Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 10 nr. 87
novembre 1980


Rivista Anarchica Online

Vertenza FIAT - Lingotto
di Gabriele R. / Nancy S.

Ci presentiamo davanti ai cancelli della Fiat Lingotto domenica pomeriggio, 12 ottobre. La città è praticamente deserta, fa un freddo cane. Davanti ai cancelli le solite cose: striscioni, tende, bidoni anneriti dai fuochi notturni, manifesti (quasi tutti del PCI) tatze-bao sbilenchi, un tavolino, una televisione che trasmette un programma per bambini. Poi facce tirate, che ci guardano sospettose, un paio di capannelli di operai, altri stanno giocando a carte, ci sono anche due bambini che stanno giocando con un bambolotto di Goldrake che spara pugni galattici sulle gambe dei due guardiani che stanno sulla porta della guardiola. Ci presentiamo: indifferenza. Qualcuno ci indirizza verso un delegato sindacale che assomiglia al sindacalista di "Prova d'Orchestra", infatti la reazione è la stessa: "Non posso dirvi niente, all'altro cancello ci sono i delegati per le interviste," ecc.. Provo a guardarlo negli occhi ma sfugge, mi sento un po' un pirla con il mio registratore in mano. C'è diffidenza; poi arriva un gruppo di operai giovani e non, ci avviciniamo, ci presentiamo, anche qui diffidenza, sono stufi di interviste, in tre settimane sono già venuti tutti, dalle televisioni private, ai giornali più disparati, si sentono un po' come fenomeni da baraccone, i più giovani irronizzano, una signora di mezza età ci chiede la tessera, dice di averla vista, quella con la "A" e il cerchio. Allora decidiamo di chiacchierare senza accendere il registratore, si forma un capannello, parliamo per due ore senza che si possa registrare una sola parola. Poi finalmente mi lasciano accendere il registratore. Incomincia l'intervista "ufficiale".
La mia impressione è che, rispetto ad altre lotte fatte in passato, questa abbia dei connotati diversi, cioè che si stia facendo un braccio di ferro politico sulla base o meglio con la scusa di un motivo prettamente pratico come i 15.000 licenziamenti minacciati. Braccio di ferro tra padronato, partiti, governo e sindacati. Non vi sembra che tutto questo sia fatto sulla vostra pelle?
Risponde un operaio di mezza età che lavora alle presse qui al Lingotto (solo riascoltando il nastro ci siamo accorti di aver dimenticato di chiedere i nomi).
In effetti è la stessa sensazione che proviamo anche noi e la cosa evidentemente ci fa incazzare. Resta però il fatto che i quindicimila licenziamenti sono reali e su quelli noi stiamo lottando. Quindi, anche se può essere per un motivo strumentale, ben venga l'appoggio del PCI e la linea dura scelta dal sindacato.
Secondo te la cassa integrazione che scopo ha avuto? Non può sembrare una mossa per dividere gli operai?
Risponde un'operaia anch'essa di mezza età: Sì, direi che ha puntato proprio su questo. Infatti se venite qui davanti alle 10 o alle 14 (orario di entrata dei turni) cosa vedete? Da una parte quelli che lottano, e sono in maggioranza quelli messi in cassa integrazione, dall'altra quelli che vogliono entrare a lavorare, e sono in maggioranza quelli bloccati dallo sciopero, che a fine mese non troveranno niente in busta.
Prima di voi abbiamo sentito le opinioni spicciole di altri operai: secondo loro questa mossa della cassa integrazione è servita a far rinascere vecchi malumori tra gli operai, che prima esistevano solo a livello personale all'interno dei reparti e che adesso invece stanno diventando un motivo di frattura ben più grande. Tutto questo tira in ballo il problema dell'assenteismo, voi cosa ne pensate?
Operaio delle presse: Sicuramente, anche se questo può sembrare paradossale, un certo assenteismo fa persino comodo al padrone. Infatti se andiamo a vedere le liste di quelli messi in cassa integrazione di assenteisti non ce n'è o quasi. Questo perché? Perché da una parte l'assenteismo è diventato per il padrone una motivazione valida per far passare tutti i provvedimenti antioperai tipo l'aumento della produzione a parità di organico o i licenziamenti sotterranei di chi fa troppo casino. Dall'altra questi assenteisti sono gli stessi che quando si tratta di portar avanti una lotta non si fanno vedere, sono assenteisti anche per noi. Però sono quelli che quando si presentano al lavoro sono sempre disposti ad accettare tutto dal padrone: un certo tipo di lavoro, gli ambienti senza aspiratori, senza misure di sicurezza, malsani, ecc.. Tutto questo in cambio di favori del tipo: una mansione poco faticosa o pericolosa, chiudere un occhio sulle loro prolungate assenze, dovute per la maggior parte dei casi al secondo lavoro, ecc.. Il tutto si risolve con uno sfacciato sciovinismo nei confronti dei capi. Perché ragionano in questi termini: "Finché va bene a me va tutto bene" è quindi la rottura ed il rifiuto di qualsiasi discorso collettivo. Ditemi voi allora se questo assenteismo è dannoso a noi o al padrone?
