  
                  
 Signora libertà signorina anarchia 
                  
                Intervista a Paolo Finzi di Renzo Sabatini 
				
  
                  Tra gli intervistati nel 2005 da una radio australiana su Fabrizio De André, c'era anche un redattore di questa rivista che in Australia ci andò due volte per parlare del cantautore genovese. 
  E spiegò perché non si può ignorare il fatto che Fabrizio 
  sia stato anche un anarchico, di notevole spessore, anche se a modo suo.  
   Anarchico, giornalista, redattore di “A”, rivista storica 
                  dell'anarchismo italiano. Cosa significa essere anarchici nel 
                  terzo millennio? 
                  «Non è molto facile rispondere o forse è 
                  facile, nel senso che essere anarchici nel 2000, come nel 1900, 
                  significa avere determinate idee, un certo tipo di sensibilità 
                  e la volontà di applicare queste idee, che sono quelle 
                  storiche dell'anarchismo, che hanno ormai 150 anni e che sono 
                  nate, non a caso, da un filone del movimento operaio e del movimento 
                  socialista e quindi sono, se vogliamo usare una vecchia definizione, 
                  delle idee di sinistra, se per sinistra si intende la sensibilità 
                  di stare dalla parte del popolo, contro l'ingiustizia, eccetera. 
                  Che senso ha essere anarchici oggi? Più che in positivo, 
                  per le grandi realizzazioni fatte dagli anarchici in questo 
                  periodo – perché in realtà non sono grandi 
                  – una ragione per essere anarchici è il sostanziale 
                  fallimento delle altre proposte e delle altre ideologie. Io 
                  per adesso mi fermerei qui, sapendo di non aver risposto, ma 
                  del resto è difficile rispondere perché il senso 
                  di essere anarchici è in realtà legato alla propria 
                  concezione dell'anarchismo e quindi bisognerebbe poi andare 
                  a definire bene che cosa sia stato storicamente e che cosa sia 
                  oggi l'anarchismo.» 
                   
                  Parlando di concezioni individuali dell'anarchismo, Fabrizio 
                  De André per tutta la vita si è detto anarchico, 
                  sostenendo però che non si trattava tanto di una posizione 
                  politica quanto di una condizione dello spirito. Però 
                  nella sua produzione artistica non ritroviamo riferimenti espliciti, 
                  diretti, all'anarchia. Allora che tipo di anarchico era De André? 
                  «Era un anarchico di tipo particolare, come sono in realtà 
                  tutti gli anarchici. L'anarchismo è un elemento spesso 
                  presente nel mondo artistico; l'amore per la libertà, 
                  la simpatia per i diversi e per quelli un po' fuori dalle righe, 
                  il rifiuto delle regole: sono componenti storicamente molto 
                  presenti nel mondo degli artisti. Però queste componenti 
                  non presuppongono una conoscenza specifica dell'anarchismo, 
                  del movimento politico degli anarchici e spesso nemmeno una 
                  lettura dei testi. È più semplicemente un modo 
                  per definirsi. 
                  Quello che mi preme qui sottolineare è che Fabrizio non 
                  era un anarchico di questo tipo; non era un artista anarchicheggiante 
                  perché particolarmente amante della libertà, in 
                  questa accezione un po' provocatoria, un po' strana, che fa 
                  anche “fino” in certi ambienti. Fabrizio aveva conosciuto 
                  gli anarchici sia come persone che come idee. Il suo primo tramite 
                  con l'anarchismo erano stati i dischi di George Brassens che 
                  aveva portato suo padre da Parigi e che lui aveva ascoltato 
                  da ragazzino. Brassens per un lungo periodo della sua vita si 
                  era definito anarchico e aveva collaborato con la stampa anarchica 
                  francese e così il primo tarlo dell'anarchia è 
                  arrivato a Fabrizio da Brassens. Successivamente lui, che era 
                  un grande intellettuale e un grande lettore, ha letto molti 
                  libri sulla storia del movimento operaio, sull'anarchismo, sulla 
                  storia della rivoluzione russa e di quella spagnola del 1936. 
                  Quindi conosceva bene sia le idee che la storia di questo movimento 
                  e la sua adesione all'anarchismo, seppure non portò mai 
                  ad un'azione di tipo militante nel movimento, però lo 
                  fece restare in contatto con gli anarchici, frequentare anarchici, 
                  leggere la stampa anarchica, come dimostra del resto il rapporto 
                  che ebbe con noi della redazione della rivista anarchica “A”.» 
                   
                  Se immaginiamo di leggere quelle canzoni per cercare in 
                  quei versi l'anarchico De André, dove lo troviamo? 
                  «Anche qui è opportuna una premessa. Le persone 
                  dalla profonda cultura e dalla grande sensibilità e curiosità, 
                  in una parola: gli intellettuali come Fabrizio De André, 
                  non possono mai essere ridotti e catalogati con un semplice 
                  aggettivo. 
                  Detto in altre parole, le fonti di riferimento culturale di 
                  queste persone non sono mai univoche e quindi l'anarchismo è 
                  presente nella storia e nell'opera di Fabrizio insieme, a fianco, 
                  mischiandosi con tutta un'altra serie di elementi. Per cui la 
                  sua grande sensibilità, che è un po' la cifra 
                  di tutto il suo lavoro, questa pietà e solidarietà 
                  per i dannati della terra gli deriva certamente dal suo anarchismo 
                  ma, a mio avviso, contemporaneamente anche da altri filoni culturali, 
                  penso per esempio alla sua grande attenzione al pensiero religioso, 
                  cristiano in particolare, ma non solo. Per cui, in realtà, 
                  più che andare a cercare elementi specifici di anarchismo, 
                  credo che nell'insieme si possa rispondere dicendo che la sua 
                  eccezionale sensibilità umana e culturale verso le persone 
                  più “sfortunate” contenga anche il suo anarchismo. 
                  C'è da dire però che, avvicinandosi, mettendo 
                  a fuoco l'argomento, viene fuori che in Fabrizio non c'è 
                  solo la solidarietà, la pietà, la comprensione, 
                  la capacità di mettersi nella pelle del transessuale 
                  o del rom. C'è anche un passo successivo che è 
                  specifico dell'anarchismo, anche se forse non solo dell'anarchismo: 
                  il rifiuto, la rivolta, il contrasto contro queste situazioni. 
                  Fabrizio non si limita a mettere in luce queste figure o questi 
                  stati sociali, ma sembra indicare la via dell'affermazione concreta 
                  e attiva della loro dignità, in contrasto con il potere. 
                  E qui arriviamo forse al punto centrale di quello che si può 
                  meglio riconoscere come l'anarchismo di Fabrizio. Un anarchismo, 
                  è bene precisare, soffuso e diffuso nelle sue canzoni, 
                  nel senso che non c'è nessuna sua canzone esplicitamente 
                  dedicata alle idee anarchiche. Ma c'è questa sua critica 
                  demistificatoria del potere, che è contenuta in decine 
                  e decine di punti della sua opera poetica e che è in 
                  piena sintonia con l'anarchismo.» 
                
