Rivista Anarchica Online
Avvocati nel mirino
di Paolo Finzi
Ciò che il potere vuole eliminare è la figura dell'avvocato difensore di fiducia, in qualche
modo
"schierato", non disponibile a collaborare con l'accusa. Francesco Piscopo, marxista-leninista,
da anni difensore di militanti di sinistra di ogni tipo, non ha incertezze. L'unico avvocato che
ormai tollerano è quello "neutro", d'ufficio. Tutto ciò è molto grave: attaccare la figura
dell'avvocato significa attaccare uno strumento che riguarda in genere le classi subalterne. Chi,
se non loro, finiscono in galera? Anche nell'ambito della malavita organizzata, sono i pesci
piccoli, gli esecutori materiali quelli che vanno dentro: non certo i loro protettori politici.
Che l'analisi di Piscopo parta da fatti reali, è incontestabile. Negli ultimi tempi numerosi avvocati
"schierati" sono stati colpiti da mandati di cattura: alcuni di loro sono in galera (Gabriele Fuga,
Sergio Spazzali, Giancarlo Mattia, ecc.), altri vi sono stati rinchiusi per poi esser scagionati
(Rocco Ventre, ecc.), altri ancora sono stati costretti a rifugiarsi nella latitanza (Luigi Zezza,
Giovanni Cappelli). A decine si contano poi le comunicazioni giudiziarie ed in genere le
intimidazioni di vario tipo che hanno colpito tutto il tessuto della difesa "schierata". E un attacco
gravissimo, che abbiamo denunciato come uno dei sintomi più indicativi delle tendenze evolutive
del potere, della sua volontà di far piazza pulita dei suoi oppositori: ricordo - per inciso - che
proprio su questo argomento erano incentrate le ultime due interviste con legali di sinistra che
abbiamo pubblicato sulla rivista, precisamente con Gabriele Fuga ("A" 80) e con Luigi Zezza
("A" 85). Entrambi sono tra quelli criminalizzati: il nostro compagno Fuga, insieme con
numerosi altri, sarà processato l'11 maggio prossimo presso il tribunale di Firenze. È una
situazione drammatica, che i pochi avvocati/compagni rimasti attivissimi, come Piscopo,
vivono quotidianamente - anche per il crescente carico di impegni politico/professionali venuto a
gravare sulle loro spalle. Unica recente eccezione in questo panorama fosco è forse l'assoluzione
con formula piena degli avvocati Di Giovanni e Lombardi, arrestati in quanto redattori (con altri
due) della rivista "Corrispondenza internazionale", rea di aver pubblicato un lungo scritto dei
militanti b.r. detenuti, dal titolo "L'ape e il comunista". Che significato politico dai alla loro
assoluzione? Innanzitutto io dò un significato politico alla loro incriminazione e al loro arresto.
Formalmente
la loro questione è stata presentata in tribunale e all'opinione pubblica come nettamente diversa
da quelle che vedono coinvolti altri avvocati: qui, apparentemente, siamo di fronte ad un
processo alla libertà di stampa. In realtà, è stato un tentativo di raggiungere per altra strada
il
comune obiettivo di cancellare la figura dell'avvocato "schierato".
Questo disegno del potere tendente ad azzerare gli spazi per la difesa politica si è già tradotto
in
una normativa specifica? No. E qui sta la differenza, per esempio, con la situazione tedesca. Là
hanno vietato all'avvocato
di difendere più di un imputato, impedendogli anche di affrontare il tema dei processi politici e
riducendolo così ad un difensore tecnico - quindi assolutamente inefficace in quel tipo di
processi. In Italia una legge simile avrebbe suscitato resistenze e sarebbe stata abbastanza
impopolare: qui da noi il potere utilizza un metodo più pratico, gli avvocati scomodi li mette
dentro direttamente.
Vi è stata comunque un'evoluzione della repressione anche a livello
legislativo. Indubbiamente. L'aspetto più significativo è stata l'introduzione delle "leggi
speciali", che in
realtà speciali non sono ed è errato continuare a definirle tali. Certo sono determinate da casi
speciali, ma tendono ad essere "normali": in altri termini, sono degli strumenti di cui lo Stato si
dota per attaccare oggi alcune forme di conflitto, ma la tendenza è quella di utilizzarle in
qualsiasi tipo di conflitto sociale. A Napoli, per esempio, sono stati recentemente spiccati dei
mandati di cattura per "associazione sovversiva" contro i presunti organizzatori delle lotte dei
disoccupati. Con queste leggi "speciali", inoltre, anche il minimo di indipendenza riconosciuto
alla magistratura è eliminato del tutto: oggi il tribunale è di fatto succube della polizia e dei
carabinieri e la funzione della magistratura si limita all'erogazione della pena. Quando per
esempio tutte queste leggi speciali aumentano a dismisura i termini della carcerazione
preventiva, quando impediscono ai giudici di concedere la libertà provvisoria, in realtà
impediscono al giudice di esercitare qualsiasi tipo di funzione minimamente indipendente dal
potere esecutivo. Dal momento in cui uno finisce in galera, il giudice ha le mani legate...
