Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 11 nr. 91
aprile 1981


Rivista Anarchica Online

Spagna ventre a terra
di Carlos Semprun Maura

Mai lo spettacolo della politica aveva raggiunto un tale livello di ridicolo. Una bella sera di febbraio - il 23 - duecento guardie civili ubriache e armate penetrano come un vortice nelle Cortes spagnole, urlano, vociferano, insultano, sparano in aria e fanno prigionieri tutti i deputati e membri del governo uscente....
Ora, la televisione era là. Si conosce il ruolo primordiale della T.V. nella politica-spettacolo, la sola politica reale nelle nostre democrazie occidentali (1). Dunque la televisione era al ballo e l'indomani e per tre quarti d'ora tutti gli spagnoli hanno potuto contemplare i banchi vuoti e immaginare i "rappresentanti del popolo" stesi ventre a terra mangiare la moquette color vinaccia del parlamento. Spettacolo grandioso che ha traumatizzato molti e le cui conseguenze sono per ora incalcolabili. Poiché lo sciovinismo è duro a morire in Spagna, alcuni commentatori hanno tentato in seguito di gonfiare i meriti di qualche caso isolato dovuto più al nervosismo che al coraggio, al fine di attenuare la portata di queste immagini. Fatica inutile, tutto il mondo li ha visti ventre a terra. Ed essendo la classe in generale e i deputati in particolare già poco popolari, si possono immaginare i commenti nelle nostre case...
Sia detto en passant, io non sono di quelli per cui il coraggio fisico è la prima esigenza. Nel caso di uomini politici e in molti altri il coraggio intellettuale mi sembra oltremodo importante e raro. Ma, tuttavia...
Ugualmente sono state gonfiate in tutti i modi le manifestazioni in difesa della Costituzione che hanno avuto luogo in molte città il venerdì successivo a questo lunedì nero (da qualunque lato lo si prenda, resta nero). Innanzitutto si è di molto esagerato il numero dei partecipanti. Per chi conosce bene sia le manifestazioni di massa che le strade di Madrid (ad esempio) le cifre fornite sono infinitamente superiori alla realtà. Ma questo non è essenziale. Io non dubito minimamente che, anche se fossero stati più di un milione, i manifestanti madrileni avrebbero tentato con questa sfilata di lavare con molta acqua - catarsi rituale - l'immensa fifa dei giorni precedenti. Perché - e che Monsieur de la Palisse mi perdoni - era la sera del 23 febbraio che sarebbe stato necessario manifestare. Mentre, come tutti sanno, niente fu fatto. Peggio - e qui tutte le testimonianze concordano - quella sera fatidica i madrileni si rinchiusero nelle loro case, battendo i denti, i locali delle organizzazioni politiche e sindacali chiusero le loro porte a doppia mandata, molti dei "responsabili" si misero a cercare in tutta fretta un nascondiglio.... E così via.
Io credo che prima di quella del re una sola voce si sentì in quella notte di panico per raccomandare la calma e lottare contro la paura, quella di Jordi Pujol, presidente della Generalitat di Catalogna e grande borghese liberale (sembra che in Catalogna, sebbene non ci sia stata una reazione popolare maggiore che altrove, il panico fosse minore). Poi il re parlò e tutto rientrò nell'"ordine costituzionale". Qui il parallelo con De Gaulle e i generali ribelli di Algeri è evidente, ma non ci aiuta per niente a comprendere ciò che sta avvenendo in Spagna.
In un certo senso non può certo dispiacere che i militari spagnoli non abbiano dimostrato in questa occasione un eccessivo coraggio. Al re è stato sufficiente dire no alla rivolta perché quel soldataccio di Milan del Bosch facesse rientrare i suoi carri armati e perché altri militari, pronti a rovesciarsi nel golpe, si sgonfiassero. Solo Tejero e le sue guardie civili hanno resistito - oh, qualche ora! - alle Cortes. Ma non illudiamoci: a partire dal momento in cui il re ha parlato essi stessi sono diventati ostaggi dei loro ostaggi e non cercavano null'altro che negoziare una "resa onorevole", anche se - in termini cinici di tattica terrorista - essi avevano con le signore e i signori deputati, stesi a terra o seduti, una preziosa "moneta di scambio". Niente. Tanto meglio, dopotutto, tanto meglio. Io non sono sanguinario.
