|   Casella 
                  Postale 
                  17120 
                 
                   Senza 
                  perdere la fedeltà a se stessa
  
                  Ho provato soddisfazione a leggere su “A”, la mia 
                  rivista preferita insieme a Via Dogana, l'articolo Un 
                  gioco da ragazze? (“A” 376, dicembre 2012/gennaio 
                  2013). 
                  I riferimenti da cui l'autrice prende slancio per il suo discorso 
                  toccano testi che hanno il pregio – raro – di fare 
                  politica vivente, di riflettere cioè, scrivendo, non 
                  per refutare il discorso altrui avendo già in mente la 
                  propria soluzione, e ancor meno di praticare una mossa di pensiero 
                  sacrificato sul saggio canonico. In quei testi riscontro la 
                  forza di una forma simbolica che mi va di esprimere in termini 
                  di politica poetica. Ma in essi c'è anche il senso di 
                  una poetica politica che mette al mondo qualche cosa di nuovo. 
                  “A” non ha mancato di dar spazio al pensiero e agli 
                  scritti politici di donne ma mai, prima di questo articolo, 
                  mi è capitato di trovarne uno, donna o maschio ne fosse 
                  l'autore, dove si cerca di dire il bene di ciò che si 
                  pensa senza bisogno di dir male, il più delle volte senza 
                  saperne, in atto e in pratica, qualcosa che vada oltre al semplice 
                  averne sentito il frastuono di straforo, per un pensiero che 
                  non “ci” conferma. Confesso che le difficoltà 
                  della mia scrittura fanno sempre i conti con questo impaccio… 
                  Mi preme allora in questa sentita letterina ringraziare Sandra 
                  D'Alessandro esprimendo una domanda. In primis, sulla 
                  conclusione – “Staremo a vedere.” – 
                  Puoi dire qualcosa ancora, perché non ti nascondo di 
                  averla avvertita come un appagato invito a guardare passivamente. 
                  E offrendo(ti) una testimonianza a mio parere significativa. 
                  Quando con Marina Terragni, alla Libreria delle donne di Milano, 
                  si è discusso sul suo libro dal titolo del quale, “Un 
                  gioco da ragazze”, è stato ricavato (redazionalmente?) 
                  quello del tuo articolo su “A” corroborato da un 
                  punto interrogativo, l'obiezione concorde al suo invito per 
                  un'entrata numericamente egualitaria – il 50 e 50 – 
                  è stato quello di invitarla a proporsi in prima persona, 
                  se quello è il suo desiderio. Al che, lei, Marina Terragni, 
                  ha risposto di non sentirsela proprio di entrare nei luoghi 
                  di quel potere... 
                  Se poi ci volesse entrare e riuscisse a starci senza perdere 
                  la fedeltà a se stessa, perché, mi sto chiedendo, 
                  non darle il sostegno di una come me che potrebbe godere, dove 
                  è impensabile per i miei tempi di anziana anarchica, 
                  di una non disprezzabile autorappresentazione d'impenitente 
                  femminista? 
                Monica Giorgi 
                  Bellinzona - Svizzera 
                
                   
                    
                  Vegani talebani? 
                   
                  Noi non abbiamo due cuori – uno per gli animali, l'altro 
                  per gli umani. Nella crudeltà verso gli uni e gli altri, 
                  l'unica differenza è la vittima. 
                  Alphonse de Lamartine 
                   
