Lei è sociologa e attiva da anni per i diritti 
                    civili dei transessuali, è il vice presidente del Movimento 
                    Identità Transessuale. Come nasce questo impegno sociale 
                    e politico? 
                  Nasce fondamentalmente perché sono io, in prima persona, 
                    che vivo l’esperienza, in quanto sono una persona transessuale. 
                    Ho una laurea in sociologia, sono da tempo impegnata nella 
                    battaglia per i diritti civili non solo dei transessuali ma 
                    in generale, proprio per i diritti civili. Per cui mi sono 
                    ritrovata a lavorare, a Bologna, in questa associazione che 
                    ha messo su un servizio molto importante per le persone transessuali 
                    offrendo tutta una serie di servizi che vanno dalla salute, 
                    al lavoro, alla cultura. Noi ad esempio gestiamo un consultorio 
                    per la salute delle persone transessuali, finanziato dalla 
                    Regione Emilia Romagna, in collaborazione con la ASL e l’Università 
                    di Bologna. 
                    Diciamo che mi sono ritrovata in questo meccanismo e ne sono 
                    stata letteralmente assorbita, c’ho messo la mia passione, 
                    la mia vita.
                   Il vostro movimento (che prima si chiamava “Movimento 
                    Italiano Transessuali” e poi è diventato “Movimento 
                    Identità Transessuale”), è una realtà 
                    solo bolognese o ha un respiro nazionale?
                  È una realtà nazionale che ha la sua sede e 
                    il suo centro a Bologna. L’associazione esiste anche 
                    nelle altre città ma non ha centri, sedi, quindi per 
                    i servizi che offre tutti fanno riferimento a Bologna. Però 
                    facciamo degli interventi anche altrove, cercando di appoggiarci 
                    ad altre associazioni. Vorrei però dire qualcosa sul 
                    cambio di nome: il MIT nasce nel 1979 come Movimento Italiano 
                    Transessuali. Col passare del tempo, con una realtà 
                    che nel frattempo è mutata, abbiamo ritenuto opportuno 
                    cambiare quell’ “italiano”, che un po’ 
                    ci stava stretto, nel senso che le transessuali erano cominciate 
                    ad arrivare un po’ da tutto il mondo qui da noi, allora 
                    l’abbiamo trasformato in “identità”, 
                    togliendo “italiano” ma senza cambiare l’acronimo.
                   Passando a Fabrizio De André, il suo ultimo 
                    album, Anime Salve, inizia con “Princesa”, 
                    il cui protagonista è un transessuale. Lei come reagì 
                    quando uscì questa canzone?
                  Io conoscevo proprio Princesa, cioè Fernanda, la protagonista 
                    della canzone. L’ho conosciuta a Roma, quando vivevo 
                    ancora lì, nella pensione dove lei viveva e dove poi 
                    successe il “fattaccio” (1), 
                    l’aggressione alla proprietaria della pensione. Quando 
                    è uscita la canzone ho reagito bene. Anzitutto perché 
                    io ho sempre amato De André, mi ha accompagnato sempre, 
                    è stata la colonna sonora della mia vita: ho quarantotto 
                    anni e quindi appartengo proprio alla generazione che è 
                    cresciuta con De André. 
                    All’epoca avevo già letto il libro su Princesa 
                    (2), quello della casa editrice “Sensibili 
                    alle Foglie”. Il libro m’era piaciuto, era interessante, 
                    però in realtà non aveva aggiunto niente di 
                    nuovo a quello che già sapevo. Ci potevano essere dei 
                    lavori anche più interessanti rispetto alla tematica 
                    transessuale. La canzone di De André invece è 
                    stata la classica ciliegina sulla torta, ha dato poesia ad 
                    una realtà che molto spesso non è poetica, anzi 
                    è una realtà problematica, fatta di disagi. 
                    Quindi De André, con Princesa, ha dato proprio 
                    il sale alla situazione.
                    A me l’uscita di un nuovo disco di De André ha 
                    fatto sempre piacere, lo aspettavo. Quando ho trovato Princesa 
                    in Anime Salve non mi ha stupito più di tanto, 
                    conoscendo già la poetica di De André, gli argomenti 
                    che lui trattava e che a lui piacevano, però me lo 
                    sono sentito molto più vicino.
