Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 10 nr. 87
novembre 1980


Rivista Anarchica Online

Antisemitismo, ancora
di Paolo Finzi

Pestaggi contro chi viene identificato come ebreo, attentati intimidatori contro le abitazioni ed i negozi di membri della comunità ebraica, ed infine nella serata del 3 ottobre - un venerdì, proprio quando per l'inizio della festività sabbatica c'erano molti fedeli - la bomba micidiale contro una sinagoga a Parigi. Bilancio: quattro morti e numerosi feriti. Chi voleva credere che in Europa l'antisemitismo fosse scomparso, ha avuto di che ricredersi. E se le solite belle dichiarazioni di circostanza fatte da tutti i partiti testimoniano che ufficialmente l'antisemitismo non trova paladini (se non nel macabro razzismo dei gruppi neonazisti), noi sappiamo che la realtà è ben altra. Camuffato, represso, taciuto, l'antisemitismo è ancora ben vivo in ampi strati della popolazione.
All'analisi storica e sociologica delle sue origini, della sua ampia diffusione e soprattutto della sua terribile vitalità sono stati dedicati moltissimi studi, dai quali è emerso chiarissimo l'intrinseco legame dell'antisemitismo con altri fenomeni di intolleranza e di demonizzazione del "diverso". Non a caso una delle principali ricerche socio-psicologiche sull'antisemitismo, effettuata negli Stati Uniti una trentina di anni fa da un'equipe di ricercatori (tra i quali Theodor Adorno), si allargò, strada facendo, all'analisi dell'autoritarismo e dell'intolleranza in generale, tanto da essere pubblicata alla fine con il significativo titolo La personalità autoritaria.
I sentimenti di diffidenza e di odio di cui gli ebrei sono stati in varia misura oggetto, negli ultimi due millenni, derivano anche dalla loro refrattarietà all'assimilazione, dal loro rifiuto di divenire "uguali" rinunciando al loro patrimonio culturale e religioso: la forte coesione interna che, attraverso mille persecuzioni ed esilii, gli ebrei hanno saputo opporre a quei tentativi, ha permesso la sopravvivenza di un popolo che altrimenti sarebbe scomparso dalla faccia della terra ben prima dell'era di Auschwitz e Mauthausen. Come tutte le altre minoranze etniche, religiose, ideologiche, come tutti i "diversi" decisi a restare tali, gli ebrei hanno costituito in tante occasioni il perfetto capro espiatorio sul quale i potenti del momento hanno fatto ricadere le colpe dei mali sociali, delle ingiustizie e delle guerre: contro di loro sono stati istigati i sentimenti più bassi e le azioni più selvagge, al punto che i sei milioni di ebrei eliminati dal nazismo non costituiscono che l'ultima - la più immane - persecuzione tra le tante di cui è costellata la storia ebraica.
Ora che tutti fanno a gara per sembrare il meno antisemiti possibile, è doveroso ricordare il ruolo essenziale svolto dalla Chiesa cattolica per quasi due millenni senza interruzione nella "criminalizzazione" degli ebrei, additati, in quanto popolo deicida, quali strumenti del diavolo e causa della rovina dell'umanità. Fino a poco tempo fa questa era anche la versione ufficiale del Vaticano, rilanciata in tutto il mondo dalla quotidiana predicazione di odio e di menzogna del clero: sotto questa luce, anche il complice silenzio di Pio XII di fronte all'olocausto perpetrato dal nazismo appare in tutta la sua logica.

