grazie Fabrizio per queste canzoni”?
                  Quelle della mia generazione certamente sì! Abbiamo 
                    condiviso questo sentimento in tante. Adesso, non so, le nuove 
                    generazioni forse non lo conoscono neanche, o comunque hanno 
                    trovato una situazione sicuramente meno difficile e meno spinosa 
                    di quando noi, negli anni settanta e ottanta, abbiamo cominciato 
                    le nostre lotte e ci sentivamo veramente da sole contro il 
                    mondo intero.
                  In effetti poi lei “grazie” ha voluto 
                    dirglielo personalmente, a De André. Lo ha voluto incontrare 
                    e lui è stato contento, compiaciuto. Le va di raccontarci 
                    come è andato quell’incontro?
                  È stata una cosa davvero molto emozionante! Io conoscevo, 
                    per questi strani motivi per cui la vita ti porta a conoscere 
                    gente di tutti i tipi, conoscevo un musicista che suonava 
                    con lui all’epoca, era il batterista. E allora gli chiesi 
                    se fosse stato possibile essere ricevuta dopo il concerto. 
                    Lui mi organizzò quest’incontro e andai. Fuori 
                    dal camerino c’era naturalmente molta gente, tutta una 
                    coda di gente che voleva vederlo, voleva toccarlo, voleva 
                    parlarci. E invece fecero entrare solo me, lui chiuse la porta, 
                    io rimasi lì sola con lui e io, veramente, ero paralizzata. 
                    Paralizzata perché proprio lì davanti a me c’era 
                    uno dei miei idoli, se non proprio l’unico idolo, perché 
                    io nella vita ho avuto ben pochi personaggi di riferimento. 
                    Lui era davvero lì davanti a me, vivo e vegeto e potevo 
                    dirgli qualsiasi cosa, ma ero tutta rigida, avevo la bocca 
                    impastata e non riuscivo a parlare. Era proprio una forte 
                    emozione, per cui non riuscivo ad aprire la bocca e a dire 
                    niente. Ma lui è stato molto cordiale, molto carino. 
                    Ha capito del mio forte disagio, ha facilitato la cosa, mi 
                    ha messo a mio agio e così poi l’incontro andò 
                    molto bene e io sono riuscita a ringraziarlo, a spiegargli 
                    quanto il suo lavoro fosse stato importante per farci alzare 
                    la testa.
                  Mi viene in mente che anche De André aveva 
                    il suo mito, il cantante francese George Brassens. Però 
                    lui Brassens non l’aveva mai voluto incontrare perché 
                    temeva che l’uomo poi non corrispondesse all’immagine 
                    che lui se n’era fatta. Lei questo timore non l’ha 
                    avuto?
                  No. Io ero sicura che lui non poteva tradirsi, non so come 
                    meglio dire. Ero sicura che lui era esattamente quello che 
                    scriveva, quello che cantava. Ero sicura che il suo stile 
                    di vita era quello e non poteva essere diverso. Anche se è 
                    vero che poteva anche accadere: ho conosciuto altri personaggi 
                    dello spettacolo che poi si sono rivelati meschini o comunque 
                    non all’altezza del personaggio che portavano in giro. 
                    Ma lui non era uno che recitava, lui era se stesso in qualsiasi 
                    momento. Quello che scriveva lo pensava e lo condivideva. 
                    Non credo che frequentasse i salotti eleganti anche se era 
                    di estrazione borghese. Non credo che frequentasse la gente 
                    “bene” e lo dimostra il fatto che con me si sia 
                    sentito subito a suo agio e io lo stesso con lui. Io credo 
                    che veramente frequentasse le persone di cui raccontava, altrimenti 
                    non avrebbe potuto conoscerle così bene. Perché 
                    lui, scrivendo e cantando, ha fatto veramente molto per la 
                    nostra categoria e non solo per la nostra, anche per le altre 
                    categorie di emarginati. Penso ai Rom, ai tossicodipendenti 
                    e ad altri. Ha scritto e cantato cose bellissime per loro.