                  La canzone fu poi inserita nella scaletta della tournée 
                    del 1998. In questi concerti De André presentava questa 
                    canzone in modo pacato ma esplicito e parlava delle sofferenze, 
                    dei dolori dovuti all’emarginazione che essere transessuali 
                    comporta. Che reazione c’è stata da parte sua 
                    e della comunità transessuale a questo atteggiamento 
                    così esplicito da parte di un artista così famoso?
                  In certi ambienti, che definirei più intellettuali, 
                    se n’è parlato molto. A livello di trans che 
                    frequentano il nostro centro forse se n’è parlato 
                    un po’ di meno. La cosa è stata presa con piacere 
                    ma senza poi approfondire più di tanto, senza commentare 
                    rispetto alla positività o meno della canzone. Io comunque 
                    l’ho trovata una cosa molto bella, fatta da un cantautore 
                    che era già molto popolare, anche se forse bisogna 
                    dire che De André era apprezzato da un pubblico particolare, 
                    cioè quel pubblico che già è preparato, 
                    che già conosce i temi dell’emarginazione, sa 
                    del conformismo, del moralismo, dell’ipocrisia che ci 
                    sono in una certa società. Quindi forse la canzone, 
                    da quel punto di vista, non ha neanche sorpreso più 
                    di tanto il suo pubblico. Ha sorpreso invece noi, perché 
                    ha messo l’accento sul transessualismo e l’ha 
                    messo molto, molto bene, toccando dei punti che non è 
                    da tutti affrontare con quella sensibilità. Qui riconosco 
                    la grande capacità poetica di De André, perché 
                    lui ha toccato dei punti che, per chi non è dentro 
                    all’esperienza, era difficile che venissero fuori.
                  
                     
                        | 
                    
                     
                      Porpora 
                          Marcasciano  | 
                    
                  
                  
 
                    Anticonformismo genuino
                   Sempre presentando le canzoni di Anime Salve 
                    De André diceva che quelli come Princesa, difendendo 
                    il diritto di assomigliare a se stessi, in fondo senza far 
                    del male a nessuno, difendono la libertà. Qui c’è 
                    un bel ribaltamento di valori. Le cosiddette minoranze emarginate 
                    diventano quelle che ci salvano dalle maggioranze omologate. 
                    Lei che ne pensa?
                  Non posso che essere profondamente d’accordo. Io nella 
                    vita mi occupo dei diritti civili di una minoranza emarginata, 
                    una minoranza violentata, concedetemi il termine. E credo 
                    che proprio la cultura, la voce, la parola delle minoranze, 
                    quella parola che viene sempre negata, è proprio quella 
                    che da ricchezza a una società. Credo che più 
                    una società è aperta e pronta ad ascoltare tanto 
                    più quella società è libera e grande. 
                    Quando dico “grande” intendo una società 
                    matura, democratica, pacifica. 
                    Intendo quindi grande una società di quelle che piacciono 
                    a noi, dove tutti hanno uno spazio per vivere, uno spazio 
                    di agibilità. Cosa che in realtà non succede 
                    o succede molto poco nel mondo. Basti pensare che ci sono 
                    luoghi al mondo dove, ancora oggi, le persone transessuali 
                    vengono ammazzate per il solo fatto di essere transessuali. 
                    In tantissimi altri posto vengono arrestate, comprese anche 
                    le avanzatissime democrazie occidentali. 
                  Princesa, lo ha già 
                    ricordato lei, è tratta dal libro omonimo di Fernanda 
                    Faria e Maurizio Jannelli. È insomma una storia vera, 
                    un racconto autobiografico. Anch’io, confrontando libro 
                    e canzone, ho avuto la sensazione che la canzone riesca ad 
                    esprimere molto di più, assumendo una valenza più 
                    universale. Secondo lei si potrebbe affermare che la storia 
                    di Princesa, così come l’ha cantata De André, 
                    non è più solo la storia di una persona ma una 
                    rappresentazione che ci avvicina a tutto il mondo transessuale, 
                    nel suo complesso?
                  Senza dubbio. Per me questa canzone ha rappresentato un momento 
                    culminante. Perché la poesia, la canzone, non ha confini, 
                    viaggia da sola, viaggia nel tempo e va oltre i gruppi, le 
                    categorie, le nicchie, per cui anche chi non è appassionato 
                    di De André la canzone la può ascoltare, in 
                    qualsiasi momento e in qualsiasi situazione. La poesia viaggia, 
                    va anche oltre noi e questo penso che sia il merito forse 
                    maggiore di De André e della canzone.
