Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 4 nr. 27
marzo 1974


Rivista Anarchica Online

Dai pelati ai satelliti
di Emilio Cipriano

L'I.R.I. compie quarant'anni - Le partecipazioni statali: nazionalizzazione all'italiana - Struttura e attività del più grosso feudo economico italiano

"E' importante sottolineare ancora una volta il legame strutturale, vorrei dire genetico, che intercorre tra il tipo di gestione imprenditoriale attuato nel nostro ambito e la permanenza nel quadro generale proprio di un sistema ad economia di mercato... Parlando di legame strutturale e genetico, vorrei ricordare comunque che, anche a prescindere dalle sue origini e dalle sue peculiari modalità di funzionamento, l'I.R.I. è vitalmente inserito nell'economia di mercato in ragione della sua stessa funzione...".
Così ha esordito Petrilli, Presidente dell'I.R.I., nel suo discorso pronunciato il 31 gennaio all'Auditorium della R.A.I. per celebrare il quarantesimo anniversario dell'ente da lui diretto. E' stata una cerimonia noiosa (e quando mai le celebrazioni del potere sono allegre?) durante la quale hanno parlato i "massimi" esponenti della nazione, Rumor e Leone, attorniati dai loro più diretti colleghi: ministri, presidenti di ogni tipo, del Senato - Spagnolli, della Corte Costituzionale - Bonifacio, del C.N.E.L. - Campilli, dell'E.N.I. - Girotti, della F.I.A.T - Agnelli, il governatore della Banca d'Italia Carli e (non poteva mancare) il nano onnipotente, Fanfani.
Comunque, al di là della sceneggiatura e dei personaggi, la rappresentazione era emblematica del potere economico dello stato, che attraverso l'I.R.I. (e non solo quello) si manifesta nei settori industriali, commerciali e finanziari più importanti della nostra società. L'I.R.I. è oggi lo strumento principe dell'intervento statale nell'economia e ha creato, con la sua esistenza e il suo sviluppo, le premesse per un cambiamento strutturale della società italiana. E pensare che, quarant'anni fa, quando l'I.R.I. venne costituito, esso era considerato un'istituzione temporanea, destinata a rimettere in sesto le aziende in difficoltà per poi reinserirle sul mercato privato una volta raggiunto questo scopo (1). Questa tendenza, istituzionale, venne rispettata fino al 1937, anno in cui l'I.R.I. fu trasformato in una istituzione finanziaria permanente di acquisizione di imprese anche se fino al 1939 l'istituto continuò a liquidare, sia pure a ritmo ridotto, molte delle sue attività (2).
L'I.R.I. a quell'epoca controllava già numerose imprese sparse in una decina di settori, ma la sua influenza era predominante solo in quelli che l'iniziativa privata riteneva troppo rischiosi o poco redditizi, oppure quelli che per decisione politica erano ritenuti necessari ai preparativi di guerra, quali i cantieri navali. La politica di intervento dell'I.R.I. in quegli anni era ancora piuttosto incerta, ma era comunque iniziato un processo di coordinamento con la creazione di alcune finanziarie di settore (Stet, Finmare, Finsider) per rendere omogenei gli investimenti. L'indirizzo prevalente era intervenire nelle imprese in difficoltà per inserirsi quanto più possibile nell'economia.
La burocrazia fascista perseguiva obiettivi "anticapitalistici", ma doveva attuarli (per la necessità di non alienarsi l'appoggio delle classi padronali) con metodi non scopertamente statalizzatori. L'I.R.I. creò un settore industriale pubblico che operava con gli stessi metodi e con la stessa legislazione del settore privato, una formula originale di economia statale sotto forma privatistica.
