Rivista Anarchica Online
La società gerarchica, non la natura, fa
l'uomo aggressivo
di Mathilde Niel
Lo psicologo Erich Fromm contesta le teorie pseudoscientifiche. In un nuovo libro, ancora inedito
in Italia, il noto psicologo nega che l'aggressività distruttiva sia innata
nell'uomo. La natura umana è un fatto insieme genetico e culturale. La società di classe
devia gli istinti vitali in
forme omicide e suicide. Bisogna spezzare il cerchio infernale per cui una società "malata"
produce individui
"malati" i quali a loro volta tendono a riprodurre la malattia cioè la violenza, la gerarchia,
l'oppressione, lo
sfruttamento. Il dilemma rivoluzionario del rapporto dialettico tra strutture sociali e strutture psichiche.
Una società radicalmente nuova sarà una società
nella quale gli uomini saranno aperti gli uni agli altri e le diverse
collettività aperte le une alle altre. Sarà una società dove l'uomo sarà
giunto alla fine della rivalità, della violenza
contro gli uomini, contro se stesso e contro natura; in una parola sarà una società dove
regnerà una nuova forma
d'amore. Dopo i milioni di morti delle ultime due
guerre mondiali, dopo tutte le crudeltà, tutti i sadismi, tutti i misfatti
dell'uomo che si manifestano quotidianamente nel mondo, ci pare irresponsabile parlare di
rivoluzione senza aver
risolto il problema dell'ingiustizia, del conflitto, della violenza. Voler fondare una società di
uomini nuovi senza
conoscere l'uomo e senza conoscere se stessi, particolarmente senza sapere perché l'uomo diventa
così facilmente
un nemico impietoso verso il suo simile, è andare contro all'insuccesso che hanno avuto tutte le
rivoluzioni
succedutesi fino ad oggi. E' pertanto verso questo insuccesso (che sarà a sua volta accompagnato
da milioni di
vittime) che vanno incontro tutti coloro che vogliono accontentarsi di cambiare le strutture sociali, senza
conoscere e senza cambiare quelli che le hanno create, cioè gli uomini. In un'opera monumentale lo psicologo e sociologo Erich Fromm (1) ha
tentato di studiare in ogni suo aspetto il
problema della distruttività umana. Ci si troverà anche l'analisi del carattere di alcuni
grandi "distruttori" di
sinistra memoria: Hitler, Himmler, Stalin, von Salomon. Quest'opera è tanto più
importante in quanto appare nel
momento in cui certi sapienti (etologi e psicologi) diffondono la tesi scoraggiante che
l'aggressività è un istinto,
un impulso innato, biologico, filogeneticamente programmato - dunque che l'aggressività, la
violenza e la guerra
sono insite nella natura umana e che sono una fatalità per la specie. Ci riferiamo particolarmente
alle opere di
K. Lorenz, di D. Morris, di R. Ardrey, di J. Eibl-Eisbesfeldt (2). Questi lavori sembrano confermare le teorie di Freud. Negli ultimi anni della sua vita lo
psicologo viennese avanzò
l'ipotesi di un istinto di morte, opposto all'istinto di vita: tutti gli esseri viventi,
compresi gli uomini sarebbero,
secondo Freud, sottomessi all'istinto di morte, cioè ad un istinto che farebbe loro desiderare il
ritorno allo stato
inorganico. Questo istinto trascinerebbe l'uomo a distruggere sia se stesso sia gli altri: l'aggressione
sarebbe
dunque profondamente insita nella natura umana e la civiltà ne sarebbe continuamente
minacciata. Tutte queste teorie sono egregiamente
funzionali alle forze conservatrici. In effetti, se è vero che la violenza
scaturisce dalla nostra natura animale, allora le divisioni tra gli uomini, la rivalità, le torture, le
guerre trovano
giustificazioni nella scienza. Perché si cercherebbe allora di cambiare il sistema sociale e di
trasformare se stessi?