                  Sempre più frequentemente, da vegan antispecisti libertari, 
                  inorriditi dall'olocausto animale, ci sentiamo a dir poco in 
                  forte imbarazzo di fronte alle accuse di intolleranza e fanatismo 
                  che vengono appioppate a chi si limita a mostrare, spiegare 
                  ed argomentare (anche con toni accesi) quello che accade veramente 
                  agli animali non umani che vengono usati, imprigionati, sfruttati 
                  e uccisi. 
                  Il termine più in voga è “talebano”, 
                  con un evidente richiamo al fanatismo religioso di chi è 
                  disposto a uccidere, a uccidersi, a perpetrare le più 
                  crudeli forme di violenza nei confronti dell'infedele, di chi 
                  non crede nel suo stesso dio. 
                  Pare che qualcuno si sia portato via il concetto di attivismo, 
                  pare che nella mente di molti, il fatto di lottare contro un'ingiustizia, 
                  il fatto di denunciarla, di mostrare i suoi effetti pubblicamente, 
                  sia diventata una faccenda non più lecita, paragonabile, 
                  più che altro, a forme di integralismo, di guerra, di 
                  violenza. 
                  Noi siamo tra quelli che credono sia indispensabile, di fronte 
                  ad un'ingiustizia, prendere una chiara posizione e smettere 
                  subito di esserne complici. Perché un'ingiustizia non 
                  è tale solo per la vittima che la subisce direttamente. 
                  Condannare qualcuno alla pena di morte, per esempio, è 
                  una profonda ingiustizia che riguarda tutti e tutte perché 
                  trasforma la giustizia stessa in vendetta. 
                  Scandalizzarsi, arrabbiarsi, lottare perché questo non 
                  avvenga, ritenere inaccettabile che questo fatto si verifichi 
                  anche una sola volta, anche per i crimini più efferati, 
                  non potrà mai essere un atteggiamento da fanatici. E 
                  lo stesso vale per l'olocausto animale. 
                  Tutto sommato gli attivisti vegan antispecisti non sono organizzati 
                  in squadracce, non effettuano spedizioni punitive, non impediscono 
                  il libero esercizio dei pensieri, delle idee e delle pratiche 
                  altrui. 
                  Forse, alcuni di loro non comprendono come un vegan possa convivere 
                  in armonia con un carnivoro, proprio come molti, moltissimi, 
                  non riescono a comprendere come un'anarchica possa convivere 
                  in armonia con un fascista. Eppure, solo nel primo caso si viene 
                  considerati pazzi. Ma poi chi sono i pazzi? Quelli che prendono 
                  gli psicofarmaci? Quelli che ne subiscono gli effetti collaterali? 
                  È davvero paradossale che di fronte all'antispecismo 
                  che, chiaramente ed inequivocabilmente, si pone in modo non 
                  violento (nel senso che sceglie di non usare la violenza, l'imposizione 
                  e la guerra come prassi, come strategia) contro qualunque forma 
                  di dominio (sia umana che animale), si finisca per mettere l'accento 
                  su qualche episodio di intolleranza dal quale nessun movimento 
                  al mondo è mai stato immune. 
                  È davvero paradossale che di fronte alla strage di cinquecento 
                  milioni di animali non umani al giorno, ci si preoccupi, più 
                  che altro, del tono della voce di chi denuncia questa ingiustizia, 
                  del fatto che la libertà di continuare con questa strage 
                  (che prevede deportazioni, mutilazioni, prigionia) sia considerata 
                  più importante della libertà di poter vivere senza 
                  essere deportati, mutilati, imprigionati e uccisi. 
                  
                Troglodita Tribe 
                  Roccapetrona (Mc) 
                  trogloditatribe@libero.it 
                  
