Per 
                  la valorizzazione del patrimonio culturale anarchico 
                   
                  Nei giorni 5, 6 e 7 dicembre 1969 a Torino, presso la Fondazione 
                  Luigi Einaudi, si svolse il convegno “Anarchici e anarchia 
                  nel mondo contemporaneo” a cui partecipò anche 
                  lo storico Pier Carlo Masini, con una relazione intitolata: 
                  “Una raccolta di pubblicazioni rare e non comuni per la 
                  storia dell'anarchismo”. Tale relazione conserva anche 
                  oggi una notevole importanza per il movimento anarchico e la 
                  cultura storica in generale, soprattutto per quanto riguarda 
                  la scoperta e la conservazione della documentazione relativa 
                  a eventi storici, anche locali. 
                  Le parole di Masini, anche se datate storicamente, mantengono 
                  la loro attualità. Nel descrivere la Biblioteca Max Nettlau, 
                  da lui creata all'interno della propria abitazione (prima a 
                  Bergamo poi a Palazzago per la Secchia – Bg), scriveva: 
                  “Abbiamo indicato come tema della biblioteca i 'movimenti 
                  d'emancipazione': definizione che ci è sembrata più 
                  larga di quella di 'movimenti libertari' e meno consunta di 
                  quella dei 'diritti dell'uomo' anche se questo è pure 
                  il senso della qualificazione e specializzazione della biblioteca: 
                  raccogliere, conservare, ordinare, illustrare la documentazione 
                  attinente ai diritti di libertà, di dignità, di 
                  indipendenza dei lavoratori, delle donne, degli studenti, degli 
                  artisti, degli discriminati per lingua, razza, religione, sesso, 
                  età, istituzione, condizione sociale, fisica o psichica 
                  (...). 
                  Un ventaglio di movimenti e di interessi: libertà personale 
                  e di gruppo, libero pensiero e libero amore, amicizia e riconciliazione 
                  dei popoli, utopia e riforme, tolleranza di religione e antireligione, 
                  revisione e dissenso, rivendicazione antiautoritaria e rivoluzione 
                  libertaria, vecchie bandiere come pacifismo, antimilitarismo, 
                  internazionalismo e nuove forme di contestazione, di eresia, 
                  di rifiuto, la antica e moderna suggestione di esperienze comunitarie 
                  autodirette, solidarietà e umanesimo, il discorso libertario 
                  riportato al centro della famiglia, della scuola, del partito, 
                  del sindacato, della chiesa. Tutto questo interessa alla Biblioteca”. 
                  Per Masini la Biblioteca è contemporaneamente una centrale 
                  di propaganda e un servizio tecnico, che vuole essere ampio 
                  ed efficace, oltre che politicamente impegnato. 
                  Nella relazione analizza le problematiche legate al lavoro di 
                  catalogazione e archiviazione illustrando il catalogo della 
                  Biblioteca di Bergamo. Descrive quali sono le direzioni che 
                  intende seguire, come la ricostruzione editoriale dei periodici 
                  di alcuni gruppi anarchici, tra cui Il Risveglio di Luigi Bertoni, 
                  Il Pensiero di Camillo Di Sciullo, L'Adunata dei Refrattari; 
                  ma anche pubblicazioni esterne al movimento anarchico, come 
                  Critica Sociale e l'Avanti!. 
                  Altro fattore innovativo di cui Masini si fa portavoce (non 
                  dimentichiamo che la relazione in esame è del 1969) è 
                  la ricostruzione micro-filmica delle collezioni dei più 
                  rari periodici anarchici, socialisti e repubblicani. Tra gli 
                  esempi citati, le registrazioni magnetofoniche di testimonianze 
                  orali raccolte dall'Istituto Ernesto de Martino di Milano e 
                  dal Museo degli Esuli di Bergamo. 
                  Le considerazioni di Masini, attualizzate e contestualizzate 
                  per la nostra epoca, sono da rileggere per una riflessione contemporanea 
                  sullo stato di biblioteche, fondazioni e archivi legati al mondo 
                  libertario, senza dimenticare il rapporto con gli studenti e 
                  le nuove generazioni. Sempre Masini scriveva: “Il nostro 
                  dramma, il dramma della nostra generazione delle o fra le due 
                  guerre, è quello di poter trasmettere senza paternalismi 
                  ma per naturale tradizione alla generazioni venienti ciò 
                  che abbiamo vinto e vissuto, ivi compresi i miti che abbiamo 
                  consumato con la nostra esperienza, gli errori che ci hanno 
                  coinvolti”. Insegnamenti validi ancora oggi, stimoli per 
                  rafforzare e proteggere dall'indifferenza e dall'usura i luoghi 
                  culturali del movimento anarchico e libertario.
                
