Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 1 nr. 5
giugno 1971


Rivista Anarchica Online

Riscoperta dei consigli

Esperienze di autonomia operaia alla fabbrica S. Andrea di Trieste

La FMSA si è inserita nella lotta generale dell'autunno '69 con una notevole partecipazione della sua base operaia per numero e continuità d'azione. La lotta, diretta da un comitato unitario di base, era condotta secondo una articolazione per reparti e trovava la sua manifestazione più viva in molte uscite dalla fabbrica.
Alla chiusura dello scontro generale si apriva una vertenza aziendale durata parecchi mesi. Durante questo periodo si è posta la necessità, per i lavoratori, di superare la semplice unità d'azione esaltando l'unità naturale della base e rendendola stabile anche nella forma organizzativa.
Su questa spinta, ed in parallelo con le lotte della primavera '70, sorgeva nella FMSA un giornale, stampato in sede sindacale ma con articoli scritti dai lavoratori.
Il giornale "Critica sociale" era portato avanti da un gruppo di operai e impiegati iscritti ai tre sindacati, e quindi costituiva di per sé una prima forma di unità al di là della lotta.
Questo giornale incontrava la naturale ostilità di coloro che fino ad allora avevano mantenuto il monopolio della informazione in fabbrica, soprattutto quando questi si accorsero che il giornale era seguito nelle officine.
La segreteria del sindacato CCdL iniziava una vera e propria campagna diffamatoria, culminata in episodi di intolleranza. Ad un certo punto alcuni elementi della redazione venivano indicati alla direzione aziendale come pericolosi estremisti, volendo conseguire con ciò il doppio effetto di isolarli dalla base e di sottoporli alla repressione padronale.
Questi fatti hanno generato una tensione sufficiente per rompere i vecchi schemi del sindacalismo nella coscienza dei lavoratori più giovani e impegnati nelle lotte.
La CCdL, tramite i suoi fiduciari, dopo aver tirato i freni nella lotta, si preparava a contrastare le elezioni del consiglio di fabbrica, chieste ripetutamente nelle officine. Ma si trattava di una lotta inutile contro il tempo, contro un esperimento che ormai assumeva dimensioni nazionali. Solo la mancanza di informazione ed un falso concetto di patriottismo potevano bloccare il processo di maturazione in alcuni lavoratori. Nel febbraio '70 in una assemblea generale veniva decisa all'unanimità l'elezione dei delegati di reparto su scheda bianca. Nella settimana seguente le elezioni registravano una alta partecipazione in tutte le officine.
Il consiglio di fabbrica sorge nel periodo delicato del passaggio alla GMT, (Grandi Motori Trieste) e si è subito trovato di fronte ad una impostazione autoritaria dei rapporti con i nuovi dirigenti. L'esperienza ha insegnato agli operai che nelle fabbriche nuove la produzione è ottenuta con un maggior sfruttamento dell'uomo.
Nessuno quindi si fà illusioni di miglioramenti sostanziali finché prevale questa logica: profitto-sfruttamento.
L'utilità del consiglio si rivelerà nel rendere consapevoli di ciò tutti i lavoratori e nel prepararli ad affrontare in prima persona i problemi tecnici e organizzativi della produzione ed i problemi politici che sorgono dalle vita in fabbrica.

