Rivista Anarchica Online
Lettera dalla Spagna
di Manuel
I comunisti spagnoli fra riconciliazione nazionale e dilettantismo cospirativo
Cari compagni, Quaggiù siamo in pieno "inverno". I venti
che dal Nord (Paesi Baschi) si sono estesi a tutta la Penisola
stanno, violentemente, facendo piazza pulita di ogni resistenza. Il P.C.E. (Partito Comunista Spagnolo),
più degli altri, sta pagando le conseguenze del suo dilettantismo, del suo opportunismo criminale
e degli
errori madornali accumulati in questi ultimi anni. In varie città e in alcune regioni praticamente
non esiste
più, è stato spazzato via in poche settimane. In altre la pulizia sta cominciando ora e non
può dare risultati
diversi. La strategia repressiva, approfittando della caterva di errori politici ed organizzativi che ora
cercherò di sintetizzarvi, è pressoché perfetta. Ma procediamo con
ordine. La salita al potere dei tecnocrati dell'Opus Dei aveva permesso una certa liberalizzazione -
assai più
apparente che reale - del regime. Aveva comunque creato un nuovo clima che fece sperare alcune
ingenue creature in successive aperture democratiche. Un'analisi abbastanza semplicistica, se si tiene
presente la base reale del potere franchista. Forti di essa, comunque, i comunisti spagnoli, aspettandosi
non si sa bene che manna dal cielo (morte di Franco?, sua improvvisa illuminazione divina?,
restaurazione monarchica?, caduta celeste di una democrazia parlamentare? - che politici!! - ecc. ecc.),
lanciarono la propria strategia fondandola su tre parole d'ordine: Amnistia, Patto per la libertà,
Apertura
alle masse. Tre punti che meriterebbero un esame approfondito, ma che nei limiti di spazio (e di
tempo) di cui
dispongo cercherò di sintetizzarvi nella forma più chiara possibile.
I) AMNISTIA GENERALE
Bellissimo..., ma demagogico! Una semplice parola d'ordine i cui scopi erano, in sostanza, due: a)
coagulare l'opposizione (dai falangisti "di sinistra" agli anarchici, passando per i liberali, democristiani,
carlisti, socialdemocratici, socialisti, maoisti - le loro mille conventicole - e i trotzkisti) su di una
rivendicazione concreta che tutti i gruppi e gruppetti che in qualche modo la costituiscono e che hanno
militanti in galera, non possono non condividere e sperare. Su questa parola d'ordine l'azione
dell'opposizione antigovernativa (non proprio antiregime) doveva, chi lo dubita!, essere guidata dal
P.C. b) Un tale tipo di azione poteva avere, verosimilmente, una benché minima speranza
di successo? No,
ovviamente. Se le masse spagnole fossero in grado di imporre - perché altra forma non esiste -
una
amnistia al governo, sarebbe ugualmente in grado di fare di un tale governo un solo boccone. E questa
è utopia, attualmente. Demagogia allo stato puro quindi? Si e no. Posto come dato di fatto
obiettivo che
la base non può imporre un'amnistia, questa potrà verificarsi solo "cadendo dall'alto, per
volontà sovrana
indipendente da ogni tipo di pressione". Quando è ragionevole credere che cadrà
dall'alto? Quando, per esempio, Juan Carlos salirà al trono, è
indubbio che in tal caso una misura di questo tipo si imporrebbe per necessità di
"popolarità". E veniamo
al secondo obiettivo che il P.C. sperava di realizzare lanciando la parola d'ordine "amnistia". Qui
entriamo
nel campo dell'ipotesi politica più azzardata. Se cade la manna (illuminazione divina di
Franco; restaurazione monarchica ecc.) e l'amnistia viene
concessa, chi potrà beneficiarne politicamente, a livello di prestigio? Naturalmente il partito che
aveva
lanciato e sostenuto la parola d'ordine, il P.C.