  Domenico Letizia 
                  Maddaloni (Ce)
    
                  Lettera aperta della comunità rom di Vaglio Lise (Cosenza) 
                  
                Vi è mai successo di essere massacrati di botte mentre 
                  andate al supermercato a comprare il pane per i vostri figli? 
                  Siete mai stati accusati di una cosa che non avete fatto? 
                  A noi tutto questo succede da ormai un mese. Ogni volta che 
                  usciamo dal villaggio per andare a fare la spesa, su via Popilia 
                  veniamo aggrediti, picchiati, insultati da persone che dicono 
                  di volersi vendicare per aver subito dei furti. 
                  Ci rivolgiamo proprio a queste persone, più che al resto 
                  della cittadinanza e a quanti nel quartiere ci hanno sempre 
                  dato affetto e ospitalità. Chiediamo a questi giovani 
                  se secondo loro è giusto che a pagare debbano essere 
                  padri di famiglia innocenti, uomini che si alzano all'alba ogni 
                  giorno per andare a vendere aquiloni e collanine sulle spiagge. 
                  Ai giovani che si aggirano intorno alle nostre baracche, armati 
                  di pistole, benzina e mazze da baseball vorremmo chiedere se 
                  a loro sia mai capitato di essere picchiati, perseguitati, incarcerati 
                  ingiustamente. 
                  Evidentemente no! È chiaro che questi giovani non hanno 
                  mai provato questa esperienza terribile, altrimenti non si comporterebbero 
                  come si stanno comportando. Perché non è giusto 
                  né umano fare ad altri quel che non si vorrebbe mai subire 
                  sulla propria pelle. 
                  A noi invece sta capitando. Ogni giorno viviamo nel terrore. 
                  E di notte non dormiamo, perché temiamo che qualcuno 
                  possa incendiare le nostre baracche, far del male ai nostri 
                  bambini. Una settimana fa, mentre passava davanti a una chiesa, 
                  un abitante del campo rom, un uomo che vive a Cosenza da quasi 
                  dieci anni e mai si è macchiato del minimo reato, è 
                  stato investito da una macchina. Dalla macchina sono scesi due 
                  giovani che, invece di soccorrerlo, si sono accaniti su di lui 
                  a colpi di mazze, spaccandogli la testa. È umano tutto 
                  ciò? 
                  Alle istituzioni chiediamo sicurezza. 
                  Ai parenti e agli amici di questi giovani che fanno le ronde, 
                  chiediamo di parlare con loro, spiegare che l'uso della violenza 
                  è sempre sbagliato, e che attaccare gli innocenti solo 
                  in base alle loro origini etniche è un crimine contro 
                  l'umanità. 
                 Comunità rom del campo di Vaglio 
                  Lise 
                  Cosenza, 5 settembre 2013 
                  Prosegue il dibattito 
                  su  
                  “Libertà senza Rivoluzione” 
                 Prosegue il dibattito sul volume Libertà senza Rivoluzione 
                  di Giampietro “Nico” Berti (Piero Lacaita Editore, 
                  Bari 2012), di cui abbiamo ripreso qualche 
                  stralcio in “A” 377 (febbraio).  Sui numeri 
                  successivi sono intervenuti Franco 
                  Melandri e Domenico 
                  Letizia (“A” 378, marzo), Luciano 
                  Lanza e Andrea 
                  Papi (“A” 379, aprile), Luigi 
                  Corvaglia e Alberto Ciampi 
                  (“A” 380, maggio), Marco 
                  Cossutta e Salvo 
                  Vaccaro (“A” 381, giugno), Persio 
                  Tincani e Fabio 
                  Massimo Nicosia (“A” 382, estate), Enrico 
                  Ferri e Antonio 
                  Cardella (“A” 383, ottobre) e ora Cosimo Scarinzi 
                  e Francesco Codello. 
                  Il dibattito è naturalmente aperto a chiunque intenda 
                  intervenire, con il limite delle 6.000 battute spazi compresi. 
                 