                   
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                    |   Il Giornale di Napoli, martedì 24 settembre 
                  1991  | 
                   
                 
                 
                Un pensiero originale, la voce che conosciamo 
                 De André si affianca in questo ad altri artisti 
                  che sono stati e si sono dichiarati esplicitamente anarchici. 
                  Tu hai già citato George Brassens, poi c'è Leo 
                  Ferré e tanti altri. Fra gli anarchici italiani quanto 
                  è conosciuto De André? 
                  «Fabrizio è amatissimo dagli anarchici italiani 
                  e ovviamente non solo dagli anarchici. Fin dagli anni sessanta, 
                  in una intervista su una rivista musicale dell'epoca, Ciao 2001, 
                  si era definito anarchico e quindi c'era stato subito un interesse. 
                  Gli anarchici avevano subito colto, oltre al contenuto delle 
                  canzoni, anche questa specificità. Ma la questione interessante 
                  è che Fabrizio è stato amato non solo dagli anarchici 
                  ma in genere dai giovani di tante generazioni. La guerra 
                  di Piero, che è stata una canzone degli anni della 
                  contestazione, del sessantotto italiano, viene cantata ancora 
                  oggi nelle manifestazioni del movimento pacifista. 
                  Quindi Fabrizio, con le sue canzoni, ha saputo interpretare 
                  in maniera profonda le istanze non solo degli anarchici e neanche 
                  solo della sinistra, intesa come movimenti politici. Perché 
                  per esempio Fabrizio è una delle voci più amate 
                  e più cantate anche nel mondo giovanile cattolico che 
                  ha trovato nell'antibellicismo, nel rifiuto della guerra e anche 
                  in altri temi di Fabrizio elementi importanti e condivisibili. 
                  Una cosa importante (e qui andiamo forse al cuore del modo di 
                  essere di Fabrizio) è che questa sua capacità 
                  di influenzare, di essere presente, di condizionare la vita 
                  delle persone, è legata alla capacità di unire 
                  un pensiero assolutamente originale alla voce che conosciamo, 
                  alla sensibilità poetica e a quella musicale. Insomma 
                  in Fabrizio c'è qualcosa di magico nell'incontro fra 
                  pensiero, poesia, musica, persino il modo di suonare la chitarra. 
                  Questi elementi fanno di Fabrizio una persona che non viene 
                  percepita come un propagandista. Queste sue poesie diventano 
                  un veicolo per delle idee e delle sensibilità che riescono 
                  a colpire nel profondo le persone.» 
                   
                  De André ha sempre avuto un suo pubblico importante, 
                  era già molto famoso prima di morire. Ma perché 
                  dopo la sua morte s'è scatenato questo fenomeno così 
                  enorme di passione, mitizzazione, con libri, concerti, incontri, 
                  seminari, festival, cover band, piazze, strade e scuole a lui 
                  intitolate, centri di ricerca, fondazioni, tesi universitarie… 
                  in Italia sono diventati tutti anarchici? 
                  «No, non sono diventati tutti anarchici. Dovremmo partire 
                  da una data, quella dell'11 gennaio 1999, quando muore Fabrizio. 
                  Se andiamo a rileggere titoli e dichiarazioni sui giornali del 
                  12 gennaio troviamo di tutto. È vero che ci fu un generale 
                  riconoscimento dell'anarchismo di Fabrizio, però ci fu 
                  al contempo un'operazione che non era studiata, non sto parlando 
                  di una congiura, però si mise in moto un meccanismo che 
                  volgeva alla sterilizzazione di questo anarchismo. Si descriveva 
                  insomma Fabrizio come il cantore delle puttane, dei carcerati 
                  e degli emarginati, però lasciando il tutto a un livello 
                  piuttosto estetizzante. 
                  Questo spiega come mai anche esponenti della destra come Gianfranco 
                  Fini, solo per citarne uno, potessero riconoscersi nel dolore 
                  generale del popolo italiano per la morte di Fabrizio. Insomma 
                  c'era una grande ipocrisia e una grande superficialità. 
                  In tutta questa attività messa in campo per ricordare 
                  la sua figura va ricordato che Fabrizio (questo è solo 
                  un aspetto, ma è importante sottolinearlo) è uno 
                  che “vende”, cioè quando si pubblica qualcosa 
                  che lo riguarda si ottiene anche un certo successo in termini 
                  economici. Questo spiega, in parte, perché si sia scatenato 
                  intorno a lui un certo interesse. 
                  Evidentemente, però, il fenomeno che tu sottolineavi 
                  è molto più grande e secondo me, nella sua parte 
                  più positiva, che è quella prevalente, è 
                  legato alla scoperta o alla riscoperta della profondità 
                  del messaggio di Fabrizio. Quindi credo che il merito sia sostanzialmente 
                  suo. Già in vita lui era considerato una sorta di senatore 
                  della musica italiana e, in effetti, se si prende in considerazione 
                  la profondità, la densità anche culturale del 
                  lavoro di Fabrizio, bisogna dire che non ha pari nel lavoro 
                  degli altri cantanti e cantautori italiani. In genere cerco 
                  di evitare la mitizzazione del personaggio però non è 
                  nemmeno giusto non riconoscere come Fabrizio abbia avuto questa 
                  capacità di affrontare in maniera davvero eccezionale 
                  le tematiche più profonde che riguardano l'uomo, come 
                  l'amore e la morte. 
                  Basti osservare come, a distanza di otto anni dalla morte, si 
                  continuino ad organizzare convegni e a scrivere saggi nei quali 
                  troviamo riletture, approfondimenti, scoperte, analisi sempre 
                  nuove. Cioè il pensiero di Fabrizio è un pozzo 
                  senza fine dal quale si continua ad attingere e c'è ancora 
                  moltissimo da studiare e da scoprire. Spesso anche su un solo 
                  verso di una sua canzone si potrebbe scrivere un saggio. Questo 
                  perché lui aveva anche una grandissima capacità 
                  di controllo delle parole, che usava in maniera assolutamente 
                  appropriata e profonda. 
                  Quindi le quasi duecento canzoni che ha scritto Fabrizio constituiscono 
                  un corpus culturale senza pari nel mondo della musica italiana. 
                  In effetti, a mio avviso, Fabrizio oltre che come cantante, 
                  deve essere visto come una fonte di riflessione. Io sostengo 
                  che Fabrizio sia anzitutto un intellettuale e questo forse può 
                  aiutarci a capire la sensibilità del suo studio, del 
                  suo lavoro, la sensibilità che metteva nel suo affrontare 
                  i problemi del mondo.» 
                Un propagandista dell'anarchismo 
                 Dando uno sguardo al movimento anarchico italiano tu 
                  pensi che Fabrizio abbia contribuito in qualche misura a ingrossarne 
                  le fila? 
                  «Certamente sì. Per parlare dell'oggi, ho appena 
                  ricevuto in redazione la lettera di una ragazzina di Nuoro che 
                  ci chiede di ricevere una copia della rivista, ringraziandoci 
                  al contempo di tutto quello che abbiamo fatto per ricordare 
                  Fabrizio. Ecco un caso di una giovane che si è avvicinata 
                  alla nostra rivista attraverso la passione per Fabrizio. Ci 
                  sono tante persone che sono arrivate a conoscere, ad apprezzare, 
                  in qualche caso anche ad aderire all'anarchismo tramite il collegamento 
                  che Fabrizio permetteva, dichiarandosi anarchico. Questo collegamento 
                  consentiva alla gente di riflettere sul fatto che, se Fabrizio 
                  faceva delle belle canzoni e allo stesso tempo diceva quelle 
                  cose e dichiarava di essere anarchico, allora forse gli anarchici 
                  erano qualcosa di interessante da conoscere. Io ho conosciuto 
                  tantissime persone che, tramite Fabrizio, sono arrivate all'anarchismo. 
                  Quello che, però, mi sembra più interessante e 
                  da sottolineare è come, tramite Fabrizio, un grandissimo 
                  numero di persone, anche senza aderire al movimento, abbia comunque 
                  conosciuto l'anarchismo tirandolo fuori dal pozzo di negatività 
                  in cui in genere giace, come sinonimo di terrorismo, superficialità, 
                  cosa piccolo-borghese e quant'altro, e abbia saputo posizionarlo 
                  nello spazio che gli compete, che è quello di un movimento 
                  di idee e di persone, un movimento storico, con una sua dignità. 
                  In questo senso Fabrizio ha certamente contribuito in maniera 
                  forte e, anzi, io ho anche sostenuto che Fabrizio è stato 
                  uno dei più grossi propagandisti dell'anarchismo, utilizzando 
                  questa espressione un po' ottocentesca. 
                  In realtà era lungi da lui il ruolo del propagandista, 
                  legato al movimento politico. Però, proprio per questo, 
                  in realtà, sul piano culturale, ha contribuito molto 
                  a sdoganare l'anarchismo, presentandolo come una cosa positiva, 
                  da conoscere e con la quale confrontarsi.» 
                   