Ma non è solo nell'armamentario propagandistico clerico-nazista che l'antisemitismo affonda le sue origini: componenti antisemite sono ripetutamente affiorate anche a sinistra, tra persone e movimenti che si richiamano al socialismo. Non si tratta, naturalmente, di teorizzazioni dello sterminio e della soluzione finale alla Hitler, ma non per questo siamo in presenza di un fenomeno meno allarmante, anzi: tantopiù che anche in alcuni "classici" del socialismo (Bakunin compreso, per limitarci al filone anarchico) fanno capolino pregiudizi antisemiti che lasciano allibiti. Negli ultimi decenni, poi, questo particolare tipo di antisemitismo ha tratto alimento a volte dalla controversa questione medio-orientale, caratterizzata - per la prima volta dopo millenni - dall'esistenza di uno Stato ebraico. Tale infatti è, per sua stessa definizione, lo Stato d'Israele, stato confessionale a tutti gli effetti, basato sui testi sacri e caratterizzato ufficialmente dalla simbologia religiosa (sulla sua bandiera come sulle ali dei suoi bombardieri campeggia la stella di Davide). Com'è noto, le vicende che hanno portato alla costituzione di questo Stato - e prima ancora all'insediamento di nuclei di ebrei in Palestina - sono tra le più complesse e drammatiche. Non è possibile ripercorrerle in questa sede, nemmeno nei loro momenti salienti.
Ma va sottolineato che tra i pionieri degli insediamenti ebraici in Palestina, tra i promotori dei primi kibbutz vi sono stati numerosi esponenti dell'opposizione rivoluzionaria in Russia e in altri paesi dell'Europa orientale - perseguitati perché ebrei e perché rivoluzionari. Anche grazie alla loro presenza, si sviluppò qui dalle origini del movimento dei kibbutz una tendenza laica, umanitaria e profondamente libertaria, desiderosa di convivere in pace con gli arabi palestinesi e di sviluppare la pratica autogestionaria propria del kibbutz. Significativo è il richiamo a Proudhon, a Kropotkin, a Landauer da parte di Martin Buber, la più conosciuta personalità di questa tendenza libertaria: non ci possiamo certo riconoscere tout court in quella tendenza - con il tempo peraltro sopraffatta dalle altre, stataliste, accentratrici e confessionali - ma nemmeno si può ignorarla, com'è sempre stato fatto "a sinistra". L'esperienza del kibbutz è certo molto più interessante e ricca di insegnamenti di quanto siano abituati a credere tanti "compagni".
Altrettanto sconosciuta è la presenza di forti correnti di sinistra libertaria tra le popolazioni ebraiche ed yddish dell'Europa centrale ed orientale - in parte poi costrette a trapiantarsi altrove, soprattutto negli Stati Uniti. Contrariamente a certa stupida oleografia che vorrebbe gli ebrei sempre ricchi e ben pasciuti (e in fondo quanti sotto sotto non la pensano così un po' anche oggi?), quei movimenti nati all'interno dei ghetti hanno avuto una matrice di miseria, di povertà, di fame e di emarginazione, che li ha orientati verso il socialismo, a volte verso il socialismo anarchico.
Che lo Stato d'Israele faccia una politica di potenza, dichiaratamente aggressiva e terribilmente militarista, è indiscutibile; che i palestinesi siano oggi le vittime principali della sua politica, al punto che si può parlare di un nuovo genocidio, è altrettanto vero. E tanti altri sono gli aspetti negativi della politica israeliana, che motivano la nostra opposizione irriducibile ai suoi vari governi e alla sua struttura socio-politica. Ma altro è combattere uno Stato, un governo, una politica, altro è volerne sterminare la popolazione, anche se questa si mostra in gran parte solidale con i suoi governanti: sarebbe come se, per sconfiggere il nazismo, ci si fosse proposti di eliminare dalla faccia della terra i tedeschi. O per sconfiggere lo stalinismo, i russi.
Scontato? Non me la sentirei proprio di affermarlo, guardando all'atteggiamento di acritica simpatia con il quale tanta parte della sinistra europea - riformista e "rivoluzionaria" (dal P.C.I. alle Brigate Rosse, tanto per intenderci) - ha appoggiato nell'ultimo decennio le varie organizzazioni "per la liberazione della Palestina", cioè i vari governi-ombra palestinesi alla ricerca di un territorio sul quale poter esercitare il proprio dominio. Ancora qualche settimana fa il leader dell'Organizzazione per la liberazione della Palestina, Yassir Arafat, ha confermato a Damasco che il suo obiettivo è la cacciata degli ebrei dalla Palestina e la distruzione dello Stato d'Israele. Dello stesso avviso si sono ripetutamente detti quei regimi arabi che amano proclamarsi ispirati dal "socialismo islamico" (già la formula è tutta un programma!) e che dalla sinistra europea sono in genere ritenuti "compagni". Non a caso tutta la campagna anti-israeliana alla fine degli anni '60 (ed anche dopo), fu incentrata in Egitto ed in altri paesi arabi sulla figura del grasso ebreo, ricco ed avaro, brutto e strozzino: la presenza ancora oggi in quei paesi di numerosi gerarchi nazisti in posti di responsabilità dovrebbe attenuare certi facili entusiasmi e spingere alla riflessione. Ma tant'è: nella frenesia anti-israeliana Arafat diventava un libertador e gli sceicchi che lo foraggiano dei quasi-compagni. È inutile farla lunga: si vadano a rileggere L'Unità, Lotta Continua ed altre pubblicazioni di sinistra all'indomani della guerra dei sei giorni (1967), sarà più che sufficiente.
