Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 7 nr. 56
aprile 1977


Rivista Anarchica Online

I giovani e l'anarchia

A quanti anni comincia la gioventù? Ed a quale età finisce?

Ecco una questione - una delle tante - alla quale non avevo mai pensato fino a qualche tempo fa. Essa mi si è fatta davanti inaspettatamente per merito dei redattori di "A", i quali, discutendo con altri compagni sulle pagine della loro rivista si dichiaravano tutti giovani: "sia detto tra parentesi, siamo tutti giovani: età media sotto i trent'anni".

Dunque c'è un'età, anzi un anno fatale, che separa nettamente e senza scampo la gioventù dalla vecchiaia? E quest'anno è il trentesimo della nostra vita?

Chissà perché mi viene in mente la nota vicenda d'un notissimo personaggio, quel tale Gesù Cristo che, a quanto dicono, cominciò la sua vita pubblica proprio quand'era sotto i trent'anni, o giù di lì, vale a dire - stando ai compagni redattori - quando era ancora giovane. Ora, mi viene un dubbio, e confesso di non esser capace di venirne a capo: Cristo (ammesso che sia esistito) era giovane oppure vecchio quando fu messo in croce? Ringrazio i compagni redattori, giovani sotto i trent'anni, se vorranno sciogliere questo nodo, di cui non so proprio come liberarmi, se chi muore per le sue idee a 33 anni, cioè sopra i trenta, sia giovane o vecchio. E se era vecchio oppure giovane Bakunin, il quale a trent'anni suonati da un pezzo faceva quel che sappiamo un po' tutti. Fino a quando i compagni redattori non risolveranno questo problema, sarò costretto a pensare, forse erroneamente, che lo spartiacque tra gioventù e vecchiaia non passa sempre e necessariamente per i registri dell'anagrafe.

La gioventù e la vecchiaia non sono soltanto un fatto anagrafico, ma sono anche, e direi soprattutto, una condizione dello spirito. Ci sono giovani al di sotto dei trent'anni che vegetano, quando addirittura non avvizziscono, in un'età precocemente senile; e ci sono vecchi sopra i trent'anni che non hanno perso quasi nulla della forza dirompente della gioventù. Questa è la ragione per cui io stesso, sebbene sia da qualche tempo irrimediabilmente sopra i trent'anni, oso dichiararmi giovane. E se mi sento giovane perché non dovrei amare ed esaltare la gioventù?

Quella che amo ed esalto non è la gioventù astratta, ma la gioventù concreta dei giovani d'ogni età che vivono e non vegetano, e che sono irrequieti, indomiti ed indomabili, ribelli. I giovani che sono ribelli perché non possono essere altro, perché la ribellione è uno stato di gioventù. I giovani che hanno scoperto la gioia di vivere la ribellione, perché la ribellione è la vita. I giovani che questa loro gioia vogliono averla tutta e subito e sempre. Io sono dalla parte di questi giovani perché sono giovane con loro, perché sono dalla parte della vita nella gioia, che poi è vita nella lotta. La lotta è una condizione perenne della vita non vegetale, della vita in continuo moto, in continuo mutamento. Questa vita non può essere altro che ribellione, rivolta contro ogni sedimentazione dell'essere, contro la monotonia e la conservazione, contro una società tesa a perpetuarsi in certe strutture consolidate. Questa ribellione, questa indomabile rivolta, molti di noi la chiamano anarchia. Allora io sono per questa anarchia, io sono per l'anarchia dei giovani. Sono per l'anarchia giovane, non per l'anarchia senile.

I compagni redattori - tutti giovani - hanno voluto rimproverare ad altri compagni "questa assurda mitizzazione della gioventù"; e aggiungere che si tratta di una mitizzazione "pericolosa", perché creerebbe inutili equivoci intorno al movimento anarchico e soprattutto perché "riprende un tema che, estraneo alla storia ed al pensiero dell'anarchismo... ha caratterizzato il futurismo ed il primo movimento fascista". Essi hanno voluto, inoltre, ammonirli che "non a caso il mito giovanilistico è spesso stato una componente non secondaria dell'ideologia dei movimenti totalitari".

Cari compagni redattori, questo discorso proprio non me l'aspettavo da voi, tutti giovani.