Molte cose restano oscure rispetto all'atteggiamento di molti capi militari rispetto al golpe. Ma una cosa per me è certa: la maggioranza dell'esercito è fedele al re. Essa l'ha provato una volta di più. Ma da questo a dire che essa sia soddisfatta della situazione socio-politica spagnola - soprattutto del Paese Basco - c'è un abisso che io mi guarderò bene dal varcare.
Ho più volte avuto l'occasione di scrivere che la sinistra spagnola - o "l'opposizione antifranchista storica" -, incapace ieri di rovesciare il regime o anche solo di colpirlo seriamente, si era rivelata incapace, dopo la morte di Franco, di proporre una alternativa credibile ai cambiamenti voluti e concessi dal re. Nel contesto attuale mi sembra importante insistere: ciò che è considerato come sinistra in Spagna non è stato capace di conquistare niente nel campo della democrazia politica, tutto gli è stato concesso per grazia reale. Proprio per questo, non ci si deve stupire troppo della sua totale assenza la notte del putsch. In questa occasione essa ha dato la più fantastica dimostrazione - fino ad ora - della sua impotenza e della sua paura.
Io non sono di quelli che confondono demagogicamente "sinistra" e "popolo", ma bisogna anche constatare che anche il popolo era assente. Nessuna manifestazione spontanea ha supplito, come in altre e lontane circostanze, l'assenza delle organizzazioni "democratiche". Perché? Se la paura ha giocato anch'essa il suo ruolo per "l'uomo della strada", altre considerazioni si mescolano e innanzitutto la disillusione, dipinta di disgusto, nei confronti della classe politica. Gli spagnoli di fronte a mille problemi (inflazione, disoccupazione, ecc.) e sempre più stanchi del terrorismo, si staccano con disprezzo dai partiti e dagli uomini politici da cui avevano sperato, a torto, mari e monti ancora tre o quattro anni fa. Dall'assenteismo massiccio (50% circa, in media), all'indifferenza davanti all'attacco delle Cortes, il legame non è forse diretto, comunque esiste. Questo disgusto crescente verso i rituali derisori della politica potrebbe essere positivo, a condizione che i cittadini prendano in mano le loro cose, le loro battaglie, senza attendere o seguire le direttive dei partiti e dei sindacati. Non è così (ancora?), salvo in alcuni conflitti localizzati (scioperi autogestiti, azioni di disoccupati in Andalusia, ad esempio). Si può dunque logicamente temere che il qualunquismo si estenda fino a considerare non solo che Sotelo o Suarez o Gonzales sono la stessa cosa, ma che dittatura militare o democrazia parlamentare lo sono altrettanto.
Così un pugno, qualche centinaia, di terroristi baschi starebbero disarticolando la fragile ed infantile democrazia spagnola? Quello che è certo è che essi sono ben aiutati, perché tutto il mondo tenta di approfittarne, di fare pressione e di ricattare strumentalizzando il "terrorismo" per far sfociare inconfessabili interessi di clan. Capri espiatori di tutti i mali della Spagna attuale, i più separatisti baschi si vedono anche paradossalmente confortati nella loro intransigenza. "Essi ci rifiutano. Noi li rifiutiamo. Sola via d'uscita: lotta armata per l'indipendenza". Ragionamento semplicistico, ma popolare presso i baschi.