                  Il fatto che a parlare di un transessuale fosse in 
                    questo caso una persona non trans potrebbe aver rappresentato 
                    un problema? Non c’era il pericolo di sentirsi un po’ 
                    “usati” senza essere consultati? 
                  In realtà Fabrizio De André ha raccontato la 
                    storia di Princesa in maniera così squisita che in 
                    certi momenti io ho avuto persino dei dubbi, mi sono chiesta 
                    se per caso non fosse stato aiutato da una persona transessuale. 
                    Perché l’uso delle parole, i concetti espressi 
                    così chiaramente, facevano pensare che fossero stati 
                    narrati da una persona che sta dentro l’esperienza del 
                    transessualismo. Potrei ad esempio citare quel passo della 
                    canzone che fa: “nella cucina della pensione mescolo 
                    i sogni con gli ormoni / ad albeggiare sarà magia / 
                    saranno seni miracolosi”. Beh è una battuta che 
                    fra noi trans girava da parecchio, quella di mettere gli ormoni 
                    in cucina e non usarli nel modo classico, quello che consigliano 
                    i medici, ma diluirli proprio nel nostro cibo quotidiano. 
                    Quando me la sono ritrovata nella canzone di De André, 
                    la cosa non solo mi ha sorpreso ma mi ha fatto sorridere e 
                    un po’ mi ha riempito, perché mi ci sono proprio 
                    ritrovata. E credo che, come mi ci sono ritrovata io, ci si 
                    siano ritrovate anche tantissime altre persone. 
                  Mi pare che lei ci stia confermando quello che ci 
                    hanno detto anche altri intervistati: sembra proprio che De 
                    André non lasciasse nulla al caso e affrontasse le 
                    tematiche che gli stavano a cuore non solo con grande sensibilità 
                    ma anche a partire da una conoscenza molto approfondita.
                  Io credo che la bellezza di De André sia un suo anticonformismo 
                    genuino che si percepisce, che non arriva solo alla testa 
                    ma anche al cuore. In genere quando si parla di testi, i testi 
                    poi vanno interpretati con la nostra mente, mentre magari 
                    la musica arriva più direttamente al cuore. Invece 
                    i suoi testi, la sua poetica, il modo in cui la porge, credo 
                    che non arrivi solo alla testa, che non si fermi solo al significato 
                    che ci appare. Credo che tocchi il cuore, le emozioni. Credo 
                    che questo faccia grande De André e faccia sì 
                    che vada oltre una realtà che purtroppo non è 
                    sempre bella. De André prende al cuore perché 
                    ha cuore.
                  
 
                    Per ogni cosa c’è il suo tempo 
                   Princesa si conclude con 
                    un lungo elenco di parole che riassumono tutta la difficile 
                    e contraddittoria esperienza della protagonista: le botte, 
                    le carezze, il fallimento, lo schifo, la bellezza…. 
                    Alla fine un unico verbo: vivere. Questo elenco è in 
                    fondo una poesia in sé, che può vivere anche 
                    al di fuori del resto della canzone. Ce lo può commentare? 
                    
                  Questo è un po’ l’inizio e la fine del 
                    discorso che noi tutti facciamo, l’inizio e la fine 
                    delle nostre lotte, delle nostre battaglie. È in fondo 
                    il desiderio, che è quello che fa muovere la vita. 
                    Il desiderio di essere sé stessi, il desiderio di essere 
                    felici, di realizzarsi. Molto spesso, anzi, sempre, l’ostacolo 
                    a questo desiderio è quello che crea una vita brutta, 
                    le storture, persino le guerre. La realizzazione dei desideri, 
                    che è molto semplicemente la realizzazione di sé 
                    stessi, il desiderio di vivere in pace con sé stessi, 
                    penso che sia il punto di partenza e anche il punto di arrivo. 
                    E questo è, secondo me, il punto di partenza della 
                    canzone e anche il suo arrivo, la parte finale: vivere. Chiusura 
                    migliore non ci poteva essere.
