Rivista Anarchica Online
L'alibi dell'ecologia
di A. Di Solata
Sullo scorso numero della rivista, Gino Agnese ha presentato una sua
"lettura" del noto studio del Massachussetts
Institute of Technology "I limiti dello sviluppo". Presentando l'articolo esprimevo le mie riserve sulla
possibilità
di una lettura anarchica dello studio commissionato al M.I.T. dal Club di Roma e finanziato dalla
Fondazione
Agnelli, Ford e Volkswagen. Ritenevo cioè, e ritengo, che non basti suggerire una soluzione
libertaria ed
egualitaria (cioè rivoluzionaria) al problema posto dallo studio, una soluzione alternativa alle
soluzioni
capitalistiche-tecnocratiche suggerita dalla suddetta équipe di
accademici. Ritenevo e ritengo (in questo caso, come più in generale) che ci si debba porre
in modo diverso di fronte al
problema già dalla sua impostazione. Il fatto è che sin dalla impostazione (cioè
dalla metodologia) tale studio
riflette un taglio capitalistico-tecnocratico che invalida sia "scientificamente" sia a maggior ragione da una
prospettiva rivoluzionaria gli stessi risultati della ricerca, cioè i "dati" elaborati dal calcolatore del
M.I.T., prima
ancora che le soluzioni suggerite. Mi sembra necessario, di fronte ad uno studio che vede un problema
socio-economico come un problema "tecnico", non solo lottare contro le soluzioni meschine e pericolose
che ad esso,
con o senza suggerimenti del M.I.T., daranno le classi dominanti, ma contro il tipo di analisi da cui
scaturiscono. In sintesi, i ricercatori del M.I.T. ripropongono le note tesi di Malthus. Il Malthus, nel
suo famoso studio ("Saggio
sul principio di popolazione", 1798) sosteneva che i mezzi di sussistenza aumentano con progressione
aritmetica,
mentre la popolazione aumenta con progressione geometrica (cioè assai più
rapidamente), per cui la scarsità di
alimenti non può che aumentare a ritmo vertiginoso, come aumenta progressivamente la distanza
tra due
automobili lanciate l'una a velocità costante e l'altra a velocità crescente. La miseria
nascerebbe dunque non da
ingiusti sistemi socio-economici di sfruttamento ma da una "ingiustizia naturale". Possono, per il Malthus,
arrestare la crescente rovinosa sproporzione tra uomini e cibo alcuni fattori che limitano l'incremento
demografico, come guerre, carestie, malattie, ecc. Nella seconda edizione (1803) del suo libro, il Malthus
inserisce tra i limiti anche un volontario controllo delle nascite. I neo-malthusiani ricercatori del
M.I.T. non fanno che aggiungere alle due variabili di Malthus il capitale
industriale, l'esaurimento delle risorse e l'inquinamento ed introdurre il tutto in un calcolatore
opportunamente
programmato. L'aggiunta al modello dei tre nuovi elementi e l'impiego di sofisticati strumenti matematici
(ad
esempio i "sistemi di retroazione non lineari, ad anello") non modifica sostanzialmente il discorso
maltusiano.
Le progressioni aritmetiche e geometriche di Malthus diventano le "curve" lineari ed esponenziali dei
neo-maltusiani; la catastrofe è sempre prevista come naturale sviluppo di queste "curve",
ceteribus paribus (cioè
supponendo costanti tutti gli altri elementi e condizioni non considerati tra le cinque variabili); viene
invocato
lo stesso meccanismo per sventare la tragedia: la "continenza" (non più solo nei rapporti
uomo-donna ma anche
nei rapporti Uomo-Natura...). Il principale errore metodologico dei neo-malthusiani è quello
di considerare il mondo, con paesi ricchi e paesi
poveri, con oppressi ed oppressori, come se fosse un sistema termodinamico mentre è soprattutto
un sistema
sociale. Questa applicazione meccanica, acritica, alle questioni sociali di un approccio tipico delle scienze
naturali, li porta ad ignorare il fatto che i "sistemi" umani possono sottostare a rotture discontinue rispetto
al loro
passato ed al loro presente, che possono mutare così ampiamente la loro natura che un
andamento valido per un
certo tratto storico non è necessariamente valido per il tratto successivo. Del resto
la storia di quasi due secoli
trascorsi dalle predizioni di Malthus sta a dimostrare sia che le società umane possono ridurre
a valori bassi o
nulli o addirittura negativi i saggi di incremento demografico sia che, per converso, la produzione di
mezzi di
sussistenza può aumentare in modo più che aritmetico, che cioè il rapporto tra
le due variabili malthusiane può
anche invertirsi. Un altro "errore" metodologico dei malthusiani è quello di "dimenticare"
nel loro modello tutte le costanti e
variabili "politiche". Il che chiaramente, più che un errore è una scelta
politica precisa: quella di considerare i
sistemi socio-economici dominanti come l'unica realtà possibile. Entrambi gli errori si riflettono
in varia misura
sulla analisi e sui risultati. Un esempio illuminante della "deformazione" capitalistico-tecnocratica
dei ricercatori del M.I.T. è il modo
acritico con cui vengono considerati ed utilizzati i dati sullo sviluppo economico presi dalla Banca
Internazionale
per la Ricostruzione e lo Sviluppo. I più bassi tassi di crescita economica (in termini di Prodotto
Nazionale Lordo)
sono quelli della Nigeria (-0,3) e della Cina (0,3). Ebbene, i neo-malthusiani non sembrano rendersi
conto, a
questo proposito, dell'inapplicabilità del parametro P.N.L. ad economie come quella cinese,
basata in larga
misura su comuni rurali autosufficienti. La produzione di alimenti per autoconsumo può anche
aumentare in
modo enorme (ed in effetti questo pare essere il caso della Cina negli ultimi vent'anni) senza che il P.N.L.