C'è poi gente che in galera non ci finisce subito, ma resta "ospite" in qualche caserma dei CC per
giorni o settimane. Certo. Nella pratica avviene spesso che gli imputati (in particolare quelli che poi... si
pentiranno) vengano trattenuti nella caserma dei CC, interrogati a lungo: quando poi andranno
a deporre dal magistrato, non ci sarà alcuna possibilità di immediatezza. Non a caso molti
"pentimenti" hanno origine in questa fase. È in questo momento, infatti, che l'imputato, pentito o
meno, valuta la convenienza di parlare e in questo senso tutto è possibile. Quello che è grave, a
mio avviso, è il tipo di inquinamento della verità politico-sociale che si determina attraverso
questa forma di "pentimento".
Sul ruolo svolto da quei giudici di "Magistratura democratica" che più sono legati al P.C.I. e sul
significato politico del loro operato, Piscopo esprime concetti sostanzialmente identici a quelli
espressi da Fuga e da Zezza nelle rispettive interviste (pubblicate su "A" 80 e 85). Da quando è
venuta fuori la strana teoria della classe operaia che si è fatta Stato, magistrati
vicini al P.C.I. che questa teoria ha portato avanti hanno ritenuto di adottare, per quanto
riguarda i processi, un modo di procedere di tipo staliniano, per cui si stabilisce qual è la linea
politica corretta con riferimento alle forze di sinistra, dopodiché le linee giudicate "non
corrette" non vengono contrastate e battute politicamente, ma criminalizzate. Nel momento in
cui si avvicina al governo, o ritiene di poter centrare, il P.C.I. decide che deve far piazza pulita
alla sua sinistra. Piscopo cita il 7 aprile come indice di questo fenomeno e invita anche a
riflettere su quanto è stato fatto in proposito. Per il movimento rivoluzionario - sostiene -
è stata
una sconfitta, perché a un intervento di tipo politico/giudiziario non si è risposto con un
intervento politico altrettanto efficace. È prevalsa una linea puramente e semplicemente
garantista e si è sbagliato laddove si è posto l'accento sull'innocentismo, non assumendosi
invece la responsabilità politica dell'opera di trasformazione portata avanti da un intero
movimento posto sotto accusa. Si è esagerato in questo senso, mentre era giusto difendere gli
spazi di libertà conquistati, come giusto era e rimane il continuo richiamo al potere perché
rispetti le sue leggi - spazi di libertà e leggi che sono anche il frutto delle lotte del movimento nel
suo complesso. In concomitanza con il processo andava condotta una battaglia per rivendicare
quanto di positivo era stato fatto in dieci anni, accanto ad aspetti negativi (che io individuo in
particolare nella grave scelta della lotta armata fatta dalle "organizzazioni combattenti").
Approfondiamo un attimo il discorso su innocenza, innocentismo, comportamento processuale,
ecc.. Il problema è estremamente complesso. Io sono convinto che la strategia del processo
politico
sia naturalmente conseguente alle scelte di politica generale che l'imputato ha fatto a monte.
Comprendo dunque il tipo di strategia che i brigatisti portano avanti, però ritengo che sia
sbagliato non solo il loro modo di impostare il processo, ma l'analisi politica che loro fanno: i
brigatisti volano infatti su tutte le contraddizioni del mondo e conseguentemente non tengono in
conto quelle che il processo in sé presenta. Il processo, infatti, è un momento come tanti altri in
cui ci si viene a scontrare con l'attuale assetto della società e come in ogni altro caso bisogna
esser capaci di conoscere le contraddizioni, di usare i mezzi che si hanno a disposizione, di non
subire il processo a tutti gli effetti. Ciò significa anche difendersi, non rivendicando
aprioristicamente una propria generica responsabilità, o viceversa una propria generica
innocenza, ma affrontare con realismo questo momento grave. L'avversario quando fa il
processo ha bisogno di darsi una credibilità: affrontare fino in fondo il processo significa molto
spesso anche dimostrare come non sia possibile per lui perseguire fino in fondo questo tipo di
credibilità. L'avversario è così costretto a rivelarsi per quello che è, cioè
un avversario che
perseguita fino in fondo il suo avversario, colpevole di difendere interessi assolutamente
contrastanti con quelli che il potere persegue. Il problema - ribadisce Piscopo - non è
aprioristicamente vedere se siamo colpevoli o innocenti, ma affrontare fino in fondo il momento
del processo. Se da una parte si deve esser coscienti che il processo è comunque predisposto in
una logica che deve favorire la classe dirigente, dall'altra parte è anche vero che qualsiasi
classe dirigente deve riconoscere tutta una serie di spazi che l'altro si è conquistato e non li può
soffocare se non screditandosi. Da qui nuovamente la necessità di richiamare l'avversario
all'osservanza delle sue leggi quando le viola, di contestare il soffocamento degli spazi di
libertà. Io non sono del parere di coloro che si ritengono soddisfatti solo se dimostrano che il
potere è sempre e comunque cattivo: tanto più cattivo è, tanto più ci si sente
rivoluzionari.