II) PATTO PER LA LIBERTÀ
L'azione per l'amnistia doveva essere la base concreta di un più ampio "Patto per la
libertà", gestito, come
naturale, dal P.C. Patto tra le opposizioni di ogni colore in favore di una... democrazia parlamentare
borghese. Già meno
bello dell'amnistia, ... ma ugualmente demagogico. Basandosi sulla constatazione che una monarchia
costituzionale - un regime parlamentare democratico -
è l'unica soluzione di ricambio del post-franchismo, il "partito del popolo spagnolo, stanco
dell'oppressione, ma ostile ad ogni nuovo bagno di sangue tra fratelli, tale sarebbe una rivoluzione..." si
erge a portavoce delle aspirazioni piccolo-borghesi. Niente di nuovo, l'ha sempre fatto! Obiettivi:
usare l'adesione al patto di tutti coloro che rivendicano la libertà (qualunque sia il grado di tale
libertà!) per facilitare la loro fagocitazione da parte del partito, il partito delle libertà
democratiche. Ce
l'ha fatta, sapete? È diventato, in breve, un magnifico partito... "amorfo". Il patto "all'interno del
partito"
è riuscito; le sue fila si sono ingrossate con cattolici, con liberali, con socialdemocratici e
socialisti. Vedere
il tentativo proselitista fine a se stesso sarebbe però un errore. Perché si è giocata
la carta della
spersonalizzazione politica? (tenete presente che alcuni neofiti sono arrivati abbastanza in alto nella
struttura del partito!). Ma perché si attendeva la manna perdio! Democratizzazione del regime
con un
partito comunista avente un'ampia base popolare interclassista, insospettabile di tendenze "sanguinarie",
democraticamente "credibile". La funzione del patto per la libertà, in sostanza, è
stata la ricerca di una solida (o più propriamente,
estesa) base per precipitarsi nel circo della democrazia borghese quando venisse inaugurato. Dal
partito, il patto per la libertà è stato travasato nelle Commissioni Operaie e Contadine,
uccidendole. Questi organismi sorti come la reale risposta sindacale popolare al corporativismo
franchista erano, fino
a pochi anni fa, gli organi di lotta della classe operaia cosciente. Ad esse partecipavano tutte le reali forze
sindacali spagnole (ricordate la loro indipendenza statutaria da ogni partito o movimento organizzato).
Oggi sono una dipendenza del partito e come tali hanno perso gran parte della loro forza. Ma il colpo
mortale lo ha inflitto loro, come al partito, la cosiddetta:
III) APERTURA ALLE MASSE
L'abbandono del fine rivoluzionario (tipico di tutti i partiti comunisti occidentali) e l'adesione al
riformismo messianico comportava necessariamente l'abbandono della rigida struttura clandestina e
l'apertura del partito alle masse sensibilizzate da obiettivi tipo "amnistia" e "patto per la libertà".
Niente
da obiettare all'apertura alle masse, necessaria per un movimento clandestino socialista, pena il suo
isolamento e l'autodissoluzione a più o meno breve termine, ma molto da ridire sulla forma in
cui il P.C.
lo ha fatto. Anziché "aprire" solamente la base, mantenendo una struttura rigidamente clandestina
(segreta) a livello di "quadri dirigenti", si è aperto e scoperto anche a livello di comitati locali e
regionali
con un candore veramente commovente. Mi spiego: i quadri del partito si sono "riversati nelle
masse" (intervento nelle lotte universitarie, in quelle
operaie e in quelle contadine) passando dall'attività segreta ad un'attività
pressoché pubblica, senza
adottare un minimo di misure cautelative, senza applicare sistematicamente neppure una delle mille
piccole precauzioni tipiche di un partito o movimento illegale che tenga alla sicurezza dei propri militanti
(per fare alcuni esempi: uso di pseudonimi per i militanti più attivi e più esposti, cambi
di domicilio
immediato in caso di identificazione da parte della polizia, adozione di misure speciali di sicurezza per
le riunioni più importanti, ecc. ecc.). Risultati: il partito è riuscito sì nel suo
obiettivo di costituirsi un'ampia base, ma in essa sono confluiti,
oltre ad elementi sinceramente rivoluzionari anche elementi genericamente insoddisfatti, privi di una
qualsiasi mentalità rivoluzionaria, impreparati e vacillanti, quando non dichiaratamente