                  Ne: “La Città Vecchia” De André 
                    dipinge un affresco dell’umanità varia che affolla 
                    i vicoli di Genova, parlando in fondo proprio delle persone 
                    che lei ha appena citato. Lì c’è una condanna 
                    cristallina dell’ipocrisia benpensante, nella figura 
                    del vecchio professore che di giorno chiama la prostituta: 
                    “pubblica moglie” ma di notte la va a cercare. 
                    Lei come l’ha vista questa figura del vecchio professore 
                    proposta da De André? 
                  Io il vecchio professore l’ho incontrato tutti i giorni 
                    della mia vita e continuo a incontrarlo! Lui, certo, l’ha 
                    descritto molto bene, ma questi personaggi sono attorno a 
                    noi tutti i giorni, con quella ipocrisia. Ho anche l’impressione 
                    che in questo momento sia sempre più forte questa doppia 
                    morale. Questa morale di giorno che poi di notte cambia. Tutti 
                    questi personaggi che io personalmente chiamo “Dottor 
                    Jekyll e Mister Hide”, che poi sono gli uomini, l’uomo 
                    di tutti i giorni, quello che di giorno porta la cravatta 
                    e di notte va sulle strade a comprare le piccole albanesi 
                    o le donne che arrivano dall’est (adesso io sto parlando 
                    proprio dell’Italia), donne sempre più piccole, 
                    sempre più giovani, sempre più sfruttate. Quindi 
                    il vecchio professore non è un vecchio personaggio: 
                    è un personaggio che continua a vivere purtroppo, anche 
                    perché ho come l’impressione che l’uomo 
                    non si metta mai in discussione e sia sempre pronto a giustificare 
                    tutte le proprie debolezze senza mai un’autocritica. 
                  
                  Il prete genovese Don Andrea Gallo ha “confessato”, 
                    proprio da questi microfoni, che sono state le canzoni di 
                    Fabrizio De André a farlo avvicinare alle prostitute, 
                    ai drogati, agli “ultimi”, come lui li definisce. 
                     
                  Conosco molto bene Don Andrea Gallo ed è un personaggio 
                    che adoro. Ci vorrebbero tanti sacerdoti come lui ma purtroppo, 
                    in questo momento penso che quelli come lui siano veramente 
                    rari e in via di estinzione. Mi auguro che lui possa vivere 
                    a lungo per continuare a fare quello che fa, e a rompere tutti 
                    i giorni, solo per il fatto di esserci, gli schemi precostituiti, 
                    e tutti i preconcetti e tutti i pregiudizi che la gente ha 
                    e continua ad avere.
                  Proprio accennando a “La città vecchia” 
                    Don Andrea ha detto che Fabrizio De André è 
                    grande perché con lui: “le prostitute insegnano 
                    e i professori vanno a scuola”. Lei si rispecchia in 
                    questa affermazione? 
                  (ridendo) Ma, io non sono molto scolarizzata, però 
                    mi piacerebbe molto! Per la verità io credo qualche 
                    volta di aver fatto scuola anche a dei grandi professori, 
                    scuola di vita intendo. E continuerò a farla, se mi 
                    sarà data la possibilità.
                  
 La 
                    categoria delle puttane
                   Da Via del Campo a Princesa, il 
                    tema della prostituzione, sotto varie forme, ritorna spesso 
                    nella poetica di De André. Di tutta quest’opera 
                    che ha come filo rosso l’attenzione agli emarginati, 
                    che restituisce, come ha scritto lei stessa: “volto 
                    e voce ai dannati”, quali canzoni ha sentito più 
                    vicine nella sua vita come donna, come prostituta e poi anche 
                    come attivista del movimento per i diritti civili delle Prostitute? 
