rivista anarchica
anno 44 n. 388
aprile 2014





Bella Ciao:
i primi cinquant'anni di un mito

Mezzo secolo prima che voi leggeste queste righe erano già cominciate le prove.
Il Nuovo Canzoniere Italiano produceva uno spettacolo. Questo spettacolo avrebbe avuto la prima assoluta il 21 giugno del 1964 al Festival dei Due Mondi di Spoleto, al Teatro Caio Melisso. Cinquanta anni fa andava in scena lo spettacolo Bella Ciao. Da qui – si può dire – comincia la nostra storia.
La copertina del disco
“Le canzoni di Bella Ciao”

Un lavoro di confluenze e di provocazione

Nello spettacolo Bella Ciao confluivano quasi dieci anni di esperienze di ricerca e raccolta di canti popolari. Le pionieristiche campagne di Alan Lomax e Diego Carpitella, attraverso l'Italia contadina pre-televisiva degli anni '50. Il lavoro a tutto tondo dei Cantacronache, che si erano mossi – con tutti i limiti e le passioni dei giovani iniziatori – contemporaneamente sulla composizione di nuovi canti sociali, sulle riflessioni teoriche in merito alle canzoni in generale, sulla ricerca dei canti popolari, sull'esecuzione e sull'accostamento di canti di secoli, luoghi, forme, contesti differenti. Soprattutto sul loro valore critico nella società dell'epoca.
E poi le esperienze di Roberto Leydi, Cesare Bermani, Dante Bellamio, Riccardo Schwamenthal, ecc.
Il ruolo di uno dei più grandi organizzatori culturali che il nostro paese abbia avuto, Gianni Bosio, aveva compiuto il miracolo di far incontrare queste esperienze lontane, frammentarie, in una prodigiosa macchina organizzativa che sotto le sue varie definizioni (Nuovo Canzoniere Italiano, Istituto Ernesto de Martino, Dischi del Sole, ecc.) avrebbe dato alla cultura popolare lo slancio per incidere sul nostro presente ed arrivare sino a noi.
Come fare? Data l'importanza e la bellezza di questi canti raccolti, come si poteva comunicarli, cantarli, riproporli fuori dal contesto originale in cui erano nati? Quale forma di spettacolarizzazione avrebbe evitato i rischi del tradimento, del travisamento, della normalizzazione da una parte, e quello della contemplazione di un forziere di tesori musicali nascosti e riservati a pochi eletti, dall'altro?
Era già cominciata la pubblicazione di dischi rigorosi nelle esecuzioni. Frutto di registrazioni originali sul campo (le voci popolari di Teresa Viarengo, delle sorelle Bettinelli, di Giovanna Daffini) o di interpreti formatisi essi stessi nella pratica della ricerca sul campo (Giovanna Marini, Caterina Bueno, Michele L. Straniero), questi dischi erano tanto un documento quanto un'opera d'arte, accompagnati sempre da note editoriali sulla copertina e da contemporanee pubblicazioni di materiali d'approfondimento in rivista o libri.
Questa fu certo la prima punta di diamante di questo progetto, e produsse oggetti bellissimi – anche graficamente – che, ristampati o diffusi via internet, arrivano sino al nostro tempo e che, sui supporti originali, fanno l'orgoglio dei collezionisti di vinile.
Ma la canzone popolare vive più di ogni altra nel contatto diretto, in un'esecuzione che non viene vissuta in modo gerarchico. Ascanio Celestini – parlando di teatro e narrazione popolare nel libro “Incrocio di sguardi” – fa un esempio che, con poco sforzo, possiamo rovesciare sull'ambito musicale: «In questo tipo di narrazione – al contrario di quanto avviene a teatro – non c'è separazione netta fra il narratore e tutti gli altri che ascoltano. Magari c'è uno che racconta il novanta per cento della storia, ma ce ne sono anche due che mettono bocca, c'è un altro che solo annuisce, però dall'espressione si capisce che quella storia già la sa e dunque partecipa. È sempre la comunità che si racconta. Quella cosa lì viene messa in quel luogo, in quel momento ed è a disposizione di tutti. Anche di quello che manco annuisce, sta di spalle, però sente». Evidentemente questa percezione è impossibile da riprodursi in un ambito teatrale, ma le infinite discussioni sorte a metà degli anni sessanta attorno allo “specifico stilistico” e al dilemma del “ricalco”, danno conto di come ci si arrovellasse per conservare l'eco di questa sensazione.
Una delle strategie che più assorbirono le forze collettive del Nuovo Canzoniere fu la costruzione di grandi spettacoli corali di canzoni. Il più celebre è forse proprio “Bella ciao” per motivi non del tutto intenzionali, anche se lo stesso Cesare Bermani, sulla scorta di un giudizio di Diego Carpitella, sostiene che forse il più bello, di certo il più interessante dei loro spettacoli, sarebbe stato “Ci ragiono e canto”, prodotto due anni dopo assieme al genio teatrale di Dario Fo.
“Bella ciao” rimane però nel cuore degli appassionati come un mito fondativo, la sua immagine s'è propagata nella memoria collettiva come quella di una sorta di Woodstock del folk italiano.

