Rivista Anarchica Online
Azione diretta
di P. F.
Le tre confederazioni sindacali condannano con fermezza le azioni
avventuristiche compiute da sparuti
gruppi di estremisti che, ricorrendo a metodi assolutamente estranei e contrari a quelli del movimento
dei
lavoratori, ostacolano le lotte in corso per una società più giusta. Più o
meno, la musica è sempre la medesima.
D'altra parte è sempre stato così. Ogni volta che gli sfruttati attuano forme di lotta diverse
da quelle preventivate
dalle burocrazie confederali, queste ultime si affrettano a dissociarsi, a condannare, a
calunniare. Nelle ultime settimane se n'è avuta ulteriore conferma. Di fronte all'intensificarsi
ed all'acutizzarsi del conflitto
sociale, ed in particolare di fronte ai numerosi momenti di lotta extra-sindacale portati avanti da sempre
più
consistenti gruppi di lavoratori, i vertici sindacali hanno confermato la loro vocazione istituzionale al
pompieraggio ed all'interclassismo. Ci riferiamo, per esempio, alla cosiddetta "disobbedienza civile",
cioè al fatto
che molti sfruttati hanno dimostrato in pratica di non essere disposti a subire sempre e
comunque le imposizioni
dei padroni, soprattutto in materia di aumenti dei prezzi. E' così avvenuto che il "ritocco" (come
viene
gentilmente definito l'aumento) dei prezzi dei trasporti pubblici è stato rifiutato, in alcune zone,
in massa dai
lavoratori, soprattutto dai pendolari residenti nelle "cinture" delle grandi metropoli del Nord. Con una
esemplare
faccia di... bronzo, le segreterie provinciali CGIL-CISL-UIL non hanno saputo far altro che condannare
l'autorizzazione organizzata delle tariffe, giudicandola (non si capisce bene in base a quale assurdo
ragionamento)
"estranea agli interessi dei lavoratori ed alla loro lotta per una riforma radicale e globale del settore del
trasporto
pubblico". E' vero anche che, a volte, i comitati unitari di zona CGIL-CISL-UIL (cioè, le
organizzazioni unitarie di quartiere)
si sono schierate a favore dell'iniziativa autonomamente presa dai lavoratori di pagare il biglietto al
vecchio
prezzo: ma ciò è dovuto semplicemente al fatto che localmente i sindacati non possono
permettersi di perdere
troppo la faccia, nello stesso momento in cui in sede provinciale e nazionale i vertici confederali
condannano
apertamente questo tipo di lotta che sfugge al loro controllo. Di fatto, però, in nessuna
occasione il sindacato
si è fatto promotore di un allargamento di questo tipo di lotta, limitandosi al più a
prendere atto tutte le volte che
non se la sentiva di condannarlo. Così, di fronte al sempre più vasto fenomeno
dell'occupazione degli appartamenti e dell'auto-riduzione dei
canoni d'affitto (l'ormai famoso "sciopero dei fitti"), l'unico concreto aiuto alle famiglie proletarie
impegnate
nella lotta per l'elementare diritto alla casa è venuto ai raggruppamenti della sinistra
extra-parlamentare (di tutte
le sfumature) e dagli anarchici. Ormai non si tratta più di occupazioni saltuarie ed isolate: sempre
più
frequentemente si viene a conoscenza di azioni spontanee compiute da gruppi di famiglie prive di casa
(o almeno
di un'abitazione degna di quel nome), anche se ormai solo le occupazioni più clamorose "fanno
notizia" per i
quotidiani. Gli inquilini che praticano l'auto-riduzione dell'affitto sono stimati ormai in decine di migliaia.
Va
poi ricordato il fenomeno (anche questo sempre più generalizzato) dell'autoriduzione della
bolletta della luce,
che in alcuni centri dell'Italia settentrionale è applicata ormai da decine di migliaia di famiglie.
Nella sola Torino
(riferisce allarmato in prima pagina il "Corriere della sera" del 30 ottobre) 37.000 cittadini si sono
già rifiutati
di pagare l'aumento delle tariffe della luce ed hanno fatto pervenire all'E.N.E.L. il 50% delle somme
pretese
dall'Ente. Anche in questa lotta il sindacato, dopo che l'agitazione era scoppiata, ha preso sotto controllo
la
situazione e preme per la costituzione di una commissione incaricata di rivedere le tariffe. Anche in
questo settore di lotta le tre confederazioni sindacali non fanno altro che stimolare il governo a
concedere alcune riforme, invitando nel contempo gli sfruttati a non esasperare il conflitto per non dare
esca agli
onnipresenti provocatori. Se tale è stato il comportamento dei vertici sindacali di fronte alla
"disobbedienza civile" ed allo sciopero dei fitti,
non sarà certo difficile immaginare le loro reazioni di fronte agli "episodi teppistici" (così
li hanno appunto
definiti) accaduti a Milano il 19 ottobre. Quel giorno alcune decine di lavoratori e di giovani militanti
della
sinistra extra-parlamentare ed anarchici, dopo aver "occupato" due grossi supermercati proprio nel
momento di
massimo affollamento (il pomeriggio del sabato), cercarono di convincere i presenti a servirsi liberamente
dei
prodotti esposti, limitandosi a pagare poi alla cassa un bassissimo "prezzo politico" in un caso e non
pagando
affatto nell'altro. Le due azioni, che tanto scalpore hanno provocato sulla stampa di ogni colore, non
ebbero una
piena riuscita sia a causa del rapido intervento delle forze dell'ordine sia per il mancato accoglimento del
loro
invito ad autoridursi i prezzi da parte dei clienti presenti. Al di là del risultato immediato,
è evidente che azioni di questo tipo sono positive, in quanto tendono a risvegliare
la coscienza degli sfruttati, dimostrando con i fatti che è possibile rigettare gli
aumenti vertiginosi dei prezzi dei
generi di prima necessità. Più in generale (ed è questo che ci sta maggiormente
a cuore) tutte queste forme di
azione diretta risvegliano negli sfruttati la fiducia nelle loro capacità di lotta autonoma, al di
là ed anche contro
i voleri delle burocrazie sindacali. Non è nostro costume "vender fumo" in modo da
nascondere la verità: non ci facciamo dunque soverchie illusioni
sulle immediate possibilità di estensione e di durata di questa riscoperta dell'azione diretta da
parte degli sfruttati.
Nemmeno ci nascondiamo il dato di fatto innegabile che per lo più lo stimolo e l'organizzazione
di queste forme
di lotta autonoma viene da anarchici e da militanti della sinistra extra-parlamentare, il cui apporto
è dunque
spesso determinante. Tutto ciò non toglie niente alla importanza che queste lotte vengono
assumendo nello
scontro sociale in atto, favorendo (fra l'altro) negli sfruttati la presa di coscienza della reale funzione -
riformistica
e pompieristica - delle burocrazie sindacali. Non dai capi (dei sindacati, dei partiti, del governo, ecc.)
può venire
una spinta verso l'eliminazione dello sfruttamento: debbono essere i lavoratori stessi a prendere nelle
proprie mani
l'organizzazione delle lotte, rifiutando una volta per tutte il principio della delega. Solo così,
contro il riformismo
e l'interclassismo delle confederazioni, è possibile fare dei concreti passi avanti sulla via indicata
dalla Prima
Internazionale, della quale noi anarchici siamo rimasti, da oltre un secolo, gli unici coerenti sostenitori:
l'emancipazione dei lavoratori deve essere opera dei lavoratori stessi .
P. F.
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