Siamo stati al fianco degli ebrei quando, per il solo fatto di essere tali, sono stati vittime delle persecuzioni del potere e dell'ignoranza della gente. Lo siamo ancora oggi quando, in varie parti del mondo, ancora pagano per stupidi pregiudizi e bisogni di vendetta: è il caso della comunità ebraica dell'Unione Sovietica, vittima di odiose discriminazioni nelle quali riemerge anche certo atavico antisemitismo presente in quella tradizione. Per questo popolo da sempre vittima di calunnie, pregiudizi e persecuzioni sentiamo un'istintiva simpatia, che deriva anche dal comune destino di emarginati / capri espiatori / criminalizzati: ma è una simpatia che deriva appunto dalla loro tragica storia e non da altro.
Non deriva certo dalla loro religione, che noi avversiamo come tutte le religioni, convinti come siamo che con il suo fardello di menzogne, illusioni e pregiudizi non possa che giocare un ruolo negativo, allontanando tra l'altro le prospettive di soluzione della questione mediorientale.
Né abbiamo alcuna simpatia particolare per lo Stato di Israele, anche se possiamo comprendere che un territorio nel quale raggrupparsi rappresenti per un popolo disperso per millenni in terre per lo più "nemiche", un punto di sicurezza, d'approdo, la testimonianza di un'identità. Possiamo comprendere tutto ciò, ma non per questo rinunciamo a combatterlo con tutte le nostre forze: come ogni Stato, anche quello di Israele non fa che legittimare le diseguaglianze, difendere il privilegio, preparare le guerre. Solo slogan? Andatelo a chiedere ai giovani israeliani obiettori di coscienza detenuti nelle supercarceri israeliane, o ai palestinesi che hanno avuto la famiglia sterminata dalle bombe micidiali dell'esercito di Gerusalemme. Il fatto che gli ebrei siano stati perseguitati fino a ieri, e in varie parti ancora oggi, non potrà mai giustificare ai nostri occhi le persecuzioni che il governo israeliano attua contro i suoi oppositori, contro i "diversi" del momento: così facendo, anzi, le stelle di Davide marchiate sui bombardieri israeliani non possono che alimentare l'antisemitismo, anche "di sinistra".
Solo un impegno costante, universale, al fianco di tutti i perseguitati, contro il pregiudizio e l'intolleranza comunque si manifestino, può dare credibilità ed efficacia alla lotta contro l'antisemitismo. E se, a mio avviso, bene agiscono quegli ebrei che oggi rifiutano la "protezione" della polizia e si auto-organizzano per difendersi in prima persona, rispondendo con la violenza alla violenza degli antisemiti, non si vede perché lo stesso diritto non vada riconosciuto, per esempio, ai palestinesi quando si trovano oppressi e martoriati dalle truppe dello Stato di Israele. Quei settori ebraici che in queste settimane si sono mobilitati tempestivamente contro il rinascente razzismo dovrebbero tenerne conto, se non vogliono che la loro mobilitazione non appaia che la solita miope difesa dei propri "interessi" e basta. Perché i razzismi e le intolleranze - compreso l'antisemitismo - si generano a vicenda e affondano le loro radici nei terreni più diversi. Estirparle da ogni terreno, comunque si presentino, è l'unica via per farla finita con le persecuzioni ed i progrom.