                    
                  Non credo che vorrei sceglierne una in particolare, però 
                    c’è una raccolta che amo molto ed è “Storia 
                    di un impiegato”. Lì dentro ci sono, davvero, 
                    più di dieci anni di storia italiana, importante, nostra, 
                    fondamentale. E lui ne ha trattato in modo così delicato, 
                    pur trattando temi così drammatici. E comunque io le 
                    ho amate tutte le sue canzoni, anche ad esempio l’album 
                    che ha pubblicato dopo il rapimento, quello con l’indiano 
                    in copertina: bellissimo! Direi che non ho un brano che prediligo. 
                    Magari potrei dire che uno lo prediligo meno degli altri ed 
                    è la “Canzone di Marinella”, forse perché 
                    è stata cantata troppo, ecco direi che questa è 
                    forse quella che amo di meno. 
                  Riferendosi forse alla produzione di Fabrizio degli 
                    anni sessanta-settanta lei ha anche scritto “nell’Italia 
                    ‘cattocomunista’ di quegli anni lontani essere 
                    prostituta, drogato o carcerato significava non esistere, 
                    non solo come persona ma anche come categoria sociologica”. 
                    Secondo lei le cose sono cambiate? Adesso queste categorie 
                    sono più riconosciute?
                  Esiste una forma di riconoscimento ma soprattutto come problema 
                    sociale. Un sacco di gente si occupa di noi e di altre categorie. 
                    È nata la filosofia della riduzione del danno, quindi 
                    si scende in strada, si cerca di aiutare la gente in difficoltà. 
                    Si cerca di portare soccorso ai tossici se sbagliano la dose. 
                    Si cerca di insegnare alle prostitute a farlo bene, per non 
                    ammalarsi. Ma ancora non si è accettati come persone, 
                    si è ancora visti come categorie: la categoria dei 
                    tossici, la categoria dei carcerati, la categoria delle puttane. 
                    E adesso, qui in Italia almeno, c’è la categoria 
                    dei migranti e delle donne migranti, che spesso sono anche 
                    prostitute. Non sono ancora accettate come persone, sono diventate 
                    categorie e alcune categorie in questo momento sono anche 
                    un grande business, come l’immigrazione: si finanziano 
                    progetti di inserimento socio educativo, progetti di rieducazione 
                    (questa parola la trovo terribile, però adesso molti 
                    progetti vengono finanziati per rieducare i migranti, affinché 
                    si adattino al nostro standard culturale). Insomma non sono 
                    ancora persone! 
                  Nel libro in cui si racconta a Cesare Romana, Fabrizio 
                    De André rivela anche alcuni retroscena di queste sue 
                    canzoni. Sappiamo così che la sua conoscenza della 
                    prostituzione, come del resto diceva anche lei prima, è 
                    una conoscenza diretta. Via del Campo ad esempio 
                    prende forma dal rapporto con un transessuale che “batteva” 
                    in quella strada. De André aveva anche avuto una lunga 
                    relazione con una prostituta, che andava a prelevare dopo 
                    il lavoro, come lui stesso ha raccontato. Ecco secondo lei 
                    in questo non si potrebbe intravedere una contraddizione? 
                    Cioè il giovane De André “cliente” 
                    di quelle prostitute non è in contraddizione quando 
                    poi ne parla con quel rispetto che emana dalle sue canzoni? 
                     
                  Ma io adesso non so dire se lui avesse pagato questa donna 
                    oppure l’avesse amata. So però per certo che 
                    le prostitute suscitano grandi amori: donne bistrattate di 
                    giorno ma molto amate di notte. E quindi, perché no? 
                    Perché non concedere anche una grande storia d’amore 
                    fra De André e la fortunata che l’ha avuto? Ma 
                    potrebbe anche non essere stato tutto questo, potrebbe anche 
                    essere stato solo un grande rapporto di amicizia. Genova in 
                    fondo è una città davvero particolare e io ho 
                    voluto andare a visitarla proprio per capire quelle canzoni, 
                    capire perché Genova e non un’altra città. 
                    Genova in realtà ha sempre accettato le sue prostitute. 