                  Pur non essendo un militante De André, come hai 
                  raccontato tu stesso, ogni tanto metteva discretamente mano 
                  al portafoglio per aiutare la vostra rivista o altre realtà 
                  anarchiche. Come avvenivano queste donazioni? 
                  «Anche qui vorrei fare una piccola premessa di carattere 
                  generale: Fabrizio era persona generosa, anche, ma non solo, 
                  sul piano economico. Spesso gruppi e gruppetti, fautori magari 
                  di piccole iniziative, andavano a “battere cassa”, 
                  come del resto si usava spesso negli anni settanta e ottanta 
                  con i cantanti politicamente connotati. Fabrizio ha sempre dato 
                  il suo contributo e, per quanto ne so io, l'ha fatto sempre 
                  con modestia e forse si incazzerebbe anche sapendo che ne parlo, 
                  perché lui non faceva questo per la maggior gloria ma 
                  lo faceva perché gli piaceva sostenere determinate iniziative. 
                  In questo contesto uno spazio, forse prioritario, l'hanno avuto 
                  gli anarchici e, in particolare, la stampa anarchica. Per cui 
                  lui, ogni tanto, ci chiamava, ci facevamo una bella chiacchierata 
                  e, alla fine, ci dava qualche assegno. Noi della rivista “A”, 
                  comunque, abbiamo una pagina, che si chiama: “I nostri 
                  fondi neri”, dove elenchiamo ogni mese le donazioni ricevute 
                  e in questa pagina appariva il milione di lire che ci dava Fabrizio 
                  accanto alle cinquemila lire che ci dava magari il vecchio contadino 
                  pugliese anarchico; questo non perché ce lo chiedesse 
                  Fabrizio ma perché ha sempre fatto parte di una politica 
                  di trasparenza della rivista rispetto ai sottoscrittori. 
                  Un discorso a parte meritano invece i due concerti che fece 
                  a Carrara negli anni ottanta e a Napoli all'inizio degli anni 
                  novanta, specificamente a sostegno della stampa anarchica. In 
                  questi casi si è trattato di una posizione pubblica. 
                  Queste cose Fabrizio le ha fatte e ci ha sempre sostenuti. Certo, 
                  ogni tanto scompariva, anche per lunghi periodi, perché 
                  questa era un po' la sua personalità, in questo forse 
                  accomunato ad altri artisti. Ma in linea generale è stata 
                  una presenza costante di sostegno per noi. 
                  Fabrizio poi frequentava molti anarchici, aveva molti amici 
                  e collaboratori anarchici. Per esempio l'allora suo tecnico 
                  delle luci, Pepi Morgia, che adesso è una delle figure 
                  principali nella realizzazioni di concerti in Italia1 
                  è un anarchico proveniente da una famiglia con tradizioni 
                  anarchiche.» 
                
                   
                      | 
                   
                   
                    |   Dori Ghezzi e Fabrizio De André ad una cena 
                  di sottoscrizione per la rivista anarchica “A”, nella Trattoria Della Torre, a Milano negli anni '80  | 
                   
                 
                 