Lo sviluppo dell'I.R.I. venne messo in crisi dalla guerra e soprattutto dalle distruzioni degli anni 1943-45. I danni riportati furono notevolmente superiori a quelli di qualsiasi altro gruppo industriale (3), soprattutto a causa della concentrazione degli investimenti nella flotta mercantile, nelle industrie metallurgiche e nella meccanica pesante, che furono ovviamente tra i settori più colpiti dalle vicende belliche.
Alla fine della guerra l'I.R.I. si trovava in una situazione quanto mai precaria, sia per la distruzione dei suoi impianti, sia per motivazioni politiche che ne mettevano in forse la stessa esistenza così come si era sviluppata negli anni del fascismo. Gruppi privati premevano per la smobilitazione e "riprivatizzazione" di molti settori dell'I.R.I., ma la linea che prevalse fu quella di mantenere in vita ed anzi sviluppare l'I.R.I. Le motivazioni che spinsero a questa scelta le ritroviamo nel "Rapporto della Commissione economica all'Assemblea Costituente" (4). In questo rapporto tra l'altro, si legge: "...O si ipotizza il ritorno ad un'economia di mercato, in cui si realizzano sia pure approssimativamente le condizioni teoriche della concorrenza ed in tal caso, evidentemente, l'I.R.I. non avrebbe ragione di esistere... All'estremo opposto, cioè in un'economia collettivista, nemmeno si riesce a vedere una funzione utile da parte dell'I.R.I. Lo stato collettivista, almeno in una sua configurazione pura, non ha bisogno di queste forme ibride di controllo e di pianificazione, che sono concepibili solo là dove l'azione statale si svolge in un ambiente organizzato prevalentemente con criteri capitalistici. Si è visto, anzi, che l'argomento fondamentale additato dai fautori dell'I.R.I. (e in generale dall'azionariato di stato) è appunto quello del vantaggio di una manovra statale attuata nelle forme e con i metodi della organizzazione produttiva capitalistica... Si ritiene da una parte di commissari che nelle forme iniziali di collettivismo, l'I.R.I. potrebbe agevolare il trapasso dalle forme capitalistiche a quelle collettivistiche... Sembra quindi opportuno concludere... che in un sistema parzialmente pianificato, una volta determinati i settori da sottoporre a controllo, può farsi la scelta per la nazionalizzazione "manifesta" delle imprese appartenenti ai rami oggetto di pianificazione e la nazionalizzazione "larvata" attraverso la gestione dell'I.R.I.".
Trovata la sua giustificazione ideologica, l'I.R.I. intraprende dal dopoguerra fino ad oggi una serie di interventi sempre più articolati e complessi nelle strutture economiche, contribuendo a rafforzare l'azione della "politica di piano" espressa dai vari governi via via succedutisi e istaurando con essi un rapporto di reciproca influenza che viene istituzionalizzato nel 1956 con la creazione del Ministero delle Partecipazioni Statali.
Con il coordinamento delle attività economiche statali ad opera del nuovo ministero, l'I.R.I. accresce ancor più la sua importanza, nel Sud oltre che al Nord, contribuendo (in forma differenziata dalle imprese private) alla colonizzazione del sud.
L'I.R.I. oggi è il più importante "portafoglio" di partecipazioni statali. Come abbiamo visto, fin dalla nascita l'I.R.I. si configura come una colossale holding statale, cioè una società finanziaria di diritto pubblico, interamente in mano allo stato che, formalmente, risponde del suo operato al Ministero delle Partecipazioni Statali. Esso controlla le sue società tramite altre società finanziarie di settore. Queste finanziarie sono società per azioni di cui l'I.R.I. detiene la maggioranza o la totalità del capitale. Le società dell'I.R.I. si finanziano emettendo obbligazioni ed aumentando il proprio capitale sociale. L'I.R.I., dal canto suo, riceve capitali direttamente dallo stato sotto forma di aumenti del fondo di dotazione, inoltre anch'esso emette obbligazioni; con i capitali così reperiti (fondi dello stato e prestiti obbligazionari dai privati) l'Istituto partecipa agli aumenti di capitale delle sue società ed ai nuovi investimenti.