                  Pensa che una canzone come Princesa possa 
                    essere servita a cambiare un po’ l’atteggiamento 
                    della gente (almeno di chi ascoltava De André), nel 
                    senso di far cadere un po’ di pregiudizi, di steccati, 
                    nei confronti dei transessuali?
                  Il transessualismo è un argomento di cui si parla 
                    poco e quando se ne parla se ne parla male. Quindi senz’altro 
                    la poesia di De André è servita molto, molto 
                    di più di tante trasmissioni televisive in cui si parlava, 
                    si parlava e si diceva assai poco! Poi questa poesia viaggia 
                    da sola e resta nel tempo. Non è come una trasmissione 
                    televisiva, un articolo di giornale, che restano datati ad 
                    un certo periodo e sono poi limitati e limitanti perché 
                    si fermano alla superficie dell’esperienza. Questa canzone 
                    invece tocca il cuore, tocca anche la mente perché 
                    esprime concetti su cui poi sorge spontaneo di approfondire. 
                    Per cui questa canzone ha dato un contributo. Non so dire 
                    quanto grande, non so dare un voto alla grandezza. Però 
                    senz’altro è stato un grosso contributo all’approfondimento, 
                    alla conoscenza, alla riflessione (questo è forse il 
                    termine più esatto) sull’esperienza transessuale. 
                  
                  Parlando di poesie che rimangono nel tempo: Nel libro 
                    in cui si racconta a Cesare Romana, De André ha rivelato 
                    che Via del Campo è stata ispirata dai suoi 
                    incontri con un transessuale di nome Giuseppe, che lavorava 
                    in quella strada. Quindi Via Del Campo, del 1966, 
                    è indirettamente anche una canzone che parla di transessuali. 
                    Però bisogna aspettare il 1996 per una canzone esplicitamente 
                    dedicata a questo tema. Secondo lei perché? Era un 
                    tema che negli anni sessanta non era molto sentito oppure, 
                    semplicemente, De André aspettava l’ispirazione, 
                    che poi gli è venuta dal libro? 
                   Non credo che De André avesse bisogno di aspettare 
                    il libro. Il libro forse gli ha solo offerto l’occasione.
                    Lui ha parlato di Giuseppe. In realtà quella transessuale 
                    di Via del Campo, che io ho conosciuto, si chiamava 
                    Morena. È morta qualche anno fa.
                    Bisogna dire che al tempo in cui è stata scritta Via 
                    del Campo la nostra non era una realtà facile. 
                    Non era come oggi: oggi, bene o male, almeno se ne parla. 
                    Ma negli anni Sessanta, quando è uscita la canzone, 
                    la parola: “transessuale” neanche esisteva! Tutt’al 
                    più poteva esistere il termine: “travestito”. 
                    Ma forse neanche quello: in quel periodo c’era la negazione 
                    totale, noi non esistevamo. Quindi credo che fosse solo di 
                    pochi la capacità e la possibilità di cogliere 
                    delle sfumature della società, della sessualità, 
                    dell’identità di genere. Fabrizio De André 
                    aveva questa capacità, l’ha fatto. Magari però 
                    ha ritenuto di esprimerla in un altro modo, all’epoca. 
                    E secondo me va bene così perché in fondo è 
                    vero che per ogni cosa c’è il suo tempo e anche 
                    in questo, non è che io adesso voglia mettermi a fare 
                    le lodi di De André, però direi che anche in 
                    questo Fabrizio è stato bravissimo, nella capacità 
                    di scegliere il tempo e di darci delle emozioni per ogni tempo.
                  
 
                    Prostituzione e violenza
                   Come Via del Campo, anche Princesa 
                    tratta anche il tema della prostituzione. È un aspetto 
                    inestricabile dalla questione transessuale? Oppure si potrebbe 
                    parlare di transessualismo anche senza parlare di prostituzione?
                  Senz’altro io parlerei di transessualismo senza parlare 
                    di prostituzione. Però bisogna dire che nel periodo 
                    in cui Fabrizio De André ha scritto Via del Campo 
                    e anche quando è stato scritto il libro da cui poi 
                    è stata tratta Princesa, parlare di transessualismo 
                    era come parlare di prostituzione. Questo perché in 
                    quegli anni non c’erano alternative, non c’erano 
                    altre scelte possibili. L’inserimento sociale, l’inserimento 
                    lavorativo per le persone transessuali era completamente sbarrato. 
