Rivista Anarchica Online
I giovani e l'anarchia
A quanti anni comincia la gioventù? Ed a quale età finisce?
Ecco una questione - una delle tante - alla quale non avevo mai pensato fino a qualche tempo fa. Essa
mi si è fatta davanti inaspettatamente per merito dei redattori di "A", i quali, discutendo con altri
compagni sulle pagine della loro rivista si dichiaravano tutti giovani: "sia detto tra parentesi, siamo tutti
giovani: età media sotto i trent'anni".
Dunque c'è un'età, anzi un anno fatale, che separa nettamente e senza scampo la gioventù dalla
vecchiaia? E quest'anno è il trentesimo della nostra vita?
Chissà perché mi viene in mente la nota vicenda d'un notissimo personaggio, quel tale Gesù Cristo che,
a quanto dicono, cominciò la sua vita pubblica proprio quand'era sotto i trent'anni, o giù di lì, vale a dire
- stando ai compagni redattori - quando era ancora giovane. Ora, mi viene un dubbio, e confesso di non
esser capace di venirne a capo: Cristo (ammesso che sia esistito) era giovane oppure vecchio quando
fu messo in croce? Ringrazio i compagni redattori, giovani sotto i trent'anni, se vorranno sciogliere
questo nodo, di cui non so proprio come liberarmi, se chi muore per le sue idee a 33 anni, cioè sopra
i trenta, sia giovane o vecchio. E se era vecchio oppure giovane Bakunin, il quale a trent'anni suonati
da un pezzo faceva quel che sappiamo un po' tutti. Fino a quando i compagni redattori non risolveranno
questo problema, sarò costretto a pensare, forse erroneamente, che lo spartiacque tra gioventù e
vecchiaia non passa sempre e necessariamente per i registri dell'anagrafe.
La gioventù e la vecchiaia non sono soltanto un fatto anagrafico, ma sono anche, e direi soprattutto, una
condizione dello spirito. Ci sono giovani al di sotto dei trent'anni che vegetano, quando addirittura non
avvizziscono, in un'età precocemente senile; e ci sono vecchi sopra i trent'anni che non hanno perso
quasi nulla della forza dirompente della gioventù. Questa è la ragione per cui io stesso, sebbene sia da
qualche tempo irrimediabilmente sopra i trent'anni, oso dichiararmi giovane. E se mi sento giovane
perché non dovrei amare ed esaltare la gioventù?
Quella che amo ed esalto non è la gioventù astratta, ma la gioventù concreta dei giovani d'ogni età che
vivono e non vegetano, e che sono irrequieti, indomiti ed indomabili, ribelli. I giovani che sono ribelli
perché non possono essere altro, perché la ribellione è uno stato di gioventù. I giovani che hanno
scoperto la gioia di vivere la ribellione, perché la ribellione è la vita. I giovani che questa loro gioia
vogliono averla tutta e subito e sempre. Io sono dalla parte di questi giovani perché sono giovane con
loro, perché sono dalla parte della vita nella gioia, che poi è vita nella lotta. La lotta è una condizione
perenne della vita non vegetale, della vita in continuo moto, in continuo mutamento. Questa vita non può
essere altro che ribellione, rivolta contro ogni sedimentazione dell'essere, contro la monotonia e la
conservazione, contro una società tesa a perpetuarsi in certe strutture consolidate. Questa ribellione,
questa indomabile rivolta, molti di noi la chiamano anarchia. Allora io sono per questa anarchia, io sono
per l'anarchia dei giovani. Sono per l'anarchia giovane, non per l'anarchia senile.
I compagni redattori - tutti giovani - hanno voluto rimproverare ad altri compagni "questa assurda
mitizzazione della gioventù"; e aggiungere che si tratta di una mitizzazione "pericolosa", perché
creerebbe inutili equivoci intorno al movimento anarchico e soprattutto perché "riprende un tema che,
estraneo alla storia ed al pensiero dell'anarchismo... ha caratterizzato il futurismo ed il primo movimento
fascista". Essi hanno voluto, inoltre, ammonirli che "non a caso il mito giovanilistico è spesso stato una
componente non secondaria dell'ideologia dei movimenti totalitari".
Cari compagni redattori, questo discorso proprio non me l'aspettavo da voi, tutti giovani.