L'I.R.I. non si limita soltanto a sostenere le direttive della programmazione economica, ma persegue interessi suoi propri, di gruppo, a volte in rivalità con altri enti e istituzioni statali. Può a tutta prima sembrare strano, ma non dobbiamo dimenticare che a prendere le decisioni sono sempre gli individui, nel nostro caso i dirigenti del gruppo I.R.I. La "novità" della formula di questo istituto consiste nel fatto che in esso si è prodotto un tipo di dirigenza per molti aspetti particolare. Il dirigente I.R.I. non è solo un burocrate parastatale e non agisce nemmeno come un manager dell'industria privata. Non è nemmeno la semplice sovrapposizione delle due figure, ma dal combinarsi e dal fondersi dei due aspetti è nato un nuovo padrone: il manager pubblico. Questa nuova "figura" ha una intraprendenza tipicamente imprenditoriale, ma non si sente vincolato da alcun rapporto di proprietà e può prendere decisioni anche non strettamente economiche ma unicamente di sviluppo e di ampliamento. Egli è vincolato, in misura trascurabile, dalle leggi del profitto capitalistico e trova la sua affermazione nell'affermazione dell'impresa a cui è preposto.
L'I.R.I., quindi, anche in virtù del tipo di dirigenza creatasi al suo interno, costituisce un forte fattore di sviluppo dell'economia perché può rischiare molto di più delle imprese private, e gli investimenti al Sud sono lì a testimoniarlo. Le imprese private "sono scese al sud" solo dopo che quelle pubbliche avevano creato le strutture primarie o le più importanti.
L'I.R.I. è quindi, ad un tempo, strumento di propulsione economica e di stabilità politica, anzi l'uno è il presupposto dell'altro perché con la creazione di nuovi posti di lavoro in zone depresse e con la conservazione di quelli delle imprese in dissesto, contribuisce ad evitare tensioni sociali che altrimenti si manifesterebbero in forme difficilmente controllabili dai sindacati. Inoltre l'I.R.I., grazie alla sua forma privilegiata, utilizza e remunera in modo fiscalmente agevolato il piccolo e medio risparmio per il perseguimento di obiettivi statali, contribuendo così ad eliminare malumori nella piccola e media borghesia risparmiatrice.
Il potere e le dimensioni dell'I.R.I. oggi sono enormi, esso controlla oltre 130 società (alcune delle quali di grandissime dimensioni, che a loro volta controllano diverse altre imprese minori) e occupa globalmente un personale di oltre 321 mila unità. Si tratta di un impero sempre più difficilmente controllabile, uno stato nello stato, che agisce anche in campo internazionale e che sta assumendo per questa ragione una struttura di società multinazionale.
L'I.R.I. no ha più un impellente bisogno di espandersi, come negli anni passati, ma affiora con sempre maggiore evidenza la necessità di organizzare i suoi modi di funzionamento e le sue strutture, vale a dire che non si deve affermare ma che cerca di esercitare con più efficienza il potere di cui dispone. Tutto questo traspare anche nelle sfumate parole di Petrilli pronunciate nel discorso a cui avevamo prima accennato: "...Nel riaffermare la nostra piena disponibilità ad assumerci in futuro i compiti nuovi che il Parlamento e il Governo riterranno di attribuirci, desidero dire chiaramente che la possibilità di una nostra azione vicaria in ordine ad alcuni obiettivi ben determinati e limitati, non solo non avrebbe alcun carattere esclusivo ed anzi potrebbe essere l'occasione per una larga associazione degli operatori privati alla realizzazione di opere pubbliche ma, in termini più generali, non renderebbe certo meno urgente... l'esigenza di una ristrutturazione secondo razionalità ed efficienza dei canali tradizionali dell'intervento pubblico..."