                    Le prostitute lavorano all’interno della città 
                    vecchia, nel cuore della città. Lavorano sulla porta 
                    di casa fianco a fianco alle botteghe. Quindi non sono mai 
                    state discriminate, emarginate, spinte ai margini della città 
                    come è successo altrove, nelle periferie di altre città. 
                    La prostituta era uno dei tanti soggetti che animavano i vicoli 
                    di Genova e quindi, perché no, poteva nascere sia un 
                    grande rapporto di amore che un grande rapporto di amicizia. 
                    E poi io credo che il fatto di pagare una donna non debba 
                    necessariamente portare al disprezzo verso questa donna, se 
                    poi il rapporto che ne nasce è un rapporto ricco.
                  
 Ma 
                    quale “ex prostituta”!
                   Nell’unico romanzo di De André, Un 
                    destino ridicolo, c’è, fra i protagonisti, 
                    Carlo, un pappone di Genova. Carlo si somma alla galleria 
                    di personaggi di De André, senza che sul suo “lavoro” 
                    ricada tutto sommato un giudizio negativo. Anzi, messo a paragone 
                    con i caporali che sfruttano le lavoratrici del sud, il pappone 
                    qui diventa quasi un benefattore. Secondo lei non si rischia 
                    qui di esaltare una figura che in fondo è quella dello 
                    sfruttatore?
                  No e le dico anche perché. Molto spesso la figura 
                    del “pappone” è una figura inventata dalla 
                    società perché sembra che sia quasi impossibile, 
                    per la società, accettare che un uomo “normale”, 
                    un uomo qualunque, osi intrecciare una relazione amorosa con 
                    una prostituta. Quindi, di fatto, quest’uomo diventa 
                    il suo pappone, sempre, anche se questo è un uomo che 
                    non la sfrutta, anche se questo è un uomo che non la 
                    picchia, anche se è un uomo che non le porta via il 
                    denaro e non la obbliga a prostituirsi, lui sarà per 
                    forza il suo pappone. E questo, lo ripeto, molte volte è 
                    una figura inventata: tutte le volte che una prostituta ha 
                    una relazione con un uomo di fatto lui viene travolto e buttato 
                    all’inferno assieme a lei nonostante faccia magari una 
                    vita del tutto normale, del tutto regolare. Quindi non bisogna 
                    dare per scontato che quelli che vengono chiamati papponi 
                    siano tutti davvero papponi e che i compagni delle prostitute 
                    siano tutti violenti, rozzi, ubriaconi che magari picchiano 
                    la propria compagna, perché non è assolutamente 
                    così. 
                  A proposito di sfruttatori, c’è una 
                    frase del “Testamento” che mi piacerebbe lei ci 
                    commentasse. Quando De André fa dire al suo protagonista, 
                    morente, “ai protettori delle battone, lascio un impiego 
                    da ragioniere, perché provetti nel loro mestiere, rendano 
                    edotta la popolazione, ad ogni fine di settimana, sopra la 
                    rendita di una puttana”. Come la vede? 
                  (ridendo) Molto bella, molto bene come lui l’ha 
                    scritta! Si vede che sapeva di cosa parlava, perché 
                    è evidente che se un uomo fosse riuscito a far quadrare 
                    i bilanci delle prostitute avrebbe avuto un futuro come ragioniere! 
                    Abbiamo un rapporto perverso con il denaro, le prostitute 
                    hanno un cattivo rapporto con il denaro. Forse in generale 
                    tutte le donne, ma le prostitute ancora di più! Perché 
                    non hanno un datore di lavoro, un orario di lavoro. Le prostitute 
                    possono guadagnare in qualsiasi momento: basta uscire in strada, 
                    di giorno o di sera, e si troverà sempre qualcuno che 
                    ti paga. Quindi far quadrare il bilancio di una prostituta 
                    è molto complicato e molto difficile, capitalizzare 
                    i soldi di una prostituta anche, quindi posso immaginare perché 
                    De André abbia scritto quei versi. E poi mi fa venire 
                    in mente che esistono davvero delle figure analoghe, vi racconto 
                    questa cosa. C’è tutto un gruppo di prostitute 
                    che lavora nella zona che va da Milano al laghi, sulla strada 
                    conosciuta come la “Valassina”. E c’è 
                    un signore, un signore piuttosto in età, che fa il 
                    giro di notte a raccogliere i soldi di queste donne e annota 
                    tutto quanto su un libricino: il nome della ragazza e accanto 
                    i soldi che raccoglie. Poi, il giorno dopo, li versa in banca, 
                    versa ad ognuna la somma che spetta sul rispettivo conto corrente. 