Che cosa vuol dire "estraneo alla storia ed al pensiero dell'anarchismo"? Se è solo una constatazione,
lasciatemi dire che è una constatazione tutt'altro che felice: tuttalpiù, mi incuriosisce. Ma ho il dubbio
che non di constatazione si tratti, bensì di ammonimento. "Badate - sembra che vogliate dire - col vostro
tema della gioventù vi mettete fuori della storia e del pensiero dell'anarchismo."
Se è così, la cosa si fa seria. Essa assume il tono e la sostanza dei discorsi che acquistano un suono
strano sulla bocca di un anarchico, il suono dell'ortodossia. L'ortodossia, come certamente sapete, è fede,
religione, disciplina, obbedienza. L'ortodossia è suicidio. Tutto, fuorché anarchia. Oppure c'è proprio
un'ortodossia anarchica? Se l'anarchismo è pensiero definitivo e assoluto, se è pensiero pietrificato, se
è obbedienza, religione, disciplina, se è rigidità di comportamento, canone immutabile, chiusura
ideologica, se è verità rivelata - in una parola, se è ortodossia, ebbene non ci rimane che rifiutare
l'anarchia.
A mio parere, nessun tema dev'essere "estraneo" all'anarchia. Non è che la teoria e la pratica dell'anarchia
debbano abbracciare (e tantomeno condividere) qualsiasi tema: è che non deve rifiutare di discuterne
nessuno. La discussione è conoscenza, approfondimento, è pratica costante di chi vuol vedere con i
propri occhi, giudicare in autonomia, decidere da sé. Quindi è pratica anarchica. Uno di questi temi è
quello dei giovani o, se volete, della gioventù. Ma non della gioventù astratta, bensì dei giovani veri, che
sono i protagonisti più autentici e reali dell'oggi. Ciò che conta per un anarchico è la prospettiva nella
quale si pone per osservare, conoscere, discutere una cosa, un avvenimento, una condizione. Quando
esalto la condizione giovanile non intendo affatto mitizzare, né mitizzo, la gioventù: non faccio altro che
prendere atto, e invitare altri a farlo, in un modo d'essere vivo e concreto, d'un modo autentico e fresco
di realizzare la vita, di inventarla, o almeno di volerla inventare, giorno per giorno, com'è appunto il
modo dei giovani. Ma dei giovani che sono protagonisti del proprio formarsi ed essere, non dei giovani-cosa o giovani-strumento.
Questo interesse - ed esaltazione - per la condizione giovanile non ha nulla di comune con la
mitizzazione strumentale, fascista o cattolica, delle masse giovanili. I fascisti ed i cattolici non esaltano
la gioventù-consapevolezza, la gioventù-forza dell'intelligenza, la gioventù protagonista di se stessa. Essi
esaltano - e trasformano in mito - la non-gioventù, la passività che trasforma i giovani in gregari, in
soldati della patria e della fede, in servi e strumento di gerarchie ai cui vertici stanno il capo (i capi) e
il papa. Fascismo e cattolicesimo esaltano la gioventù-aborto. Lasciamo dunque ai fascisti, ai cattolici,
ai futuristi ciò che gli appartiene e abbiamo il coraggio (il pudore?) di non fraintendere un compagno che
esalta i giovani.
Mi si potrebbe dire che esaltare la gioventù, vedere in essa la condizione più favorevole ad un processo
di consapevolezza e di sviluppo di un mutamento radicale della vita ed un processo di distruzione dei
valori borghesi, è un'esagerazione o addirittura un errore. Bene: non avrei nulla da rimproverare ai
compagni che volessero portare avanti questi argomenti. Avrei solo da discutere con loro, se loro
vogliono discutere con me, perché, come già dicevo, la discussione è conoscenza, è pensiero che si
cimenta e si attua. A condizione che non si proceda per verità definite, per dogmi.
Quando si parla di "problemi dei giovani" si cade, a mio parere, in un equivoco. In realtà questi problemi
sono anche nostri, sono anche miei, sono dei compagni di ogni età. Se non fossero anche miei, non
cadrei in una condizione di estraneità nei confronti dei giovani? Certo non è facile sentire e anzi vivere
i problemi altrui come propri: ma la difficoltà non deve sopprimere la volontà. (...)
Domenico Tarantini
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