La sinistra, anche qui, e qui più che altrove, è colpevole perché è proprio nei "punti caldi" che sarebbe stato necessario dare prova di immaginazione e di audacia e proporre - dal suo punto di vista - un'altra politica, più democratica (il paese basco non è il solo "punto caldo", ve ne sono ben altri nei settori economici, sociali, culturali, senza parlare dei costumi e della legislazione sempre arcaica su questi problemi). Invece i partiti della sinistra rispettosa si sono accontentati di seguire il movimento indicato dai successivi governi (2). Questi partiti sembrano aver dimenticato che il problema basco è innanzitutto un'eredità del franchismo, che durante quarant'anni si è accanito contro le minoranze nazionali iberiche. Se il franchismo non è il creatore del nazionalismo basco, che gli è precedente, ha comunque fortemente contribuito alla sua pugnacità attuale. Ma, direte voi, non si è comunque pervenuti all'autonomia? Certo, ma si è tardato troppo e il contenuto di questa autonomia è limitato.
Per paura dell'esercito, della destra, del nazionalismo spagnolo e per pregiudizi centralisti, il potere si è impegnato in un troppo lento, troppo prudente processo di autonomie, sempre perseguendo la repressione. Ciò ha deluso e irritato molti baschi, che si erano fatti troppe illusioni sui regali della fata democrazia e hanno favorito uno sviluppo straordinario del fanatismo nazionale e del terrorismo. Per contraccolpo, questo aggravarsi del terrorismo ha profondamente scontentato l'esercito, la destra, il nazionalismo spagnolo e i pregiudizi centralisti, che mi sembrano oggi più ostili di cinque anni fa all'idea stessa d'autonomia. In breve, volendo scontentare il meno possibile, si sono scontentati tutti e si è così aggravata la classica spirale di morte: terrorismo-repressione-terrorismo, di cui non si vede la fine (3). Per ciò che concerne il contenuto delle autonomie - e senza entrare nel dettaglio - mi limiterò a segnalare che ci si è accontentati di impiantare dei mini-stati fantoccio (basco, catalano, ecc.) a fianco dello stato centrale che conserva, checché se ne dica, le sue prerogative. Si è così raddoppiata la burocrazia statale centrale con le burocrazie "nazionali", concedendo certamente qualche cosa al simbolismo nazionale (bandiere, lingua, ecc.).
Invece, la questione delle autonomie avrebbe potuto dare luogo a un vasto movimento per imporre una vera decentralizzazione democratica e federalista, in cui la specificità dei diversi popoli avrebbe potuto esprimersi e grazie alla quale lo stato sarebbe arretrato. Niente di tutto questo, poiché tutta la gente si è lasciata prendere dal cerchio vizioso del nazionalismo - baschi contro spagnoli e viceversa. Così per mascherare qui come altrove la loro impotenza, gli uomini politici e la stampa di "sinistra" hanno voluto esorcizzare il complesso problema politico del Paese Basco affrontandolo come un problema di banditismo e di criminalità.

Ad ascoltare questi discorsi e a leggere questi giornali non vi sarebbe alcun problema nazionale nel paese basco, essendo stato tutto sistemato dall'autonomia e dalla democrazia. Se il terrorismo persiste è semplicemente a causa di alcuni folli criminali e di alcuni banditi di strada che bisogna uccidere senza esitazioni né ritardi. Questa propaganda tanto massiccia quanto reazionaria nella bocca o nella penna di uomini cosidetti di sinistra porta un'acqua insperata al mulino di militari, poliziotti, ultras in generale, partigiani della repressione a oltranza. Perché, siamo chiari, se non si affronta il problema politico dei diritti dell'uomo e dei popoli a disporre di se stessi (e il fanatismo e i crimini sempre più odiosi dell'ETA militare non cambiano nulla al fatto che si tratta di veri problemi), se tutto si riduce a una operazione di polizia come dichiarano, tra gli altri, Santiago Carrillo o Cambio 16, (4) allora, signori politicanti, lasciate il posto agli specialisti della repressione, inviamo là i battaglioni militari, fuciliamo tutti i simpatizzanti conosciuti - o sconosciuti - delle due ETA, instauriamo lo stato di guerra e bando alle fandonie! Dopotutto non era ciò che volevano Milan del Bosch, Tejero, le sue guardie civili e i suoi amici... inadempienti?