                Il suo anarchismo, molto diverso dal nostro 
				
                  Se non ti spiace vorrei provare a fare un salto indietro 
                  nel tempo: molti anni fai strappasti un appuntamento a Fabrizio 
                  De André. Tu eri un ragazzo e lui era già un mito. 
                  Poi hai scritto che il risultato di quell'incontro fu che ne 
                  uscisti con un mito in meno e un amico in più. Ci puoi 
                  dare un ricordo di quel tuo primo incontro con il cantautore 
                  genovese? 
                  «Be', diciamo che ognuno di noi ha passato un qualche 
                  momento della vita di cui si sente particolarmente fiero ed 
                  orgoglioso. Anche se ormai sono nell'età avanzata in 
                  cui i ricordi si affievoliscono, quell'incontro con Fabrizio 
                  per me è uno dei ricordi destinati a rimanere. Forse 
                  sarà l'ultimo che dimenticherò, perché 
                  per me è stato così significativo. In realtà 
                  noi, come redazione della rivista anarchica, cercavamo da tempo 
                  un incontro con Fabrizio – sto parlando del 1973 o 1974 
                  – perché lui era già molto famoso e si definiva 
                  anarchico, quindi ci interessava contattarlo e non solo per 
                  fini economici, anche se l'idea di fondo era comunque quella 
                  di contattare i vari cantanti e cantautori che esprimevano simpatia 
                  o vicinanza per cercare di organizzare concerti a nostro sostegno. 
                  Ovviamente il personaggio noi lo conoscevamo solo sul piano 
                  pubblico e non su quello privato. 
                  Non era facile fissare un appuntamento con Fabrizio che, per 
                  motivi comprensibili, creava attorno a sé delle barriere 
                  che gli erano necessarie per sopravvivere. Poi lui stava anche 
                  attraversando una fase travagliata della sua vita. Comunque 
                  alla fine riuscimmo, tramite amicizie, a ottenere questo appuntamento 
                  in un albergo di Milano e salimmo in tre compagni della rivista 
                  in questa stanza, dove Fabrizio ci accolse dando l'impressione 
                  immediata di una persona timidissima. 
                  Ci sedemmo al tavolo e lui era imbarazzatissimo. Così 
                  lasciai perdere il registratore che avevo preparato e l'intervista 
                  che avevo in mente e cominciammo invece a parlare (lui ci chiese 
                  della nostra rivista) e l'impressione umana fu ottima, nel senso 
                  che Fabrizio era molto disponibile e, come dicono i ragazzi 
                  oggi, non se la tirava assolutamente, anzi aveva lui quasi un 
                  atteggiamento di ammirazione nei nostri confronti; sembrava 
                  quasi che fosse più lui un nostro fan, per via del lavoro 
                  che facevamo, piuttosto che il contrario. Fabrizio quel giorno 
                  parlò a lungo di anarchia e colsi subito che ne aveva 
                  una conoscenza profonda e aveva letto tutti i libri che allora 
                  i militanti anarchici leggevano (perché era l'epoca in 
                  cui ancora si aderiva a un movimento solo dopo attente letture). 
                  Fabrizio conosceva le cose, conosceva alcune persone della federazione 
                  anarchica di Genova che conoscevo anch'io, e c'era soprattutto 
                  una buona conoscenza storica. Insomma, ci piacque. 
                  Lui quel giorno spiegò il suo anarchismo, il suo modo 
                  di essere anarchico. Non ricordo con esattezza le parole ma 
                  si trattava di un anarchismo molto diverso dal nostro, nel senso 
                  che il nostro era l'anarchismo dei militanti politici mentre 
                  il suo era un anarchismo che si collocava più fra l'individuale 
                  e il sociale, con questa sua forte attenzione per gli ultimi, 
                  gli emarginati, le puttane, gli zingari, ecc, attenzione che 
                  lui collocava nel solco dell'anarchismo. In realtà, come 
                  ho avuto modo anche di scrivere, pur restando un militante politico 
                  dell'anarchia, col tempo mi sono avvicinato a quelle posizioni 
                  perché ho capito che il suo approccio all'anarchismo 
                  era molto interessante. Ho capito che quell'approccio non era 
                  solo legato alla sua personalità, ma che aveva una forte 
                  attenzione all'etica, che è quella che veramente fa la 
                  differenza, a mio parere, fra l'anarchismo e altri movimenti 
                  politici. 
                  Il mio ricordo è, insomma, quello di una persona che 
                  subito ci parve profonda, interessante. Io, in particolare, 
                  mantenni i rapporti con Fabrizio e ci rivedemmo spesso dopo 
                  quel primo incontro ed è per quello che, descrivendo 
                  quell'incontro, ho detto che lì nacque l'amicizia e scomparve 
                  il mito. Scomparve il mito perché conobbi Fabrizio come 
                  uomo e chiaramente anche lui, come tutti gli esseri umani, era 
                  uno con pregi e difetti e quindi, frequentandolo, è stato 
                  possibile per me vederlo su un piano profondamente umano. Però 
                  vorrei anche aggiungere che l'amicizia con Fabrizio, per certi 
                  aspetti, è sempre stata un po' strana. Perché 
                  quando lo andavo a trovare e si faceva una chiacchierata parlando 
                  non solo di politica (perché con Fabrizio si parlava 
                  veramente di tutto), poi, magari, tornando a casa in macchina, 
                  mi capitava di mettere la cassetta con le sue canzoni e allora 
                  sentivo la stessa voce con cui avevo chiacchierato fino a pochi 
                  minuti prima e che ora cantava La guerra di Piero. In 
                  questi momenti, in qualche modo, il mito ripartiva. 
                  Quindi, anche se con Fabrizio c'è stata un'amicizia profondamente 
                  umana, la sua componente artistica è sempre stata un 
                  convitato di pietra, in qualche modo sempre presente. Forse 
                  questo proprio per il fascino di quella voce, che a volte facevo 
                  fatica a identificare con la persona fisica che avevo davanti. 
                  Quindi in qualche modo il mito è scomparso ma è 
                  anche rimasto sempre.» 
                   
                  Nel corso di questa vostra frequentazione, a tratti anche 
                  molto intensa, vi è mai capitato di progettare assieme 
                  delle cose che riguardassero la vostra comune appartenenza anarchica? 
                  «È difficile rispondere perché Fabrizio 
                  aveva davvero una personalità molto singolare. Per farti 
                  un esempio concreto, quando stava scrivendo le canzoni delle 
                  Nuvole, mi telefonò per dirmi che stava lavorando 
                  a un disco anarchico. Io che, probabilmente, sul piano artistico, 
                  sono piuttosto limitato, pensai ingenuamente che fosse un disco 
                  dove ci fosse in maniera esplicita il riferimento all'anarchia 
                  o magari che ci potesse stare dentro qualche canto tradizionale 
                  degli anarchici come Addio Lugano bella. Invece nulla 
                  di tutto questo. Però, in realtà, se si vanno 
                  a vedere i testi di quelle canzoni, si possono fare delle analisi 
                  profonde e viene fuori l'anarchismo, il rifiuto della società 
                  e del potere. 
                  Cito questo esempio perché in Fabrizio la sua attività 
                  anarchica coincideva sostanzialmente con la sua produzione musicale, 
                  dove ha riversato tutto quello che aveva dentro, compreso il 
                  suo anarchismo. Del resto nel rapporto con Fabrizio non c'era 
                  una distinzione fra l'ideologico e il personale. Lui era così 
                  sia come artista che come uomo e del resto così dovrebbe 
                  essere l'anarchismo che, ancor più e ancor prima di essere 
                  una scelta politica, dovrebbe essere, alla base, una scelta 
                  di tipo esistenziale, quindi accompagnata da coerenti comportamenti 
                  personali. 
                  Comunque la risposta alla domanda è no, nel senso che 
                  non abbiamo mai progettato di fare un convegno o una pubblicazione. 
                  Io veramente cercai anche di coinvolgerlo in alcune cose. Per 
                  esempio quando morì Brassens lo chiamai in Sardegna per 
                  chiedergli di scrivere un articolo per la rivista. Sarebbe stata 
                  una cosa culturalmente grossa per noi, un vero scoop. Ma lì 
                  agirono altri meccanismi, lui mi disse che non se la sentiva 
                  perché era troppo emotivamente coinvolto. In realtà 
                  era difficile coinvolgere Fabrizio su cose pratiche, perché 
                  aveva una sua vita per certi aspetti un po' stramba e la sua 
                  notevolissima attività intellettuale e artistica. Poi 
                  a volte scompariva, magari stava con Mauro Pagani in mezzo al 
                  Mediterraneo e ricompariva improvvisamente e si faceva vivo 
                  con delle idee nuove. Insomma una persona che ti segna la storia.» 
                Fabrizio, un patrimonio (ma non economico) 
				