                 
                   I 
                  vegetariani fanno meglio all'amore 
                   
                  È apparso uno studio scientifico, serio, argomentato: 
                  ricercatori autorevoli hanno provato che noi non carnivori sotto 
                  le coperte siamo meglio. C'è anche una lunga dichiarazione 
                  di Paul McCartney, che di noi vegetariani è la bandiera 
                  canora, contro il consumo di carne che uccide il pianeta. Lo 
                  sappiamo e Paul fa bene a ricordarlo: gli ettari di terra che 
                  occorrono a saziare una mucca per ingrassarla, ettari per lo 
                  più sottratti alla foresta vergine nei paesi tropicali, 
                  coltivati a soia (praticamente tutta ogm), destinati a colture 
                  cerealicole, basterebbero a sfamare molti miliardi in più 
                  di persone. Ma, lo sappiamo, si coltiva non per nutrire il pianeta 
                  ma per rimpinguare le casse dei soliti scommettitori sui futures 
                  e derivati – ovvero, essendo gli occidentali più 
                  ricchi e acquirenti di carne, si preferisce alimentare il mercato 
                  della carne solamente perché il profitto finale risulta 
                  più alto. I consumatori dei paesi del nord del mondo 
                  spendono molto; i poveri, ai quali andrebbero soprattutto cereali 
                  e mais, non hanno la stessa immensa capacità d'acquisto, 
                  dunque, crepino di fame e si arrangino. Che la biodiversità 
                  mondiale venga massacrata, che le foreste scompaiano, vedi Brasile 
                  e Indonesia, per far posto alla soia o all'olio di palma, non 
                  interessa a chi manovra la finanza mondiale, il cibo non è 
                  un diritto ma una delle componenti, assieme al business dei 
                  fertilizzanti. 
                  Essere vegetariani spariglia le carte. Mette in discussione 
                  un modello che danneggia miliardi di persone, i cui terreni 
                  vengono espropriati con la forza dalle dittature foraggiate 
                  dai latifondisti, i terratenientes sparsi per il globo, 
                  succubi delle tre o quattro multinazionali che affidano alle 
                  polizie il compito di massacrare, in Guatemala come in Brasile 
                  e in India, ogni contadino, ogni comunità di pezzenti 
                  che osi mettersi di traverso all'esproprio delle terre, spesso 
                  le migliori, destinate ad impianti di monoculture ceralicole 
                  o di soia. 
                  Per un “democratico”, un libertario, un ecologista, 
                  sapere che diventare vegetariano, sul piano globale, spezza, 
                  allenta, allevia la pressione sui suoi simili schiacciati dalle 
                  multinazionali dovrebbe essere sufficiente ad abbandonare il 
                  consumo di carne o almeno a diminuirne sensibilmente l'uso. 
                  Essere vegetariani non è dunque una mera questione di 
                  dieta: ha un significato etico, economico e macroeconomico, 
                  porta con sé aspetti spirituali, filantropici, antispecisti, 
                  animalisti. Significa essere solidali ogni giorno con una comunità, 
                  un villaggio del sud del mondo che lotta contro la multinazionale 
                  di turno, spalleggiata da esercito e polizia, contro l'espropriazione 
                  di un terreno, di un pezzo di terra che potrebbe sfamare i campesinos 
                  del luogo. 
                  Non è possibile cianciare di nuova economia equa e solidale, 
                  di agricoltura a filiera corta, di km zero, di riduzione dei 
                  consumi, di decrescita felice se non si scioglie il nodo della 
                  fine dell'alimentazione carnea. 
                  Finché il mercato della carne sarà interamente 
                  dipendente dai grandi allevamenti, che a loro volta si riforniscono 
                  di soia e cereali nel sud del mondo, dove questi vengono prodotti 
