Rivista Anarchica Online
Il reverendum
di P. F.
Introdotto da poco tempo nella legislazione dello stato italiano, il divorzio
è già in pericolo e forse fra due o tre
mesi sarà una parentesi chiusa, un ricordo del passato. Il 12 maggio, infatti, tutti i cittadini-elettori
(suore di
clausura comprese) andranno a votare per decidere se mantenere o abrogare la famosa "legge
Fortuna-Baslini",
con cui il divorzio, seppure in dimensioni ben ridotte ("piccolo divorzio"), ha fatto la sua prima timida
comparsa
in Italia, terra dei preti, di santi e di democristiani. Chi dice divorzio dice matrimonio. Ora, per
quanto riguarda il rapporto fra un uomo e una donna che sentano
l'esigenza di condividere la vita, per un breve o per un lungo tratto, agli anarchici non garba l'idea stessa
del
matrimonio legale, benedetto dal prete e sancito dal sindaco. L'amore, infatti, naturalmente libero, tale
dovrebbe
restare al di fuori e contro qualsiasi tentativo di regolamentazione burocratica da parte
dell'autorità: due individui
dovrebbero potersi unire e separare di comune accordo, seguendo i loro sentimenti ed il loro senso di
responsabilità. Questo amore libero, sincero, responsabile è il nostro modello di relazioni
interumane, che
ipotizziamo per la futura società libertaria. Già oggi, comunque, per quanto possibile,
si deve tendere a rifiutare l'ingerenza dello stato anche in questo
campo della vita individuale e sociale, contestando tanto il matrimonio legalizzato quanto il divorzio
legalizzato.
Questo discorso, semplice ed elementare finché si tratta di una coppia senza figli, si complica
indubbiamente
qualora questi siano stati generati: essendo i bambini naturalmente indifesi ed incapaci di difendere i
propri diritti,
spetta alla società tutelarne l'esistenza e lo sviluppo qualora i genitori si comportino
irresponsabilmente. Al
riguardo va innanzitutto notato che per lo più il divorzio (sia di fatto, sia legalizzato) non fa che
sancire una
situazione concreta, che non può certo essere sanata con misure repressive, costringendo per
esempio alla forzata
eterna coabitazione due coniugi fra i quali sia sorta una incompatibilità profonda. Né
d'altra parte si può
ragionevolmente pensare di poter risolvere i problemi dei bambini e delle famiglie in crisi nell'ambito di
questa
società, in cui l'assistenza scolastica è paurosamente carente e per molti versi autoritaria,
la donna è
particolarmente condizionata e in posizione inferiore rispetto all'uomo, il lavoro domestico ed
extra-domestico
è alienante e stressante. In altri termini, bisogna rendersi conto che il problema della famiglia
può essere
seriamente affrontato solo dopo aver rovesciato l'attuale sistema autoritario ed aver affermato la nuova
società
basata sulla libertà individuale e sulla pratica della solidarietà sociale. Questo non
significa che, sperduti fra sogni utopistici di un eden futuro, non sappiamo fare i conti con la
realtà
odierna, e, nel caso specifico, con i problemi politici sollevati dal referendum abrogativo del divorzio.
A nostro
avviso, si tratta di una buona occasione per agitare quei temi e per chiarire quegli aspetti del pensiero
libertario
che solo in rare occasioni è possibile indicare all'opinione pubblica. In primo luogo la tematica
relativa al libero
amore, al rifiuto del matrimonio, alla responsabilità individuale e sociale, così come sopra
è stata accennata. E
non sarà certo fuori luogo in questo frangente rispolverare un po' del sano tradizionale spirito
anticlericale degli
anarchici, nella denuncia della funzione reazionaria ed oscurantista svolta da buona parte del clero, e del
falso
e gesuitico progressismo di certe frange cattoliche del dissenso pronte a rientrare all'ovile
appena sentano l'odore
seppur lontano del laicismo e della libertà religiosa. Un altro aspetto che va sottolineato di
questo referendum è che si tratta del primo referendum abrogativo nella
storia della repubblica italiana. Solo apparentemente si tratta di uno strumento di democrazia diretta, di
autogestione. Farlo passare come tale è pura demagogia. Infatti in questa società,
condizionata in ogni suo aspetto
dai mass-media e dalla martellante propaganda di enormi organizzazioni burocratiche, un
qualsiasi referendum,
seppur svolto con tutte le "garanzie costituzionali", non può avere alcun valore: l'opinione
pubblica è manipolata
dai detentori del potere. Valga l'esempio, a noi vicino, dei risultati del recente referendum tenutosi nella
Confederazione Elvetica, con il quale è stata respinta una proposta di vietare il traffico
internazionale delle armi:
in questo caso (come in tanti altri) la maggioranza della popolazione ha dimostrato completa
sottomissione ai
disegni delle classi dominanti. Non a caso il metodo del referendum è spesso usato dai
padroni del vapore (dittatori, partiti di maggioranza, ecc.)
per dimostrare, a se stessi ed agli altri, di godere di un immenso, genuino sostegno popolare, in altre
parole per
legittimare in maniera per molti inoppugnabile la loro permanenza al potere. Non va dimenticato un
ultimo aspetto di questo prossimo referendum sul divorzio, e cioè il fatto che si tratta di
abrogare una legge che, nonostante tutto, garantisce all'interno dell'attuale sistema maggiori spazi di
libertà:
soprattutto, abrogando la legge Fortuna-Baslini si mette in discussione un diritto di libertà, che
dovrebbe invece
essere indiscutibile ed intangibile anche da parte di una schiacciante maggioranza. Ma questo
è un altro discorso. Non con il voto, ma con la continua militanza rivoluzionaria bisogna
contrastare
le manovre delle classi dirigenti, lottando per quella rivoluzione libertaria che sola potrà aprire
la strada alla
soluzione anche dei drammatici problemi della famiglia, dell'educazione dei bambini, con una vita sociale
completamente rinnovata.
P. F.
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