Allora il rifiuto del lavoro fatto da alcuni in termini politici; che poi si risolve con una forma di assenteismo, è da mettere sullo stesso piano?
Operaio delle presse: No, primo perché nasce dal rifiuto di assecondare gli interessi del padrone e non dalla volontà di fare esclusivamente i propri interessi, secondo perché non si tratta di assenteismo, ma di rifiuto del lavoro fatto sul posto di lavoro, quindi rifiuto di accettare gli aumenti indiscriminati di produzione, e tutte le altre cose.
Ma tutte queste situazioni così diverse tra loro all'interno della fabbrica cosa hanno significato in termini di unità di lotta? Cioè l'unificazione della lotta avviene solo quando il padrone minaccia 15.000 licenziamenti, vale a dire nei momenti di emergenza o prima che il padrone abbia tentato questo colpo sono stati portati avanti discorsi di lotta, tipo il rifiuto politico del lavoro, tra voi operai?
No, non ci sono stati questi discorsi, purtroppo, e questo è un male grave. Infatti il fatto che in effetti non ci sia stato una preparazione politica precedente, dà come risultato da una parte la non comprensione di gran parte degli operai di queste forme di rifiuto del lavoro e dall'altra l'adesione alle lotte in senso puramente opportunista, in quanto colpiti direttamente, dai licenziamenti. Secondo me l'operaio deve essere veramente cosciente dei suoi momenti di lotta, da quando entra in fabbrica fino a quando ne esce, ed anche fuori. Per cui temi come l'aumento indiscriminato della produttività ecc. che lo riguardano direttamente dovrebbero richiedergli una responsabilità diretta nelle lotte.
Proprio sulla base di un discorso di questo genere, forme di lotta del tipo di scioperi selvaggi, blocchi di reparti, ecc., sono comprensibili ed attuabili o resta solamente da allinearsi ai dettami del sindacato e delle "sue" forme di lotta?
Secondo me, purtroppo, sono da escludere perché non è ancora arrivato il momento per azioni di questo genere, a causa di una mancanza di preparazione politica di fondo. Insomma ancora non siamo pronti, anche se c'è già tanta gente che si muove in questo senso.
E secondo te ciò è positivo o negativo?
Boia faus, ma e positivissimo!
Questo però sai che significa scavalcare i sindacati?
Certamente e questo se vuoi, è per me il nodo del discorso.
A questo punto interviene un giovane operaio che assomiglia a Nichetti, quello di Ratataplan, solo che ha i cappelli e i baffoni rossi, dice che è inutile fare una discussione tra gente che è sempre d'accordo, che bisogna sentire anche la controparte. Al momento crediamo che stia parlando di qualche capo o quadro intermedio e ci stupiamo che possa essere lì in mezzo alla gente del picchetto, invece sta parlando dei delegati del sindacato. Interviene allora un delegato sindacale che fino a quel momento aveva ascoltato scuotendo la testa (avevamo capito che era un delegato proprio da quello).
Io vorrei intervenire sostanzialmente su un punto, cioè che non è vero che sia stata la FIOM a dare i nomi dei 61 licenziati (era un discorso venuto fuori prima di iniziare a registrare), bensì si è trattato dell'inizio della strategia repressiva del padronato. Come si fa a vedere la FIOM come una controparte, noi delegati siamo operai come gli altri.
Ma non vi è venuto il sospetto che a partire dai 61 licenziati dell'anno scorso, passando per i 4.000 fino ai 15.000 di adesso fosse inevitabile che si arrivasse a questa situazione? Non ti sembra assurdo dire: "La FIAT aveva il coltello dalla parte del manico, quindi non si poteva fare niente"?
Da parte della base, però, doveva venire una reazione. Perché se tu ricordi quando ci furono i 61 licenziati dell'anno scorso la grande maggioranza degli operai se ne strafregò proprio perché non toccava direttamente loro. Fu questo secondo me un segno negativo che diede il via la strategia padronale.
Ma non fu proprio il clima di caccia alle streghe dovuto al terrorismo, e accettato dal sindacato che favorì la non reazione degli operai?