                  a costo inferiore, non sarà possibile parlare di economia 
                  solidale. Lo scandalo repentinamente messo a tacere del Parmigiano 
                  Reggiano, che si serve di soia ogm per le sue vacche, alla faccia 
                  di ogni sbandierata “italianità” e genuinità 
                  del prodotto finale, è solamente una punta dell'iceberg 
                  colossale che vede i suoli del pianeta ridotti a pascolo passivo 
                  per le vacche. Pascoli che si erodono, perdono fertilità 
                  e humus, campi immensi che muoiono, monoculture a perdita d'occhio 
                  ove non canta un uccello, non vegeta un albero, non spunta un 
                  fiore. 
                  Il deserto sopraggiunge e poi... altrove a disboscare, a strappare 
                  con la violenza, se è il caso, terra per nuovi pascoli. 
                  Non è possibile bendarsi gli occhi e continuare a definirsi 
                  democratici, non è proprio più possibile. Essere 
                  vegetariani significa porre la questione sul proprio tavolo, 
                  ogni giorno, smetterla con le scuse, prendere di petto la faccenda 
                  e dire “io ne sono fuori”. Meglio ancora se si arriva 
                  all'autoproduzione, alla creazione di orti urbani collettivi, 
                  alla pratica di ecovillaggi diffusi, alla tessitura di una rete 
                  di contadini e cittadini senza padroni, ove la libertà 
                  venga intesa come presa di coscienza seria ed equilibrata del 
                  nostro peso di occidentali viventi nel ventre della bestia, 
                  noi che abbiamo una parvenza di democrazia, di libertà 
                  che milioni di campesinos non hanno e che sognano. 
                  Noi possiamo decidere cosa e come mangiare, cosa e come acquistare: 
                  qui, in occidente, ancora è possibile pensare e consumare, 
                  produrre diversamente. È dunque un dovere porsi queste 
                  questioni. Nessuno può chiamarsi fuori. 
                  Se poi vengono pure a raccontarci che essere vegetariani – 
                  ma lo sapevo, sono vegetariano da trent'anni... – significa 
                  anche fare meglio all'amore... E per forza: nelle carni, specie 
                  i salumi, c'è una concentrazione di nitrit, di purina, 
                  cadaverina e adrenalina che affaticando i reni, impediscono 
                  o rallentano, nel migliore dei casi, le spinte necessarie al 
                  sesso. E tra le altre cose le carni richiedono al nostro organismo 
                  una quantità di energia incredibile per essere assimilate. 
                  Queste sono cose che conoscevo già, si sapevano, i vegetariani 
                  le hanno sempre sapute. 
                  Essere vegetariani significa fare meglio all'amore con il pianeta 
                  intero, essere vegetariani significa porsi il problema non solamente 
                  dei nostri amici e fratelli animali ammazzati a milioni in silenzio 
                  senza necessità alcuna, significa porsi la questione 
                  di milioni di nostri fratelli contadini espropriati, schiacciati, 
                  come è successo soltanto qualche mese fa in Guatemala. 
                  Se essere vegetariani significa far meglio all'amore, facciamolo 
                  questo amore ma facciamolo col cuore e con la mente. Essere 
                  vegetariani significa volersi bene, se si unisce a questa consapevolezza 
                  una pratica di orto biologica, uno stile di vita sobrio, se 
                  si pratica una decrescita felice dei bisogni falsamente indotti 
                  dalla fabbrica pubblicitaria, davvero si può affermare 
                  che stiamo facendo all'amore col pianeta e sappiamo tutti, basta 
                  aprire la finestra e respirare i gas di scarico delle nostre 
                  città, quanto ce ne sia bisogno. 
                 Teodoro Margarita 
                  Asso (Co) 
                   
