Rivista Anarchica Online
Spagna ventre a terra
di Carlos Semprun Maura
Mai lo spettacolo della politica aveva raggiunto un tale livello di ridicolo. Una bella sera di
febbraio - il 23 - duecento guardie civili ubriache e armate penetrano come un vortice nelle
Cortes spagnole, urlano, vociferano, insultano, sparano in aria e fanno prigionieri tutti i deputati e
membri del governo uscente.... Ora, la televisione era là. Si conosce il ruolo primordiale della T.V. nella
politica-spettacolo, la
sola politica reale nelle nostre democrazie occidentali (1). Dunque la televisione era al ballo e
l'indomani e per tre quarti d'ora tutti gli spagnoli hanno potuto contemplare i banchi vuoti e
immaginare i "rappresentanti del popolo" stesi ventre a terra mangiare la moquette color vinaccia
del parlamento. Spettacolo grandioso che ha traumatizzato molti e le cui conseguenze sono per
ora incalcolabili. Poiché lo sciovinismo è duro a morire in Spagna, alcuni commentatori hanno
tentato in seguito di gonfiare i meriti di qualche caso isolato dovuto più al nervosismo che al
coraggio, al fine di attenuare la portata di queste immagini. Fatica inutile, tutto il mondo li ha
visti ventre a terra. Ed essendo la classe in generale e i deputati in particolare già poco popolari,
si possono immaginare i commenti nelle nostre case... Sia detto en passant, io non sono di quelli
per cui il coraggio fisico è la prima esigenza. Nel caso
di uomini politici e in molti altri il coraggio intellettuale mi sembra oltremodo importante e raro.
Ma, tuttavia... Ugualmente sono state gonfiate in tutti i modi le manifestazioni in difesa della Costituzione che
hanno avuto luogo in molte città il venerdì successivo a questo lunedì nero (da qualunque
lato lo
si prenda, resta nero). Innanzitutto si è di molto esagerato il numero dei partecipanti. Per chi
conosce bene sia le manifestazioni di massa che le strade di Madrid (ad esempio) le cifre fornite
sono infinitamente superiori alla realtà. Ma questo non è essenziale. Io non dubito minimamente
che, anche se fossero stati più di un milione, i manifestanti madrileni avrebbero tentato con
questa sfilata di lavare con molta acqua - catarsi rituale - l'immensa fifa dei giorni precedenti.
Perché - e che Monsieur de la Palisse mi perdoni - era la sera del 23 febbraio che sarebbe stato
necessario manifestare. Mentre, come tutti sanno, niente fu fatto. Peggio - e qui tutte le
testimonianze concordano - quella sera fatidica i madrileni si rinchiusero nelle loro case,
battendo i denti, i locali delle organizzazioni politiche e sindacali chiusero le loro porte a doppia
mandata, molti dei "responsabili" si misero a cercare in tutta fretta un nascondiglio.... E così via. Io
credo che prima di quella del re una sola voce si sentì in quella notte di panico per
raccomandare la calma e lottare contro la paura, quella di Jordi Pujol, presidente della Generalitat
di Catalogna e grande borghese liberale (sembra che in Catalogna, sebbene non ci sia stata una
reazione popolare maggiore che altrove, il panico fosse minore). Poi il re parlò e tutto rientrò
nell'"ordine costituzionale". Qui il parallelo con De Gaulle e i generali ribelli di Algeri è
evidente, ma non ci aiuta per niente a comprendere ciò che sta avvenendo in Spagna. In un certo senso
non può certo dispiacere che i militari spagnoli non abbiano dimostrato in
questa occasione un eccessivo coraggio. Al re è stato sufficiente dire no alla rivolta
perché quel
soldataccio di Milan del Bosch facesse rientrare i suoi carri armati e perché altri militari, pronti a
rovesciarsi nel golpe, si sgonfiassero. Solo Tejero e le sue guardie civili hanno resistito - oh,
qualche ora! - alle Cortes. Ma non illudiamoci: a partire dal momento in cui il re ha parlato essi
stessi sono diventati ostaggi dei loro ostaggi e non cercavano null'altro che negoziare una "resa
onorevole", anche se - in termini cinici di tattica terrorista - essi avevano con le signore e i
signori deputati, stesi a terra o seduti, una preziosa "moneta di scambio". Niente. Tanto meglio,