                    Dibattito 
                  Libertà senza Rivoluzione/13 
                   
                  Cosimo Scarinzi/La fortezza è occupata e noi siamo franchi tiratori 
                 So che non si dovrebbe quando si tratta dell'opera di altri 
                  fare cenno a se stessi, e che un simile comportamento può 
                  sembrare autocelebrativo. Tuttavia, la lettura del ponderoso 
                  libro di Giampiero Berti mi ha indotto a tornare con la mente 
                  a vicende minori vecchie di decenni che paradossalmente sembrano 
                  anticiparlo. 
                  All'inizio degli anni '70 mi capitò, parlando in piazza 
                  Firenze a Milano con Dada Maino – che scoprii anni dopo 
                  essere una famosa pittrice ma che allora conoscevo solo come 
                  militante del gruppo Azione libertaria – di rilevare che 
                  l'anarchismo affondava le sue radici nel liberalismo mentre 
                  il socialismo di stato era lo sviluppo della democrazia giacobina, 
                  e di notare da parte sua uno sguardo fra l'irridente e il corrucciato, 
                  non so se per la tesi in sé o per l'entusiasmo giovanile 
                  che mostravo nel sostenerla. 
                  Oltre vent'anni dopo, quando la stagione delle speranze rivoluzionarie 
                  era ormai oggetto di memoria, Maurizio Marotta, un compagno 
                  del gruppo Comidad di Napoli, mi fece rilevare, riferendosi 
                  all'affermarsi in campo anarchico di posizioni che lui definiva 
                  – anch'egli con qualche ragione – occidentaliste, 
                  che la fortezza era occupata e che noi eravamo ormai dei franchi 
                  tiratori. Immagine che trovai affascinante: dei rivoluzionari 
                  non solo senza rivoluzione ma senza nemmeno un movimento, un 
                  ambiente, un discorso condiviso rivoluzionario. Immagine, lo 
                  ammetto, che suscitava una sorta di bizzarro orgoglio. 
                  Tutti questi pensieri e altri mi sono passati per il capo mentre 
                  leggevo il libro di Giampietro Berti, un libro di un genere 
                  che di questi tempi capita raramente di leggere visto che si 
                  propone, con ogni evidenza, il compito di fondare una teoria 
                  politica, cosa che in campo anarchico, e non solo in campo anarchico, 
                  non mi pare sia usuale. 
                  Dato che si tratta di un testo che tocca molti argomenti, sceglierò, 
                  in maniera inevitabilmente discutibile, due questioni che mi 
                  sembrano meritevoli di interesse. 
                  La prima è, ma solo in apparenza a mio avviso, stilistica. 
                  Nico Berti scrive in uno stile riflessivo, analitico, disteso, 
                  equanime tranne che in un caso, e cioè quando tratta 
                  di coloro che si vogliono rivoluzionari. 
                  Quando (p. 49) si parla di “delirio dell''uomo nuovo'” 
                  o (p. 76) si fa riferimento alla “violenza criminale”, 
                  quando (p. 153) si afferma “solo un anarchico cretino 
                  e irresponsabile, succube della superstizione rivoluzionaria, 
                  può ritenere che una qualsiasi dittatura sia equivalente 
                  a una qualsiasi democrazia o a un qualsiasi liberalismo, solo 
                  un anarchico cretino e irresponsabile, succube della superstizione 
                  rivoluzionaria, può ritenere che Aldo Moro sia accomunabile 
                  ai suoi assassini” è evidente uno scarto stilistico 
                  che corrisponde, almeno a mio avviso, a un problema di teoria 
                  politica. 
                  Se, infatti, come Nico Berti sostiene, una rivoluzione è 
                  impossibile e non desiderabile e, per sovrammercato, il movimento 
                  anarchico realmente esistente conta da decenni come il due di 
                  coppe a briscola quando briscola è bastoni, perché 
