Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 1 nr. 5
giugno 1971


Rivista Anarchica Online

Cronache di un viaggio in Svizzera
di M. M. G.

Tappe: Couvet, La Chaux de Fonds.
Motivo: spettacoli per ragazzi organizzati dal Consolato italiano e destinati a figli di lavoratori italiani.
Questo il programma iniziale.
Il consolato italiano a Neuchâtel ci aveva confermato due spettacoli da tenersi le sere del 5 e 6 maggio per le comunità italiane di Couvet e La Chaux de Fonds. I miei compagni ed io - cinque in tutto - eravamo contenti di poter raggiungere i lavoratori italiani e rappresentare per i loro figli il nostro spettacolo "Giochiamo a fare il teatro" che, oltre ad essere uno spettacolo didattico sui diversi linguaggi teatrali, ha un contenuto apertamente anti-autoritario.
Le difficoltà sono iniziate già al nostro arrivo al confine dove i doganieri e la polizia di Losanna, saputo il motivo del nostro viaggio, non volevano farci entrare. Solo mettendoli di fronte alle conseguenze cui sarebbero andati incontro con il Consolato si decisero a farci entrare, pregando però la polizia di Neuchâtel di controllarci per tutta la durata del soggiorno.
Al Consolato ci hanno ricevuto alcuni funzionari; da loro abbiamo saputo che i ragazzi - fino ai 14 anni - non possono uscire di casa dopo le 19 se non accompagnati dai genitori. Abbiamo chiesto se per la sera della rappresentazione i figli degli italiani avrebbero avuto un particolare permesso; niente permesso e, con tutta probabilità, non ci sarebbero stati neanche i ragazzi. E allora per chi lo facevamo questo spettacolo? "Per gli adulti", è stata la risposta. "Si divertiranno sicuramente", ha aggiunto qualcuno. "Qua sono come dei bambini", ha aggiunto un terzo.
Eravamo molto imbarazzati e disorientati: non perché non si potesse festeggiare la serata con gli adulti, ma per il tono paternalistico che quelli del consolato avevano per gli italiani.
Ci è venuta spontanea la domanda sull'attività culturale che il consolato italiano svolge per gli italiani: gare di bocce, serate danzanti, cene collettive, coro e canti di montagna, partite di calcio. Questo il "programma culturale" che viene offerto alle comunità italiane in Svizzera.
Il primo spettacolo dobbiamo darlo a Couvet.
Gli italiani a Couvet sono circa 700, tutti arroccati nella zona bassa del villaggio, nettamente isolati. Lavorano tutti per una grande industria metallurgica che costruisce macchine per maglieria. Si ritrovano tutti al circolo, la sera: cantano e parlano sottovoce perché la polizia dopo le 22 esige un rigoroso silenzio.
Allora dell'appuntamento in sala c'erano circa 150 italiani: pochi giovani tra i 20 e i 25 anni e tanti anziani.
Comincia lo spettacolo: devo spiegare che era stato realizzato per i ragazzi ma che per ragioni indipendenti dalla nostra volontà dovevamo proporlo a loro.
Lo spettacolo, che prevede l'intervento dei ragazzi, non è cambiato molto, anzi. Mi ha spaventato un particolare delle persone che ho chiamato sul palcoscenico: erano tutti in preda a una strana risata isterica, la risata di chi entra a far parte di un gioco che non accetta ma che non ha strumenti e coraggio per rifiutare.
Durante la cena che ha seguito lo spettacolo ho capito quali erano i motivi di questa isteria.
Mi diceva un commensale: "Siamo trattati come bestie. Il "buon giorno" per l'italiano, quando entra lavoro, è "sporca carogna". Abbiamo penalità assurde per un ritardo di un minuto. Ci vengono tolti giorni di ferie con assurdi pretesti. Il Consolato italiano ha le mani legate perché "deve mantenere i rapporti diplomatici". Non ci consentono di riunirci in fabbrica per discutere i nostri problemi di lavoro. La polizia è la nostra ombra. I nostri figli non riescono a integrarsi, vengono allontanati dai giochi. Si vive in un clima assurdo, fascista, in questo paese che si dichiara democratico". "Le racconto un fatto di questi giorni. Un giovane italiano è morto in un incidente stradale, investito da uno svizzero. Abbiamo chiesto il permesso di partecipare al rito funebre. Niente permesso. Alcuni di noi ci sono andati lo stesso. Hanno avuto penalità e sottrazione di giorni di ferie".