                 
                 Dibattito 
                  Libertà senza Rivoluzione/1  
                   
                    
                  Libertà, uguaglianza e solidarietà: una triade 
                  inscindibile 
                   
                  Per essere chiari: Libertà senza rivoluzione di 
                  Giampietro “Nico” Berti (Lacaita editore, 2012) 
                  è un testo cruciale, un testo che, almeno nell'ambito 
                  del pensiero libertario e anarchico degli ultimi decenni, ha 
                  pochi termini di paragone per la radicalità e vastità 
                  dell'elaborazione, anche se questo non toglie che, dal punto 
                  di vista letterario, esso si riveli assai leggibile, tale tanto 
                  per la passione che traspare da ogni pagina quanto per lo stile 
                  impiegato, tant'è che lo si potrebbe quasi definire un 
                  trattato scritto come un pamphlet. Ciò che, in 
                  ogni caso, rende questa un'opera necessaria è il fatto 
                  che attraverso di essa Berti affronta l'elaborazione di una 
                  filosofia politica per e dell'anarchismo, così 
                  impegnandosi nel terreno in cui gran parte del pensiero anarchico 
                  e libertario ha spesso mostrato la corda, seguendo (laddove 
                  ha almeno avuto il merito e la sensibilità di capire 
                  l'ineludibilità e la centralità del problema) 
                  ora questa ora quella impostazione teoretica e riuscendo solo 
                  abbastanza raramente, in particolare negli ultimi decenni, a 
                  produrre elaborazioni originali e, soprattutto, convincenti. 
                  Questo è invece, come detto, il terreno su cui Berti 
                  incentra le sue riflessioni e analisi, che in tal modo affrontano, 
                  solo per citare i temi portanti, la natura e il fondamento della 
                  libertà, il problema della rivoluzione come fatto storico-politico 
                  e la follia del porla come snodo cruciale concettuale e pratico, 
                  la questione storico-filosofica del marxismo e del comunismo 
                  e il significato del suo agire concreto così come della 
                  sua fine, la nascita e la natura del capitalismo e il portato 
                  storico della vittoria che esso ha realizzato sul comunismo, 
                  la crisi epocale dei movimenti operai. 
                  Tutto il discorso gira, ovviamente, attorno al nodo dell'anarchismo, 
                  la cui specificità, dice giustamente Berti, non si trova 
                  tanto nel postulare una società anarchica, quanto soprattutto 
                  nella particolare e originale interpretazione e articolazione 
                  che esso ha dato alle idee di libertà, di eguaglianza 
                  e di solidarietà, delle quali proprio l'anarchismo ha 
                  mostrato l'inscindibilità reciproca. Berti muove anzi 
                  dalla costatazione, assunta senza consolatori pannicelli caldi, 
                  della crisi strutturale che l'anarchismo stesso vive 
                  oggi e la collega in particolar modo al fundus assolutizzante 
                  e di fatto religioso che, prendendo la forma del rivoluzionarismo 
                  e di un anticapitalismo aprioristico, praticamente e concettualmente 
                  avrebbe impedito all'anarchismo di cogliere (anche laddove, 
                  come nella Spagna del 1936, gli anarchici si trovarono ad essere 
                  la forza determinante) la natura e la non trascendibilità 
                  della dimensione politica, in particolare di quella dischiusa 
                  dalle liberal-democrazie. 
                  Muovendo da tutto ciò e dal novum che il nostro 
                  tempo per moltissimi aspetti rappresenta (anche se sono molti 
                  che sembrano non capirlo, non solo in ambito anarchico), Berti 
                  avanza – molto sommariamente – l'ipotesi di un di 
                  anarchismo di fatto politico che, cancellato ogni rivoluzionarismo, 
                  ogni ubbia di “autenticità”, così 
                  come ogni anticapitalismo in quanto conditio sine qua non 
                  pratica e concettuale, sappia coniugare Immanuel Kant (“La 
                  mia libertà finisce dove comincia la libertà altrui”) 
                  e Michail Bakunin (“Nessuno è libero se tutti non 
                  lo sono, perché la mia libertà si completa nella 
                  libertà altrui”), agendo concretamente all'interno 
                  del farsi della società senza volere, e senza pensare 
                  di, dirigerla verso fini astrattamente prefissati. 
                  Come è facile intuire da quanto sopra tratteggiato (e 
                  sulle cui linee di fondo il sottoscritto concorda) Berti dà 
                  vita a un percorso assai vasto e complesso che, proprio in quanto 
                  tale, a sua volta non può non suscitare tematizzazioni 
                  e riflessioni, anche radicalmente critiche. 
                  La prima di esse, per la centralità che ha nel pensiero 
                  anarchico e nel discorso di Berti, non può che riguardare 
                  la libertà e la sua natura filosofica e antropologica. 
                  Egli, infatti, regge tutto il suo ragionamento sulla affermazione 
                  forte che gli essere umani sono ontologicamente liberi perché 
                  ontologicamente libera sarebbe la loro coscienza – ed 
                  è proprio per questo che possono pensare a come esserlo 
                  anche politicamente e socialmente –, ma non chiarisce 
                  né cosa sia detta coscienza, né il come e il perché 
                  essa si presti troppo spesso, come la storia umana dimostra, 
                  a negare nei fatti questa ontologica libertà, una negazione 
                  visibile soprattutto nei modi e nelle forme assunte da troppe 
                  società umane (si pensi alla facilità con cui 
                  i totalitarismi moderni hanno trionfato). Correlativa a ciò 
                  è la concezione della politica, che per Berti, un po' 
                  troppo recisamente, pare sostanzialmente coincidere con la sola 
                  dimensione “machiavelliana”, per la quale, come 
                  noto, la politica si identifica di fatto col potere e con la 
                  lotta per conquistarlo, mentre il potere stesso è inteso 
                  come sostanzialmente avulso da ogni altro elemento socio-culturale. 
                  Questo rimanda direttamente alla natura della modernità 
                  e della particolare razionalità che essa ha inaugurato, 
                  temi rispetto ai quali quel che Berti dice è se non altro 
                  parziale, visto che egli non pare pienamente cogliere la dimensione 
                  costruttivistica che, piaccia o no, proprio la razionalità 
                  moderna ha inaugurato. Infine, non sempre chiare sono le affermazioni 
                  sulla natura della tradizione anarchica, sulle passioni che 
                  definirebbero gli esseri umani come tali, sull'individualismo. 
                  Chi scrive trova sostanzialmente da respingere, invece, quasi 
                  tutte le analisi e le prese di posizione bertiane circa il post-strutturalismo, 
                  il “post-anarchismo”, il relativismo culturale, 
                  l'immaginario sociale, il libertarismo alla Nozick, destra, 
                  sinistra e altro ancora, ma questo non cambia il fatto che un 
                  anarchismo che oggi voglia essere seriamente e meditatamente 
                  libertario, e non solamente e semplicisticamente ribellistico, 
                  non possa evitare di porre al centro di qualsiasi elaborazione 
                  le riflessioni di Berti. Come afferma una nota sentenza, infatti, 
                  da ora in poi si può pensare con o contro Libertà 
                  senza Rivoluzione, non senza di esso. 
                  
