Rivista Anarchica Online
Vertenza FIAT - Lingotto
di Gabriele R. / Nancy S.
Ci presentiamo davanti ai cancelli della Fiat Lingotto domenica pomeriggio, 12 ottobre. La città
è
praticamente deserta, fa un freddo cane. Davanti ai cancelli le solite cose: striscioni, tende, bidoni
anneriti dai fuochi notturni, manifesti (quasi tutti del PCI) tatze-bao sbilenchi, un tavolino, una
televisione che trasmette un programma per bambini. Poi facce tirate, che ci guardano sospettose,
un paio di capannelli di operai, altri stanno giocando a carte, ci sono anche due bambini che
stanno giocando con un bambolotto di Goldrake che spara pugni galattici sulle gambe dei due
guardiani che stanno sulla porta della guardiola. Ci presentiamo: indifferenza. Qualcuno ci
indirizza verso un delegato sindacale che assomiglia al sindacalista di "Prova d'Orchestra", infatti
la reazione è la stessa: "Non posso dirvi niente, all'altro cancello ci sono i delegati per le
interviste," ecc.. Provo a guardarlo negli occhi ma sfugge, mi sento un po' un pirla con il mio
registratore in mano. C'è diffidenza; poi arriva un gruppo di operai giovani e non, ci avviciniamo,
ci presentiamo, anche qui diffidenza, sono stufi di interviste, in tre settimane sono già venuti
tutti, dalle televisioni private, ai giornali più disparati, si sentono un po' come fenomeni da
baraccone, i più giovani irronizzano, una signora di mezza età ci chiede la tessera, dice di averla
vista, quella con la "A" e il cerchio. Allora decidiamo di chiacchierare senza accendere il
registratore, si forma un capannello, parliamo per due ore senza che si possa registrare una sola
parola. Poi finalmente mi lasciano accendere il registratore. Incomincia l'intervista "ufficiale". La mia
impressione è che, rispetto ad altre lotte fatte in passato, questa abbia dei connotati
diversi, cioè che si stia facendo un braccio di ferro politico sulla base o meglio con la scusa di un
motivo prettamente pratico come i 15.000 licenziamenti minacciati. Braccio di ferro tra
padronato, partiti, governo e sindacati. Non vi sembra che tutto questo sia fatto sulla vostra
pelle? Risponde un operaio di mezza età che lavora alle presse qui al Lingotto (solo riascoltando il
nastro ci siamo accorti di aver dimenticato di chiedere i nomi). In effetti è la stessa sensazione
che proviamo anche noi e la cosa evidentemente ci fa incazzare.
Resta però il fatto che i quindicimila licenziamenti sono reali e su quelli noi stiamo lottando.
Quindi, anche se può essere per un motivo strumentale, ben venga l'appoggio del PCI e la linea
dura scelta dal sindacato. Secondo te la cassa integrazione che scopo ha avuto? Non può
sembrare una mossa per dividere
gli operai? Risponde un'operaia anch'essa di mezza età: Sì, direi che ha puntato proprio
su questo. Infatti se
venite qui davanti alle 10 o alle 14 (orario di entrata dei turni) cosa vedete? Da una parte quelli
che lottano, e sono in maggioranza quelli messi in cassa integrazione, dall'altra quelli che
vogliono entrare a lavorare, e sono in maggioranza quelli bloccati dallo sciopero, che a fine
mese non troveranno niente in busta. Prima di voi abbiamo sentito le opinioni spicciole di altri operai:
secondo loro questa mossa della
cassa integrazione è servita a far rinascere vecchi malumori tra gli operai, che prima esistevano
solo a livello personale all'interno dei reparti e che adesso invece stanno diventando un motivo di
frattura ben più grande. Tutto questo tira in ballo il problema dell'assenteismo, voi cosa ne
pensate? Operaio delle presse: Sicuramente, anche se questo può sembrare paradossale, un certo
assenteismo fa persino comodo al padrone. Infatti se andiamo a vedere le liste di quelli messi in
cassa integrazione di assenteisti non ce n'è o quasi. Questo perché? Perché da una parte
l'assenteismo è diventato per il padrone una motivazione valida per far passare tutti i
provvedimenti antioperai tipo l'aumento della produzione a parità di organico o i licenziamenti
sotterranei di chi fa troppo casino. Dall'altra questi assenteisti sono gli stessi che quando si
tratta di portar avanti una lotta non si fanno vedere, sono assenteisti anche per noi. Però sono
quelli che quando si presentano al lavoro sono sempre disposti ad accettare tutto dal padrone:
un certo tipo di lavoro, gli ambienti senza aspiratori, senza misure di sicurezza, malsani, ecc..