                  adirarsi in tale misura contro i pochi sconsiderati che la vedono 
                  diversamente? 
                  Si noti bene: chi scrive, che sarà magari per altre ragioni 
                  cretino e irresponsabile, non pensa affatto che il Cile di Pinochet 
                  fosse equivalente a quello attuale e anzi ritiene che si debba 
                  operare perché la libertà di espressione, azione, 
                  organizzazione anche nel quadro della società statale 
                  e capitalistica sia una conquista fondamentale al cui allargamento 
                  si deve attivamente operare. 
                  Nello stesso tempo crede, e faccio solo un esempio, che vicende 
                  come quella della lotta armata in Italia non si possano spiegare 
                  ricorrendo solo o principalmente a strumenti interpretativi 
                  di tipo psicoanalitico o, peggio, a giudizi sul quoziente intellettuale 
                  di chi ne fu attore e che, magari, una ricostruzione storica 
                  puntuale che tenga conto, anche in questo caso faccio solo un 
                  esempio, della stagione delle stragi di stato non guasterebbe. 
                  La seconda è contenutistica e ci riconduce alla premessa: 
                  per Nico Berti l'anarchismo non è pianta di ogni clima 
                  ma prodotto di una e una sola civiltà, quella 
                  occidentale. 
                  Ora, sul piano della storia delle idee, questa tesi può 
                  essere considerata elegante non fosse altro perché opera 
                  una notevole semplificazione di una storia complessa e contraddittoria 
                  anche sul piano dell'elaborazione teorica oltre che su quello, 
                  che continuo a ritenere prioritario, dell'azione pratico sensibile. 
                  Peccato però che crolli come un castello di carte di 
                  fronte, ad esempio, al semplice fatto che tale Michail Aleksandrovic¨ 
                  Bakunin, che con l'anarchismo mi risulta qualche relazione l'abbia 
                  pur avuta, ha formulato una teoria della rivoluzione che prevede 
                  un ruolo centrale per le masse contadine, in particolare anche 
                  se non solo russe, non dopo previo addestramento al capitalismo 
                  alla civiltà occidentale ma contro questo processo 
                  e di anarchismi meticci di questa sorta ve ne sono stati diversi, 
                  si pensi alla rivoluzione messicana, al piano di Ayala e a Emiliano 
                  Zapata e ritengo altri ve ne saranno. 
                  Sia ben chiaro, non voglio opporre l'autorità di Bakunin 
                  a quella di Berti, piuttosto vorrei far rilevare che o una teoria 
                  politica ha un valore generale o qualche problema si pone. 
                  Per stare sul terreno proposto dallo stesso Berti, la teoria 
                  politica liberale che riserva il godimento della pienezza dei 
                  diritti sociali solo a una classe sociale e, di quelli politici 
                  solo a una parte della specie non è affatto andata in 
                  crisi di fronte al fatto che la liberale Inghilterra possedesse 
                  un gigantesco impero coloniale i cui abitanti erano esclusi 
                  dalla libertà politica per la sua intrinseca natura di 
                  classe e di élite. 
                  Una teoria politica libertaria non gode dello stesso privilegio, 
                  o si propone l'emancipazione della specie, di tutta la specie 
                  o, non se ne abbia a male Berti, non è di alcuna utilità 
                  e interesse. 
                  Ovviamente quest'obiettivo, che di norma si chiama rivoluzione 
                  ma io non mi appassiono ai termini, è una scommessa e, 
                  se vogliamo, un criterio regolativo in mancanza del quale sarebbe 
                  forse opportuno dichiararsi liberali, ma questa è una 
                  scelta che non si può imporre a nessuno. 
                 Cosimo Scarinzi 
                