                  Dopo la morte di De André la tua rivista ha pubblicato 
                  un dossier, poi un cd, poi dei dvd. Tutti prodotti molto curati 
                  anche nella veste grafica. Forse qualcuno vi ha anche accusato 
                  di voler cavalcare l'onda dell'emozione. Perché tutti 
                  questi prodotti su De André? Motivi di mercato o volevate 
                  rimarcare la sua appartenenza anarchica? 
                  «Noi volevamo rivendicare la sua appartenenza anarchica 
                  e mostrare la sua dimensione intellettuale. È vero che 
                  qualcuno ci ha accusato di aver cavalcato l'onda dell'emozione. 
                  Sono critiche anche legittime considerando che esisteva e tuttora 
                  esiste questo fenomeno generale per cui Fabrizio “vende”. 
                  Ma la nostra scelta, chi ci conosce bene lo sa, è nata 
                  con un spirito completamente diverso. Il fatto che noi, seppure 
                  rimanendo assolutamente indipendenti, abbiamo sempre collaborato 
                  con la Fondazione De André e con il suo presidente Dori 
                  Ghezzi, con cui permane una profonda amicizia che dura ormai 
                  da oltre trent'anni, testimonia della nostra credibilità, 
                  perché Dori è molto attenta. Credo che anche i 
                  prodotti stessi siano testimonianza della nostra onestà 
                  intellettuale. Il dossier che pubblicammo non era che la riproposizione 
                  di articoli pubblicati nel marzo 1999, nel primo numero della 
                  rivista successivo alla morte di Fabrizio. 
                  Quella fu anche la prima volta in cui noi dedicammo una copertina 
                  a un personaggio che non fosse un pensatore anarchico tipo Malatesta 
                  o Bakunin e persino questo suscitò dei malumori da parte 
                  di qualcuno che ci accusò di coltivare il culto della 
                  personalità. In realtà non si trattava di culto 
                  ma io, sostenitore di questa linea, colsi subito che Fabrizio 
                  era un patrimonio, ma non in senso economico. 
                  Fabrizio era una persona che avrebbe continuato a segnare il 
                  tempo successivo alla sua scomparsa e rivendicare il suo collegamento 
                  con l'anarchismo non voleva avere un valore passatista ma serviva 
                  a tenere aperto il collegamento fra quelle idee, quelle canzoni 
                  e il nostro movimento. Solo in questo senso è stata un'operazione 
                  studiata, sentita con il cuore ma anche pensata. 
                  Il cd che abbiamo fatto in seguito è stato un nostro 
                  grande successo, ha venduto ventimila copie, ma tutti i soldi 
                  che abbiamo guadagnato vendendo i prodotti su Fabrizio li abbiamo 
                  tutti reinvestiti in nuovi progetti, l'ultimo dei quali, uscito 
                  circa un anno fa, è un doppio dvd con libretto sullo 
                  sterminio nazista degli zingari. Un lavoro che abbiamo dedicato 
                  a Fabrizio che agli zingari aveva, a sua volta, dedicato Khorakané, 
                  una canzone di eccezionale valore non solo artistico ma proprio 
                  culturale. L'argomento era particolarmente caro a Fabrizio e, 
                  anche qui, si capisce che occuparsi di zingari con un prodotto 
                  anche costoso, chiaramente non è una scelta di mercato 
                  ma è una scelta culturale. Quindi è chiaro che 
                  a noi in questa operazione non premeva guadagnare ma, all'interno 
                  della memoria che questo Paese ha di Fabrizio, presidiare la 
                  componente libertaria e anarchica. 
                  Non è un caso che il dvd: Ma la divisa di un altro 
                  colore, che abbiamo pubblicato nel 2003, proprio all'inizio 
                  della guerra in Iraq e che ha un titolo antimilitarista ispirato 
                  alla Guerra di Piero, fu realizzato in collaborazione 
                  con Emergency, cui veniva destinato il 50 per cento dei ricavi. 
                  Anche in questo caso non si trattava solo di una operazione 
                  politica di sostegno, perché nel libretto che accompagna 
                  il dvd c'erano le testimonianze di Teresa Sarti e Gino Strada, 
                  i fondatori di Emergency, che ricordavano il loro incontro con 
                  Fabrizio a metà degli anni novanta, i contributi economici 
                  che Fabrizio aveva dato a sostegno di Emergency2, 
                  e quindi tutto si legava. Insomma noi abbiamo sempre cercato 
                  di lavorare in sintonia con quello che, a nostro avviso, era 
                  veramente Fabrizio, per tenerlo vivo nella battaglia attuale, 
                  in questo caso la battaglia contro la guerra in Iraq e contro 
                  tutte le guerre, finanziando contemporaneamente il centro chirurgico 
                  di Emergency in Sierra Leone. 
                  Nell'insieme io sono molto fiero dei prodotti che abbiamo pubblicato, 
                  perché sono convinto che abbiamo fatto delle cose belle, 
                  non tanto sul piano estetico quanto sul piano sostanziale. Scomodo 
                  per una volta una formula che in genere rifiuto per dire che 
                  credo che a Fabrizio, conoscendolo, queste cose sarebbero piaciute.» 
                   