dopotutto, tanto meglio. Io non sono sanguinario. Molte cose restano oscure rispetto all'atteggiamento di molti
capi militari rispetto al golpe. Ma
una cosa per me è certa: la maggioranza dell'esercito è fedele al re. Essa l'ha provato una volta di
più. Ma da questo a dire che essa sia soddisfatta della situazione socio-politica spagnola -
soprattutto del Paese Basco - c'è un abisso che io mi guarderò bene dal varcare. Ho più
volte avuto l'occasione di scrivere che la sinistra spagnola - o "l'opposizione
antifranchista storica" -, incapace ieri di rovesciare il regime o anche solo di colpirlo seriamente,
si era rivelata incapace, dopo la morte di Franco, di proporre una alternativa credibile ai
cambiamenti voluti e concessi dal re. Nel contesto attuale mi sembra importante insistere: ciò che
è considerato come sinistra in Spagna non è stato capace di conquistare niente nel campo della
democrazia politica, tutto gli è stato concesso per grazia reale. Proprio per questo, non ci si deve
stupire troppo della sua totale assenza la notte del putsch. In questa occasione essa ha dato la più
fantastica dimostrazione - fino ad ora - della sua impotenza e della sua paura. Io non sono di quelli che
confondono demagogicamente "sinistra" e "popolo", ma bisogna anche
constatare che anche il popolo era assente. Nessuna manifestazione spontanea ha supplito, come
in altre e lontane circostanze, l'assenza delle organizzazioni "democratiche". Perché? Se la paura
ha giocato anch'essa il suo ruolo per "l'uomo della strada", altre considerazioni si mescolano e
innanzitutto la disillusione, dipinta di disgusto, nei confronti della classe politica. Gli spagnoli di
fronte a mille problemi (inflazione, disoccupazione, ecc.) e sempre più stanchi del terrorismo, si
staccano con disprezzo dai partiti e dagli uomini politici da cui avevano sperato, a torto, mari e
monti ancora tre o quattro anni fa. Dall'assenteismo massiccio (50% circa, in media),
all'indifferenza davanti all'attacco delle Cortes, il legame non è forse diretto, comunque esiste.
Questo disgusto crescente verso i rituali derisori della politica potrebbe essere positivo, a
condizione che i cittadini prendano in mano le loro cose, le loro battaglie, senza attendere o
seguire le direttive dei partiti e dei sindacati. Non è così (ancora?), salvo in alcuni conflitti
localizzati (scioperi autogestiti, azioni di disoccupati in Andalusia, ad esempio). Si può dunque
logicamente temere che il qualunquismo si estenda fino a considerare non solo che Sotelo o
Suarez o Gonzales sono la stessa cosa, ma che dittatura militare o democrazia parlamentare lo
sono altrettanto. Così un pugno, qualche centinaia, di terroristi baschi starebbero disarticolando la fragile
ed
infantile democrazia spagnola? Quello che è certo è che essi sono ben aiutati, perché tutto
il
mondo tenta di approfittarne, di fare pressione e di ricattare strumentalizzando il "terrorismo" per
far sfociare inconfessabili interessi di clan. Capri espiatori di tutti i mali della Spagna attuale, i
più separatisti baschi si vedono anche paradossalmente confortati nella loro intransigenza. "Essi
ci rifiutano. Noi li rifiutiamo. Sola via d'uscita: lotta armata per l'indipendenza". Ragionamento
semplicistico, ma popolare presso i baschi. La sinistra, anche qui, e qui più che altrove, è
colpevole perché è proprio nei "punti caldi" che
sarebbe stato necessario dare prova di immaginazione e di audacia e proporre - dal suo punto di
vista - un'altra politica, più democratica (il paese basco non è il solo "punto caldo", ve ne sono
ben altri nei settori economici, sociali, culturali, senza parlare dei costumi e della legislazione
sempre arcaica su questi problemi). Invece i partiti della sinistra rispettosa si sono accontentati di
seguire il movimento indicato dai successivi governi (2). Questi partiti sembrano aver
dimenticato che il problema basco è innanzitutto un'eredità del franchismo, che durante
quarant'anni si è accanito contro le minoranze nazionali iberiche. Se il franchismo non è il
creatore del nazionalismo basco, che gli è precedente, ha comunque fortemente contribuito alla