                    Questo servizio serve ad evitare il rischio di essere derubate, 
                    perché molto spesso le prostitute sono prese di mira 
                    da rapinatori e ladruncoli da strapazzo che a metà 
                    serata passano e le ripuliscono. Ecco questo signore mi ricorda 
                    proprio la canzone di De André anche perché, 
                    guarda caso, le ragazze lo chiamano proprio “il ragioniere”, 
                    anche se non so se sia davvero un ragioniere, però 
                    è sicuramente una persona di estrema fiducia. Ecco: 
                    visto dal di fuori questo potrebbe sembrare un pappone, invece 
                    non lo è. È una persona di fiducia delle ragazze 
                    che lavorano su quella strada.
                  Lei ha anche scritto: “il mio riconoscimento 
                    va al cattivo maestro, che mi ha insegnato l’innocenza 
                    del peccato senza pentimento. Lei prima di conoscere De André 
                    si sentiva “peccatrice”? 
                  No, però molto spesso mi hanno fatto sentire così 
                    gli altri. Ma più gli anni sono passati e sempre meno 
                    mi sono sentita colpevole o peccatrice, fino ad oggi, che 
                    ho più di cinquant’anni e posso affermare di 
                    non essermi mai pentita. E la cosa che mi fa arrabbiare di 
                    più è quando mi chiamano: “l’ex 
                    prostituta”. E anche questa è una grossa lotta 
                    che ho fatto. Perché è un marchio a vita. Qualunque 
                    cosa tu faccia, oltre a fare o ad aver fatto la prostituta, 
                    tu comunque resti per gli altri l’ex prostituta. E io 
                    sostengo che o sei una prostituta o non lo sei, ma come si 
                    fa ad essere ex prostitute? E poi questo termine: “ex”, 
                    così negativo, viene assegnato sempre e solo alle categorie 
                    considerate peggiori: ex carcerato, ex drogato, ex puttana. 
                    Non ho mai sentito dire: “ex professore di università”. 
                    E quindi io no, non mi sono mai pentita, assolutamente, ma 
                    sono gli altri che mi hanno fatta sentire così. Gli 
                    altri, ma non De André.
                  
 Progetti 
                    di accoglienza
                   Nel vostro sito web, si parla della libertà 
                    di vendere e comprare sesso fra adulti consenzienti. Ma oggi 
                    si parla sempre più spesso di schiave del sesso, di 
                    straniere costrette a prostituirsi. Lei stessa accennava prima 
                    a ragazze sempre più giovani e sempre più sfruttate. 
                    Quanto è diverso il quadro della prostituzione oggi, 
                    rispetto all’epoca in cui De André scriveva Via 
                    del Campo?
                  È cambiato radicalmente, perché le prostitute 
                    delle canzoni di De André, della sua epoca, erano donne 
                    italiane, perlopiù adulte, qualche volta anche in età, 
                    comunque molto consapevoli di quello che stavano facendo. 
