Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 4 nr. 26
gennaio 1974 - febbraio 1974


Rivista Anarchica Online

Alle origini dell'anarcosindacalismo
di Mirko Roberti

Gli anni che vanno dal 1886 la 1914 segnano in Francia la nascita, lo sviluppo e la fine dell'anarcosindacalismo. Il posto che occupa, per la ricchezza e la complessità della sua esperienza storica, nell'ambito dell'anarchismo e del movimento operaio, è oggetto oggi di riflessione teorica. Nella sua esperienza concreta esso ha agitato alcuni problemi che investono l'interpretazione e l'uso della strategia del movimento anarchico e rivoluzionario.
L'anarcosindacalismo francese, nell'arco complessivo della sua esperienza, ha portato a maturazione una lacerazione che era latente all'interno del movimento socialista rivoluzionario fin dalla fine della Prima Internazionale: la divisione, provocata dai marxisti con la Conferenza di Londra del 1871, tra la lotta economica e la politica.
Il problema della divisione tra la lotta politica e la lotta economica implicava anche quello del rapporto tra minoranze attive e masse sfruttate, e finiva con l'investire l'interpretazione del significato della coscienza rivoluzionaria, e quello più in generale della "coscienza di classe".
Ora, sebbene l'esperienza francese sia irripetibile, per alcuni caratteri di contingenza storica che cercheremo più avanti di spiegare brevemente, nondimeno essa rappresenta un esempio significativo di esasperazione pratica e teorica, dispiegata nel tentativo di risolvere i problemi lasciati aperti dalla Prima Internazionale. Questo esempio è oggetto, dicevamo, di riflessione teorica per l'attualità di alcuni temi presenti in questa esperienza, per il modo in cui sono stati affrontati, per la parabola, assolutamente originale, ma significativa, della sua intera evoluzione: dall'anarco-sindacalismo al sindacalismo "puro" di stampo soreliano. In parte essi sono presenti anche oggi nel dibattito teorico all'interno di alcune frange operaiste del movimento anarchico rivoluzionario italiano, con risultati peraltro assai modesti per le "scoperte" teoriche che questi gruppi hanno formulato in questi anni.

Dopo la Comune

Abbiamo detto sopra che l'originalità dell'anarcosindacalismo francese risiede anche nel concorso di alcune contingenze storiche particolari. Innanzitutto, con la disfatta della Comune di Parigi il movimento rivoluzionario francese dovette subire un lungo periodo di durissima repressione "La sezione francese dell'Internazionale dissolta, i rivoluzionari fucilati, inviati al bagno o condannati all'esilio, i club dispersi, le riunioni proibite; il terrore diffuso e paralizzante i rari uomini scappati al massacro: tale era la situazione all'indomani della Comune" (1).
Le associazioni operaie ricostituite dopo alcuni anni presentavano caratteristiche moderate e corporative, condizione prima della tolleranza del governo, mentre al contrario l'organizzazione rivoluzionaria, perso o allentato il contatto con esse, si ripiegava su se stessa contribuendo in tal modo ad aumentare il distacco; distacco favorito anche dallo spostamento dei gruppi socialisti marxisti dal campo rivoluzionario a quello, più congeniale, politico-parlamentare. Dopo il 1880 questa situazione si aggravò con l'accentuarsi dell'isolamento del movimento anarchico rispetto alle associazioni operaie, isolamento che porterà una parte di esso a praticare la "propaganda del fatto".
È in questo quadro generale che si fa strada all'interno di alcuni ambienti operaie anarchici l'idea di ricostruire le associazioni operaie sulla base del principio fondamentale della Prima Internazionale: la lotta gestita dagli sfruttati stessi attraverso lo sviluppo delle loro organizzazioni. Era questa però una interpretazione leggermente distorta del programma della Prima Internazionale. Se infatti "l'emancipazione dei lavoratori deve essere opera dei lavoratori stessi" il programma non aggiungeva che tale emancipazione deve farsi per forza sulla base dello sviluppo delle loro organizzazioni.