                  Hai scritto che il pensiero anarchico di De André 
                  era un impasto originale di vari elementi e che nel vostro primo 
                  incontro ti sembrò che alcune supposizioni fossero bizzarre 
                  o ingenue ma che, però, nel corso degli anni, il vostro 
                  percorso di anarchici è andato avvicinandosi fino a che, 
                  come ci hai detto poco fa, sulla questione zingara, con Khorakané, 
                  vi siete ritrovati pienamente. Ma com'era questo pensiero anarchico 
                  originale di De André? Come si sposava con altre correnti 
                  dell'anarchismo? 
                  «Come avevo accennato prima Fabrizio enfatizzava molto 
                  questo suo interesse per gli emarginati. All'epoca del nostro 
                  primo incontro noi eravamo impegnati in maniera più politica, 
                  come giovani anarchici, in campagne contro le stragi di stato, 
                  per l'antifascismo militante, eccetera. 
                  Esagerando potremmo dire che eravamo inseriti nel movimento 
                  generale dell'estrema sinistra di allora. In molti di noi c'era 
                  una minore attenzione verso quegli aspetti che erano cari a 
                  Fabrizio, che pure facevano capo a un filone storico dell'anarchismo, 
                  cosiddetto “individualista”, che era un filone che 
                  non rifiutava la lotta sociale ma guardava soprattutto alle 
                  questioni legate alla vita degli individui. È un filone 
                  che sottolineava il rifiuto del potere come rifiuto dell'obbedienza, 
                  quindi enfatizzando più il concetto della rivolta che 
                  quello della rivoluzione. Si tratta di un filone di pensiero 
                  che a livello internazionale ha avuto esponenenti importanti, 
                  come ad esempio Albert Camus in Francia. Fabrizio conosceva 
                  bene questo filone, aveva letto libri come L'iniziazione 
                  individualista anarchica di Émile Armand, e il suo 
                  anarchismo era più orientato su questo versante individualistico 
                  che su quello social-socialista che invece ci caratterizzava. 
                  In questo senso lo sviluppo poi generale della storia, per esempio 
                  il discorso del '77 sul personale e il politico, è sembrato 
                  ai miei occhi non dico di dare ragione del tutto, ma sicuramente 
                  sottolineare la validità dell'approccio di Fabrizio, 
                  che in qualche misura aveva precorso i tempi. Per esempio all'epoca 
                  una delle lotte degli anarchici era quella per l'astensionismo. 
                  Fabrizio era meno interessato a queste cose, era molto più 
                  eclettico. Quindi nell'approccio c'erano delle differenze. Però 
                  in realtà sui temi profondi dell'anarchismo ci siamo 
                  ritrovati. Lui ha continuato a seguire con attenzione il nostro 
                  lavoro e a leggere le nostre pubblicazioni, su cui spesso ci 
                  dava il suo parere, anche molto critico.» 
                Religiosità laica 
				 Un aspetto che ha suscitato spesso delle perplessità 
                  è questo contrasto fra il De André anarchico e 
                  quello attento alle tematiche religiose, specie l'attenzione 
                  alla figura di Gesù che lui ha descritto come una sorta 
                  di anarchico ante litteram. Tu hai parlato di “religiosità 
                  anarchica” di De André e del resto un prete cattolico 
                  come don Gallo ama definirsi “angelicamente anarchico”. 
                  Sbrogliamo un po' questa matassa: come si incontrano il De André 
                  anarchico e quello della Buona novella? 
                  «In realtà si incontrano facilmente. Vorrei qui 
                  fare un salto indietro sul piano storico: se andiamo all'ottocento, 
                  alla nascita del movimento socialista e anarchico, troviamo 
                  molti libri, opuscoli e altro materiale che parla di un Gesù 
                  anarchico o socialista; un Gesù usato come arma anticlericale 
                  e addirittura, a volte, antireligiosa. D'altra parte l'operazione 
                  che farà poi Fabrizio con la buona novella sarà 
                  quella di una umanizzazione di Gesù, letto tramite i 
                  Vangeli apocrifi e non tramite quelli ufficiali. In realtà 
                  con queste operazioni Fabrizio è in assoluta continuità 
                  con un filone, carsico e minoritario, ma presente nella sinistra 
                  italiana, che è quello del: “riappropriamoci di 
                  Gesù”, anche in chiave anti vaticana. L'operazione 
                  di Fabrizio è però assolutamente sincera e nasce 
                  da profonde conoscenze e convinzioni. Tanto è sincera, 
                  sentita e profonda, quanto non è capita dai movimenti 
                  della contestazione di allora. 
                  Io sono convinto comunque che in molti casi le ragioni di fondo 
                  dell'adesione a movimenti molto diversi fra loro, come possono 
                  essere l'anarchismo e il cattolicesimo, possono essere ragioni 
                  che si incontrano, perché riguardano spesso, in entrambi 
                  i casi, il desiderio di migliorare il mondo. Anche fra coloro 
                  che aderiscono all'anarchismo, che è un movimento politico 
                  tradizionalmente ateo, anticlericale e laico, c'è sempre 
                  stata una piccola componente di anarchici cristiani, non solo 
                  tollerati ma anche apprezzati. Ci sono stati del resto anche 
                  anarchici ebrei e ho conosciuto persino un'anarchica islamica. 
                  Si tratta di persone che hanno dovuto fare i conti con le loro 
                  contraddizioni, come del resto dobbiamo fare tutti nella vita. 
                  Fabrizio ha fatto sempre i conti con questa doppia appartenenza, 
                  che forse nel suo caso era anche una appartenenza multipla per 
                  via della complessità della sua personalità. Fabrizio 
                  era sicuramente anarchico per delle ragioni di fondo che lui 
                  ritrovava però anche nel pensiero religioso. Io ho parlato 
                  di “religiosità laica” di Fabrizio, perché 
                  sostengo che in genere si usa il termine religioso per definire 
                  anche le persone che si occupano di determinati argomenti, perché 
                  determinati argomenti, come la vita, la morte, l'esistenza, 
                  sembrano essere attinenti solo alla sfera religiosa. Ma questo 
                  non è vero perché anche l'anarchismo e probabilmente 
                  anche altre teorie del pensiero, nella loro dimensione più 
                  profonda, nella loro valenza etica, che sono la vera cifra di 
                  lettura di questi filoni del pensiero, si occupano, in maniera 
                  laica, di queste tematiche, che quindi non sono patrimonio esclusivo 
                  della religione. 
                  Fabrizio è tutto dentro a questo contrasto. Lui è 
                  quello che, anche rispetto all'idea di Dio, in alcuni versi 
                  esprime pensieri molto vicini all'ateismo anarchico e in altri 
                  sembra essere persona profondamente religiosa. Forse è 
                  difficile dipanare questa matassa ma si può cercare di 
                  comprenderla: quando uno va a toccare i tasti veri e profondi 
                  della vita, quelli che fanno sì che la filosofia greca 
                  di migliaia di anni fa o il pensiero buddista, anche nell'era 
                  tecnologica, ci parlino ancora di cose attuali, evidentemente 
                  le etichette non bastano. Non basta la definizione di cristiano 
                  né quella di anarchico e le due cose possono, magari 
                  parzialmente, sovrapporsi.» 
                Sulle orme di Fabrizio. In Australia 
                 Sei venuto in Australia nel 2004 proprio per parlare 
                  di De André. Che ricordo hai di quell'esperienza? 
                   «È 
                  stata un'esperienza veramente eccezionale, anche per la dimensione 
                  turistica, perché era una prima volta. Ma restando a 
                  De André ho avuto la possibilità di parlarne in 
                  tre città importanti, con conferenze negli istituti italiani 
                  di cultura di Melbourne e Sydney e presso l'istituto Dante Alighieri 
                  di Brisbane. Ho avuto incontri con la stampa, interviste radiofoniche 
                  e persino due incontri con gli studenti alle università 
                  di Melbourne e Sydney, dove c'erano insegnanti che si occupano 
                  di De André nei loro corsi di lingua e cultura italiana. 
                  È stato eccezionale scoprire che anche dall'altra parte 
                  del mondo Fabrizio era riuscito in qualche maniera ad essere 
                  presente, a influenzare, con vari filoni perché, se da 
                  una parte ho incontrato i nostri emigrati liguri, che legano 
                  il loro amore per Fabrizio al fatto che fosse genovese, dall'altra 
                  ho conosciuto studenti australiani che hanno scritto delle tesi 
                  su particolari aspetti della poetica di Fabrizio. Un dato molto 
                  significativo è che dopo il mio rientro in Italia si 
                  è anche cercato di stabilire dei rapporti fra le università 
                  australiane e quella di Siena, presso la quale si trova il centro 
                  studi su De André. Prima mi chiedevi come mai in Italia 
                  ci sia un tale fiorire di iniziative su Fabrizio. Io potrei 
                  girare la domanda chiedendo come mai in Australia, paese dove 
                  non ha mai messo piede, nel 2004, cinque anni dopo la sua scomparsa, 
                  si trovavano tracce vive di Fabrizio, che oltretutto non ha 
                  mai cantato in inglese.» 
                   