Consigli e comitati di sciopero

Le lotte contrattuali dell'autunno '69 hanno riportato all'attenzione dei lavoratori il tema dei consigli di fabbrica; è stata una riscoperta (ricordiamo che in Italia i consigli sono sorti per la prima volta nel 1919) non casuale, infatti queste lotte hanno determinato, per contenuti e partecipazione, una notevole tensione politica delle masse lavoratrici. Alcuni obiettivi uscivano dalla semplice contrattualistica aziendale per assumere un carattere egualitario sul piano sociale (parità normativa operai-impiegati), oppure una affermazione di maggiore libertà in fabbrica (diritto di assemblea).
Nelle fabbriche più avanzate la discussione sui metodi di lotta e sugli obiettivi si è fatta estremamente critica, coinvolgendo le strutture sindacali, giudicate inadeguate e cercando collegamenti con le lotte esterne alla fabbrica (scuola e quartiere). La generalizzazione di alcuni obbiettivi (diritto alla casa e rifiuto dei ghetti operai; trasporti e sfruttamento dei pendolari; nocività in fabbrica e assistenza sanitaria che tratta l'uomo come una merce; infortuni e ritmi di lavoro) ha condotto ad una indubbia crescita politica del movimento operaio, ad un atteggiamento di massa più consapevole di fronte allo sfruttamento nel suo insieme (fabbrica - repressione - stato).
Le discussioni sorte in questo periodo hanno investito anche le forme organizzative del movimento. Era fin troppo facile constatare l'insufficienza delle strutture sindacali aziendali, capaci solo di gestire un contratto, ma prive di iniziativa e quindi nella impossibilità di rispondere efficacemente alle manovre padronali e incapaci di dare uno sbocco politico alle lotte. Tutto ciò rischiava di provocare, come nel passato, l'isolamento del movimento operaio ed il freno ad una crescita di massa nelle fabbriche.
In questa situazione si rendeva necessario un cambiamento delle strutture e degli uomini. Un avvio al cambiamento veniva dato con la costruzione dei comitati unitari di sciopero, eletti dalla base nelle assemblee. In questi comitati venivano a trovarsi elementi iscritti e non iscritti al sindacato. Venivano quindi superate all'atto pratico le divisioni fra tessere sindacali e le diffidenze verso gli elementi non sindacalizzati.
Nel passato questi comitati avevano svolto un ruolo limitato soltanto ai periodi di sciopero, e quindi si erano sciolti, per lasciare il passo alle strutture tradizionali. Nella autunno '69, invece, per il clima particolare che si era creato e per una più approfondita impostazione critica (favorita da un prolungato confronto con alcune posizioni degli studenti) oltre all'impegno nella lotta di nuove categorie (impiegati e tecnici), si era verificata una impostazione autonoma di alcuni comitati nei riguardi del sindacato, e un'esigenza di rendere stabili e generalizzate le nuove strutture.
La maggior circolazione di informazioni (possibilità di stampare volantini, maggiore mobilità degli studenti nel collegamento di più fabbriche, giornali di fabbrica sorti durante le lotte) ha fatto sì che alcuni esperimenti non restassero più isolati, ma venissero discussi nelle assemblee, picchetti e in tutte le occasioni di incontro date dalla lotta.
Vi è una lentezza iniziale della massa ad impadronirsi di una idea, ma quando questa diventa oggetto di discussioni quotidiane, allora risulta altrettanto difficile distogliere la massa da quell'obiettivo.
I comitati, iniziati come un esperimento, adesso si rivelano come gli elementi principali della lotta, come centri di iniziativa, di coordinamento e di informazione. Un elemento che affiora immediatamente da questa situazione è l'unità organica raggiunta a livello di base. Una unità sorta da una naturale forma di collaborazione nella lotta. Elemento questo che fà apparire assurde le divisioni imposte dalle tessere sindacali. Chi lavora e lotta assieme ad altri come lui non ha certo alcun interesse che lo divide da questi.
I tempi dell'unità e della costruzione dei nuovi organismi si saldano dunque in modo permanente e, per il loro contenuto politico, devono incontrare la diffidenza delle burocrazie sindacali e l'ostilità dei padroni.