                 
                   Dibattito 
                  Libertà senza Rivoluzione/14 
                   
                  Francesco Codello/Criticare facile, confutare, invece... 
                L'anarchismo fra la sconfitta del comunismo e la vittoria del 
                  capitalismo: questo l'oggetto principale dell'analisi di Giampietro 
                  Berti in questo poderoso volume destinato a passare alla storia 
                  del pensiero anarchico e a far discutere per molto tempo ancora. 
                  Impossibile dar conto delle tante tesi contenute nel libro in 
                  modo soddisfacente visto l'esiguo spazio a disposizione. Bisogna 
                  premettere comunque che è necessario tenere separate 
                  due opzioni: la critica (sempre legittima e utile) e la confutazione 
                  (l'opporre cioè a una tesi un'altra tesi fondata su dati 
                  di fatto e pragmatismo). Non sempre, cosa peraltro ben comprensibile, 
                  ciò è avvenuto anche nei confronti di questa ricerca 
                  così sostanziosa e documentata. 
                  La conclusione di Nico Berti è un de profundis 
                  irreversibile per l'anarchismo (così come storicamente 
                  si è arenato il movimento) e uno spiraglio di possibilità 
                  per l'anarchia (l'anima universale dell'idea). Con la sconfitta 
                  (fallimento) del comunismo, il trionfo del capitalismo, anche 
                  l'anarchismo si sente male, non è più dentro 
                  ma contro la storia, ma semplicemente fuori dalla 
                  storia. A condannare definitivamente l'anarchismo, secondo Berti, 
                  è la sua essenza rivoluzionaria che, di fatto, impedirebbe 
                  allo stesso di poter perseguire la libertà, per una varietà 
                  di ragioni e di riflessioni che qui non è possibile riassumere 
                  e per le quali non mi resta che rimandare alla lettura del testo. 
                  L'anarchismo dunque dovrebbe abbandonare la sua dimensione apologetico-rivoluzionaria: 
                  l'idea di edificare un uomo nuovo, distruggere definitivamente 
                  la società illuministica e borghese, in sintesi annientare 
                  quel percorso storico che si definisce come Modernità. 
                  La sua unica possibilità di salvezza, sempre secondo 
                  il nostro autore, starebbe nel partire da dove è arrivata 
                  la democrazia occidentale, dalle sue conquiste, dalle sue inalienabili 
                  libertà. 
                  La critica che gli interventi precedenti hanno mosso al testo 
                  bertiano è stata puntuale, chiara, decisa, variegata 
                  e ricca di spunti di discussione. La critica appunto, non sempre 
                  così, mi pare, la confutazione. Prima considerazione 
                  che Berti sviluppa sulla quale occorre riflettere perché 
                  da essa deriva gran parte dell'impianto argomentativo del libro: 
                  il capitalismo, a differenza del comunismo (e dell'anarchismo) 
                  è un evento e non un progetto. Ciò 
                  significa che mentre il capitalismo si è imposto naturalmente, 
                  sta dentro lo sviluppo naturale delle cose, il comunismo (e 
                  quindi anche l'anarchismo) è il frutto di una deliberata 
                  azione di progettazione e di realizzazione degli uomini e delle 
                  donne. Questa affermazione, mi pare, non solo non è suffragata 
                  da dati e da argomenti forti, ma è, secondo il mio punto 
                  di vista, sostanzialmente errata. Essa trascura tutte le poderose 
                  ricerche storiche, antropologiche, geo-politiche che, dati alla 
                  mano, hanno analizzato quella che, da Marx in poi, è 
                  stata definita la “cosiddetta accumulazione originaria”, 
                  vale a dire quel processo di colonizzazione e di sfruttamento, 
                  intriso di una violenza senza precedenti, che ha caratterizzato 
                  la nascita del capitalismo. Sostenere che il capitalismo è 
                  un evento, significa, di fatto, accreditarne una sua naturalità 
                  e quindi giustificare la sua vittoria (giustificare è 
                  ideologico; non negarla, fino a ora però, è incontrovertibile). 
                  Attenzione però che le crisi, che sono intrinseche al 
                  capitalismo e ricorrenti, permettono (non automaticamente ovviamente) 
                  di liberare energie e immaginari alternativi e diversi. 
                  Seconda considerazione: la democrazia è un prodotto dell'occidente 
                  illuministico europeo e costituisce il massimo (e insuperabile, 
                  Nico?) livello di libertà che la società ha prodotto 
                  e, quindi, non solo va difesa e salvaguardata, ma anche assunta 
                  come paradigma di civiltà nei confronti del resto del 
                  pianeta. A parte il fatto che, anche qui, autorevoli e puntuali 
                  studi, hanno dimostrato che la democrazia (intesa come pratica 
                  di partecipazione e di esercizio delle decisioni) non è 
                  stata, e non è neppure adesso, una esclusiva prerogativa 
                  europea e occidentale (Clastres, Graeber, Sen, ecc.), come forma 
                  di governo, sia nella sua versione roussoniana e giacobina e 
                  socialista, che populista e demagogica ammantata di liberalismo, 
                  ci ha proposto orrori altrettanto nefandi, perché, tutto 
                  sommato, si fonda sull'accettazione della logica escludente 
                  della maggioranza impedendo, di fatto, ogni diversità 
                  e pluralità concreta di espressione. La democrazia non 
                  può costituire l'orizzonte dell'anarchismo, perché 
                  l'anarchia è un al di là, un qualcosa di più 
                  e di diverso, della democrazia, anche se, e qui condivido pienamente 
                  l'idea bertiana, democrazia e totalitarismo non solo non sono 
                  la stessa cosa, ma solo da un ampliamento e uno spostamento 
                  estremo delle libertà democratiche è possibile 
                  intravedere una società più libertaria, alzare 
                  cioè quel tasso di anarchismo che è già 
                  presente (Colin Ward) dentro le maglie soffocanti della società 
                  del dominio. In altre parole ciò che intendo sottolineare 
                  è che la democrazia non è la soluzione 
                  (casomai una soluzione) ma è un problema (nel 
                  senso che la sua messa in pratica apre una infinità di 
                  altri problemi). 
                  Terza considerazione: se è definitivamente tramontata 
                  l'illusione (non la possibilità) che la Rivoluzione possa 
                  edificare una società più libera e più 
                  giusta, è altrettanto vero che senza una rottura radicale, 
                  che si traduca in comportamenti quotidiani coerenti, con l'immaginario 
                  sociale dominante, nessun cambiamento degno di questo nome sarà 
                  mai possibile. Premesso tutto questo a partire da qui si dovrebbe, 
                  a mio avviso, discutere e verificare possibili confutazioni 
                  al testo di Berti. 
                  Lo spazio non mi permette di approfondire ulteriormente un ragionamento 
                  pacato, non ideologico, su molti altre questioni che il libro 
                  solleva. Un testo destinato a rappresentare un livello acuto 
                  e alto di riflessioni che meritano tutta la nostra considerazione 
                  e il nostro ringraziamento a chi lo ha scritto. 
                 Francesco Codello 
                