Ma se vivete nel totale malcontento perché non vi ribellate, non fate qualcosa?
"Qui manca la possibilità di un dialogo. Se alzi la cresta ti rispediscono e c'è subito qualcuno che ti rimpiazza. Sanno di avere il coltello dalla parte del manico perché alla fine abbassiamo sempre la testa e rinunciamo ai nostri diritti di uomini per quei maledetti franchi svizzeri. Restiamo solamente perché siamo pagati bene".
Ma non vi sentite prostituiti?
"Certo. Quando un italiano arriva in Svizzera non sa che cosa lo aspetti. Lo Stato italiano non fa nulla per informarlo sulle condizioni ambientali e sui rapporti con gli svizzeri. Anzi, ci illude; una volta che sei entrato nel meccanismo non trovi più né il coraggio né la forza per uscirne. Ti difendi solo arroccandoti in quel piccolo spazio dove tutti gli italiani si ritirano: il circolo. Ti crei delle illusioni e sopravvivi".
Il governo svizzero come vede questo trattamento dei vostri datori di lavoro?
"Il governo svizzero tende a fare concessioni sempre più importanti alle forze "xenofobe", cioè ai "mangia-stranieri"; l'accordo italo-elvetico sull'immigrazione, che fu siglato nel 1964, viene sistematicamente eluso. I lavoratori presenti in Svizzera, oggi - circa 532.000 - hanno in gran parte la qualifica di "stagionale" che li lascia in una situazione precaria. Nelle vertenze tra padrone e operaio la "polizia degli stranieri" ha poteri di intervento illimitati e può prendere decisioni senza diritto d'appello per i lavoratori. Schwarzenbach e gli altri due che difendono in Svizzera la "purezza della razza" hanno ottenuto molto. Nel 1970 il governo elvetico ha limitato le concessioni di permessi di soggiorno a 40.000, nel 1971 a 20.000".
Il compagno ci ricorda che al termine dell'anno scorso i governi svizzero e italiano aprirono un negoziato per la modifica dell'accordo sull'emigrazione, ma le trattative fallirono. Nell'accordo del 1964 vi sono alcuni "punti neri" di cui è richiesta l'abrogazione: il controllo medico che è spesso motivo di provvedimenti arbitrari, gli ostacoli posti al ricongiungimento dei lavoratori italiani con le loro famiglie in Svizzera, l'impossibilità per gli stranieri di ricorrere agli uffici di collocamento svizzeri.
Ho avuto l'impressione - dico - che lo Stato italiano non abbia interesse a sviluppare i vostri rapporti né coi datori di lavoro né con l'ambiente.
"È vero: lo Stato italiano, tramite i suoi consolati, conduce una politica doppiogiochista: ci circonda di premure paterne, ci alimenta con avvenimenti di marca prettamente nazionalistica (es. sfilata bersaglieri); ci informa con una stampa che viene "filtrata" in modo che i fatti non scaldino gli animi. Inoltre, nelle vertenze, cerca sempre il compromesso, non vuole urtarsi con le autorità elvetiche. Fa di tutto affinché il lavoratore italiano si trovi nella più completa ottusità, in modo che non possa creare incidenti o scontri. Si capisce benissimo che ha tutto l'interesse a far sì che le rimesse di denaro straniero non diminuiscano".
La serata è terminata come avevo previsto: con alzate di calice e canti che vanno da "Quel mazzolin di fiori" a "Sul ponte di Bassano" ecc. e tanti brindisi all'Italia!
Verso l'una siamo usciti quatti quatti, a passi felpati. Come se fuggissimo da una seduta clandestina. La polizia è onnipresente.
L'indomani dovevamo recitare a La Chaux de Fonds. Eravamo curiosi di vedere come era la situazione là. Ma naturalmente non abbiamo trovato nulla di diverso: gli italiani isolati dagli altri, il loro circolo, unico luogo di ritrovo, imbandierato con il tricolore (tanto per cambiare), con in più il controllo "gratuito" dei documenti da parte della polizia.
Siamo finalmente partiti da questo paese così evoluto, democratico, civile; siamo tornati in Italia, dove, guarda caso, le cose non sono poi tanto diverse.

M. M. G.