Caratteri originali dei consigli

L'analisi dei comitati unitari fatta nelle riunioni, nelle assemblee e nella stampa di base ha condotto ad un confronto naturale con le esperienze del passato; veniva così riproposto il tema dei consigli e la loro attualità.
Il passaggio dai comitati unitari ai consigli è avvenuto in seguito ad un allargamento della rappresentanza garantito a tutti reparti (compresi gli uffici). Cioè ogni reparto o gruppo omogeneo elegge un certo numero di rappresentanti, scelti su scheda bianca anche fra i non iscritti. Alcune fabbriche si erano già spontaneamente poste su questa linea. La scadenza contrattuale ha poi imposto una certa omogeneità alle varie esperienze.
Sui consigli è poi calata tutta una serie di norme (elezioni degli esecutivi, incompatibilità, materiale di competenza, congelamento delle commissioni interne e loro assorbimento nel consiglio) che dovrebbero definire i compiti ed i rapporti con le strutture sindacali. Cerchiamo ora di esaminare quali sono le innovazioni introdotte con i consigli, per capire quali sono le cose importanti da difendere e conservare e quali possono essere i pericoli di involuzione e di assopimento dei consigli.
a) La struttura unitaria del consiglio provoca un abbattimento delle divisioni sindacali all'interno della fabbrica ed un nuovo atteggiamento verso i lavoratori non organizzati.
b) Il consiglio, in quanto è formato dalle rappresentanze di tutti i reparti, ricalca l'organizzazione di fabbrica, cioè affonda le sue radici nell'unità data dall'organizzazione della produzione. In questo senso il consiglio non è una semplice riunione di lavoratori salariati, ma è un insieme organico di produttori. Dunque si tratta di una forma di unità politica naturale (e non di alleanze).
c) Il consiglio può avvalersi della esperienza e della collaborazione di tutti i reparti, quindi può realizzare la conoscenza del processo produttivo fra tutti i lavoratori.
d) Dalla conoscenza generale della produzione il lavoratore può passare alla critica consapevole delle attuali forme di gestione, e alla proposta di forme alternative. A questo punto il lavoratore può pensare alla autogestione in termini concreti e lavorare per prepararla.
e) Un funzionamento corretto del consiglio può promuovere una vera democrazia di base (principio della rotazione degli incarichi) e consente di superare il distacco fra una avanguardia impegnata e la massa dei lavoratori, rendendoli tutti partecipi delle iniziative e delle scelte. In tal senso il consiglio può diventare una vera scuola di lavoro collegiale.
f) Il consiglio dovrebbe consentire il superamento delle visioni corporative all'interno della fabbrica (mestiere, qualifica e categoria), formando nei lavoratori una visione più ampia del loro rapporto diretto di produzione. Questo potrebbe essere il carattere di educazione politica del consiglio.
g) Infine il consiglio, come strumento politico, dovrebbe incanalare le lotte secondo una strategia politica che superi la visione salario-prezzi. È chiaro infatti che lottare periodicamente in questo sistema economico, senza attaccarne il meccanismo di distribuzione del reddito, significa conseguire false vittorie, subito assorbibili dalla manovra congiunta del padronato e del governo (aumento dei ritmi e dei prezzi e decreti economici che colpiscono la classe lavoratrice). Un tipo di lotta che non si colleghi alle esigenze generali della classe è perdente in partenza ed espone il lavoratore ad una serie di ricatti, alla reazione e all'isolamento.
È inutile scioperare per un aumento della paga oraria se poi il lavoratore (cioè colui che produce tutto) non può decidere nulla sulla distribuzione complessiva del prodotto, se poi continuerà a trovare le case troppo care, le spese per il vitto troppo alte, forti trattenute sulla busta paga, se poi sarà soggetto ad una continua discriminazione sociale, se egli potrà essere denunciato come sovversivo in base ad un codice fascista.
È questo il compito più grosso del consiglio, quello di far maturare il livello politico delle lotte e di farle uscire dal chiuso della fabbrica.