Le borse del lavoro

Questa ricostituzione avviene per gradi. Nel 1886 si costituisce la Federazione nazionale dei sindacati, organizzata sul raggruppamento per mestieri, ad indirizzo inizialmente moderato e riformista. Un anno dopo a Parigi viene fondata la prima Borsa del lavoro, negli anni seguenti altre ne verranno fondate in altre città francesi. Esse formeranno una federazione a partire dal febbraio 1892 con il loro congresso svoltosi a Saint-Etienne. Le Borse, a differenza dei sindacati, svolgono diverse funzioni, oltre a sviluppare la resistenza al padronato: ufficio di collocamento, cassa di disoccupazione, aiuto economico agli operai di passaggio e agli emigranti stranieri, ricerca e studio statistico dell'economia locale nazionale, diffusione della cultura scientifica ed umanistica attraverso conferenze, servizio di biblioteca, ecc..
Sebbene all'inizio avessero avuto l'appoggio delle autorità locali municipali e a volte dirette sovvenzioni governative, con l'entrata di molti anarchici esse finirono per diventare veri centri operai rivoluzionari. La loro azione, dopo il 1892, si farà sempre più autonoma rispetto ad ogni ingerenza politica e governativa, e dal 1895, con la nomina di Pelloutier a segretario generale, esse diverranno di ispirazione decisamente anarcosindacalista.
Nello stesso anno viene fondata la Confederazione Generale del Lavoro, prodotto dell'unione di molti sindacati nazionali; le Borse, però, vi aderiranno solamente nel 1902. Anche la Federazione dei sindacati nazionali era venuta, negli anni precedenti, ad un atteggiamento sempre più autonomo rispetto alle "scuole" e a partiti politici. Nel 1888 con il congresso di Bouscat, e nel 1892, con quello di Marsiglia, vengono ripetutamente affermati i temi dell'autonomia operaia e dello sciopero generale. Due anni dopo nel 1894, al congresso di Nantes, presenti anche alcuni delegati delle Borse, i guesdisti di ispirazione marxista che avevano proposto la strumentalizzazione delle lotte economico-sindacali per la conquista del potere, vengono clamorosamente battuti. È proprio il discorso della anarchico Pelloutier a fare riapprovare lo sciopero generale. Dal 1895 con la costituzione della C.G.T. e l'influenza anarchica delle Borse, inizia il vero periodo anarcosindacalista del movimento operaio francese, periodo che si concluderà dopo il 1908 per il fallimento di alcuni tentativi di sciopero generale, per lo scontro feroce e l'epilogo sanguinoso di parecchie lotte sociali, per la diversa situazione politica ed economica della Francia.
Comunque in questo periodo, definito eroico dallo storico francese Dolleans, la classe operaia si viene ad organizzare federalisticamente attraverso l'esperienza delle lotte. La propaganda anarcosindacalista porterà le camere sindacali, che nel decennio 1880-1890 erano passate da 500 a 1000, a salire, nel decennio 1890-1900 da 1000 a 2685 con 492.647 iscritti (2).
Sebbene esse organizzassero una parte minima del proletariato francese (nel 1902 su 3.285.911 operai dell'industria solo 614.000 sono organizzati) la loro opera di stimolo, portata avanti soprattutto dalle Borse, contribuì a sviluppare un entusiasmo ed un ottimismo prima sconosciuto. A rendere più intransigente la condotta della lotta operaia contribuiva in quegli anni anche la politica, parlamentare, legale e moderata della socialdemocrazia francese ed europea. È questo un altro motivo non indifferente dell'innesto dell'anarchismo nelle associazioni operaie, sulla scia di un ritorno originale, anche se male interpretato, allo spirito e agli insegnamenti della Prima Internazionale.
La pratica libertaria nella lotta economica, l'entrata consistente di molti anarchici nei sindacati, il decentramento federalistico e la gestione conseguente delle Borse del lavoro, l'asprezza dello scontro sociale di quegli anni, lo spirito di sacrificio e di eroismo di molti esponenti anarcosindacalisti, ecc., queste le ragioni della nascita e dello sviluppo anarcosindacalista. Su queste esperienze, per certi versi originali e proprie solo del movimento operaio francese, si viene ad elaborare una teoria conseguente che accamperà la pretesa di essere autenticamente unica ed autosufficiente.
In parte essa lo fu, perché caratteri di estremismo teorico culminante con la "Carta d'Amiens" delle 1906, non si ritroveranno nelle organizzazioni anarcosindacaliste di altri paesi, come Spagna, Italia, Argentina, ecc.. Vediamo quindi più da vicino questa teoria.

