Rivista Anarchica Online
LETTURE
a cura della Redazione
LA STORIA, di E. Morante, Einaudi, Torino 1974, pp. 649, Lire 2.000
Il romanzo della Morante si articola in due momenti distinti che si alternano nel corso della
narrazione, il primo
dei quali corrisponde alla cronistoria dei principali eventi mondiali del nostro secolo, trattati nel primo
e
nell'ultimo dei nove capitoli in cui è suddivisa l'opera e nell'introduzione a ciascuno di essi, il
secondo che si
identifica con le vicende del romanzo vero e proprio, narrate secondo due differenti livelli di
realtà in rapporto
dialettico. Una realtà della coscienza per cui i fatti vengono esposti secondo l'interpretazione
propria di ogni
personaggio e si presentano quindi sotto diverse angolazioni, ed una realtà della situazione in base
alla quale, alle
condizioni che si danno via via i personaggi, la risposta è sempre una delle tante umanamente,
realisticamente
possibili. Il soggetto di questo secondo momento è una coralità di personaggi che hanno
come caratteristica
comune l'essere vittime involontarie di eventi storici che li segnano negativamente. La realtà si
presenta con una
compiutezza e complessità tali da spingere molti critici a definire il romanzo un capolavoro del
realismo del
dopoguerra. La definizione di realismo è però restrittiva ed esclude la considerazione di
un elemento veramente
nuovo per la storia letteraria introdotto dalla Morante nel primo momento del romanzo. In una frase
all'inizio del
I capitolo leggiamo "1908-1915. Non troppe novità nel gran mondo. Come già tutti
secoli e millenni che l'hanno
preceduto sulla terra, anche il nuovo secolo si regola sul noto principio immobile della dinamica storica:
agli uni
il potere e agli altri la servitù...": da qui la narrazione procede con un linguaggio scarno e sintetico
e il riferimento
costante è sempre il potere: esso viene indicato come causa principale di una storia negativa, di
una storia cioè
di uomini dominati e vittime del potere. La struttura generale dell'opera si articola perciò, con
un'ottica che
continuamente si allarga e si restringe, tra una "visione al telescopio", che ha come soggetto il potere, ed
una
"visione al microscopio", in cui si ha una analisi in profondità di vicende particolari in cui il
soggetto è l'uomo
vittima della storia. Vero protagonista del romanzo è dunque il rapporto tra questi due soggetti
e la storia, che
né da il titolo, è al tempo stesso il tessuto e il risultato tragico di questo rapporto. La scelta
di un riferimento
preciso di interpretazione della realtà, il potere, porta la Morante al di fuori della tradizione
documentaristica del
nostro neorealismo (in cui si operava la scelta con una "fetta di realtà" indifferente e
"impersonale") e la storia
diventa scandalo nella misura in cui le vicende che la contrassegnano non sono naturali, ma determinate,
imposte
dall'interesse dei "potenti" contro la volontà o in virtù dell'ignoranza di chi il potere lo
subisce. Qui il giudizio
che si può dare sul romanzo diventa strettamente ideologico ed è quindi necessario
considerare un terzo fattore
fondamentale nella tesi espressa dalla Morante e che ci interessa da vicino. Lo spunto ci è offerto
dalla presenza
di due anarchici: Giuseppe e, con maggiore rilievo, Davide; due figure che hanno il merito (forse l'unico)
di uscire
dall'oleografia letteraria che ci vuole banditi inconcludenti o avvinazzati senza criterio, ma che, all'interno
del
romanzo e all'interno dell'ideologia che esso vuole esprimere hanno una funzione ambigua e, per noi,
negativa.
Il punto centrale è dato da alcune pagine del penultimo capitolo in cui Davide espone le tesi
anarchiche. Si ha
qui un contrasto tra l'ampiezza, l'integrità dei principi esposti e le caratteristiche del personaggio,
travolto da
conflitti psicologici che l'esperienza della guerra portano all'esasperazione e alla follia distruggendo
qualsiasi
tentativo di rivolta reale; può sembrare che la Morante abbia voluto affidare a Davide l'ultima
parola, con la
funzione di rendere esplicita quell'interpretazione della storia che si dà nel corso della narrazione.
Ma il romanzo
manca di un fattore fondamentale perché questa parola sia realmente rivoluzionaria, anarchica:
la presenza di
un'alternativa che si ponga contro e oltre la dialettica potere-servitù e che strutturalmente si
costituisca come terzo
momento, quello dell'utopia positiva. Le parole del personaggio non si collocano in questa dimensione,
ma al
contrario restano chiuse nella sua esperienza che è individuale, isolate e fallimentare: un discorso
rivoluzionario
poteva esistere solo avendo una propria dimensione nella struttura stessa del romanzo, ponendosi
chiaramente
contro la storia negativa: mancando questa base a noi sembra che il risultato sia di farci naufragare in
essa,
svuotando l'anarchismo della sua forza rivoluzionaria ed escludendo la comprensione del suo più
autentico
significato.
AA.VV.-Ai compagni su: capitalismo, ristrutturazione e lotta di classe, Crescita politica,
Firenze 1975, pagg. 62,
prezzo L. 600.
Questo opuscolo (frutto di un lavoro collettivo di alcuni compagni di Firenze) è un
documento politico sulla crisi
attuale e sulle prospettive di intervento degli anarchici nelle lotte sociali. Dopo una ricostruzione della
politica
internazionale delle superpotenze negli anni che vanno dal 1944 al 1973, gli autori analizzano la strategia
delle
società multinazionali (con particolare riguardo a quelle operanti nel settore petrolifero) prima
e durante l'attuale
crisi congiunturale. Il terzo e il quarto capitolo sono dedicati all'analisi della strutture economiche
italiane in questa fase di
ristrutturazione e alla critica delle soluzioni proposte dal P.C.I. L'opuscolo si conclude con una serie
di proposte organizzative e di modalità di intervento nelle lotte per i
militanti anarchici. L'articolazione del documento denota senza dubbio la volontà di fornire
strumenti per un approfondimento ed
un rinnovamento del bagaglio teorico del movimento anarchico. Dobbiamo però constatare
che ancora una volta non si è saputo o non si è voluto uscire dagli schemi interpretativi
"classici". Se in alcune formulazioni, riguardanti i singoli fenomeni, possiamo riscontrare un certo acume
analitico-interpretativo, dobbiamo anche rilevare che nel suo insieme questo lavoro non individua nella
crisi
quegli elementi sintomatici che ne fanno un qualcosa di più che non un abile e coordinata
manovra del
capitalismo per potersi ristrutturare e per piegare la volontà di lotta degli sfruttati. Tutta la
nuova realtà socio-economica di cui la crisi è uno dei più significativi sintomi non
viene neppure
accennata, anzi l'interpretazione si muove su direttive che tendono a negarla. In definitiva si tratta di un
lavoro
che risente della suggestione delle analisi del nuovo marxismo eterodosso.
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