                  A questa osservazione potrei rispondere che la poetica 
                  di Fabrizio De André, come dimostra questa piccola trasmissione, 
                  che va avanti da molti mesi, ha una valenza veramente universale. 
                  Vorrei aggiungere anche che il filo rosso di quelle “tracce” 
                  di cui parlavi non si è ancora interrotto anzi, ci sono 
                  artisti locali che stanno cominciando a inserire canzoni di 
                  De André nei loro concerti e aumentano gli studenti e 
                  i docenti interessati. Nel 2005 la Fondazione De André 
                  ha fatto una generosa donazione di libri e materiali sonori 
                  al dipartimento di italianistica della Monash University di 
                  Melbourne, quella dove tu hai tenuto la tua “lectio magistralis” 
                  su De André. Quindi le cose stanno procedendo con molta 
                  intensità e si arriverà prima o poi a organizzare 
                  qualche concerto interamente dedicato a Fabrizio3. 
                  Tornando a noi, nel lungo percorso di questa trasmissione 
                  abbiamo intervistato tanta gente che in qualche modo poteva 
                  sentirsi rappresentata nella poetica deandreiana: la prostituta, 
                  il transessuale, l'omosessuale, il detenuto, il rom, l'ex tossicodipendente, 
                  e così via. Volevamo indagare su quanto De André 
                  avesse colto nel segno parlando di queste persone. Questa domanda 
                  potrebbe anche sembrare provocatoria: ti sei sentito anche tu 
                  in qualche modo rappresentato o ti senti piuttosto un osservatore? 
                  «Io sono un osservatore. Vengo da una famiglia milanese 
                  della sinistra ebraica e antifascista che non ha nulla a che 
                  vedere, in prima battuta, con il mondo del lumpenproletariat 
                  descritto da Fabrizio. Quindi sarebbe un'ipocrisia non riconoscere 
                  questa mia provenienza di classe, questa mia storia personale 
                  che, d'altronde, è molto simile a quella di Fabrizio, 
                  che non veniva certo dal mondo del sottoproletariato ma da una 
                  famiglia al confine fra la borghesia e l'aristocrazia genovese. 
                  Quindi non mi sento rappresentato, dal punto di vista sociologico, 
                  nel mondo descritto da Fabrizio, che è un mondo al quale 
                  io guardo con grande attenzione, sensibilità e passione 
                  ma pur sempre dall'esterno. 
                  Quello che Fabrizio aveva era non solo la capacità di 
                  rappresentare, con le sue canzoni, queste persone. Ma anche, 
                  proprio grazie a questa sua sensibilità individuale, 
                  a questo suo anarchismo individualistico, la capacità 
                  di entrare sotto la pelle di queste persone. Lui, attraverso 
                  quelle canzoni, diventava veramente uno di loro. Quando Giorgio 
                  Bezzecchi, presidente dell'Opera nomadi, nel filmato Faber4 
                  dichiara che Fabrizio era un rom a tutti gli effetti, riconosce 
                  che lui non era solo un amico ma che era diventato proprio uno 
                  di loro. Cioè Bezzecchi aveva capito che Fabrizio, nel 
                  periodo in cui aveva scritto Khorakané si era 
                  immedesimato fino al punto da diventare, in qualche modo, uno 
                  di loro. E questo non solo perché è stato probabilmente 
                  l'unico cantante al mondo che si è sognato di comporre 
                  un testo e farlo tradurre nella lingua dei rom (e teniamo presente 
                  che il 99 per cento delle persone, cantanti inclusi, non sa 
                  nemmeno che esiste una lingua dei rom). Ma anche perché 
                  si capiva che non si trattava di una operazione superficiale 
                  di tipo culturale. Si capiva che era una cosa che gli veniva 
                  spontaneamente, da dentro, che lo portava a entrare sotto la 
                  pelle dei suoi personaggi. 
                  Quando canta delle prostitute, quando canta di Marinella, Fabrizio 
                  è Marinella, è la prostituta. Lo è nel 
                  senso che riesce a identificarsi, secondo due aspetti. Il primo 
                  è l'aspetto politico-culturale che lo portava sempre 
                  a stare dalla parte dei perdenti: zingari, tossici, suicidi. 
                  L'altro aspetto è quello di documentarsi a fondo. Proprio 
                  parlando di rom, quando ha deciso di scrivere Khorakané 
                  Fabrizio è andato alla libreria anarchica di Milano e 
                  ha chiesto tutti i testi disponibili sull'argomento. Non ha 
                  preso solo quelli che c'erano in quel momento in negozio ma 
                  ha chiesto di fare una ricerca accurata e di poterli avere tutti. 
                  Poi ha voluto conoscere Bezzecchi, non solo per farsi tradurre 
                  una poesia ma proprio per avviare una conoscenza con i rom. 
                  Insomma in Fabrizio, e qui voglio ribadire questa sua eccezionale 
                  dimensione intellettuale, non c'era solo la sensibilità 
                  di stare da una certa parte ma anche la voglia di capire veramente, 
                  di documentarsi. La stessa cosa avvenne quando parlò 
                  degli indigeni americani. Anche lì si era documentato, 
                  aveva studiato e incontrato. Quindi in Fabrizio c'era un abbinamento 
                  forte di colore, sensibilità e cervello, cultura. Questo 
                  ha permesso a Fabrizio di rappresentare con tanta precisione 
                  queste figure. 
                  E io lo sento come un compagno di strada che avrebbe potuto 
                  fare la sua vita andando in giro su uno yacht e invece si è 
                  occupato di rivendicare la dignità di queste persone.» 
                Né padre Pio né immaginetta sacra 
                 Chiudiamo questa intervista con una tua ultima riflessione: 
                  c'è qualche canzone, poesia, verso di De André 
                  che secondo te rappresenta meglio di qualunque altra l'anarchismo 
                  o comunque la sua visione anarchica? 
                  «Io continuo ad ascoltare le sue canzoni, in maniera quasi 
                  monomaniacale. Quando ho bisogno di pensare, quando devo scrivere, 
                  ascolto le sue canzoni, sento la sua voce e invece di continuare 
                  a fare quello che sto facendo mi fermo a pensare, a riflettere 
                  su un verso sul quale magari ho già riflettuto mille 
                  altre volte. Una sorta di espressione finale sul mio rapporto 
                  con Fabrizio potrebbe essere questa: io sono largamente e sinceramente 
                  contrario ad ogni forma di mitizzazione però (invecchiando 
                  divento sempre più sincero), pur riconoscendo che siamo 
                  tutti uguali, devo dire che esistono alcune persone che, più 
                  di altre, nella poesia, nell'arte, nella vita quotidiana, sono 
                  qualche passo avanti a noi. 
                  Secondo me Fabrizio era molti passi avanti a noi. Io ho avuto 
                  la possibilità di conoscerlo e questo mi ha dato tanto 
                  di più. Ma credo che, anche chi non l'ha conosciuto, 
                  possa capire questo. Del resto conosco tante persone che non 
                  l'hanno conosciuto personalmente eppure hanno questo rapporto 
                  individuale, profondo e inestricabile con Fabrizio. Quindi, 
                  non voglio mitizzarlo, ma penso che ci si possa riferire a lui 
                  come a un pozzo o uno scrigno da cui attingere. Vorrei aggiungere 
                  che, in alcuni momenti difficili della mia vita, Fabrizio, senza 
                  con questo volerlo trasformare in un padre Pio o in un'immaginetta 
                  sacra, mi ha aiutato a riflettere. Fabrizio aiuta a fare delle 
                  scelte perché resta una buona sponda con cui dialogare.» 
                 Renzo Sabatini 
                Note 
                  