                    Quindi la prostituzione ha rappresentato un’ancora di 
                    salvataggio, un salvagente per non annegare, per sopravvivere. 
                    Per assurdo la prostituzione per le persone trans è 
                    stata proprio la via per realizzarsi, perché ha dato 
                    la possibilità a tante persone di manifestarsi e diventare 
                    visibili. Oggi, per fortuna (e sottolineo “per fortuna”) 
                    non è più così perché molte persone 
                    transessuali, anche assistite e sostenute da associazioni 
                    come la nostra, dai sindacati, da alcune correnti politiche, 
                    hanno rotto questo muro che le isolava dalla società. 
                    Molte persone quindi hanno recuperato l’autostima e 
                    molta forza (perché c’è bisogno anche 
                    di quello) e hanno portato avanti la loro battaglia nel mondo 
                    del lavoro. Oggi quindi ci sono molte persone transessuali 
                    che lavorano e sono inserite. Certo la realtà più 
                    consistente è ancora quella della disoccupazione. Questa 
                    ultimamente è già una realtà per molti 
                    italiani, per le persone transessuali lo è ancora di 
                    più perché è una categoria socialmente 
                    debole. Quindi possiamo dire che la prostituzione è 
                    stata l’unica realtà per molto tempo, per tutti 
                    gli anni Sessanta e Settanta e fino a metà degli anni 
                    Ottanta. 
                    Alla fine è rimasto questo stigma cucito addosso, per 
                    cui dire transessuale equivale a dire prostituzione. Però 
                    transessualismo significa tutt’altro, non è solo 
                    la prostituzione, come molto spesso si è fatto credere 
                    attraverso un’informazione scorretta e sbagliata. Il 
                    transessualismo è, molto semplicemente, l’esperienza 
                    di tutte quelle persone che non si sentono in sintonia con 
                    il sesso in cui sono nate, per cui mettono in moto un processo 
                    di cambiamento, di trasformazione e di adattamento del proprio 
                    fisico. La prostituzione è qualcosa che si aggiunge 
                    a questo, ma è solo una parte, un pezzo.
                  Un tema legato alla prostituzione è quello 
                    della violenza. In Princesa ci sono le botte, la 
                    polizia. In altre canzoni si parla della violenza contro le 
                    prostitute. Basti pensare a Marinella, canzone ispirata 
                    dall’omicidio di una giovane prostituta; Suzanne, 
                    costretta dalla vita a prostituirsi e alla fine suicida; Maggie, 
                    “uccisa in un bordello dalle carezze di un animale”. 
                    Quanta violenza c’è, ancora oggi, nei confronti 
                    dei transessuali? 
                  La violenza purtroppo è diffusa perché, secondo 
                    un certo tipo di morale, un certo tipo di cultura, le persone 
                    transessuali, come un po’ tutte le persone “diverse”, 
                    vengono fatte passare per persone pericolose, per la moralità, 
                    per la normalità, per la società nel suo complesso. 
                    Questo in menti cattive, in menti malate, in menti particolarmente 
                    propense alla violenza fa scattare meccanismi pericolosi e 
                    incontrollabili. È chiaro che una persona transessuale, 
                    come anche una prostituta, come anche tutte le persone che, 
                    in un modo o nell’altro possono essere considerate non 
                    conformi alla norma, tutte queste persone sono obiettivo di 
                    violenze e di aggressività. 
                    Quando si parla di violenza si pensa magari solo agli omicidi, 
                    alle aggressioni brutali. Ma posso garantire che di aggressività, 
                    intesa proprio come atteggiamento ostile ce n’è 
                    ancora tanta e in certe zone del Paese ce n’è 
                    tantissima. Quindi per una persona transessuale, che è 
                    una persona estremamente visibile e non può passare 
                    inosservata, l’aggressività della gente, l’arroganza 
                    della gente che si sente in diritto di dire la propria, di 
                    aggredire, di dare fastidio, c’è, è diffusa 
                    ed è una realtà con la quale ancora dobbiamo 
                    fare i conti, nonostante molte cose siano cambiate. Purtroppo 
                    c’è ancora questa tendenza che affonda le sue 
                    radici nel pregiudizio, che è la cosa più difficile 
                    da scardinare. Pensiamo ai luoghi comuni, che poi sono quelli 
                    che denunciava De André con le sue canzoni.