Tutto questo in cambio di favori del tipo: una mansione poco faticosa o pericolosa, chiudere un
occhio sulle loro prolungate assenze, dovute per la maggior parte dei casi al secondo lavoro,
ecc.. Il tutto si risolve con uno sfacciato sciovinismo nei confronti dei capi. Perché ragionano in
questi termini: "Finché va bene a me va tutto bene" è quindi la rottura ed il rifiuto di qualsiasi
discorso collettivo. Ditemi voi allora se questo assenteismo è dannoso a noi o al padrone? Allora
il rifiuto del lavoro fatto da alcuni in termini politici; che poi si risolve con una forma di
assenteismo, è da mettere sullo stesso piano? Operaio delle presse: No, primo perché
nasce dal rifiuto di assecondare gli interessi del padrone
e non dalla volontà di fare esclusivamente i propri interessi, secondo perché non si tratta di
assenteismo, ma di rifiuto del lavoro fatto sul posto di lavoro, quindi rifiuto di accettare gli
aumenti indiscriminati di produzione, e tutte le altre cose. Ma tutte queste situazioni così diverse
tra loro all'interno della fabbrica cosa hanno significato in
termini di unità di lotta? Cioè l'unificazione della lotta avviene solo quando il padrone minaccia
15.000 licenziamenti, vale a dire nei momenti di emergenza o prima che il padrone abbia tentato
questo colpo sono stati portati avanti discorsi di lotta, tipo il rifiuto politico del lavoro, tra voi
operai? No, non ci sono stati questi discorsi, purtroppo, e questo è un male grave. Infatti il fatto
che in
effetti non ci sia stato una preparazione politica precedente, dà come risultato da una parte la
non comprensione di gran parte degli operai di queste forme di rifiuto del lavoro e dall'altra
l'adesione alle lotte in senso puramente opportunista, in quanto colpiti direttamente, dai
licenziamenti. Secondo me l'operaio deve essere veramente cosciente dei suoi momenti di lotta,
da quando entra in fabbrica fino a quando ne esce, ed anche fuori. Per cui temi come l'aumento
indiscriminato della produttività ecc. che lo riguardano direttamente dovrebbero richiedergli
una responsabilità diretta nelle lotte. Proprio sulla base di un discorso di questo genere, forme
di lotta del tipo di scioperi selvaggi,
blocchi di reparti, ecc., sono comprensibili ed attuabili o resta solamente da allinearsi ai dettami
del sindacato e delle "sue" forme di lotta? Secondo me, purtroppo, sono da escludere perché non
è ancora arrivato il momento per azioni
di questo genere, a causa di una mancanza di preparazione politica di fondo. Insomma ancora
non siamo pronti, anche se c'è già tanta gente che si muove in questo senso. E secondo
te ciò è positivo o negativo? Boia faus, ma e positivissimo! Questo
però sai che significa scavalcare i sindacati? Certamente e questo se vuoi, è per me il
nodo del discorso. A questo punto interviene un giovane operaio che assomiglia a Nichetti, quello di
Ratataplan,
solo che ha i cappelli e i baffoni rossi, dice che è inutile fare una discussione tra gente che è
sempre d'accordo, che bisogna sentire anche la controparte. Al momento crediamo che stia
parlando di qualche capo o quadro intermedio e ci stupiamo che possa essere lì in mezzo alla
gente del picchetto, invece sta parlando dei delegati del sindacato. Interviene allora un delegato
sindacale che fino a quel momento aveva ascoltato scuotendo la testa (avevamo capito che era un
delegato proprio da quello). Io vorrei intervenire sostanzialmente su un punto, cioè che non
è vero che sia stata la FIOM a
dare i nomi dei 61 licenziati (era un discorso venuto fuori prima di iniziare a registrare), bensì
si
è trattato dell'inizio della strategia repressiva del padronato. Come si fa a vedere la FIOM come
una controparte, noi delegati siamo operai come gli altri. Ma non vi è venuto il sospetto che a
partire dai 61 licenziati dell'anno scorso, passando per i
4.000 fino ai 15.000 di adesso fosse inevitabile che si arrivasse a questa situazione? Non ti
sembra assurdo dire: "La FIAT aveva il coltello dalla parte del manico, quindi non si poteva fare
niente"? Da parte della base, però, doveva venire una reazione. Perché se tu ricordi
quando ci furono i
61 licenziati dell'anno scorso la grande maggioranza degli operai se ne strafregò proprio perché
non toccava direttamente loro. Fu questo secondo me un segno negativo che diede il via la
strategia padronale. Ma non fu proprio il clima di caccia alle streghe dovuto al terrorismo, e accettato
dal sindacato
che favorì la non reazione degli operai? Interviene ancora l'operaio delle presse: Per quanto
riguarda i 61 licenziati in effetti non vi fu
reazione perché secondo me non fu fatta chiarezza. Il delegato: Ma no! si discusse
molto! Operaio delle presse: Sì, ma il sindacato non aiutò certo a far chiarezza.