				- Pepi Morgia, nato a Genova nel 1950, regista e tecnico delle 
                  luci di tutte le tournée di Fabrizio De André 
                  e di molti altri cantanti italiani, fondatore a Genova del Teatro 
                  della Tosse, è deceduto nel settembre 2011.
                  
 - Associazione nata nel 1994 con l'obiettivo di assistere 
                    dal punto di vista medico le vittime dei conflitti armati. 
                    Per approfondimenti si può consultare il sito: emergency.it. 
                  
 - Cosa poi avvenuta grazie all'impegno di Danilo Sidari, un 
                  ligure che vive a Sydney ed è riuscito a mettere assieme 
                  un gruppo di artisti e mettere in scena due concerti di successo, 
                  a Sydney e Melbourne.
                  
 - Di Romano Giuffrida e Bruno Bigoni, 1999.
                  
  
                    
                
                   
                    |   In 
                        direzione ostinata e contraria  
                       Con 
                        questa intervista, prosegue la pubblicazione su “A” 
                        di una parte significativa delle 27 interviste radiofoniche 
                        realizzate da Renzo Sabatini e andate 
                        in onda in Australia nel programma “In direzione 
                        ostinata e contraria” sulle frequenze di Rete Italia 
                        fra il maggio 2007 e l’agosto 2008. In tutto si 
                        è trattato di sessanta puntate (ciascuna della 
                        durata di circa quaranta minuti, per un totale di quasi 
                        40 ore di trasmissioni), nel corso delle quali sono state 
                        trasmesse le 27 interviste e messe in onda tutte le canzoni 
                        di Fabrizio De André. Si tratta dunque della più 
                        lunga e dettagliata serie radiofonica mai dedicata al 
                        cantautore genovese. 
                       Se proponiamo questi testi, 
                        è innanzitutto per dare ancora una vlta spazio 
                        e voce a quelle tematiche e a quelle persone che di spazio 
                        e voce ne hanno poco o niente nella “cultura” 
                        ufficiale. E che invece anche grazie all’opera del 
                        cantautore genovese sono state sottratte dal dimenticatoio 
                        e poste alla base di una riflessione critica sul mondo 
                        e sulla società, con quello sguardo profondo e 
                        illuminante che Fabrizio ha voluto e saputo avere. Con 
                        una profonda sensibilità libertaria e – scusate 
                        la rima – sempre in direzione ostinata e contraria. 
                       Precedenti interviste 
                        pubblicate: a Piero 
                        Milesi (“A” 370, aprile 2012), a Carla 
                        Corso (“A” 371, maggio 2012), Porpora 
                        Marcasciano (“A” 372, maggio 2012), Franco 
                        Grillini (“A” 373, estate 2012), Massimo 
                        (“A” 374, ottobre 2012), Santino 
                        “Alexian” Spinelli (“A” 375, 
                        novembre 2012)); Paolo 
                        Solari (“A” 376, dicembre-gennaio 2012-2013); 
                        Gianni Mungiello, 
                        Armando Xifai, Alfredo Franchini (“A” 
                        377, febbraio 2013); Giulio 
                        Marcon e Gianni Novelli (“A” 378, marzo 
                        2013); Sandro 
                        Fresi e Paola Giua (“A” 379, aprile 2013); 
                        Luca Nulchis 
                        (“A” 380, maggio 2013); don 
                        Andrea Gallo (“A“ 381, giugno 2013). 
                       la redazione di “A”  | 
                   
                 
                
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