La carta d'Amiens

Il riferimento teorico fondamentale della teoria anarcosindacalista è dato dall'autonomia del movimento operaio. Esso rappresenta il vero e unico soggetto rivoluzionario, il solo in grado di sviluppare l'azione liberatrice in virtù della sua funzione produttrice dell'intera ricchezza sociale. Per riappropriarsi di essa, perché l'autonomia del movimento operaio diventi feconda di pratica rivoluzionaria, l'intera classe degli sfruttati deve trovare la sua unità sulla base del vero denominatore comune: l'eguale condizione sociale dovuta allo sfruttamento economico. La realizzazione di questa unità, condizione fondamentale della forza del movimento operaio, si ottiene solo escludendo, all'interno delle associazioni operaie, ogni "scuola politica" perché fonte di possibile discordia e divisione.
"La Confederazione del lavoro non può divenire una potenza che a immagine del comitato federale delle Borse, che conta il più gran numero di rappresentanti delle diverse scuole socialiste, elemento stesso della sua vitalità perché i delegati che partecipano e prendono posto, abdicano alle loro preferenze politiche limitandosi alle loro discussioni corporative" (3). Così Fernand Pelloutier riassume il pensiero che anima le Borse del lavoro, pochi giorni prima che egli ne diventi segretario, in una riunione a Nîmes organizzata per decidere se entrare nella Confederazione Generale del Lavoro che verrà fondata nel settembre 1895 a Limoges. Questa tendenza verrà accentuata l'interno della C.G.T. dopo il 1902, quando al congresso di Montpellier, la federazione delle Borse e la C.G.T. formeranno una unica organizzazione. Pouget, che sarà per alcuni anni segretario aggiunto riconferma questo punto di vista in un opuscolo dal titolo "Il partito del lavoro". Scriveva Pouget "... Il partito del lavoro coordina degli interessi e non delle opinioni. Questa potenza d'assorbimento delle divergenze individuali è la ragione dell'accordo che lega forzatamente la comunità di interessi, e dà, al Partito del Lavoro, una superiorità di vitalità e di azione mettendolo al riparo dai torti presenti nei partiti politici" (4).
Il rifiuto della componente politica altro non è che il rifiuto dell'ingerenza dei "dottori del socialismo" nell'elaborazione di una autentica teoria proletaria. Quest'ultima si sviluppa sulla negazione stessa della funzione dell'ideologia, prodotto della cultura appartenente alle classi dominanti. Anche l'ideologia rivoluzionaria altro non è che una dimensione astratta e alienante, poiché i valori su cui è costruita, poggiano su un progetto positivo avulso dalla lotta sociale; il movimento operaio pertanto deve, anche nel campo teorico, elaborare per proprio conto i valori che sono alla base della sua azione di lotta quotidiana. "Nei militanti, desiderosi di dare il primo posto all'azione sindacale, vi è un sentimento di opposizione brutale alla borghesia, non vi è nessuna preoccupazione che si riattacchi ad un piano preconcetto e ad una teoria dell'insieme... Gli uni si sforzano di riallacciare le origini del movimento operaio attuale ai principi enunciati dalla concezione anarchica; gli altri si studiano al contrario di trovarli nella concezione socialista... Secondo me, il movimento operaio non risale a nessuna di queste due sorgenti" (5). Questa precisa affermazione di Victor Griffuelhes segretario generale per tanti anni della C.G.T. conferma lo spirito e le idee che animavano l'anarcosindacalismo di quegli anni.
Esse troveranno compiutezza teorica nella famosa carta d'Amiens votata dal congresso confederale il 13 ottobre 1906 con 830 voti favorevoli contro 9 contrari. Questa riafferma la assoluta autonomia del movimento operaio rispetto ad ogni movimento politico e rivoluzionario, compreso quello anarchico per "rafforzare il più possibile i sindacati, l'razione economica va condotta direttamente contro il padronato; le organizzazioni confederate, in quanto gruppi sindacali, non devono occuparsi di sètte di partiti, che sono liberi al di fuori, e, indipendentemente dai sindacati, di lavorare per la trasformazione sociale che ritengono più appropriata" (6). Inoltre l'anarcosindacalismo passa dalla fase di resistenza alla fase costruttiva, esso non è più un mezzo di opposizione allo sfruttamento capitalistico, ma l'organizzazione stessa su cui poggerà la società futura. "I sindacati raccomandano lo sciopero generale come mezzo per l'attuazione di questo fine, e affermano che il sindacato, attualmente un gruppo di resistenza, sarà in futuro il gruppo responsabile della produzione e della distribuzione, cioè la base dell'organizzazione sociale" (7). Questa affermazione di assoluta autonomia non solo nel momento della lotta, ma anche in quello più complesso della ricostruzione sociale, pone una divisione abbastanza profonda con il movimento anarchico specifico: la negazione di efficacia di altri mezzi rivoluzionari sarà infatti combattuta e discussa al congresso internazionale anarchico di Amsterdam del 1907 (8).