                    In questo momento invece abbiamo, in tutta Europa, non solo 
                    in Italia, migliaia di donne spinte dalle guerre, dalla fame, 
                    dal desiderio proprio di cambiare il loro destino, e assieme 
                    al loro quello della loro famiglia, che emigrano. Però 
                    qui io farei una scelta ben precisa: molte di queste donne 
                    non vogliono fare le prostitute, non vengono in Europa per 
                    vendere sesso o per prostituirsi. Vengono con la speranza 
                    di trovare un lavoro. Però entrare in Europa è 
                    così difficile, così impossibile, che l’unica 
                    possibilità che resta per venire qui è quella 
                    di affidarsi ai trafficanti. E quindi di fatto queste donne 
                    diventano merce, da importare, da trafficare, da mettere sui 
                    nuovi mercati, sulle nuove frontiere del sesso. Ecco perché 
                    prima ne parlavo in maniera critica: perché moltissime 
                    di queste donne non sono né consapevoli di quello che 
                    andranno a fare e neanche sono d’accordo. Però, 
                    pur di andarsene per sfuggire al destino miserabile che hanno 
                    nel loro paese, sono disposte ad accettare qualsiasi compromesso. 
                    Il primo è quello di mettersi nelle mani di chi riuscirà 
                    a far loro varcare le frontiere, questi trafficanti di vite 
                    umane. E poi qualsiasi opportunità di lavoro è 
                    buona, pur di non dover tornare a casa, a meno che non si 
                    tratti di tornare da migrante che ce l’ha fatta, con 
                    le valigie nuove e con del denaro da dividere con le proprie 
                    famiglie.
                  Come Comitato voi siete in contatto con queste prostitute 
                    che non vorrebbero fare questo lavoro? Avete la possibilità 
                    di aiutarle a uscire dal giro o è troppo difficile 
                    e pericoloso?
                  Noi abbiamo vari progetti di accoglienza per donne vittime 
                    che decidono di uscire dal giro della prostituzione, che non 
                    vogliono più stare in strada e vogliono fare altro. 
                    Noi in questi casi le accogliamo in questi nostri centri di 
                    accoglienza e facciamo assieme a loro un percorso, che molto 
                    spesso dura anche un anno, e che è un percorso lento 
                    ma che progressivamente le porta ad una totale emancipazione 
                    dalla prostituzione e dal racket che le sfruttava e cominciano 
                    una vita diversa, andando a lavorare, ecc. Noi le aiutiamo 
                    a ricostruirsi una vita, a cominciare dai documenti che molto 
                    spesso vengono sottratti dai trafficanti. Le mandiamo a scuola 
                    di italiano, perché senza parlare la nostra lingua 
                    non avrebbero nessuna possibilità; poi facciamo formazione 
                    professionale e inserimento lavorativo. Alla fine le aiutiamo 
                    a trovare una propria abitazione e a quel punto sono, si spera, 
                    libere di vivere nel nostro paese, lavorando e con un dei 
                    documenti regolari e non più clandestine in balia dei 
                    malavitosi e del racket che le sfruttava.
                  Non avete mai avuto minacce dal racket? Voi non fate 
                    certo i loro interessi!
                  Alcune minacce sì, ma non molto spesso. Non vorrei 
                    neanche focalizzarmi più di tanto su questo. Comunque 
                    poca roba. C’è anche da dire che questi trafficanti, 
                    purtroppo, persa una donna ne recuperano altre tre. C’è 
                    talmente tanto materiale umano, in Europa dell’Est, 
                    in Africa, in America Latina, per cui anche se si riesce a 
                    portar via dal giro due o tre donne, per loro non è 
                    una grande perdita. Purtroppo le sostituiscono subito. 
                  Lei ha anche scritto tre libri sul tema della prostituzione. 
                    Di che si tratta?
                  Il primo s’intitola: “Ritratto a tinte forti”. 