Emilio Cipriano

1) E' interessante notare come l'intervento dello stato nell'economia abbisogni nella fase iniziale di questo espediente attuato in parte per non spaventare o traumatizzare eccessivamente i padroni di tipo capitalistico. Le stesse motivazioni fornite allora alla nascita dell'I.R.I. sono state riproposte pari pari per giustificare quella della G.E.P.I. nel 1971; anche questa società dovrebbe reimmettere sul mercato le imprese private dopo un periodo di ristrutturazione, ma questo compito istituzionale è venuto subito a cadere e la G.E.P.I. è divenuta un altro strumento di acquisizione statale.

2) Dal 1933 al 1939 l'I.R.I. operò vendite di partecipazione azionarie per 4.024 miliardi di lire, mentre fece reinvestimenti per un totale di 2.730 miliardi di lire.

3) Nel settore telefonico fu distrutto il 15% delle centrali e il 17% delle reti urbane; nel settore della navigazione su 221 navi per un totale di t.s.l. 1.446.000 del 1943, ne rimasero a guerra finita solo 24 per un totale di t.s.l. 194.000.

4) Ministero per la Costituente: "Rapporto della Commissione Economica all'Assemblea Costituente", Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1947.

LE ATTIVITÀ DELL'I.R.I.

Pomodori pelati, aeroplani, dadi da brodo, panettoni, automobili, dischi, televisori, navi, autostrade, banche, altiforni, microscopi, supermercati, telefoni... Il più grosso feudo economico italiano, la colossale "holding" statale I.R.I. si occupa di tutto questo e di mille altre cose. Diamo qui di seguito un elenco delle "principali" società controllate dall'I.R.I. (impossibile per motivi di spazio elencarle tutte), suddivise per settore di attività.

SIDERURGIA
L'attività è coordinata tramite la Finsider S.p.A., di cui l'I.R.I. detiene il 54,99% delle azioni. Tra le principali e più note società controllate dalla Finsider ricordiamo: BREDA SIDERURGICA; DALMINE; FINSIDER INTERNATIONAL S.A. (LUSSEMBURGO); ITALSIDER; SANTEUSTACCHIO; TERNI.

COSTRUZIONI NAVALI
L'attività è controllata tramite la Fincantieri, detenuta totalmente dall'I.R.I. Le maggiori società del gruppo sono: ARSENALE TRIESTINO SAN MARCO; CANTIERI NAVALI E OFFICINE MECCANICHE DI VENEZIA; ITALCANTIERI; GESTIONE BACINI LA SPEZIA; STABILIMENTI NAVALI TARANTO; CANTIERE NAVALE ORLANDO; ENTE BACINI GENOVA.

BANCHE E ISTITUTI FINANZIARI
Le società di questo settore sono controllate direttamente dall'I.R.I.: BANCA COMMERCIALE ITALIANA; CREDITO ITALIANO; BANCO DI ROMA; BANCO DI SANTO SPIRITO; CREDITO FONDIARIO; MEDIOBANCA; BANCA MILANESE DI CREDITO; BANCA DI LEGNANO; ed inoltre alcune altre banche minori e numerose banche situate all'estero.

MECCANICA
La capogruppo è la Finmeccanica S.p.A., appartenente all'I.R.I. per il 99,98%. Le più note del gruppo sono: ALFA ROMEO, e tutte le società ALFA ROMEO sparse per il mondo; ANSALDO MECCANICO NUCLEARE; ANSALDO S. GIORGIO; BREDA ELETTROMECCANICA; SALMOIRAGHI, STABILIMENTI MECCANICI TRIESTINI; F.A.G. ITALIANA; SOCIETÀ GENERALE MISSILISTICA ITALIANA; WALWORTH ALOYCO INTERNATIONAL.

TELECOMUNICAZIONI
Il settore e coordinato attraverso la Stet di cui il gruppo I.R.I. detiene il 57,58%. Le principali società sono: FONIT-CETRA; ITALCABLE; SIP; SIEMENS; TELESPAZIO; SIEMENS DATA.

GRUPPI SME SPA
Questi due gruppi operano in settori diversi. La Sme è controllata per il 41,85% dall'I.R.I.; le più importanti società del gruppo sono: STAR; MOTTA; ALEMAGNA; CIRIO; GENERALI SUPERMERCATI (GS); AERHOTEL; CARTIERE ITALIANA E SERTORIO RIUN.
La SPA - Società finanziaria di partecipazioni azionarie - è di completa proprietà dell'I.R.I.: MONTE AMIATA; FINANZIARIA TRAFORO MONTEBIANCO; PROMOZIONE E SVILUPPO INDUSTRIALI.

TRASPORTI MARITTIMI
La società capogruppo è la Finmare S.p.A. detenuta per il 75,45% dall'I.R.I. Le più note compagnie di navigazione sono: ADRIATICA; ITALIA; LLOYD TRIESTINO; TIRRENIA.

IMPRESE DIVERSE
Altre società controllate direttamente dall'I.R.I.: R.A.I.-T.V.; ALITALIA; AUTOSTRADE; ITALSTRADE; GRANDI MOTORI TRIESTE; ITALSTAT.