In questo paesaggio desertico - politicanti addormentati, sinistra assente, popolo per il momento muto e reticente - la silhouette del re in grande uniforme si distacca e assume sempre più importanza. Troppa. Ma anche questa non è cosa nuova. Dopotutto è proprio il re, e non qualcun altro, che ha portato la democrazia parlamentare sulle fonti battesimali. Ed ora che il re e il "suo" esercito tengono il proscenio, in mancanza di altri attori, cosa succederà? La domanda posta da tutte le parti a proposito del colpo di stato del 23 febbraio era: si tratta di una "prova generale" o di un ultimo soprassalto del franchismo? La domanda mi sembra mal posta.
Stando all'evidenza Milan del Bosch e Tejero volevano un impossibile ritorno all'indietro. Impossibile perché senza Franco non può più esservi franchismo. Se il suo regime rappresentava una Spagna profonda - bigotta, sciovinista, militarista ecc. - che non è ancora morta, vi erano inoltre dei tratti particolari, dovuti al carisma del capo, al "culto della personalità" per il fondatore rappresentante la legittimità e la "grandezza nazionale". Oggi colui che rappresenta doppiamente la legittimità è il re in quanto tale e anche - cosa altrettanto importante per alcuni - perché designato da Franco stesso come suo successore. No, non vedo altre persone capaci al momento attuale di calcare le orme di Franco, salvo il re. Il quale pare abbia cambiato sentiero. Cosa che non significa affatto che altri golpes nostalgici siano impossibili. E ancor meno che l'esercito non accentui in modo "legale" la sua pressione per indirizzare a destra la politica spagnola. Nessuna sorpresa può essere esclusa nella Spagna post-franchista; quest'ultima ipotesi è senza dubbio la più probabile in un futuro prossimo. Cosa che non garantisce, è il minimo che si possa dire, la soluzione del problema.

(1) La T.V. ad esempio costruisce e distrugge i Presidenti. Ricordo di aver visto, nel 1974, Mitterand "calarsi le braghe" come un boxeur subito stanco dopo qualche round contro Giscard e da quel momento il gioco era fatto.
(2) O anche di precederlo nel caso del P.C.E. che nella riunione del suo comitato centrale, il 5 marzo scorso, ha fermamente dichiarato, per bocca di Carrillo, che era necessario rivedere la politica delle autonomie affinché essa non si faccia più contro la Spagna. Perfettamente chiaro, no?
(3) Contrariamente all'ETA politico-militare che ha molti ferri al caldo, compreso quello della negoziazione politica (non hanno forse proposto una tregua della lotta armata dopo aver liberato senza condizioni i consoli?), l'ETA militare si ostina nella "politica del tanto peggio". Si direbbe che essi si augurano il successo di un colpo di stato militare, come se ciò comportasse una insurrezione popolare e l'avvento di un regime rivoluzionario che accorderebbe l'indipendenza al Paese Basco. Se noi entriamo un attimo in questo delirio, dobbiamo domandarci cosa essi intendono per rivoluzionario, visto il loro pathos ideologico "nazional-socialista". E metterli in guardia che questo ipotetico regime, nato da non si sa quale insurrezione, non sarebbe necessariamente più attento alle loro aspirazioni del regime attuale. Ma al contrario essi si vedrebbero rispondere che l'indipendenza è divenuta inutile poiché il "socialismo" ha trionfato.... Poiché le cose sono ben diverse nella realtà, il loro massimalismo è tanto suicida quanto dannoso, per i baschi stessi.
(4) La rivista Cambio 16 si era fatta una certa fama con la sua battaglia per la libertà di informazione e per il suo tono critico sotto il franchismo. Ma recentemente esso ha avuto una grande svolta a destra e per ciò che riguarda il Paese Basco il suo direttore Juan Tomas de Salas non cessa di vituperare reclamando forti premi alla delazione anti-ETA (sic!), invocando una repressione feroce, insultando la Francia colpevole di aiutare (?) i terroristi, ecc.. Questa evoluzione è sintomatica e prova che non bisogna grattare molto per trovare in troppi spagnoli riflessi reazionari.