aumenti per questo, di un solo punto! Parlando di alimenti aggiungiamo che se il gruppo del M.I.T.
parte dal presupposto che attualmente la superficie
coltivata sia già la metà di quella coltivabile, altri esperti attendibili, come il brasiliano
Giosué De Castro
(presidente del consiglio esecutivo della F.A.O. dal 1952 al '56, autore de "La geografia della fame"),
parlano
di quattro-quinti di terre ancora disponibili e della possibilità di raddoppiare le produzioni medie
unitarie senza
grossi miracoli. Ma il discorso di fondo è un altro, ed è che se un terzo della popolazione
mondiale già oggi è
sottonutrita la colpa non è della scarsità di risorse ma della loro ineguale
distribuzione. Allo stesso modo l'intero "squilibrio ecologico" andrebbe compreso e spiegato in
termini non esclusivamente
fisici, ma prevalentemente socio-economici. Quando un sistema, nazionale dapprima internazionale poi,
è basato
sul principio che il capitale, la natura (sotto forma di materie prime) ed il lavoro si debbano muovere
verso punti
di accumulazione ineguale ("poli di sviluppo"), questi punti diventano i centri del sistema, il resto
periferia; le
logiche conseguenze sono l'esaurimento delle risorse e l'inquinamento, il cui peso ricade prevalentemente
sulle
"periferie" cioè sulle classi e sulle nazioni subalterne. Il depredamento e l'insozzamento delle
"periferie"
geografiche e sociali sono il risultato di una divisione verticale del lavoro geografico sociale. Tuttavia
se la vera soluzione ai due problemi dell'inquinamento ed esaurimento non può che trovarsi nel
superamento del sistema socio-economico che li ha prodotti, appare per altro verosimile che il
contenimento dei
danni e del pericolo entro limiti compatibili con la sopravvivenza dell'umanità sia possibile non
solo all'interno
della ineguaglianza istituzionalizzata, ma anche, tutto sommato, senza "traumatizzanti" mutamenti
economici e
tecnologici. La predizione apocalittica dei neo-malthusiani ha dunque scarse possibilità di
realizzazioni. I mezzi
per evitare la catastrofe sono suggeriti dagli stessi ricercatori del M.I.T. oppure possono essere intravisti
in linee
di tendenza già operanti. Così il problema di esaurimento delle risorse si
potrà risolvere con il "riciclaggio", cioè con il recupero delle
materie prime dai rifiuti. Il riciclaggio avviene già ora (e più o meno è sempre
avvenuto) in una misura che è
determinata dalla sua convenienza, cioè dal prezzo delle materie prime. Automaticamente, con
la rarefazione
delle materie prime e quindi con l'aumento del loro prezzo, si sviluppa e si svilupperà la
convenienza del
riciclaggio e quindi la ricerca e l'approntamento delle tecnologie relative. Quanto alle fonti energetiche,
qualunque possa essere la stima delle risorse petrolifere disponibili (comunque ben superiori alle stime
"ufficiali"
dei petrolieri), è certo che altre fonti energetiche possono essere sviluppate in sostituzione degli
idrocarburi,
trasferendo il problema della carenza dell'energia, come scrive anche Agnese, in epoca remota nel
futuro. Per quanto riguarda l'inquinamento, sono ben individuabili due soluzioni complementari che
non minano il
"sistema". Una soluzione prevede la dislocazione alla periferia geografica e economica (Terzo Mondo)
di alcune
delle industrie inquinanti: si decentrerà cioè l'inquinamento con il doppio vantaggio di
toglierlo di sotto gli occhi
ed il naso dei privilegiati abitanti delle capitali economiche e di "diluirlo", consentendo un più
efficace
depuramento naturale chimico e biologico. Questo decentramento è già in atto e
costituisce, beffardamente, il
"modello di sviluppo" di buona parte dei paesi poveri. Con esso viene modificata (ma non
sostanzialmente) la
vecchia divisione del lavoro che faceva del Terzo Mondo la fonte delle materie prime ed il mercato dei
beni
capitali e di consumo, nel senso che al Terzo Mondo saranno anche affidate quelle industrie tipiche delle
prime
fasi della rivoluzione industriale (le prime lavorazioni delle materie prime, ad esempio). L'altra soluzione
all'inquinamento vede e prevede la introduzione di apparecchiature disinquinanti: depuratori per le
industrie, per
gli scarichi urbani, e - perché no - mini-depuratori per i tubi di scappamento delle automobili...