sua pugnacità attuale. Ma, direte voi, non si è comunque pervenuti all'autonomia? Certo, ma si
è
tardato troppo e il contenuto di questa autonomia è limitato. Per paura dell'esercito, della destra, del
nazionalismo spagnolo e per pregiudizi centralisti, il
potere si è impegnato in un troppo lento, troppo prudente processo di autonomie, sempre
perseguendo la repressione. Ciò ha deluso e irritato molti baschi, che si erano fatti troppe
illusioni sui regali della fata democrazia e hanno favorito uno sviluppo straordinario del
fanatismo nazionale e del terrorismo. Per contraccolpo, questo aggravarsi del terrorismo ha
profondamente scontentato l'esercito, la destra, il nazionalismo spagnolo e i pregiudizi centralisti,
che mi sembrano oggi più ostili di cinque anni fa all'idea stessa d'autonomia. In breve, volendo
scontentare il meno possibile, si sono scontentati tutti e si è così aggravata la classica spirale di
morte: terrorismo-repressione-terrorismo, di cui non si vede la fine (3). Per ciò che concerne il
contenuto delle autonomie - e senza entrare nel dettaglio - mi limiterò a segnalare che ci si è
accontentati di impiantare dei mini-stati fantoccio (basco, catalano, ecc.) a fianco dello stato
centrale che conserva, checché se ne dica, le sue prerogative. Si è così
raddoppiata la burocrazia
statale centrale con le burocrazie "nazionali", concedendo certamente qualche cosa al simbolismo
nazionale (bandiere, lingua, ecc.). Invece, la questione delle autonomie avrebbe potuto dare luogo a un vasto
movimento per
imporre una vera decentralizzazione democratica e federalista, in cui la specificità dei diversi
popoli avrebbe potuto esprimersi e grazie alla quale lo stato sarebbe arretrato. Niente di tutto
questo, poiché tutta la gente si è lasciata prendere dal cerchio vizioso del nazionalismo - baschi
contro spagnoli e viceversa. Così per mascherare qui come altrove la loro impotenza, gli uomini
politici e la stampa di "sinistra" hanno voluto esorcizzare il complesso problema politico del
Paese Basco affrontandolo come un problema di banditismo e di criminalità.
Ad ascoltare questi discorsi e a leggere questi giornali non vi sarebbe alcun problema nazionale
nel paese basco, essendo stato tutto sistemato dall'autonomia e dalla democrazia. Se il terrorismo
persiste è semplicemente a causa di alcuni folli criminali e di alcuni banditi di strada che bisogna
uccidere senza esitazioni né ritardi. Questa propaganda tanto massiccia quanto reazionaria nella
bocca o nella penna di uomini cosidetti di sinistra porta un'acqua insperata al mulino di militari,
poliziotti, ultras in generale, partigiani della repressione a oltranza. Perché, siamo chiari, se non
si affronta il problema politico dei diritti dell'uomo e dei popoli a disporre di se stessi (e il
fanatismo e i crimini sempre più odiosi dell'ETA militare non cambiano nulla al fatto che si tratta
di veri problemi), se tutto si riduce a una operazione di polizia come dichiarano, tra gli altri,
Santiago Carrillo o Cambio 16, (4) allora, signori politicanti, lasciate il posto agli specialisti della
repressione, inviamo là i battaglioni militari, fuciliamo tutti i simpatizzanti conosciuti - o
sconosciuti - delle due ETA, instauriamo lo stato di guerra e bando alle fandonie! Dopotutto non
era ciò che volevano Milan del Bosch, Tejero, le sue guardie civili e i suoi amici... inadempienti? In
questo paesaggio desertico - politicanti addormentati, sinistra assente, popolo per il momento
muto e reticente - la silhouette del re in grande uniforme si distacca e assume sempre più
importanza. Troppa. Ma anche questa non è cosa nuova. Dopotutto è proprio il re, e non qualcun
altro, che ha portato la democrazia parlamentare sulle fonti battesimali. Ed ora che il re e il "suo"
esercito tengono il proscenio, in mancanza di altri attori, cosa succederà? La domanda posta da
tutte le parti a proposito del colpo di stato del 23 febbraio era: si tratta di una "prova generale" o
di un ultimo soprassalto del franchismo? La domanda mi sembra mal posta. Stando all'evidenza Milan del Bosch
e Tejero volevano un impossibile ritorno all'indietro.