I mezzi di lotta

Anche i mezzi di lotta contro lo sfruttamento capitalistico, per la liberazione degli sfruttati dal giogo del salariato, si sviluppano rigorosamente sul terreno della lotta economica attraverso l'uso rivoluzionario delle associazioni operaie.
Gli scioperi di resistenza allo sfruttamento padronale, il boicottaggio del lavoro e il sabotaggio delle merci, l'azione diretta sfociante nello sciopero generale, ecco i mezzi propugnati e praticati in quegli anni dall'anarcosindacalismo francese.
Questi mezzi sono gli unici, secondo gli anarcosindacalisti, che permettono agli sfruttati di lottare sul proprio terreno, essi implicano, di conseguenza, una pratica di solidarietà attiva e concreta. Inoltre essi, nel momento della lotta, si ricompongono uniti come classe che sta interamente unita in contrapposizione rispetto alla classe borghese. Lo sciopero generale abitua gli sfruttati non solo "alla solidarietà e all'iniziativa"; esso è una rappresentazione collettiva della inconciliabilità degli interessi, presenti nella società borghese, tra il movimento operaio e la classe capitalista. Nello schema strategico dell'anarcosindacalismo, lo sciopero generale sostituisce l'insurrezione rivoluzionaria.
La lotta economica è la sole efficace anche per un'altra ragione teorica. Se infatti gli sfruttati lottano sul proprio terreno, essi non hanno bisogno di una minoranza guida che animi e organizzi la lotta. In questo modo l'anarcosindacalismo francese era convinto di aver risolto il problema del rapporto tra minoranze rivoluzionarie masse sfruttate. Era questa però una grossa velleità: gli stessi esponenti riconoscevano esplicitamente il ruolo insopprimibile di esse (9) e la stessa pratica lo confermava (negli "anni eroici" del sindacalismo anarchico, 1895-1906, gli operai organizzati non superarono mai il 20% dell'intera loro classe e tra gli organizzati solo una minoranza era nelle Borse del lavoro, l'organizzazione più combattiva).