Reprimerebbe la propria aggressività diventerebbe addirittura nocivo, e, secondo Lorenz, "non
ci sarebbe amore
senza aggressione". In più, studiare seriamente le cause reali della distruttività, mostrare
che questa non è una
fatalità che pesa sulla specie e che un nuovo modello di società fraterna è
possibile, significa mettere in causa
tutto il nostro sistema sociale, significa violare i tabù che si nascondono dietro alcune frasi come
difesa del
territorio, onore nazionale, patriottismo, ecc. Tutti coloro che hanno interesse ad elevare delle
barriere tra gli
uomini e tra le collettività, tutti coloro che vogliono conservare i blocchi rivali, le frontiere
nazionali, di classe,
di razza, di sesso, di ideologia, ecc., trovano in questi lavori pseudo-scientifici una giustificazione ai loro
desideri
di mantenere la società tal quale e di non trasformarsi essi stessi. Secondo gli "istintivisti", l'uomo avrebbe dunque un comportamento
aggressivo biologicamente determinato;
secondo un'altra scuola di psicologia che furoreggia negli Stati Uniti, la scuola "neo-behaviorista" di B.F.
Skinner, l'uomo avrebbe un comportamento socialmente determinato,
completamente appreso. Lo scopo
della psicologia di Skinner è di rendere l'uomo più umano rinforzandone i comportamenti
corretti con
un sistema di ricompense e di punizioni (soprattutto di ricompense). Certamente saranno necessari degli
"ingegneri sociali" incaricati di fare il "disegno" di una società migliore, di "pianificare" la
società e l'uomo
futuro. Sarà il "socialismo scientifico" opposto al "socialismo utopistico". Secondo gli psicologi
del
comportamento, l'uomo non ha bisogno di essere autonomo e solidale, non ha bisogno di giocare un
ruolo attivo,
responsabile, né di creare; egli è un essere fondamentalmente egoista del quale bisogna
soddisfare l'egoismo, ma
facendo in modo che questo egoismo non sia pericoloso. Perciò si utilizzerà un sistema
di ricompense appropriate
che lo renderà migliore e meglio adatto. Naturalmente Skinner non ci dice esattamente a
cosa le persone saranno
condizionate né chi le condizionerà. Non è certo difficile
immaginarci che uso potrà fare delle teorie interventiste
e bheavioriste un consesso di ingegneri di anime in tutto e per tutto devote ad un regime
dittatoriale. Sulle tracce di altri sapienti come
Alexander Alland (3), Erich Fromm propone una terza via. Il comportamento
distruttivo non è più innato di quanto lo sia il comportamento cooperativo; secondo A.
Alland, "la natura umana
è largamente aperta ed è questa apertura che dà alla specie il suo grande
vantaggio nel mondo biologico".
L'aggressività programmata
In altri termini, l'uomo non è un animale come gli
altri. L'errore di Lorenz, secondo Fromm, è di aver applicato
ad un essere complesso come l'uomo delle osservazioni che non concernono che il mondo animale. Se
"l'uomo
è il solo primate che uccide e tortura i membri della propria specie, senza ragione, sia biologica,
sia economica,
e che prova piacere nel farlo, è perché ha un problema esistenziale da risolvere, problema
che gli è specifico e
che gli altri animali non hanno". Certamente, come tutti gli animali, l'uomo è capace di
aggressività
biologicamente programmata, quando si tratta della sua sopravvivenza e di quella della specie. Ma questa
forma
benigna di aggressività è relativamente poco distruttrice. D'altra parte i
gruppi umani, secondo la loro cultura,
si differenziano molto in quanto al grado di aggressività. I popoli preistorici, che praticavano il
raccolto, la caccia,
l'agricoltura, erano relativamente poco aggressivi, non più di quanto lo siano certe popolazioni
dette "primitive"
contemporanee come gli Zuni, gli Arapesh, gli Mbutu e gli Eschimesi. Per esempio gli Zuni costituiscono
una
società dai costumi molto dolci. La religione è fondata sull'amore della vita; gli Zuni non
conoscono la guerra,
l'assassinio è un'eccezione; gli individui cooperano e la sessualità è vissuta senza
l'idea del peccato. Gli individui considerati come
normali sono quelli che hanno "un approccio piacevole, una disposizione
accomodante ed un cuore generoso"; al contrario gli individui competitivi e aggressivi sono considerati
come
aberranti. Sfortunatamente, con lo sviluppo della civilizzazione tecnica e delle società patriarcali,
il grado di
aggressività non ha fatto che crescere. Se
l'uomo è capace di aggressività maligna (piacere di fare del male, di
uccidere, di torturare), è perché il suo
comportamento è il risultato di una interazione difettosa tra le condizioni sociali ed i suoi bisogni
esistenziali.