"liberali". Qui siamo nel campo delle reazioni a catena. La massificazione indiscriminata, infatti,
accompagnata dal
dilettantismo (attività pubblica della struttura organica del partito, dovuta forse al tentativo di
darsi una
credibilità democratica agli occhi dei piccoli borghesi "stanchi dell'oppressione, ma ostili a nuovi
bagni
di sangue rivoluzionari", che ha raggiunto spesso livelli tragicomici, tipo alcune famose scampagnate in
autobus fatte dai membri delle sezioni locali operaie e studentesche identificate dalla polizia...) ha
comportato una massificazione dell'informazione, in base alla quale il più oscuro e obiettivamente
poco
fidato militante era in grado di fornire nome e indirizzo dei componenti del comitato locale e spesso
anche
di quello regionale o provinciale. L'informazione più "esauriente" e "democratica" circolava ad
ogni
livello. Appare quasi inverosimile che la polizia non abbia inserito in questo "movimento di massa" dei
propri informatori. Sembra però che ciò non sia avvenuto, almeno a grande livello; il
perché è presto
detto: sicuramente a conoscenza del raptus suicida, il potere ha lasciato fare per un certo tempo, ha
lasciato cioè che l'organizzazione si liquefacesse lentamente. A titolo di esemplificazione vi
racconto un
episodio accadutomi. Conosciute due ragazze in una festa, ho saputo quella stessa notte che erano
simpatizzanti del partito. Due giorni dopo ho incontrato per la strada una di esse che mi ha invitato ad
assistere alla riunione di un commando che stava pianificando una serie di azioni in favore dei processati
di Burgos. Vi ho assistito senza che la minor obiezione venisse fatta alla mia presenza. Naturalmente ho
ottenuto, pur senza aprire la bocca una sola volta, una copiosissima informazione sulla struttura e sulla
strategia del partito. Valutate voi. Ottenuta grazie allo stato di emergenza provocato dal processo
E.T.A., carta bianca in materia repressiva,
è iniziata una pulizia "scientifica", che anche gli altri movimenti stanno pagando, per quanto non
nelle
proporzioni del P.C. Acciuffati i più incauti militanti di base - di esempi aneddotici ve ne
posso fare a centinaia - grazie alle
loro confessioni, ottenute con qualche sberla e qualche minaccia, in una settimana si è arrivati
ad
identificare e ad ottenere dichiarazioni compromettenti per i membri dei vari comitati locali, provinciali
e di propaganda (i più ricercati). Molti individui, rivoluzionariamente non formati, hanno sciolto
il sacco
senza che la minima pressione fisica venisse loro fatta, in altri casi sembra che si sia ricorsi alla
tortura. Intendiamoci bene, non è possibile criticare colui che cede sotto la tortura, (sono a
conoscenza di episodi
che non stonerebbe definire "eroici"), ma deve essere criticato l'opportunismo criminale del partito che
ha fatto di ogni suo militante o perfino simpatizzante una fonte di informazione preziosissima per la
polizia e strumento di denuncia e di identificazione nei confronti degli altri. La miglior forma per
resistere ad un interrogatorio è l'ignoranza di ciò che la polizia desidera sapere,
questa regola elementare non entrava nella strategia democratica del P.C.E. Lo sta pagando
duramente, il numero delle dichiarazioni compromettenti, estorte o "facilitate" sta
assumendo l'aspetto di una spirale hegeliana; in Andalusia il partito è stato spazzato
completamente, in
Aragona sono pochissimi i militanti (meno importanti) che sono riusciti a nascondersi e ad evitare la
cattura, a Madrid pulizia completa, a Barcellona (dove il P.C. è meno forte) la repressione sta
cominciando in questi giorni, e forse si è già conclusa. Sarebbe facile, dopo quanto
esposto, concludere dicendo che non tutto il male viene per nuocere, che
il colpo inflitto ad un partito riformista e piccolo-borghese può essere per noi soltanto un bene,
la realtà
è ben diversa.; volenti o nolenti il P.C. è attualmente una forza d'opposizione reale in
Spagna. L'adesione
al partito di molti rivoluzionari è avvenuta per la mancanza di una presenza attiva degli altri
movimenti.
Questa colpa è anche nostra.