Anche su questa
via si sta già procedendo. Rimane quello che viene chiamato "inquinamento termico". La
morte termodinamica del nostro ambiente è stata
profetizzata molte volte. "Giuste o sbagliate che siano queste profezie, sembra che si possa affermare con
certezza
- scrive Johan Galtung in un suo recentissimo stimolante saggio (1) - che se i mali provocati
dall'esaurimento e
dall'inquinamento delle risorse potessero essere parzialmente annullati mediante degli anti-processi ed
incanalati
verso un inquinamento termico, l'orizzonte temporale della catastrofe dovrebbe allontanarsi... tanto da
oltrepassare i limiti di una minaccia percepibile". Ecco come non solo verrà evitata
l'apocalisse, ma anche, credo, lo "sviluppo zero". In realtà il riciclaggio ed il
disinquinamento hanno già prodotto, stanno producendo ed ancor più produrranno delle
"anti-tecnologie"
complementari alle tecnologie dilapidanti ed inquinanti che non solo consentiranno la sopravvivenza del
sistema
capitalistico-tecnocratico ma anche la crescita del Prodotto Nazionale Lordo (soprattutto quello dei paesi
dominanti), con soddisfazione dei capitalisti, dei tecnoburocrati e... degli economisti che misurano
l'economia
in termini di Prodotto Nazionale Lordo. Per concludere queste note - ma non, spero, la discussione
- preciso che non ho voluto (come può essere parso,
magari per involontarie forzature polemiche) negare l'esistenza della sovra-popolazione, del
sovra-inquinamento
e del sovra-sfruttamento delle risorse. Ho solo voluto affermare la radicale diversità tra il nostro
approccio al
problema e quello dell'ecologismo conservatore dei neo-malthusiani, una diversità che si esprime,
ripeto, già nelle
analisi prima ancora che nelle soluzioni. Il problema esiste - e come! - e non da ora. La
sovrappopolazione non
è una prospettiva futura, ma una realtà attuale e storica per tanta parte
dell'umanità; così la scarsità degli alimenti,
così l'inquinamento... Se l'ecologismo scopre solo ora questi mali, è perché solo
ora essi sono avvertibili (come
realtà presente o pericolo futuro) oltre che per le periferie sociali e geografiche anche per i
privilegiati degli stati
dominanti (2). All'ecologismo borghese e piccolo borghese, alle sue soluzioni
capitalistico-tecnocratiche noi dobbiamo opporre
un'analisi diversa delle cause dello squilibrio ecologico e l'alternativa di un equilibrio socio-economico
egualitario nazionale ed internazionale come condizione necessaria per un reale equilibrio ecologico,
cioè per
un più armonioso rapporto tra l'uomo e la natura, basato sullo sviluppo di una "tecnologia
diversa", una
tecnologia che favorisca il decentramento anziché l'accentramento della produzione, la
integrazione anziché la
divisione verticale del lavoro, la sintesi anziché la subordinazione di città e campagna,
di industria ed agricoltura...
A. Di Solata
1) J. Galtung, Contro l'ecologia conservatrice, "Bollettino della
Società di Studi Politici", novembre 1973. 2) Per una trattazione in chiave libertaria
dell'inquinamento si veda anche: A. Di Solata, L'inquinamento, 'A' -
rivista anarchica, marzo 1971.
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