  
                
  
                Stretti l'uno con l'altro 
                Ho visto/sentito suonare i BF in piazza due volte, il 25 aprile 
                  e il primo maggio dello scorso anno. Tutt'e due le volte è 
                  successo un fatto curioso. C'era bel tempo e c'era tanta gente 
                  che se ne andava in giro, chi da solo, chi coi bambini, persone 
                  di una certa età, ragazzi più giovani, giornate 
                  di festa in piena primavera. Ebbene, tanti rallentavano, si 
                  avvicinavano, restavano a guardare, restavano ad ascoltare. 
                  Tante persone, più di quanto era ragionevole aspettarsi. 
                  Una sorpresa gradita: in fin dei conti, non erano che delle 
                  canzoni popolari, soltanto delle canzoni popolari. Roba d'una 
                  volta, un repertorio semplice offerto in maniera frugale. Qualcuno 
                  tra il pubblico conosceva qualche canzone, e addirittura c'era 
                  chi si permetteva di aggiungere la propria voce al mucchio sonoro. 
                  I BF li avevo visti e sentiti suonare anche in altre occasioni 
                  precedenti, con nome e formazione diversa, ed era successo press'a 
                  poco lo stesso anche allora. La gente si fermava. Restava lì. 
                  Eppure non si trattava per certo di uno “spettacolo”: 
                  i BF non offrivano effetti speciali né abiti sgargianti 
                  né musica alla moda. La gente, semplicemente, riconosceva 
                  le canzoni e qualcuno si metteva a cantare. 
                  La cosa mi ha fatto riflettere: avevo anch'io l'intenzione di 
                  fermarmi poco, eppure sono rimasto là fino alla fine 
                  e ho pure cantato, magari a bassa voce all'inizio, come ne sono 
                  capace. Mi piaceva restare là. 
                  Non c'era ragione perché non succedesse a me quello che 
                  stava succedendo anche agli altri. Ho immaginato che tutta quella 
                  gente si fosse fermata ad ascoltare e a cantare semplicemente 
                  perché era una cosa bella da fare. Perché a cantare 
                  insieme si sta bene, ci si sente bene. Perché quelle 
                  erano canzoni che erano rimaste chiuse dentro da qualche parte, 
                  ed era così bello e così strano accorgersi che 
                  le parole venivano fuori da sole. Sembrava roba nostra, scritta 
                  da ciascuno apposta per tenerci insieme lì, in piazza. 
                  Penso che i BF, per indole oltre che per manifesto disinteresse 
                  ai meccanismi e alle ideologie dello spettacolo mutuate dalla 
                  televisione, siano come rimasti fermi agli anni Settanta, ai 
                  primi anni Settanta. 
                  In una parola gli manca tutto, ma proprio tutto quello che è 
                  successo dal punk in qua. E non mi riferisco al suono, o all'atteggiamento. 
                  Per dire, non hanno un'immagine pubblica adatta e men che meno 
                  un'età adatta a fare i saltimbanchi. E infatti sudano. 
                  Fanno fatica, e poi fa caldo lì sul palco ed è 
                  un po' per l'emozione e un altro po' per il “carburante”, 
                  e loro lì sopra a cantare, a spingere forte le parole 
                  fuori, a lanciarle anche tra quelli che stanno in fondo, neanche 
                  fossero petardi a carnevale. 
                  Non so se è tutta colpa nostra, ma ci siamo ritrovati 
                  col nostro ieri ed il nostro oggi appoggiati ciascuno su una 
                  diversa riva del fiume, tenuti distanti da acqua di discarica, 
                  un'acqua nera di piena cattiva. 
                  L'idea di mettersi a “fare” questo cd (che esce, 
                  significativamente, con la rivista Aparte; contatti aparte@virgilio.it, 
                  info www.berrettofrigio.org) nasce proprio da questo bisogno 
                  di gettare un ponte tra le due rive: le canzoni come fili rossi 
                  per ad annodare stagioni lontane, lanciate da un ieri della 
                  mente verso un oggi da raggiungere, purtroppo sempre meno nostro. 
                  Un tentativo di riappropriarsi delle radici, di riconoscersi 
                  nelle foto dei nostri vecchi e allo specchio. Voglia forte di 
                  capire cosa è successo e come sia potuto accadere, e 
                  come abbiamo potuto permettere che accada. Le parole, quelle 
                  vengono fuori da sole. Una strada, spesso la strada più 
                  giusta, la sanno trovare.
                 
                   
                      | 
                   
                   
                    |   Il gruppo musicale Berretto Frigio  | 
                   
                 
                 
                  Queste canzoni mi piacciono. Sono un pezzo di me, sono incontri 
                  con me stesso quand'ero ragazzo, e con i miei genitori quand'erano 
                  ragazzi loro, e con i miei nonni quand'erano anche loro dei 
                  ragazzi. Spero siano anche incontri con mia figlia. C'è 
                  Franco Serantini che è morto quando io avevo quindici 
                  anni, mi ricordo che a casa con i miei se ne parlava sottovoce 
                  mentre a scuola tutti erano affaccendati a fare dell'altro e 
                  nessuno ne sapeva un cazzo. C'è l'acqua alta che ha accompagnato 
                  sempre la mia vita da quando sono nato, acqua insieme estranea 
                  e familiare, le sirene d'allarme nella nebbia e i segni umidi 
                  e neri sui muri delle case che nessuna mano di bianco riesce 
                  a nascondere. Ci sono quelli che sono dovuti andare via, per 
                  treno e per nave in cerca di quella fortuna che non abita dalle 
                  nostre parti. E ci sono quelli a cui è successo esattamente 
                  lo stesso: fuggiti da guerra e fame e miseria e paura e venuti 
                  a sbarcare da queste parti per raccogliere briciole e scarti, 
                  le due facce della stessa fortuna. Ci sono quelli che sono morti 
                  in guerra, guerra di una volta e di adesso, guerra partigiana 
                  in montagna e guerra vigliacca fatta di bombe fasciste, guerra 
                  di piazza fatta di pistole e fucili contro i manifestanti che 
                  chiedono pace, lavoro, giustizia e libertà. Ci sono i 
                  miei compagni anarchici, un tempo assassini di re e tiranni, 
                  più di recente vittime in caduta libera dalle finestre 
                  della questura, quelli che lasciano una vita corta appena vent'anni 
                  sulle pietre di una piazza di Genova. Che solitudine. Che bella 
                  compagnia.
                 Marco Pandin 
               |