Anche se adesso si è
svegliato o è stato svegliato dalla reazione della base operaia. Un'ultima domanda (ci rivolgiamo
al militante del PCI, presunto) secondo te quale sarà il clima
tra gli operai alla fine della vertenza? Un clima di accentuato menefreghismo, di scontro violento
o di ritrovata unità? Questo si potrà vedere solo quando inizieranno le trattative per i
contratti aziendali. Interviene il delegato sindacale: Secondo me la gente al di là di quegli
800 quadri intermedi che
hanno provato a sfondare l'altro giorno, ha ritrovato una unità di lotta che non nasce solo da
motivi contingenti, ma ha delle nuove basi politiche. E interviene anche l'operaia che aveva parlato
all'inizio: io credo che il clima non sarà peggiore,
anzi penso che migliorerà proprio in funzione di questa lotta che si è ritenuta giusta e che si
è
cercato di portare avanti tutti insieme. Volevo chiederti cosa pensi delle proposte di lotta
articolata? Io spero che non se ne parli più, almeno per quanto riguarda i tre settori colpiti
cioè Rivalta,
Mirafiori e Lingotto. Perché per me parlare di articolazione delle lotte significa recedere da
quello che si è fatto in questi 31 giorni di lotta. E se ai vertici sindacali tutto questo
passasse? Io penso che non passerà, perché in questo momento si stanno uniformando
più alle nostre
forme di lotta, piuttosto che imporre le loro. A questo punto qualcuno fa girare un bicchiere di vino, fa
un freddo cane. Sembra che un operaio
abbia fatto tredici al totocalcio, siamo tentati di chiedere se è rimasto al suo posto o se ha salutato
tutti ed è tornato a casa. Ma ci sembra solo una malignità. Beviamo e poi riprendiamo a parlare
con l'onnipresente operaio delle presse, che, proprio perché lavora alle presse, urla come un
forsennato. Non ti sembra che un tipo di lotta che metta in discussione persino il ruolo stesso della fabbrica,
cioè il tipo di bene che essa produce, o la sua pericolosità, per l'ambiente e le persone, ecc. debba
inevitabilmente essere gestito dai lavoratori stessi della fabbrica, in quanto coinvolti
direttamente, nella salute, propria e degli altri, nella difesa dell'ambiente, di lavoro ed esterno,
nell'impedire che quella fabbrica produca beni di consumo, dannosi, pericolosi, inutili, esclusivi
per la classe operaia come possono essere, guarda caso, le automobili? È un discorso molto
complesso, che comunque è di là da venire. Molta gente non lotta neanche
per conservare il posto di lavoro figurati se lotterebbe per quello che hai detto. Gestendo per di
più direttamente la lotta. Figuriamoci! Prima bisogna che l'operaio si emancipi culturalmente,
che cominci a pensare con la propria testa, poi si vedrà. E se nel frattempo succedono casi come
quello della Montedison di Massa dove per difendere il
posto di lavoro gli operai hanno accettato di essere doppiamente inquinati dentro e fuori dalla
fabbrica? Non credi che fabbriche come la Montedison di Massa andrebbero chiuse? Non vedo
perché prima non si debba tentare di migliorarle per esempio facendo cambiare la
produzione. Solo nel momento in cui ci si accorge che la fabbrica non è migliorabile allora
occorre distruggerla, chiuderla insomma. Questo discorso di "chiusura" della fabbrica non sottintende
un preciso discorso di violenza? Sì in effetti sì, purtroppo è una
realtà. Allora come mai gli operai non hanno reagito un anno fa quando la Fiat licenziò
i 61 accusandoli
proprio di violenza o di sobbillazione alla violenza. Anche se poi in realtà si rivelarono solo
gente scomoda salvo quei due o tre? Del perché non hanno reagito ne abbiamo parlato prima. Poi
tieni conto che allora si parlò di
terrorismo, e una cosa è la violenza sulle cose, una cosa è quella sulle persone, anche se le due
cose si intrecciano in parecchi punti. Secondo te il sindacato è indispensabile? Ma
nessuno è indispensabile, certo che in qualche modo ci si deve organizzare. Ti faccio meglio la
domanda: secondo te una forma di organizzazione sindacale delegata è
indispensabile? Delegata no! Interviene il delegato sindacale di prima: Ma ben venga
una forma di autogestione (ridendo)
qualora ci fosse una forma di maturità simile da parte della gente saremmo i primi a salutarla
con un sospiro di sollievo. Interviene di nuovo l'operaio delle presse: Io non delegherei proprio
niente perché l'uomo dal
momento in cui nasce sa di dover affrontare direttamente i problemi che lo riguardano. E non
demanderei mai la cosa, anche se è difficoltoso, anzi proprio per questo, l'impegno che lo
coinvolge per tutta la vita. Ti faccio un esempio: se uno non capisce una cosa deve sforzarsi con
i propri mezzi, deve tirarsi su con le proprie forze, ma non deve mai demandare la spiegazione
agli altri. Perché non saprà mai, se no, come gliela risolvono, come "usano" questa delega.