                 
                 
                
                   
                    Meglio 
                        libri 
                       
                        Editori Indipendenti in Scighera 2013. Cosa c'è 
                        meglio di un libro? 
                        A Milano, in Scighera, con la collaborazione di Edizioni 
                        Elèuthera, si apre la prima edizione di una fiera 
                        per incontrare il meglio degli editori indipendenti, case 
                        editrici che si muovono fuori dalla logica dello stretto 
                        guadagno commerciale e scelgono i titoli da pubblicare 
                        rispettando quello in cui credono e che reputano bello 
                        e importante. Sabato 30 novembre e domenica 1 dicembre, 
                        dalle 14.00 in poi, vi sarà l'esposizione delle 
                        case editrici insieme a presentazioni, reading e musica. 
                        E naturalmente i vini della Scighera e le incursioni culinarie 
                        della Locanda dell'Assurdo.  Il programma è 
                        in corso di elaborazione, ma hanno già aderito 
                        le seguenti case editrici: Agenzia X, Ambiente, BFS, DeriveApprodi, 
                        Due Punti, ek records, Elèuthera, La Fiaccola, 
                        Galzerano, Milieu, Nautilus, Nova Delphi, Ortica, Quodlibet, 
                        Sensibili alle foglie, Sicilia Libertaria, Stampa Alternativa, 
                        Zero in Condotta, La Baronata, O barra O. E altre sono 
                        in arrivo. Meglio libri insomma (che male accompagnati!). 
                       
                        Circolo Arci La Scighera, via Candiani 131, Milano, 
                         
                        (lascighera.org)  | 
                   
                 
                
  
                   
                   
                   
                
                 
                  
                     
                      |    I 
                          nostri fondi neri 
                             | 
                     
                     
                        
                           Sottoscrizioni. Alfredo Mazzucchelli (Carrara) 
                            400,00; Massimo Teti (Roma) 10,00; Igor Cardella (Palermo) 
                            10,00; a/m Musica per “A”, Enrico Bertelli 
                            (Ponzano Veneto – Tv) 250,00; Claudio Paderni 
                            (Bornato – Bs) 40,00; Gianandrea Blesio (Botticino 
                            Sera – Bs) 20,00; Veronica Pacini (Osimo – 
                            An) 10,00; Aurora e Paolo (Milano) ricordando Amelia 
                            Pastorello e Alfonso Failla, 500,00; Giovanni Orru 
                            (Nuoro) 20,00; Matthias Durchfeld (Reggio Emilia) 
                            25,00; Sergio Pozzo (Arignano – To) 20,00; Pina 
                            Mecozzi (Grottammare – Ap) 10,00; a/m Fausto 
                            Saglia (Ghiare di Berceto – Pr) sottoscrizione 
                            tra compagni e simpatizzanti della Val di Taro, 250,00; 
                            Alberto Ciampi (San Casciano Val di Pesa – Fi) 
                            ricordando Giampaolo Verdecchia, 10,00. Totale 
                            € 1.575,00. 
                          Abbonamenti sostenitori. (quando non altrimenti 
                            specificato, trattasi di euro 100,00). Patrizio 
                            Quadernucci (Bobbio – Pc); Antonio Meloni (Fara 
                            Gera d'Adda – Bg). Totale € 200,00. 
                          | 
                     
                   
                 
                 |