Fromm non nega l'importanza considerevole della cultura sul comportamento umano, anzi. Ma l'uomo
non è solo
una pagina bianca sulla quale la cultura scriverebbe liberamente il suo testo, come vorrebbe farci credere
l'antropologia culturale; esso è dotato di una natura che gli è propria e che rende il suo
comportamento
completamente differente da quello dell'animale. Si possono riassumere così le caratteristiche della "natura
umana": 1) la vita umana è un
processo; l'evoluzione dell'individuo comincia dalla nascita e dovrebbe, in condizioni
normali, durare fino alla morte. Ogni uomo cerca di realizzare la sua natura profonda, di diventare un
essere
pienamente umano, cioè libero e sociale. Ma fino ad oggi l'uomo non ha ancora creato la forma
della società che
gli permetterà di realizzare le sue profonde aspirazioni; forse non ci arriverà
mai... 2) L'uomo è un animale il cui
comportamento non è più interamente guidato dall'istinto; per la maggioranza delle
sua azioni, egli deve scoprire da solo la propria strada. E' dunque condannato ad una vita di ricerche,
quindi di
instabilità e di incertezze. Grazie allo
sviluppo del suo cervello, e particolarmente del neo-cortice, l'uomo è dotato di immaginazione,
di
ragione, di intelligenza. Sfortunatamente, il suo cervello superiore è influenzato dal suo cervello
istintuale, sede
dei desideri e delle passioni e ch'esso mal controlla. Così, malgrado le sue possibilità di
razionalità, l'uomo si
comporta spesso in modo irrazionale. 3) Ma
soprattutto, ciò che caratterizza l'uomo, è la coscienza di sé. E' il
solo animale che conosce gli oggetti,
che si sente separato dal mondo e che "sa di sapere". Così l'emergenza della
coscienza di sé (e particolarmente
la coscienza che ha l'uomo della sua condizione mortale), dell'immaginazione e della ragione, hanno rotto
l'armonia naturale, la vita senza problema esistenziale che caratterizza la vita animale guidata dagli istinti.
L'uomo
fa parte, come l'animale, della natura, ma la trascende; per lui l'esistenza è un problema da
risolvere in ogni
istante; e ciò lo mantiene in uno stato costante di squilibrio. Egli non è mai libero dalla
dicotomia biologica ed
esistenziale tra gli istinti e la conoscenza di sé. Sentendosi come separato dal
mondo, egli si sente libero ma solo.
E questa libertà lo obbliga a fare una scelta creatrice che gli fa paura; egli ha dunque bisogno di
sentirsi unito agli
altri uomini. Questo conflitto di base tra separazione e unione, tra autonomia e socialità,
è comune a tutti gli
uomini. Per restare in buona salute mentale, ognuno deve risolverlo; ma ognuno lo risolve in maniera
differente,
a seconda del suo carattere e della sua cultura. L'uomo può risolverlo: tramite l'amicizia, la
tenerezza, l'amore,
l'azione per bisogno di giustizia, la ricerca della verità e dell'indipendenza; oppure tramite la
dipendenza, l'odio,
il sadismo, il masochismo, la distruttività, il narcisismo (amore idolatra di sé,
egocentrismo). Non bisogna dimenticare che uno
dei primi sentimenti dell'uomo fu quello dell'ansietà esistenziale. Il sinantropo
di Pechino aveva già inventato una religione ed un rituale. 4) Ogni uomo ha bisogno di riconoscersi nel suo universo naturale e sociale. Ha bisogno
di una bussola, di un
quadro di orientamento (la stregoneria, la magia, la credenza in un dio hanno coperto questo ruolo). Che
importa
che il ruolo sia falso, che alieni l'individuo, l'importante è che esso svolga la sua funzione
psicologica di riunione
all'universo. E' per ciò che le religioni e le ideologie le più irrazionali e fanatiche sono
così attraenti.