Secondo me più che delegare un sindacato occorre impegnare un sindacato. Cioè il sindacato
deve essere veramente l'espressione della gente. Ma per fare questo cosa dovrebbe esistere? Una
cultura di massa. Proprio perché parli di cultura di massa, non ti sembra, in termini di
informazione, che voci di
dissenso o proposte di un'alternativa diversa, siano state quasi sempre soffocate da quelli dei
partiti e del sindacato? Certamente! Ancora il sindacato delegato: Lo so dove vuoi
andare a parare. Scusa, ma tu mi parli di cultura di massa, senza che possa esserci pluralismo
nell'informazione? Operaio delle presse: Infatti i grandi nei, le grandi contraddizioni che il sindacato si
trascina
dietro sono queste. Proprio per non aver dato o favorito la nascita di una cultura di massa. Il
delegato: Ma prima non volevi delegare niente e adesso ti incazzi perché il sindacato non dà
una cultura? Ma tu lo sai che io ce l'ho con i vertici sindacali, con i burocrati, sono loro in
realtà i grandi...
nei. (ride) Ecco perché le trattative non vengono fatte davanti alle assemblee di fabbrica. Io
non
sono mai sicuro, non sono mai sicuro che questi a Roma trattino per noi o trattino una
mediazione che va bene solo a loro. Da qui nascono tutti i dubbi che ci si porta dietro, proprio
perché finché tu non riesci ad avere nella tua vita una forza, soprattutto culturale, da
contrapporre a tutto ciò, devi sempre allinearti al loro modo di gestire le cose. Delegato:
Allora secondo te subite il sindacato? Non è che subiamo il sindacato, subiamo la cultura
che lui obbliga ad accettare semplicemente
coprendo e qualche volta reprimendo le voci di altre culture, e che mi vuole allineato a
lui. Delegato: Ma noi subiamo il padronato, il sindacato non è mica la
controparte. Noi subiamo padronato e sindacato! A questo punto la discussione
è andata avanti e ha toccato altri punti, si è parlato di emigrazione,
di anarchia, di ottimismo e pessimismo per il futuro, si è parlato di cultura operaia e di tante altre
cose, ma abbiamo preferito fermarci qui, a questo dialogo. Qualche giorno dopo i vertici
sindacali firmeranno a Roma la resa dopo che cinquantamila capi e operai sfileranno per Torino
chiedendo di tornare a lavorare alla faccia dell'unità della lotta. Più tardi la rabbia operaia, il
senso di frustrazione di tradimento si sfogheranno sui bonzi sindacali precipitati a Torino per far
ratificare l'accordo. Forse tra coloro che hanno gettato la tessera stracciata in faccia a Carniti c'era
anche quel delegato così fiducioso qualche giorno prima. Sta di fatto che il senso di sconfitta, di
disorientamento, di abbandono riportano indietro di trent'anni. La sensazione è che si debba
ricominciare tutto da capo. A questa si aggiunge un senso di paura per quello che succederà
dopo. Forse dalla sconfitta dei sindacati o meglio dal loro smascheramento come intermediari del
potere e non della classe operaia, potrà nascere qualcosa di positivo, ma adesso è troppo presto
per dirlo. Adesso c'è solo la sensazione di un colpo durissimo, subito da tutta la classe operaia. A
cui si aggiunge la rabbia di chi è anni che avverte questa situazione, di compromissione dei
sindacati con il potere da una parte e di rinuncia cosciente o incosciente da parte della classe
operaia alla lotta. A questo, molto ha contribuito l'informazione che ha voluto creare l'immagine
di una classe operaia garantita, privilegiata, che quindi svincolata da qualsiasi discorso
rivoluzionario che anzi veniva dipinto come controproducente per lei. Quando si parlava di
germanizzazione si pensava subito alla repressione dello stato. Ora si dovrà pensare anche alla
germanizzazione del sistema sociale ed economico. Ad un certo punto dell'intervista, verso la
fine, l'operaio delle presse mi ha chiesto cosa pensavo dell'uomo che verrà, del futuro di questa
società, adesso cosa gli devo rispondere?
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