                  
 
                    L’inclusione e i mille colori
                   Da quando è morto De André si sentono 
                    spesso artisti, critici, giornalisti dire cose tipo: “De 
                    André ha restituito dignità alle prostitute, 
                    ai drogati”. Non ho mai sentito dire: “De André 
                    ha restituito dignità ai transessuali”. Perché? 
                    È un aspetto sottovalutato della produzione dell’artista 
                    oppure si tratta di un tema di cui è più difficile 
                    parlare rispetto, per esempio, alla prostituzione?
                  Devo dire che è un tema di cui si parla poco e forse 
                    è più difficile da affrontare. La prostituzione 
                    per esempio è un tema che riguarda tutti e nessuno, 
                    rispetto al quale si può parlare in maniera più 
                    distaccata. Perché la prostituzione può riguardare 
                    tutti: maschi, femmine, giovani e meno giovani, ricchi e poveri. 
                    Il transessualismo invece è, un’esperienza che 
                    va a toccare dei nervi scoperti della nostra cultura, che 
                    sono la sessualità e l’identità di genere. 
                    La nostra cultura è costruita su dei valori: l’eterosessualità, 
                    l’essere maschio, l’essere donna. Quando si va 
                    a parlare di questi argomenti l’imbarazzo, molto spesso, 
                    la fa da padrone. Molti, e fra questi molti ci metto dentro 
                    anche le persone più tranquille e più aperte, 
                    preferiscono lasciar perdere l’argomento, proprio per 
                    non entrare in un terreno scivoloso, in cui potrebbero entrare 
                    in crisi, non solo con gli altri ma anche con se stessi. Sicuramente 
                    De André questi problemi non li aveva, non se li è 
                    mai creati. E mi piacerebbe tanto (e questo è un augurio 
                    che mi faccio e che faccio a tutti), mi piacerebbe che quel 
                    messaggio di De André non arrivasse solo alla testa 
                    ma che arrivasse anche al cuore, che secondo me era il suo 
                    vero obiettivo.
                   Nei messaggi che ci siamo scambiati in questi giorni 
                    lei diceva con rammarico di non aver avuto la possibilità 
                    di conoscere personalmente De André. Se avesse avuto 
                    questa possibilità cosa le sarebbe piaciuto dirgli? 
                    
                  Grazie!
                  Solo questo?
                  Beh, è la prima cosa che mi viene. È chiaro 
                    che, a pensarci, sarebbero tante le cose. Ma più che 
                    dirle, quando io penso a De André, abituata forse ad 
                    ascoltarlo, se l’avessi conosciuto, se l’avessi 
                    incontrato, magari forse sarei rimasta in silenzio ad ascoltarlo. 
                    Penso che ci sarebbe stato questo tipo di rapporto, più 
                    basato sull’ascolto da parte mia. 
                    Tutta la mia riconoscenza l’avrei condensata in un “grazie” 
                    molto profondo, che credo lui avrebbe capito, perché 
                    comunque sarebbe venuto dal cuore, come al cuore sono rivolti 
                    i suoi testi, le sue poesie, così dal cuore mio e dalle 
                    persone che rappresento sarebbe venuto un grazie rivolto a 
                    lui.
                  Lei mi ha scritto e anche ripetuto oggi di aver molto 
                    amato De André. A parte Princesa, cos’è 
                    che ha più amato della produzione di De André 
                    e cos’è che lascerebbe indietro?
                  Io sono molto legata al primo De André, al “Bombarolo” 
                    a “Marinella”, alla prima produzione, che è 
                    poi anche la prima che ho ascoltato. Del resto comunque io 
                    non butterei via niente. A me piace tutto il lavoro di De 
                    André e non saprei neanche esattamente come definirlo. 
                    Stavo per dire “produzione”, ma non la trovo giusta. 
                    Forse potrei dire la sua poetica, ecco direi che la poetica 
                    di De André mi piace tutta, anche perché la 
                    trovo in sintonia con lui, con il suo personaggio. Perché 
                    noi viviamo in un mondo molto spesso schizofrenico, in cui 
                    quello che si dice non corrisponde a quello che si è, 
                    in cui il personaggio non corrisponde a chi si è veramente. 