                Franco Melandri 
                  Forlì 
                 
                  
                 Dibattito 
                  Libertà senza Rivoluzione/2 
                   
                    
                  Domenico Letizia/Oltre il capitalismo (non 
                  contro) 
                   
                  Anche il pensiero anarchico è oggetto di “revisione”. 
                  La riflessione che produce l'ultimo volume di Nico Berti, uno 
                  dei più grandi storici e teorici dell'anarchismo, non 
                  può che meritare attenzione, soprattutto, per l'analisi 
                  di essenziali fenomeni e concetti che, per la prima volta, vengono 
                  considerati davvero da una prospettiva libertaria, parlo del 
                  comunismo, del capitalismo e del concetto etico-storico di rivoluzione. 
                  Nessun serio pensatore può negare che l'anarchismo si 
                  trova oggi ad affrontare, dopo la sconfitta del comunismo da 
                  parte del capitalismo, la fine della prospettiva rivoluzionaria 
                  concepita come rovesciamento radicale dell'esistente canalizzata 
                  su una prospettiva anticapitalista. 
                  Ogni volta che si analizza la storia non si può che costatare 
                  che la libertà non è la rivoluzione, la presunta 
                  verità forte della rivoluzione deriva dalla convinzione, 
                  da parte dei rivoluzionari di professione, di aver avanti solo 
                  una possibile trasformazione radicale dell'esistente attraverso 
                  un atto decisivo forte ed autoritario, ogni atto che pretende 
                  di essere risolutore è intrinsecamente totalitario. Berti 
                  si sofferma ad analizzare tutti i maggiori fenomeni rivoluzionari 
                  avvenuti, concludendo che se non accompagnati da un ethos liberale 
                  essi rappresentano la peggior forma di totalitarismo che un 
                  regime politico possa produrre. Anche se non viene citato, Berti 
                  sembra aver approfondito il pensiero dello storiografo Reinhart 
                  Koselleck, che nell'analizzare il fenomeno della rivoluzione 
                  e dell'etica che accompagna un rivoluzionario, ci ricorda come 
                  tale fenomeno possa essere la giustificazione più penetrante 
                  ad ogni crimine umano. Il rivoluzionario di professione è 
                  convinto interiormente di lavorare per il giusto, anche se costretto 
                  a compiere scelte radicali che comprendono lo sterminio e la 
                  morte di decine di individui, tutto è giustificato e 
                  superato poiché si lavora per la rivoluzione. 
                  La Rivoluzione, quando avviene, crea un vuoto di potere (non 
                  il suo annullamento) che i rivoluzionari colmano con un potere 
                  molto più forte del precedente, unico modo per evitare 
                  che la storia torni indietro e sfugga loro di mano. Il fenomeno 
                  della rivoluzione è stato sempre accompagnato alla realizzazione 
                  della società comunista e la convinzione, da parte della 
                  sinistra, che il progetto comunista andava sostenuto accelerandone 
                  la realizzazione. 
                  Il primo esperimento al mondo dell'abolizione della proprietà 
                  privata e del mercato sancisce (Urss), con la sua catastrofe, 
                  la vittoria della logica liberale e capitalista. Analizziamo 
                  bene il proseguire di tale ragionamento, ciò che Berti 
                  cerca di far risaltare non è l'immensa bontà del 
                  capitalismo moderno (lungi da noi tale considerazione) ma l'analisi 
                  storica politica del fenomeno comunista e del fenomeno capitalista. 
                  Per Stirner il comunismo è l'ultima espressione religiosa 
                  della storia umana, la terminale forma storica del sacro, l'estrema 
                  domanda di ri-significazione del mondo perché vuole fare 
                  coincidere la verità dell'uomo con la verità della 
                  società (Stirner rifiuta il concetto di società 
                  accettando solo quello di individuo) e queste, a loro volta, 
                  con la verità del divenire storico. Dove risiede quella 
                  forza etica del capitalismo, nella storia, che il comunismo 
                  non ha mai avuto? Nella storia e nei processi storici. 
                  Il capitalismo si è sviluppato come processo, è 
                  un fenomeno e come tale non può essere abbattuto, ma 
                  superato. Nessuno ha mai pensato di voler abbattere il Medioevo, 
                  poiché tale “periodo storico” non è 
                  un progetto ma un processo storico, naturale conseguenza dei 
                  mutamenti sociali ed economici delle società. La forza 
                  del capitalismo e inevitabilmente il suo superamento risiede 
                  nell'essere un fenomeno, un processo, mentre il comunismo rappresenta 
                  un progetto che ha miseramente fallito. Il comunismo dovrebbe 
                  accadere, il capitalismo è accaduto. In tale processo 
                  come deve porsi l'anarchismo e il metodo anarchico? In tale 
                  approccio vi è la forza “innovativa” della 
                  proposta di Berti. La sconfitta del comunismo è la vittoria 
                  del capitalismo, ma non la vittoria tout court del capitalismo. 
                  L'anarchismo fino alla rivoluzione spagnola ha rappresentato 
                  una parte viva ed importante, ove più ove meno, della 
                  società. 
                  Ora l'anarchismo, inteso come movimento storico, non rappresenta 
                  che se stesso. L'anarchismo dovrebbe partire dal presupposto 
                  che la liberal-democrazia deve essere analizzata come realtà 
                  non prescindibile, poiché la sua eliminabilità 
                  non va auspicata dal momento che la sua esistenza è la 
                  condizione storica stessa per il suo superamento in direzione 
                  anarchica. 
                  Bisogna lavorare e pensare all'anarchismo come un qualcosa che 
                  viene dopo la liberal-democrazia, il passo successivo, l'anarchismo 
                  ha la possibilità di divenire protagonista se si auto-pensa 
                  e auto-pone dopo la liberal-democrazia e non contro la liberal-democrazia. 
                  L'anarchismo ha il compito di proporsi oltre il capitalismo 
                  e non contro il capitalismo, sostenendo una possibilità 
                  della libertà, non un punto di vista riformista, ecco 
                  perché bisogna insistere sui nessi che uniscono l'idea 
                  anarchica a quella liberale a quella democratica; insistere 
                  cioè sul rapporto politico che passa tra chi propugna 
                  di limitare il potere (liberalismo) e chi propone di estendere 
                  il potere a tutti (democrazia). Sappiamo che la soluzione liberale 
                  e quella democratica avallano un sistema di potere. Ma questo 
                  non è un buon motivo per non porre il problema teorico 
                  politico di tale connessione. 
                  Come ha espresso l'intellettuale libertario francese, Michel 
                  Onfray: “lo scambio è alla base di tutte le società 
                  esistenti, perché allora non provare con la formula anarchica 
                  ed economicamente laica (sostenuta ad esempio da Proudhon) da 
                  reinventare per i nostri tempi?” Una rivoluzione senza 
                  sangue e senza fili spinati, una rivoluzione senza rivoluzione. 
                  