Un momento dello spettacolo “Bella Ciao”

La storia controversa di un mito

Bella Ciao è rimasto un evento nella musica, nel teatro e più in generale nella cultura italiana. Lo spettacolo fu presentato per la prima volta domenica 21 giugno del 1964 al Teatro Caio Melisso, nel cartellone del Festival dei Due Mondi di Spoleto, dove fu inserito per interessamento di Nanni Ricordi, il direttore artistico voluto quell'anno dal fondatore del Festival Gian Carlo Menotti. Lo spettacolo venne presentato a cura di Roberto Leydi e Filippo Crivelli (il regista) con dei testi introduttivi redatti da Franco Fortini.
La tensione, cresciuta già durante l'anteprima, esplose dalle prime file della platea nel secondo tempo di quel pomeriggio, quando la canzone antimilitarista “O Gorizia tu sei maledetta”, che sarebbe dovuta essere cantata da Sandra Mantovani, lo fu invece da Michele L. Straniero con la variante “traditori signori ufficiali/voi la guerra l'avete voluta/scannatori di carne venduta/e rovina della gioventù” (strofa che non era compresa nel copione depositato). La percezione dell'evento e delle sue probabili ripercussioni aveva però richiamato quel giorno in teatro molti nomi dell'intelligencija di sinistra, quali Giorgio Bocca, Raf Vallone, Giancarlo Pajetta, Miriam Mafai. Ci furono battibecchi e rumorose contestazioni per tutto il resto dello spettacolo. Quella sera Nanni Ricordi rassegnò le dimissioni in furiosa polemica con Menotti, Straniero fu denunciato per vilipendio alle forze armate. Le minacce e le intimidazioni dei gruppi di destra crebbero di replica in replica, arrivando nei giorni successivi alla soglia dell'attentato dinamitardo. In ogni caso lo spettacolo arrivò alla fine della settimana di repliche (l'ultima il 29 giugno), totalizzando il più alto incasso del Festival, per poi essere ripreso al Teatro Odeon di Milano nel maggio dell'anno dopo.
Le polemiche, le denunce, i processi, mobilitarono una sorta di solidarietà attraverso la quale le aree più progressiste del paese si strinsero attorno a Bella Ciao e si accesero d'interesse per il lavoro del Nuovo Canzoniere e del canto popolare e sociale in genere. Bella Ciao era certo un prodotto culturale del centrosinistra, impensabile già solo pochi anni prima, al tempo del governo Tambroni e delle repressioni di Scelba. Ma la canzone popolare e le strategie di riproposizione e di studio messe in atto da Bosio, Leydi e compagnia, generarono un patrimonio progressivo e inclassificabile, per nulla settario, che superò l'incomunicabilità di classi e generazioni diverse, dialogando col nascente movimento studentesco e finendo per rappresentare il dizionario sentimental–politico dell'ondata libertaria sessantottina. Oggi quelle canzoni sono ancora percepite come la colonna sonora degli anni della Contestazione.
Si definì in quei giorni un modo del tutto nuovo di fare politica con le canzoni, di raccontare la storia dal punto di vista delle classi subalterne. Si scoprì in un colpo che i dialetti non erano un fatto residuale di folklore, ma una miniera di cultura, che il teatro musicale – all'epoca non esisteva il concerto pop – non era appannaggio della lirica e di chi aveva frequentato il conservatorio. La profonda bellezza dei canti rinvenuti negli anni che precedettero lo spettacolo, ma più ancora l'assoluta novità dei loro moduli musicali poetici ed esecutivi, mise il popolo italiano di fronte alle proprie radici contadine, alla propria cultura orale. Bella Ciao fece epoca, e la sua versione discografica – che, si badi bene, è solo una selezione registrata in studio, non una ripresa live dell'originale – sempre ristampata, non può mancare in nessuna collezione essenziale di musica popolare al mondo.

Milano, Teatro Odeon, da sinistra: Ivan Della Mea,
Gaspare De Lama, Giovanna Daffini, Sandra Mantovani,
Caterina Bueno, Hana Roth e Policarpo Lanzi

Canzoni di ieri? Canzoni per domani?

Se lo spettacolo Bella Ciao è entrato nel mito, lo stesso si può dire per le sue intenzioni a cinquant'anni di distanza? Purtroppo no...
Il repertorio di Bella Ciao – a eccezione di pochi brani entrati nella memoria collettiva, come appunto il brano eponimo – è stato ingiustamente rimosso proprio per la sua importanza, per la sua urgenza, per il fastidio che genera: sono canzoni che chiamano il pubblico a prendere posizione, che tirano le orecchie alle coscienze addormentate della sinistra di ogni tempo. Oggi le canzoni di Bella Ciao non solo conservano tutta la loro potenza espressiva, ma hanno acquisito una nuova urgenza nel mondo globalizzato, che dietro una malintesa percezione delle radici popolari della nostra cultura, sembra ignorare i valori libertari e pacifisti. Bella Ciao è una lezione di civiltà che nasce dal basso. Un romanzo storico costruito attraverso la musica, i suoni e le parole.
Ad ogni decennale girano voci di un riallestimento, ma toccare un mito è difficile, è necessario essere al contempo fedeli e innovativi, risolvere l'apparente inconciliabilità di queste due esigenze. Riallestire Bella Ciao in una nuovissima versione che sia una fedele riproposizione delle intenzioni e delle canzoni originali, ma anche l'occasione per dialogare con un mondo culturale lontanissimo da quello per cui fu concepito. Non un atto di archeologia dunque, ma una provocazione per il pubblico contemporaneo.
Bella Ciao è ancor più necessario oggi che nel '64... e qualcuno a Milano forse se ne è finalmente reso conto.

Alessio Lega
alessiolegaconcerti@gmail.com