Piscopo cita la grande campagna dei primi anni '70 contro la "verità di Stato" sulla strage di
piazza Fontana e giudica un successo l'esser riusciti a costringere l'avversario a riconoscere la
natura statale di quella strage. Certo che poi il potere cercò di darsi, anche grazie a quella
parziale ammissione, nuova credibilità, ma il solo fatto di averlo costretto a ripiegare fino al
punto di far propria una parola d'ordine del movimento fu una vera e propria vittoria.
Anche secondo te, dunque, va sfatato quel mito secondo il quale chi rifiuta il processo è "più
rivoluzionario" di chi lo accetta? Certamente. Io rifiuto questa distinzione tra chi rifiuta il processo (e
perciostesso sarebbe
rivoluzionario) e chi lo accetta (e dovrebbe esser considerato connivente con il potere). Per me,
quando un qualsiasi elemento delle classi subalterne si trova ad essere giudicato ed è in grado,
usando gli strumenti che il processo gli consente anche attraverso un corretto rapporto con i
suoi difensori, di portare a quel livello la voce delle classi subalterne, ciò è un fatto positivo.
Bisogna naturalmente aver chiaro che in qualsiasi processo, contro qualunque imputato, il
potere non ha mai in testa di perseguire solo quell'imputato, bensì di lanciare un messaggio a
chi in qualche modo non si riconosce nell'attuale stato di cose. Al contempo bisogna aver la
capacità di sfruttare, una volta portati in giudizio, tutti i possibili strumenti perché venga fuori il
reale scontro di interessi, non quello formale. Una delle ragioni per cui gli avvocati "schierati"
vengono perseguiti è proprio questa: il potere ha bisogno che qualsiasi imputato, per qualsiasi
ragione venga chiamato in giudizio, appaia sempre come individuo isolato dagli altri e come
colui che ha commesso dei reati assolutamente comuni. La volontà del potere è quella di
spoliticizzare il processo: d'altra parte la politicità del processo viene fuori non da una
rivendicazione aprioristica di opposizione allo Stato, ma attraverso la capacità di farla
emergere anche attraverso una battaglia che va condotta a livello processuale.
Piscopo osserva come uno dei modi più perfidi per stroncare i difensori politici sia quello di
bollarli come "gli avvocati della lottarmata", quando non addirittura - com'è il caso di Fuga,
Spazzali, Zezza, ecc. - "lottarmatisti" essi stessi. Il fatto è che questi avvocati, per niente disposti
a chiudere un occhio e magari tutti e due, si sono dimostrati troppe volte scomodi per il potere.
Piscopo cita il "caso Torreggiani" e l'importanza del ruolo svolto appunto dagli avvocati nel
denunciare le torture della polizia e nel portare avanti quella battaglia (battaglia ampiamente
civile, sottolinea). E precisa che se lui ed altri hanno assunto la difesa dei "lottarmatisti" è
perché
si rendono conto che c'è la necessità di far fronte ad un attacco che non colpisce solo i diretti
interessati, ma pone in essere una situazione (restrizione degli spazi, violazione delle norme
ecc.) che finisce per colpire qualsiasi tipo di opposizione.
D'accordo, ma non c'è bisogno pur sempre di un minimo di interesse e di collaborazione da parte
degli imputati? Per la necessaria conseguenza del comportamento processuale dall'analisi politica di fondo
(cui
ho accennato prima), debbo risponderti in termini generali, a monte. Io credo che uno dei più
grossi problemi che la sinistra ha in questo momento è quello di confrontarsi e dibattere
politicamente tutte quelle tendenze che portano alla precipitazione dello scontro. La necessità è
invece quella di ricostruire un'opposizione la più allargata possibile che rilanci lotte
anticapitaliste e ricostruisca un movimento rivoluzionario non revisionista e non riformista, che
è poi il modo reale per battere quelle scelte perdenti di cui ho parlato.
Mentre l'intervista volge al termine, entra nello studio di Piscopo un altro avvocato e riferisce che
un compagno da lui difeso, arrestato per "terrorismo" e poi rilasciato, gli ha appena raccontato
che al momento dell'arresto e per varie ore numerosi funzionari dell'ufficio politico della
questura lo avevano tartassato di domande per sapere come mai avesse scelto proprio
quell'avvocato difensore. Volevano fargli ammettere che anche l'avvocato prescelto faceva parte
della medesima "banda armata": "se no, perché hai nominato proprio lui?" - hanno continuato a
chiedergli con logica questurinesca.
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