Impossibile perché senza Franco non può più esservi franchismo. Se il suo regime
rappresentava
una Spagna profonda - bigotta, sciovinista, militarista ecc. - che non è ancora morta, vi erano
inoltre dei tratti particolari, dovuti al carisma del capo, al "culto della personalità" per il
fondatore rappresentante la legittimità e la "grandezza nazionale". Oggi colui che rappresenta
doppiamente la legittimità è il re in quanto tale e anche - cosa altrettanto importante per alcuni -
perché designato da Franco stesso come suo successore. No, non vedo altre persone capaci al
momento attuale di calcare le orme di Franco, salvo il re. Il quale pare abbia cambiato sentiero.
Cosa che non significa affatto che altri golpes nostalgici siano impossibili. E ancor meno che
l'esercito non accentui in modo "legale" la sua pressione per indirizzare a destra la politica
spagnola. Nessuna sorpresa può essere esclusa nella Spagna post-franchista; quest'ultima ipotesi
è senza dubbio la più probabile in un futuro prossimo. Cosa che non garantisce, è il minimo
che
si possa dire, la soluzione del problema.
(1) La T.V. ad esempio costruisce e distrugge i Presidenti. Ricordo di aver visto, nel 1974,
Mitterand "calarsi le braghe" come un boxeur subito stanco dopo qualche round contro Giscard
e da quel momento il gioco era fatto. (2) O anche di precederlo nel caso del P.C.E. che nella
riunione del suo comitato centrale, il 5
marzo scorso, ha fermamente dichiarato, per bocca di Carrillo, che era necessario rivedere la
politica delle autonomie affinché essa non si faccia più contro la Spagna. Perfettamente
chiaro,
no? (3) Contrariamente all'ETA politico-militare che ha molti ferri al caldo, compreso quello della
negoziazione politica (non hanno forse proposto una tregua della lotta armata dopo aver
liberato senza condizioni i consoli?), l'ETA militare si ostina nella "politica del tanto peggio". Si
direbbe che essi si augurano il successo di un colpo di stato militare, come se ciò comportasse
una insurrezione popolare e l'avvento di un regime rivoluzionario che accorderebbe
l'indipendenza al Paese Basco. Se noi entriamo un attimo in questo delirio, dobbiamo
domandarci cosa essi intendono per rivoluzionario, visto il loro pathos ideologico "nazional-socialista". E metterli
in guardia che questo ipotetico regime, nato da non si sa quale
insurrezione, non sarebbe necessariamente più attento alle loro aspirazioni del regime attuale.
Ma al contrario essi si vedrebbero rispondere che l'indipendenza è divenuta inutile poiché il
"socialismo" ha trionfato.... Poiché le cose sono ben diverse nella realtà, il loro massimalismo
è
tanto suicida quanto dannoso, per i baschi stessi. (4) La rivista Cambio 16 si era fatta
una certa fama con la sua battaglia per la libertà di
informazione e per il suo tono critico sotto il franchismo. Ma recentemente esso ha avuto una
grande svolta a destra e per ciò che riguarda il Paese Basco il suo direttore Juan Tomas de
Salas non cessa di vituperare reclamando forti premi alla delazione anti-ETA (sic!), invocando
una repressione feroce, insultando la Francia colpevole di aiutare (?) i terroristi, ecc.. Questa
evoluzione è sintomatica e prova che non bisogna grattare molto per trovare in troppi spagnoli
riflessi reazionari.
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