                    È una sorta di autobiografia molto ironica, ma anche 
                    un racconto di quello che è la prostituzione vissuta 
                    in prima persona negli anni ottanta e novanta, come donna 
                    autonoma e consapevole e senza alcun sfruttatore dietro le 
                    spalle. Il secondo invece, che s’intitola “Quanto 
                    vuoi?” e a mio avviso è anche il migliore, è 
                    una sorta di ricerca sui clienti delle prostitute. Io, prima 
                    di lasciare l’attività volevo lasciare qualcosa 
                    di scritto sul mondo dei clienti. Perché tutti quanti 
                    hanno scritto delle prostitute. Tutti quanti le hanno analizzate, 
                    tutti quanti le hanno studiate, tutti quanti hanno detto la 
                    loro sulle prostitute. Ma nessuno aveva mai osato scrivere 
                    niente sui clienti. Quindi io ho fatto una raccolta importante 
                    di testimonianze. Ho raccolto 340 interviste. Alcune consapevoli, 
                    nel senso che i clienti hanno accettato di farsi intervistare, 
                    altre invece le ho “rubate” mettendo il registratore 
                    in un punto strategico. Ne è venuta fuori una bella 
                    panoramica dell’umanità maschile, anche se, devo 
                    dire, non si rappresentano un granché bene! Il terzo 
                    libro, “E siam partite”, è una serie di 
                    storie di donne migranti, di donne che hanno lasciato il loro 
                    paese e si sono affidate ai trafficanti e che raccontano il 
                    loro progetto di vita, il loro progetto migratorio, i loro 
                    sogni. Qualcuna ce l’ha fatta, qualcuna non ce l’ha 
                    fatta, io ho messo nel libro le loro storie.
                  Che accoglienza hanno avuto i suoi libri, come ha 
                    reagito il pubblico italiano? 
                  Il primo ha avuto abbastanza successo, è stato anche 
                    tradotto in Spagna e Germania. Quello sui clienti, come mi 
                    aspettavo evidentemente, visto che l’editoria è 
                    in mano ai maschi, non è stato molto apprezzato. Sono 
                    stata molto criticata per aver osato svelare quelle cose. 
                    Quanto al terzo, mi auguro proprio che la gente lo legga, 
                    perché dietro a queste storie c’è una 
                    grande umanità e c’è una grande speranza: 
                    nessuna di queste donne è disperata, nessuna si è 
                    arresa. Sono tutte donne combattive che vogliono comunque 
                    vincere la loro sfida contro la miseria, la guerra, contro 
                    il niente che si sono lasciate dietro nei loro paesi. 
                  Nei messaggi che ci siamo scambiati in questi giorni, 
                    prima di questa intervista, mi ha colpito una sua affermazione. 
                    Lei era un po’ stupita che la contattassimo dall’Australia 
                    per parlare di De André in questo modo, e mi ha scritto: 
                    “lei certo farà parte di quella schiera di persone 
                    colte e sensibili che hanno capito il grande messaggio che 
                    ha lasciato De André”. Perché secondo 
                    lei, per capire De André bisogna essere anche “colti”?
                  Ma io non volevo riferirmi alla cultura formale, scolastica. 
                    Intendo colti in modo sensibile per poter riuscire a capire 
                    il suo messaggio. Io francamente non credo che la massa, questo 
                    tipo di persone che guardano la televisione e ascoltano le 
                    canzonette siano davvero in grado di capire quel messaggio 
                    fino in fondo. Forse voi non sapete cosa trasmette la televisione 
                    qui in Italia ma ormai il livello è così basso 
                    che io lo trovo quasi offensivo. Allora io non credo che questa 
                    gente che magari passa cinque ore al giorno davanti alla TV 
                    a vedere queste cose possa poi capire quello che ci ha lasciato 
                    De André. Forse sono troppo presuntuosa io e sottovaluto 
                    l’umanità, però in questo momento io trovo 
                    che l’umanità che mi circonda sia veramente povera 
                    e anche un po’ gretta. Non ho grandi speranze su questa 
                    società. Sono tutti quanti uguali, si vestono tutti 
                    nello stesso modo, la pensano tutti allo stesso modo e mangiano 
                    tutti le stesse cose. Quindi io penso che non siano in grado 
                    di capire cose profonde come quelle di De André.
                   
                (Intervista realizzata via telefono il 29/04/2005. Registrata 
                  presso gli studi di Rete Italia – Melbourne. Andata in 
                  onda nell’ambito della trasmissione radiofonica settimanale: 
                  “In Direzione Ostinata e contraria”, dedicata ai 
                  personaggi delle canzoni di Fabrizio De André).