Verso l'alienazione
Più che di una bussola l'uomo ha bisogno di dare
un senso alla propria vita, di avere degli scopi di vita; ma può
anche votarsi completamente a un idolo, ricercare il potere, ammassare del denaro che evolverà
ad un ideale
umanitario. L'uomo può trovare il sentimento d'unità, ridurre la frattura esistenziale,
unirsi agli altri uomini,
amarli, essendo creativo e indipendente; ma può anche cercare di sfuggire l'angoscia della
separazione fondendosi
con qualche cosa o con qualcuno, perdendo quindi la sua autonomia, sia per passione amorosa, religiosa
o
ideologica, sia esercitando una potenza assoluta sugli altri (sadismo), sia sottomettendosi totalmente agli
altri
(masochismo), sia infine facendo di se stesso il centro del mondo (narcisismo). L'uomo può fuggire la sua separazione, cercare di dimenticare
se stesso, ritrovare l'unità nel trance, nelle orge
sessuali, nei rituali, nella droga, nella passione sfrenata, nella distruzione; egli può cercare la
fama, identificarsi
nel suo ruolo sociale, diventare un oggetto; questa è la via regressiva, la via dell'alienazione, nella
quale non si
afferma come individuo autonomo e perde se stesso. Ma può scendere la strada progressiva,
diventare pienamente
umano, senza cercare di fondersi come lo era il bambino nel seno materno. Questa è la strada
più difficile,
raramente realizzata fino ad oggi. La nostra
società, che non ha saputo sviluppare la via progressiva, né la potenzialità di
autonomia e di
cooperazione degli individui né la creatività individuale e sociale, sviluppa invece le
potenzialità regressive; essa
nasconde la noia, il disgusto di vivere, la depressione, l'aggressività, la distruttività.
Eppure l'uomo ha in sé le
possibilità di diventare un essere autonomo, creatore e sociale, purché le condizioni
esteriori favoriscano le sue
possibilità. L'aggressività, la distruttività non sono innate; esse sono una delle
possibilità che la natura ha dato
all'uomo per risolvere il suo problema esistenziale: la distruttività non è che
l'alternativa alla creatività. A
condizione che una società favorisca le potenzialità di autonomia e di creatività
rendendo possibili dei legami
affettivi d'uguaglianza, l'uomo perderà i suoi impulsi distruttori che non sono altro che degli
impulsi creatori di
ritorno; l'amore della vita lo eleverà al di sopra dell'amore della morte. L'aggressività maligna - specificamente umana - può
prendere diverse forme: a) La
vendetta, che proverrebbe da un senso profondamente radicato di una uguaglianza
esistenziale: tutti gli
uomini sono nati da una madre; sono stati tutti dei bambini indifesi, sono tutti destinati a morire. Ma colui
che
si vendica ricerca la super-potenza; egli desidera giocare il ruolo di un dio
onnipotente; b) La
distruttività estatica: per superare il suo sentimento di debolezza, di separazione,
l'uomo può cercare degli
stati di trance, d'estasi, di orge sessuali, di relazioni sado-masochiste, perfino degli stati di
odio assoluto, di
distruttività totale. Di tali esempi ne troviamo presso i Bali, dove nel corso di danze rituali i
partecipanti
maneggiano una specie di daga - il Kris - col quale colpiscono se stessi ed a volte si
colpiscono l'un l'altro, nel
momento culminante della trance. Si conoscono esempi di uomini completamente
distruttivi, come Keru e von
Salomon che nel 1922 assassinarono Rathenau, ministro degli esteri del governo della repubblica di
Weimar. c) Il sadismo:
è il tratto del carattere di colui che vuole avere un controllo assoluto su coloro che domina; le
sue
vittime possono essere un animale, un bambino, un uomo o una donna, dei malati, degli infermi, dei
subordinati
ecc. Il sadico è un essere sottomesso e pauroso che compensa il suo sentimento di impotenza nel
desiderio di
super-potenza. La civilizzazione tecnica ha
rinforzato le tendenze sadiche. Il carattere mercantile della nostra civilizzazione e
lo sviluppo della tecnica hanno disumanizzato i rapporti tra gli uomini; ormai si possono uccidere migliaia
di
persone premendo un bottone; la sessualità stessa diventa una tecnica del piacere ed il corpo una
"macchina
dell'amore"; non dimentichiamo che la distruzione degli ebrei da parte dei nazisti fu organizzata come
una
produzione di massa con recupero di materiale e riciclaggio. L'uomo cibernetico è
una specie di schizofrenico
in un universo di cose, un essere cerebrale tagliato dalla realtà affettiva, un uomo che non