Pericoli di involuzione dei consigli

Fin dal loro sorgere in forma spontanea, i gruppi di base, i comitati unitari ed i consigli hanno incontrato l'ostilità aperta del sindacato. Quando il lavoratore obbedisce alle direttive calate dall'alto si dice che è "organizzato"; quando incomincia a pensare con la sua testa e si dà una propria organizzazione lo si accusa di essere sovvenzionato da organismi anti-operai. In molte fabbriche piemontesi e lombarde è stata organizzata dai sindacalisti la "caccia allo studente" che andava a "corrompere" i buoni operai con volantini estremisti. Questi atteggiamenti hanno messo in chiara luce tutti i difetti del sindacalismo portato avanti da un gruppo di professionisti. Questi si erano convinti di essere i soli a possedere la verità sulla classe operaia, e volevano tenerla avvolta nell'ovatta per paura che si contaminasse.
Questi "compagni" che accettano il dialogo con gli studenti ma senza le critiche e senza il libero confronto, fanno la figura di vecchi preti di campagna (buoni solo a pascolare un gregge di anime), anche se usano nascondersi dietro a grandi mantelli rossi.
Per il collegamento fra le nuove forme di democrazia di base e la spinta unitaria, i consigli hanno incontrato anche l'ostilità delle parrocchie sindacali a livello aziendale. In questi casi il sindacato che aveva la maggioranza in fabbrica temeva di vedere diminuito il suo peso in un consiglio troppo allargato.
A questo punto occorre ricordare che all'interno del sindacato non sono mancate le tensioni fra i nuovi quadri, usciti dalle lotte dell'autunno, ed i vecchi rappresentanti che cercavano di tirare i freni. Queste tensioni non sono cessate con la creazione dei consigli. Molti della "vecchia guardia", quando hanno capito di non potersi opporre ai consigli, si sono riservati di insabbiarli nel futuro, assegnando a questi organismi delle funzioni laterali e prive di incidenza sulla politica sindacale generale.
Naturalmente anche da parte padronale non sono mancate le resistenze e le ostilità aperte ai consigli (il cui solo nome rievoca per le dinastie industriali un periodo scottante ed è comunque sinonimo di pericolosi esperimenti). Le direzioni aziendali temevano di veder compromessi i buoni rapporti intessuti dopo tanti anni con le vecchie commissioni interne. I gruppi dirigenti vedevano svanire, per il momento, la loro possibilità di manipolazione e di "civile" dialogo con la controparte.
A questi pericoli di nascita dei consigli se ne aggiungono altri che diventano evidenti nella fase successiva del funzionamento e sono:
a) il pericolo che il consiglio diventi una semplice emanazione del sindacato nella fabbrica, e non una espressione autonoma dei lavoratori. Con questo il consiglio si ridurrebbe ad un semplice parlamentino dove verrebbero discusse le decisioni già prese dalle segreterie e dai direttivi sindacali. In questo caso il consiglio si trasforma in un organo per raccogliere in maniera più efficace il consenso della base.
b) Vi è poi il pericolo che il consiglio tenda a rinchiudersi nei problemi aziendali, trascurando di intervenire in tutti quei settori che condizionano la vita del lavoratore (informazione, istruzione, condizioni sociali, coordinamento tra lotte di fabbrica di quartiere e di scuola). In questo modo il consiglio rinuncerebbe alla crescita politica, restando un organo privo di iniziativa e limitandosi a svolgere il lavoro delle commissioni interne.
c) Un ultimo pericolo è quello di credere che la nuova organizzazione sia una formula magica, in grado di risolvere tutti i problemi dei lavoratori. Un consiglio di fabbrica ben addomesticato potrebbe in futuro essere ben visto anche dai padroni, che magari lo inviterebbero ad una cogestione morale, pur di assicurarsi una maggiore tranquillità. Il sistema sa compiere delle formidabili trasformazioni, e riesce ad assorbire col tempo anche una spinta genuina di classe, facendo delle piccole concessioni per mantenere intatto l'apparato di sfruttamento.

Conclusioni

Un giudizio sui consigli per essere fondato deve tenere conto delle condizioni in cui sono sorti e del clima in cui operano.
Durante l'autunno '69 c'erano le condizioni per una nascita spontanea dei consigli ed un clima di lotte estese a molti settori industriali, quindi condizioni che potremmo definire buone per l'esperimento dei consigli. Oggi il rallentamento delle lotte ed i loro frazionamento in vertenze aziendali, genera un clima diverso: si parla di una fase di regolamentazione dei consigli, di mancanza di iniziativa e di insabbiamento. Certo in questo periodo i consigli corrono maggiori pericoli di integrazione e di distacco dalla base.
Occorre però ricordare che il vuoto politico lasciato dalla vecchia organizzazione sindacale è enorme.
Occorre passare dalla fase dei comizi a quella della libera discussione. Passare dagli attivisti che facevano la spola tra officina e commissione interna alle assemblee di reparto. Occorre passare dal volantino misterioso e retorico ad una stampa di fabbrica fatta per informare ed educare e fatta dagli stessi operai. Occorre saper rinunciare alla demagogia nelle assemblee e agli interventi concertati. Ci sono delle abitudini sindacali che vanno semplicemente estirpate. Ma è certo che i risultati del lavoro dei consigli si faranno attendere. Per anni i lavoratori sono stati organizzati con metodi da gregge, non possiamo pretendere di compiere in un sol giorno miracoli politici.
Il compito più difficile per i consigli comincia ora, quando essi sono chiamati ad esprimere la potenzialità del lavoro collegiale di base e a generare iniziative politiche senza false paure e senza attendere direttive dall'alto.
I lavoratori devono però prevedere che il loro obiettivo futuro sarà quello di gestire direttamente sia la produzione che la distribuzione domani quando saranno rimossi gli ostacoli del capitale e della divisione del lavoro.

Un compagno della F.M.S.A.