                Domenico Letizia 
                  Maddaloni (Ci) 
                   
                 
                 
                   
                    
                  Umberto Del Grande, un anarchico “pulito” 
                   
                  Umberto Del Grande è stato un anarchico, un compagno, 
                  un fratello. Attivo nel movimento anarchico milanese sul finire 
                  degli anni '60, era – tra l'altro con Pino Pinelli – 
                  membro della Crocenera Anarchica, impegnato nella solidarietà 
                  con i compagni arrestati, nella campagna di controinformazione, 
                  nei contatti con gli avvocati, ecc. è stato anche il 
                  “proprietario legale” di questa rivista nei suoi 
                  primi anni, prima che costituissimo la cooperativa Editrice 
                  A.  
                  Il giornalista Gianni Barbacetto, in un suo scritto di 10 
                  anni fa (che ci era sfuggito) e ora riproposto, lo definiva 
                  “in collegamento con i fascisti di Ordine Nuovo”. 
                  Non è vero. Punto. 
                  Volentieri pubblichiamo questa lettera di Enrico Maltini, 
                  anche lui membro di Crocenera Anarchica in quegli anni e co-autore 
                  del libro su Pinelli, di imminente uscita per i tipi di Zero 
                  in Condotta, di cui proprio in questo numero pubblichiamo alcuni 
                  stralci. 
                 la redazione di “A” 
                 Su Indymedia di pochi giorni fa il giornalista Gianni Barbacetto 
                  ha ripubblicato il testo di un suo articolo del 2003 sulla sentenza 
                  Bertoli, relativa alla strage della questura di Milano del 1973. 
                  Nel testo si legge una frase assai sgradevole riferita al nostro 
                  compagno Umberto Del Grande, che è morto anni orsono 
                  e non può replicare. Lo facciamo noi per lui. Nella frase 
                  si legge: “C'era Umberto Del Grande, editore della rivista 
                  Anarchia, ma anche in collegamento con i fascisti di Ordine 
                  Nuovo di Verona...” 
                  Si può supporre che Barbacetto abbia ricavato questa 
                  notizia dal testo dei motivi del ricorso per Cassazione contro 
                  una sentenza del 28.09. 2002 nei confronti di vari personaggi 
                  di destra, tra cui Boffelli, Spiazzi, Neami ecc., da parte del 
                  sostituto Procuratore Generale Laura Bertolè Viale. Nel 
                  ricorso si legge la frase seguente: “Del Grande figurava 
                  come editore della rivista “Anarchia”, ma era in 
                  stretto collegamento con un appartenente a Ordine Nuovo di Verona...” 
                  L'appartenente ad Ordine Nuovo cui si riferisce il sostituto 
                  Procuratore è Marcello Soffiati, noto estremista nero 
                  di Verona. Da dove trae origine quell'affermazione? 
                  In una lunga informativa della Digos di Venezia in data 4.06.1997 
                  inviata all'ufficio istruzioni del tribunale di Milano (dott. 
                  Lombardi) si citano i risultati di una perquisizione effettuata 
                  nell'abitazione di Soffiati, tra questi si legge ai punti 46.1 
                  e 46.2: 
                  Soffiati Marcello perquisizioni 
                  46.1 Nel borsello ritrovato (si riferisce ad un “fortuito 
                  ritrovamento del borsello del Soffiati”, n.d.r.) vennero 
                  anche rinvenuti appunti relativi a notizie su persone ed organizzazioni 
                  di opposto colore politico, oggetto peraltro di successivi accertamenti, 
                  per i quali si richiama quanto contenuto nella nota di codesta 
                  A G, a cui si fa riferimento. 
                  46.2 Si precisa che tra i cennati appunti – due pagine 
                  dattiloscritte con annotazioni a penna di aggiornamento – 
                  figura anche il nominativo di Umberto Del Grande, titolare della 
                  “Redazione ed Amministrazione Editrice” di Milano, 
                  con utenza telefonica 2896627, che viene indicato in contatto 
                  con i suddetti ed i successivi elencati” 
                  46.3 Si deduce quindi che, anche alla luce di quanto emerso 
                  successivamente nei confronti del Soffiati Marcello, i nomi 
                  e le ditte elencate nei due fogli dattiloscritti non fossero 
                  altro che una sua normale attività da svolgere. 
                   