Manuel
La guerra civile spagnola (1936-1939)
Nel febbraio 1936 il Frente Popular (le sinistre unite) vince le elezioni, sconfiggendo la destra, ed
in
Spagna si intensificano le agitazioni popolari: i fittavoli cessano di pagare gli affitti, i braccianti
occupano e lavorano le terre, i ferrovieri scendono in massa in sciopero. I capi militari capiscono che
la vittoria delle sinistre non può soddisfare le attese del popolo spagnolo, che in buona parte
punta non
ad un cambiamento semplice di governo, ma ad una profonda rivoluzione sociale. Oltre mezzo secolo
di propaganda e di lotte anarchiche ed anarco-sindacaliste hanno lasciato un segno profondo nella
vita politica spagnola e l'influenza fra gli sfruttarti della Confederacion Nacional del Trabajo (C.N.T.),
la grande organizzazione anarco-sindacalista, è estesa in tutta la Spagna e soprattutto in
Catalogna
(1). Nel luglio 1936 a questi prodromi di rivoluzione, i capi militari, sotto il comando
del colonnello
Francisco Franco, rispondono con un colpo di stato. La risposta spontanea del popolo spagnolo è
immediata. Ad eccezione di Siviglia, nella maggior parte delle grandi città, a
Madrid, a Barcellona, a Valenza
soprattutto, il popolo prende l'offensiva, assedia le caserme, erige barricate nelle vie, occupa i punti
strategici. Il golpe militare viene così sconfitto sul nascere in oltre metà della Spagna. In
molte località
l'autogestione contadina ed operaia prende corpo immediatamente, sostituisce le "autorità
ufficiali"
e coordina la vita sociale e la lotta antifranchista. Onnipresente l'organizzazione della
C.N.T. che ispirava e collegava dovunque i diversi comitati di
base. La caratteristica più notevole della Rivoluzione Spagnola fu proprio la
grande diffusione raggiunta
dagli esperimenti e dalle realizzazioni dell'autogestione, tanto nei piccoli villaggi di campagna quanto
nei grossi centri industriali come Barcellona. Per più di quattro mesi le
industrie di Barcellona, su cui sventolava la bandiera rosso-nera della
C.N.T., furono gestite dai lavoratori raggruppati in comitati rivoluzionari, senza aiuto o interferenza
dello stato, prima che il governo, riorganizzatosi, cominciasse (purtroppo) ad occuparsene. Anche la
rete dei trasporti pubblici venne autogestita dai lavoratori, in maggioranza aderenti alla
C.N.T. Dopo lo slancio dei primi mesi, però, la rivoluzione si fermò
o retrocedette, in proporzione inversa con
il rafforzamento del governo repubblicano di coalizione antifascista, via via sempre più dominato
dal
P.C., che andava acquistando maggiore consistenza e potere, grazie alla sua politica moderata (che
attirava nelle sue file i bottegai, i piccoli e medi proprietari, i professionisti, i burocrati) ed agli aiuti
russi. Lo scontro fra il moderatismo e e la logica di potere dei comunisti da un lato e
la rivoluzione libertaria
degli anarchici dall'altro, era facilmente prevedibile. Nonostante la volontà degli anarchici di
evitare
fratture nel fronte antifascista, le provocazioni (2) dei comunisti e dei loro alleati
piccolo-borghesi
condussero necessariamente a scontri sempre più aperti e violenti. La
situazione militare, da posizioni iniziali (luglio '36) di quasi equilibrio, in termini territoriali, tra
fascisti e repubblicani, andò lentamente ma continuamente deteriorandosi e l'avanzata delle
truppe del
"generalissimo" Franco continuò inesorabile, grazie ai massicci aiuti in armi e uomini di Hitler
e
Mussolini. I paesi baschi caddero nel giugno del '37, l'Aragona nell'aprile del '38; la Catalogna nel
gennaio del '39, Madrid nel marzo del '39.
(1) Con oltre 1 milione di iscritti (che diventeranno 2 milioni dopo la rivoluzione)
la C.N.T. era forte
quanto la U.G.T. socialista, l'altra grande centrale sindacale. (2) Ad esempio il generale comunista
Lister si diede a devastare con le sue truppe le collettività agricole
libertarie dell'Aragona; a Barcellona la polizia (controllata dai comunisti) assaltò la sede dei
telefoni
autogestita dai lavoratori della C.N.T.; agenti della polizia segreta comunista assassinarono il noto
anarchico italiano Camillo Berneri.
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