I limiti del sindacalismo

L'autonomia del movimento operaio, unico soggetto rivoluzionario, è riflessa nella autonomia teorica dell'anarcosindacalismo, come schema strategico-tattico di resistenza e di attacco allo sfruttamento, come mezzo originale capace di sorreggere l'intero impianto della società libertaria (10), come formulazione autenticamente proletaria perché nata dalle esperienze della lotta quotidiana. Questa proclamata e praticata autosufficienza si presenta attraverso due presupposti fondamentali implicantisi l'uno con l'altro: i loro limiti assumono rilievo qualora siano confrontati e visti rispetto allo scopo implicito della loro azione, l'abolizione delle classi, l'abolizione dello Stato, la realizzazione della società anarchica.
Il primo presupposto è dato dalla identificazione del soggetto rivoluzionario che nello schema sindacalista viene ridotto alla classe operaia, anche se gli statuti delle Borse del lavoro prevedevano l'inserimento, nelle loro organizzazioni, delle masse contadine (11). La complessità dello scontro sociale, la trasformazione dei suoi rapporti di forza continuamente in evoluzione, l'imprevedibilità e la variabilità di altri fattori, ecc., sono ricondotti all'interno di un quadro riduttivo. La lotta sociale si riduce alla lotta economica tra classe capitalista e movimento operaio, nel senso che l'abolizione dello sfruttamento passa automaticamente attraverso l'abolizione della classe capitalista.
Così il secondo presupposto è dato implicitamente: la realizzazione della società libertaria non passa con lo sviluppo di un programma positivo dato e immesso forzatamente nel corso della storia. Programma e ideologia rivoluzionaria sono, per gli anarcosindacalisti, una conseguenza automatica derivante dall'eliminazione del nemico, il capitalismo. La dimensione rivoluzionaria e l'autenticità libertaria assumono valore solo alla luce di questa lotta, in modo tale che la garanzia e la positività dell'azione liberatrice vengono ricavate negativamente.
In questo modo i limiti dell'azione solamente economica risultano chiari: gli sfruttati sviluppando solo l'aspetto negativo, come lotta contro lo sfruttamento, rimandavano al dopo l'aspetto positivo, come lotta per il comunismo anarchico. Oltre a scindere i due momenti dell'interazione rivoluzionaria, cioè i mezzi e i fini, gli anarcosindacalisti non passavano dallo sviluppo della "coscienza di classe" a quello della coscienza rivoluzionaria. La loro azione rimaneva irrimediabilmente corporativa.
La società autoritaria e sfruttattrice, semplificata nell'immagine teorica dell'anarcosindacalismo, portava i suoi esponenti alla convinzione di aver scoperto il punto vulnerabile del sistema (la paralisi del lavoro) e la leva potente dell'azione rivoluzionaria (lo sciopero generale). Questo schema riduttivo, proprio delle analisi anarcosindacaliste, è ben riassunto nella rappresentazione meccanica dello scontro sociale, presente nel pensiero di Paul Delesalle riguardo allo sciopero generale tentato il 1° maggio 1906; a) sciopero generale ad opera di sindacati che paragoneremo a manovre di guarnigioni; b) cessazione del lavoro dovunque e a data fissa, che sarebbero le nostre grandi manovre; c) arresto generale completo, che metta il proletario in guerra aperta contro la società capitalistica; d) sciopero generale-Rivoluzione (12).
La "lettura" tutta economica della società portava l'anarcosindacalismo a sottovalutare altre forme di lotta, o a renderle strumentali rispetto a quella economica. Scrive Cristian de Goustine, riguardo all'evoluzione del pensiero di Pouget dall'anarchismo all'anarcosindacalismo "Contro lo Stato, Pouget preconizza l'apoliticismo l'antimilitarismo e lo sciopero generale rivoluzionario. Infine, egli definisce il ruolo del sindacato della società futura. L'apoliticismo e l'antimilitarismo e l'idea della rivoluzione sociale sono dei contributi anarchici al sindacalismo. Ma essi ora cambiano di senso. L'apoliticismo non è più l'affermazione della lotta contro il governo come manifestazione dell'Autorità, ma la presa di coscienza della solidarietà degli interessi della classe operaia... Noi abbiamo visto che l'antimilitarismo è uno degli interessi della classe operaia... Nella dottrina sindacalista, l'antimilitarismo si fonda sul principio della lotta contro l'esercito, per quel tanto che rappresenta e difende gli interessi della classe borghese contro la classe operaia" (13).
Quando nell'agosto del 1914, dopo una serie sfortunata di scioperi falliti, si tentò senza successo lo sciopero generale contro la guerra, l'anarcosindacalismo francese evidenziò tutti i suoi limiti, ma più dei suoi limiti le sue velleità. Con la concessione di alcuni miglioramenti economici, i sindacati si trovarono in difficoltà nell'agitazione quotidiana, e furono costretti a ripiegare su una azione più moderata. Quest'ultima fu il frutto anche dell'uscita e del ritiro di molti militanti anarchici dal sindacalismo francese, il quale si configurava ora come sindacalismo "puro".
L'azione rivoluzionaria dell'anarcosindacalismo trovava prima il suo referente nella classe operaia e nel rifiuto della funzione positiva dell'ideologia. Ora, l'azione rivoluzionaria, non era più impersonificata e portata avanti dalla classe operaia. Liberatasi di quest'ultima, senza più nessuna identificazione ideologica, essa si era resa autonoma e libera, arrivando all'attivismo "puro" di stampo fascista e soreliano. L'azione, di per sé stessa, dava la dimensione rivoluzionaria e non più lo scopo: questa era l'inevitabile parabola dell'interpretazione negativa della lotta, unita al rifiuto della funzione positiva della ideologia.
Nulla di nuovo se oggi, al posto dell'azione "pura", alcuni gruppi "rivoluzionari" scoprano e teorizzino la "situazione" rivoluzionaria, svincolata da ogni identificazione ideologica.
Se oggi risulta estremamente importante l'esperienza storica dell'anarcosindacalismo, ciò è dovuto all'innesto teorico dell'anarchismo nel movimento operaio. Quest'ultimo, praticando l'azione diretta, sviluppò la dimensione rivoluzionaria della sua forza, proprio in virtù della pratica anarchica adottata. Il soggetto rivoluzionario, però, rimane l'anarchismo e il suo movimento storico.