                  Dunque una schedatura di nemici politici, attività allora 
                  molto frequente. 
                  Inutile dire che lasciamo a Barbacetto la responsabilità 
                  di ciò che scrive. 
                 Enrico Maltini 
                  Milano 
                         
                 
                  
                     
                      |    I 
                          nostri fondi neri 
                             | 
                     
                     
                        
                           Sottoscrizioni. Giovanni Baccaro (Padova) 
                            20,00; Gianluigi Coreti (Bergamo) 10,00; Mariella 
                            Bernardini e Massimo Varengo (Milano) 20,00; Valeria 
                            Nonni (Ravenna) 101,00; Fulvio Casarà (Venasca 
                            – Cn) 10,00; Aurora e Paolo (Milano) ricordando 
                            Alfonso Failla e Amelia Pastorello, 500,00; Alessandro 
                            Natoli (Cogliate – Mb) 20,00; Davide Turcato 
                            (Vancouver – Canada) 100,00; Mirko Piras (Nulvi 
                            – Ss) 10,00; Luis Gonzales (Bruxelles – 
                            Belgio) 500,00; Paolo Paolucci (Chieti), 20,00; Davide 
                            Rossi (Casorate Sempione – Va) 10,00; Lorenzo 
                            Brivio (Besana – Mb) 20,00; Ettore Delorenzi 
                            (Lugano – Svizzera) 10,00: Gianni Ricchini (Verbania) 
                            20,00; Domenico Angelino (Sant'Antimo – Na) 
                            20,00; Francesco Gava (Monfalcone – Go) 10,00; 
                            Francesco Cherubini (Firenze) 20,00; Massimo Scarfagna 
                            (Valiano – Si) 20,00; Emiliano Sghedoni (Campagnola 
                            Emilia - Re) 20,00; Giorgio Nanni (Lodi) 20,00; Sergio 
                            Pozzo (Arignano – To) 20,00; Michele Pansa (Tropea 
                            – VV) 20,00; Nunzio Cunico (Cresole-Caldogno 
                            – Vi) 5,00; Gesino Torres (Santo Spirito – 
                            Ba) 20,00; Carlo Ghirardato (Roma) 6,00; Paolo Caccia 
                            (Genova) 50,00; Simone Mor (Brescia) 10,00; Antonio 
                            Costa (Bologna) 20.00; Claudio Neri (Roma) 40,00; 
                            Arcangelo Piciullo (San Giovanni Dosso – Mn) 
                            5.00; Pierluca Oldani (Casorezzo – Mi) 42,00; 
                            Ivano Sallusti (Guidonia Montecelio – Rm) 10,00; 
                            Franco Schirone (Milano) 100,00; Federico Battistutta 
                            (Gropparello – Pc) 30,00; Domenico Sabino (Nocera 
                            Inferiore – Sa) 30,00; Pietro Ferrua (Portland 
                            – USA) 40,00. Totale € 1.935,00. 
                          Abbonamenti sostenitori. (quando non altrimenti 
                            specificato, trattasi di euro 100,00). Selva 
                            Varengo e Davide Bianco (Lugano – Svizzera); 
                            Fiorella Mastrandrea e Amedeo Pedrini (Brindisi); 
                            Luca Todini (Brufa-Torgiano – Pg) 150,00; Tommaso 
                            Bressan (Forlì) 150,00; Silvano Montanari (San 
                            Giovanni in Persiceto – Bo); Francesco Barba 
                            (Villanuova sul Clisi - Bs) 150,00; Giancarlo Baldassi 
                            (Sedegliano - Ud); Tomaso Panattoni (Milano); Gianfrancesco 
                            Di Nardo (Roma); Manuele Rampazzo (Padova); Paolo 
                            Zonzini (Borgo Maggiore – Repubblica di San 
                            Marino); Giordana Garavini (Castel Bolognese – 
                            Ra); Giuseppe Anello (Roma); Tiziano Viganò 
                            (Casatenovo – Lc); Giancarlo Gioia (Grottammare 
                            – Ap); Fausto Franzoni (Pianoro – Bo); 
                            Fulvia De Michiel (Belluno); Silvio Gori (Bergamo) 
                            ricordando Egisto e Marina Gori; Pierluca Oldani (Casorezzo 
                            – Mi); Centro A Ordine Sparso - CAOS (Genova); 
                            Massimo Ortalli (Imola); Arturo Schwarz (Milano) 150,00. 
                            Totale € 2.400,00 
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