                    
                    Quindi trovare una persona vera, genuina, autentica sotto 
                    tutti i punti di vista, credo che sia un grandissimo pregio 
                    che è molto difficile da ritrovare e questo è 
                    forse quello che più mi ha dato Fabrizio de André.
                  Recentemente lei ha partecipato a un dibattito che, 
                    prendendo spunto da De André, si domandava: “a 
                    che punto è la liberazione sessuale in Italia?”. 
                    In coda di intervista, le rivolgo anch’io questa domanda. 
                    A che punto è la liberazione sessuale in Italia, e 
                    a che punto siamo con i diritti dei transessuali? 
                  La libertà sessuale e la liberazione sessuale in Italia 
                    è un po’… come i canguri in Australia! 
                    Mi viene benissimo proprio questo paragone. Purtroppo l’Italia 
                    è un paese che risente di una certa morale, di una 
                    certa cultura. E io credo che un paese democratico, un paese 
                    maturo, dovrebbe essere laico quando decide e fa le cose. 
                    La spiritualità è molto, molto importante, ne 
                    abbiamo bisogno, fa parte di noi. Però credo che il 
                    problema più grosso dell’Italia sia proprio la 
                    laicità dello Stato. Rispetto alla sessualità, 
                    quindi ai diritti ed alla libertà riferita alla sessualità, 
                    l’Italia ha dei grossi problemi, perché, appunto, 
                    è un po’ come i canguri: salta. 
                    Ci sono periodi in cui dà e periodi in cui toglie. 
                    Questo è un periodo che toglie. Faccio un esempio, 
                    perché dagli esempi si capiscono meglio tante cose: 
                    fra qualche giorno, a Verona, si inaugura la mostra di un 
                    artista cattolico, promossa dal Comune di Verona e dalla Curia. 
                    Il titolo della mostra è: “Miserere” e 
                    vuole rappresentare le dieci disgrazie, le dieci malattie 
                    del mondo. Una di queste dieci disgrazie è proprio 
                    la transessualità e l’artista ha tenuto a precisare 
                    che lui non ha niente contro i transessuali, però voleva 
                    consegnare la sofferenza di certa umanità alla misericordia 
                    di Dio. E questo è un po’ emblematico di come 
                    è vista la sessualità, la libertà sessuale, 
                    in Italia, in questo periodo. 
                    Ancora partiamo dalla morale. E non dimentichiamo che nei 
                    secoli passati le persone transessuali sono state mandate 
                    al rogo, poi sono state chiuse nei manicomi, poi nelle prigioni, 
                    nei campi di sterminio. Ora consegnare tutto questo alla misericordia 
                    di Dio mi sembra un po’ una beffa. Preferirei non essere 
                    consegnata. Ecco, mi piacerebbe essere rappresentata in un’opera 
                    d’arte ma in un modo più felice e gioioso. Di 
                    quella rappresentazione ne faccio volentieri a meno.
                   Per fortuna non tutto il mondo cattolico la pensa 
                    a questo modo. Per esempio abbiamo ascoltato Don Gallo da 
                    questi microfoni e lui, mi pare, ha tutta un’altra impostazione.
                  Certo. Io con Don Gallo ho lavorato molto, su tante cose, 
                    e confermo che si tratta di una persona deliziosa. Così 
                    anche Don Ciotti. Ce ne sono tantissime di persone cattoliche 
                    che sono bellissime e che sono veramente molto vicine alla 
                    parola di Gesù, di San Francesco. Tante altre no! Però 
                    riconosco che c’è un pezzo di mondo cattolico 
                    molto aperto e a me molto vicino.
                  Siamo in chiusura, cosa le piacerebbe aggiungere?
                  Io sogno e mi auguro un mondo che ci appartenga di più, 
                    un mondo che sia basato sull’inclusione e non sull’esclusione. 
                    Non un mondo in bianco e nero, ma un mondo fatto di mille 
                    sfumature, di mille colori, perché i colori rendono 
                    bella la vita.
                   
                (Intervista realizzata via telefono il 18/05/2005. Registrata 
                  presso gli studi di Rete Italia – Melbourne. Andata in 
                  onda nell’ambito della trasmissione radiofonica settimanale: 
                  “In Direzione Ostinata e contraria”, dedicata ai 
                  personaggi delle canzoni di Fabrizio De André).