Interviene ancora l'operaio delle presse: Per quanto riguarda i 61 licenziati in effetti non vi fu reazione perché secondo me non fu fatta chiarezza.
Il delegato: Ma no! si discusse molto!
Operaio delle presse: Sì, ma il sindacato non aiutò certo a far chiarezza. Anche se adesso si è svegliato o è stato svegliato dalla reazione della base operaia.
Un'ultima domanda (ci rivolgiamo al militante del PCI, presunto) secondo te quale sarà il clima tra gli operai alla fine della vertenza? Un clima di accentuato menefreghismo, di scontro violento o di ritrovata unità?
Questo si potrà vedere solo quando inizieranno le trattative per i contratti aziendali.
Interviene il delegato sindacale: Secondo me la gente al di là di quegli 800 quadri intermedi che hanno provato a sfondare l'altro giorno, ha ritrovato una unità di lotta che non nasce solo da motivi contingenti, ma ha delle nuove basi politiche.
E interviene anche l'operaia che aveva parlato all'inizio: io credo che il clima non sarà peggiore, anzi penso che migliorerà proprio in funzione di questa lotta che si è ritenuta giusta e che si è cercato di portare avanti tutti insieme.
Volevo chiederti cosa pensi delle proposte di lotta articolata?
Io spero che non se ne parli più, almeno per quanto riguarda i tre settori colpiti cioè Rivalta, Mirafiori e Lingotto. Perché per me parlare di articolazione delle lotte significa recedere da quello che si è fatto in questi 31 giorni di lotta.
E se ai vertici sindacali tutto questo passasse?
Io penso che non passerà, perché in questo momento si stanno uniformando più alle nostre forme di lotta, piuttosto che imporre le loro.
A questo punto qualcuno fa girare un bicchiere di vino, fa un freddo cane. Sembra che un operaio abbia fatto tredici al totocalcio, siamo tentati di chiedere se è rimasto al suo posto o se ha salutato tutti ed è tornato a casa. Ma ci sembra solo una malignità. Beviamo e poi riprendiamo a parlare con l'onnipresente operaio delle presse, che, proprio perché lavora alle presse, urla come un forsennato.
Non ti sembra che un tipo di lotta che metta in discussione persino il ruolo stesso della fabbrica, cioè il tipo di bene che essa produce, o la sua pericolosità, per l'ambiente e le persone, ecc. debba inevitabilmente essere gestito dai lavoratori stessi della fabbrica, in quanto coinvolti direttamente, nella salute, propria e degli altri, nella difesa dell'ambiente, di lavoro ed esterno, nell'impedire che quella fabbrica produca beni di consumo, dannosi, pericolosi, inutili, esclusivi per la classe operaia come possono essere, guarda caso, le automobili?
È un discorso molto complesso, che comunque è di là da venire. Molta gente non lotta neanche per conservare il posto di lavoro figurati se lotterebbe per quello che hai detto. Gestendo per di più direttamente la lotta. Figuriamoci! Prima bisogna che l'operaio si emancipi culturalmente, che cominci a pensare con la propria testa, poi si vedrà.
E se nel frattempo succedono casi come quello della Montedison di Massa dove per difendere il posto di lavoro gli operai hanno accettato di essere doppiamente inquinati dentro e fuori dalla fabbrica? Non credi che fabbriche come la Montedison di Massa andrebbero chiuse?
Non vedo perché prima non si debba tentare di migliorarle per esempio facendo cambiare la produzione. Solo nel momento in cui ci si accorge che la fabbrica non è migliorabile allora occorre distruggerla, chiuderla insomma.
Questo discorso di "chiusura" della fabbrica non sottintende un preciso discorso di violenza?
Sì in effetti sì, purtroppo è una realtà.
Allora come mai gli operai non hanno reagito un anno fa quando la Fiat licenziò i 61 accusandoli proprio di violenza o di sobbillazione alla violenza. Anche se poi in realtà si rivelarono solo gente scomoda salvo quei due o tre?
Del perché non hanno reagito ne abbiamo parlato prima. Poi tieni conto che allora si parlò di terrorismo, e una cosa è la violenza sulle cose, una cosa è quella sulle persone, anche se le due cose si intrecciano in parecchi punti.
Secondo te il sindacato è indispensabile?
Ma nessuno è indispensabile, certo che in qualche modo ci si deve organizzare.
Ti faccio meglio la domanda: secondo te una forma di organizzazione sindacale delegata è indispensabile?
Delegata no!
Interviene il delegato sindacale di prima: Ma ben venga una forma di autogestione (ridendo) qualora ci fosse una forma di maturità simile da parte della gente saremmo i primi a salutarla con un sospiro di sollievo.