Mirko Roberti

(1) F. Pelloutier, Histoire des Bourses du Travail, Paris 1946, p.69

(2) E. Dolleans, Storia del movimento operaio, Roma 1948, pp.20-58 (secondo volume).

(3) M. Foulon, F. Pelloutier, précurseur du syndacalisme fédéraliste, Paris 1972, p.128.

(4) Christian de Goustine, Pouget, les matins noirs du syndacalisme, Clamery 1972, p.85.

(5) E. Dolleans, op. cit., p.132.

(6) A questo proposito Dolleans afferma che con il termine sètte, Pouget e Griffuelhes, estensori del documento, intendevano comprendere anche i gruppi anarchici. Vedi E. Dolleans, op. cot., p.143.

(7) G.D.H. Cole, Storia del pensiero socialista: la seconda internazionale (parte prima), p.438.

(8) Si veda la polemica Malatesta-Monatte, Resoconto del Congresso gelerale anarchico di Amsterdam, Paterson, N.J.; s.d., pp.14 e sgg.

(9) Christian de Goustine, op. cit.riporta a p.84 molte affermazioni di Pouget in tal senso. Anche nell'opuscolo "Il sabotaggio", Catania 1973, Pouget riconosce il ruolo attivo delle minoranze.

(10) Si veda E. Pouget, Comment nous ferons la révolution Paris 1909, pp.71 e sgg.

(11) Sognificativi si presentano gli Statuti delle Borse a questo proposito. Cfr. sempre F. Pelloutier, op. cit., p.303.

(12) Cfr. J. Maitron, F. Pelloutier, Le syndacalisme révolutionnaire: Paul Delesalle, Paris 1952, p.81. Per avere una visione generale dell'elaborazione teorica dello sciopero generale si veda l'opera fondamentale di J. Julliard, F. Pelloutier et les origines du syndacalisme d'action directe, Paris 1971, pp.279-341

(13) Christian de Goustine, op. cit., pp.85 e 132.