Che cosa vuol dire "estraneo alla storia ed al pensiero dell'anarchismo"? Se è solo una constatazione, lasciatemi dire che è una constatazione tutt'altro che felice: tuttalpiù, mi incuriosisce. Ma ho il dubbio che non di constatazione si tratti, bensì di ammonimento. "Badate - sembra che vogliate dire - col vostro tema della gioventù vi mettete fuori della storia e del pensiero dell'anarchismo."

Se è così, la cosa si fa seria. Essa assume il tono e la sostanza dei discorsi che acquistano un suono strano sulla bocca di un anarchico, il suono dell'ortodossia. L'ortodossia, come certamente sapete, è fede, religione, disciplina, obbedienza. L'ortodossia è suicidio. Tutto, fuorché anarchia. Oppure c'è proprio un'ortodossia anarchica? Se l'anarchismo è pensiero definitivo e assoluto, se è pensiero pietrificato, se è obbedienza, religione, disciplina, se è rigidità di comportamento, canone immutabile, chiusura ideologica, se è verità rivelata - in una parola, se è ortodossia, ebbene non ci rimane che rifiutare l'anarchia.

A mio parere, nessun tema dev'essere "estraneo" all'anarchia. Non è che la teoria e la pratica dell'anarchia debbano abbracciare (e tantomeno condividere) qualsiasi tema: è che non deve rifiutare di discuterne nessuno. La discussione è conoscenza, approfondimento, è pratica costante di chi vuol vedere con i propri occhi, giudicare in autonomia, decidere da sé. Quindi è pratica anarchica. Uno di questi temi è quello dei giovani o, se volete, della gioventù. Ma non della gioventù astratta, bensì dei giovani veri, che sono i protagonisti più autentici e reali dell'oggi. Ciò che conta per un anarchico è la prospettiva nella quale si pone per osservare, conoscere, discutere una cosa, un avvenimento, una condizione. Quando esalto la condizione giovanile non intendo affatto mitizzare, né mitizzo, la gioventù: non faccio altro che prendere atto, e invitare altri a farlo, in un modo d'essere vivo e concreto, d'un modo autentico e fresco di realizzare la vita, di inventarla, o almeno di volerla inventare, giorno per giorno, com'è appunto il modo dei giovani. Ma dei giovani che sono protagonisti del proprio formarsi ed essere, non dei giovani-cosa o giovani-strumento.

Questo interesse - ed esaltazione - per la condizione giovanile non ha nulla di comune con la mitizzazione strumentale, fascista o cattolica, delle masse giovanili. I fascisti ed i cattolici non esaltano la gioventù-consapevolezza, la gioventù-forza dell'intelligenza, la gioventù protagonista di se stessa. Essi esaltano - e trasformano in mito - la non-gioventù, la passività che trasforma i giovani in gregari, in soldati della patria e della fede, in servi e strumento di gerarchie ai cui vertici stanno il capo (i capi) e il papa. Fascismo e cattolicesimo esaltano la gioventù-aborto. Lasciamo dunque ai fascisti, ai cattolici, ai futuristi ciò che gli appartiene e abbiamo il coraggio (il pudore?) di non fraintendere un compagno che esalta i giovani.

Mi si potrebbe dire che esaltare la gioventù, vedere in essa la condizione più favorevole ad un processo di consapevolezza e di sviluppo di un mutamento radicale della vita ed un processo di distruzione dei valori borghesi, è un'esagerazione o addirittura un errore. Bene: non avrei nulla da rimproverare ai compagni che volessero portare avanti questi argomenti. Avrei solo da discutere con loro, se loro vogliono discutere con me, perché, come già dicevo, la discussione è conoscenza, è pensiero che si cimenta e si attua. A condizione che non si proceda per verità definite, per dogmi.

Quando si parla di "problemi dei giovani" si cade, a mio parere, in un equivoco. In realtà questi problemi sono anche nostri, sono anche miei, sono dei compagni di ogni età. Se non fossero anche miei, non cadrei in una condizione di estraneità nei confronti dei giovani? Certo non è facile sentire e anzi vivere i problemi altrui come propri: ma la difficoltà non deve sopprimere la volontà. (...)

Domenico Tarantini