Interviene di nuovo l'operaio delle presse: Io non delegherei proprio niente perché l'uomo dal momento in cui nasce sa di dover affrontare direttamente i problemi che lo riguardano. E non demanderei mai la cosa, anche se è difficoltoso, anzi proprio per questo, l'impegno che lo coinvolge per tutta la vita. Ti faccio un esempio: se uno non capisce una cosa deve sforzarsi con i propri mezzi, deve tirarsi su con le proprie forze, ma non deve mai demandare la spiegazione agli altri. Perché non saprà mai, se no, come gliela risolvono, come "usano" questa delega. Secondo me più che delegare un sindacato occorre impegnare un sindacato. Cioè il sindacato deve essere veramente l'espressione della gente. Ma per fare questo cosa dovrebbe esistere? Una cultura di massa.
Proprio perché parli di cultura di massa, non ti sembra, in termini di informazione, che voci di dissenso o proposte di un'alternativa diversa, siano state quasi sempre soffocate da quelli dei partiti e del sindacato?
Certamente!
Ancora il sindacato delegato: Lo so dove vuoi andare a parare.
Scusa, ma tu mi parli di cultura di massa, senza che possa esserci pluralismo nell'informazione?
Operaio delle presse: Infatti i grandi nei, le grandi contraddizioni che il sindacato si trascina dietro sono queste. Proprio per non aver dato o favorito la nascita di una cultura di massa.
Il delegato: Ma prima non volevi delegare niente e adesso ti incazzi perché il sindacato non dà una cultura?
Ma tu lo sai che io ce l'ho con i vertici sindacali, con i burocrati, sono loro in realtà i grandi... nei. (ride) Ecco perché le trattative non vengono fatte davanti alle assemblee di fabbrica. Io non sono mai sicuro, non sono mai sicuro che questi a Roma trattino per noi o trattino una mediazione che va bene solo a loro. Da qui nascono tutti i dubbi che ci si porta dietro, proprio perché finché tu non riesci ad avere nella tua vita una forza, soprattutto culturale, da contrapporre a tutto ciò, devi sempre allinearti al loro modo di gestire le cose.
Delegato: Allora secondo te subite il sindacato?
Non è che subiamo il sindacato, subiamo la cultura che lui obbliga ad accettare semplicemente coprendo e qualche volta reprimendo le voci di altre culture, e che mi vuole allineato a lui.
Delegato: Ma noi subiamo il padronato, il sindacato non è mica la controparte.
Noi subiamo padronato e sindacato!
A questo punto la discussione è andata avanti e ha toccato altri punti, si è parlato di emigrazione, di anarchia, di ottimismo e pessimismo per il futuro, si è parlato di cultura operaia e di tante altre cose, ma abbiamo preferito fermarci qui, a questo dialogo. Qualche giorno dopo i vertici sindacali firmeranno a Roma la resa dopo che cinquantamila capi e operai sfileranno per Torino chiedendo di tornare a lavorare alla faccia dell'unità della lotta. Più tardi la rabbia operaia, il senso di frustrazione di tradimento si sfogheranno sui bonzi sindacali precipitati a Torino per far ratificare l'accordo. Forse tra coloro che hanno gettato la tessera stracciata in faccia a Carniti c'era anche quel delegato così fiducioso qualche giorno prima. Sta di fatto che il senso di sconfitta, di disorientamento, di abbandono riportano indietro di trent'anni. La sensazione è che si debba ricominciare tutto da capo. A questa si aggiunge un senso di paura per quello che succederà dopo. Forse dalla sconfitta dei sindacati o meglio dal loro smascheramento come intermediari del potere e non della classe operaia, potrà nascere qualcosa di positivo, ma adesso è troppo presto per dirlo. Adesso c'è solo la sensazione di un colpo durissimo, subito da tutta la classe operaia. A cui si aggiunge la rabbia di chi è anni che avverte questa situazione, di compromissione dei sindacati con il potere da una parte e di rinuncia cosciente o incosciente da parte della classe operaia alla lotta. A questo, molto ha contribuito l'informazione che ha voluto creare l'immagine di una classe operaia garantita, privilegiata, che quindi svincolata da qualsiasi discorso rivoluzionario che anzi veniva dipinto come controproducente per lei. Quando si parlava di germanizzazione si pensava subito alla repressione dello stato. Ora si dovrà pensare anche alla germanizzazione del sistema sociale ed economico. Ad un certo punto dell'intervista, verso la fine, l'operaio delle presse mi ha chiesto cosa pensavo dell'uomo che verrà, del futuro di questa società, adesso cosa gli devo rispondere?