avvicina gli esseri e le
cose affettivamente, con il cuore, ma in termini di efficacia e di rendimento. Questo uomo
può sembrare ben
adatto e soddisfatto perché divide la sua follia con milioni di altri. Paradossalmente, ai nostri
giorni, è la persona
sana - quella che rifiuta di diventare una macchina tra le macchine - che può sentirsi estranea al
mondo, isolata
al punto di diventare psicotica. Non c'è
dunque più speranza? Fromm non sembra così pessimista. Certo, la situazione è
grave; ma si vede nascere
una reazione, una rivolta, come se le forze della vita si risvegliassero nell'uomo ed egli rifiutasse di
lasciarsi
andare alle forze della morte. E' per questo che si vedono giovani protestare contro i misfatti della
civilizzazione
industriale, contro l'inquinamento, contro l'autoritarismo, contro le barriere gerarchiche e le diverse
segregazioni,
contro la guerra. I bisogni di "qualità di vita" si fanno più pressanti. Alcuni preferiscono
un lavoro interessante
in miseria a delle soddisfazioni di denaro e di prestigio. L'amore della vita è stato profondamente
represso in
ognuno di noi, ma ciò che è stato represso continua ad esistere, non è morto e
può rivivere. L'uomo preistorico che
viveva in bande come cacciatore e raccoglitore di cibo era relativamente poco distruttore
e sapeva mostrarsi amico e cooperante. E' con lo sviluppo della produzione e la divisione del lavoro, con
l'accumulazione di un largo surplus e la costruzione di Stati, fondati su un sistema di
gerarchie e di élites, che
la distruttività ha cominciato ad aumentare. Lo sviluppo della volontà di potenza e delle
diverse segregazioni ha
accresciuto smisuratamente la crudeltà. E'
possibile pensare che, essendo in crisi la società attuale, l'uomo arriverà a costruire una
nuova forma di società
nella quale nessuno si sentirà minacciato. Ma bisogna ben riconoscere che per ragioni
economiche e culturali
queste speranze non si realizzeranno senza difficoltà.
Speranza e rivoluzione
Ciononostante è possibile costruire un mondo nuovo,
poiché la forma maligna di aggressione (il sadismo, la
necrofilia o amore della morte) non è innata. Ma il nuovo umanesimo deve essere radicale; dei
cambiamenti
profondi sono necessari nelle strutture politiche ed economiche, nei nostri valori, nella nostra concezione
degli
scopi di vita e nel nostro comportamento personale. Grazie ad una migliore conoscenza dell'uomo, grazie
ad una
specie di fede nell'uomo e nella vita, il cambiamento personale è possibile, anche nella nostra
società malata. Non
si tratta di aspettare passivamente il miracolo di una rivoluzione violenta come desiderano alcuni
pseudo-rivoluzionari. Bisogna cominciare da ora a cambiare la società. Quanto ai mezzi pratici per accelerare il cambiamento e renderlo
irreversibile, Erich Fromm li aveva abbordati
nella sua opera Speranza e Rivoluzione. La conoscenza di sé e le relazioni umane
possono essere migliorate ed
anche trasformate grazie all'apporto della psicologia sociale e della dinamica di gruppo. Bisogna
moltiplicare i
piccoli gruppi nei quali l'individuo impara a spogliarsi delle sue antiche strutture mentali e relazionali e
può
mettersi a vivere l'autonomia e la cooperazione egualitaria. L'uomo deve, in effetti, liberarsi delle antiche strutture alienanti e ricreare le nuove strutture
che lo renderanno
completamente umano. Non potrà non servirsi di una nuova educazione. Senza questa nuova
forma di educazione,
senza la moltiplicazione dei piccoli gruppi di formazione e di lavoro dove si insegna a vivere
diversamente, la
pratica dell'autogestione e la società libertaria resteranno allo stadio di
utopia. La lettura dell'opera monumentale di Erich
Fromm sulla distruttività umana ci permette di misurare le nostre
debolezze e il cammino che dobbiamo percorrere per realizzare il nostro ideale. Ma ci fa vedere che
abbiamo in
noi le possibilità di metterlo in pratica. Ci incoraggia ad agire da ora e a realizzare ovunque, dove
lo possiamo,
l'uomo del futuro.
Mathilde Niel
1) Erich Fromm, The anatomy of human
destructivity, ed. Holtd -Rinehart - Wiston, New York.
2) Konrad Lorenz, L'aggression, ed.
Flammarion, 1974. Desmond Morris, La scimmia nuda, ed. Bompiani,
1968. Robert Ardrey, L'imperatif territorial, ed. Stock, 1967. J.Eibl-Eibesfeldt,
Contre l'aggression, ed. Stock,
1972.
3) Alexander Alland, La dimension humaine,
ed. de Seuil, 1974.
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