Rivista Anarchica Online
Alle origini dell'anarcosindacalismo
di Mirko Roberti
Gli anni che vanno dal 1886 la 1914 segnano in Francia la nascita, lo
sviluppo e la fine dell'anarcosindacalismo.
Il posto che occupa, per la ricchezza e la complessità della sua esperienza storica, nell'ambito
dell'anarchismo
e del movimento operaio, è oggetto oggi di riflessione teorica. Nella sua esperienza concreta esso
ha agitato alcuni
problemi che investono l'interpretazione e l'uso della strategia del movimento anarchico e
rivoluzionario. L'anarcosindacalismo francese, nell'arco complessivo della sua esperienza, ha portato
a maturazione una
lacerazione che era latente all'interno del movimento socialista rivoluzionario fin dalla fine della Prima
Internazionale: la divisione, provocata dai marxisti con la Conferenza di Londra del 1871, tra la lotta
economica
e la politica. Il problema della divisione tra la lotta politica e la lotta economica implicava anche
quello del rapporto tra
minoranze attive e masse sfruttate, e finiva con l'investire l'interpretazione del significato della coscienza
rivoluzionaria, e quello più in generale della "coscienza di classe". Ora, sebbene l'esperienza
francese sia irripetibile, per alcuni caratteri di contingenza storica che cercheremo
più
avanti di spiegare brevemente, nondimeno essa rappresenta un esempio significativo di esasperazione
pratica e
teorica, dispiegata nel tentativo di risolvere i problemi lasciati aperti dalla Prima Internazionale. Questo
esempio
è oggetto, dicevamo, di riflessione teorica per l'attualità di alcuni temi presenti in questa
esperienza, per il modo
in cui sono stati affrontati, per la parabola, assolutamente originale, ma significativa, della
sua intera evoluzione:
dall'anarco-sindacalismo al sindacalismo "puro" di stampo soreliano. In parte essi sono presenti anche
oggi nel
dibattito teorico all'interno di alcune frange operaiste del movimento anarchico rivoluzionario italiano,
con
risultati peraltro assai modesti per le "scoperte" teoriche che questi gruppi hanno formulato in questi
anni.
Dopo la Comune
Abbiamo detto sopra che l'originalità dell'anarcosindacalismo francese risiede anche nel
concorso di alcune
contingenze storiche particolari. Innanzitutto, con la disfatta della Comune di Parigi il movimento
rivoluzionario
francese dovette subire un lungo periodo di durissima repressione "La sezione francese
dell'Internazionale
dissolta, i rivoluzionari fucilati, inviati al bagno o condannati all'esilio, i club dispersi, le riunioni proibite;
il
terrore diffuso e paralizzante i rari uomini scappati al massacro: tale era la situazione all'indomani della
Comune"
(1). Le associazioni operaie ricostituite dopo alcuni anni presentavano caratteristiche moderate e
corporative,
condizione prima della tolleranza del governo, mentre al contrario l'organizzazione rivoluzionaria, perso
o
allentato il contatto con esse, si ripiegava su se stessa contribuendo in tal modo ad aumentare il distacco;
distacco
favorito anche dallo spostamento dei gruppi socialisti marxisti dal campo rivoluzionario a quello,
più congeniale,
politico-parlamentare. Dopo il 1880 questa situazione si aggravò con l'accentuarsi dell'isolamento
del movimento
anarchico rispetto alle associazioni operaie, isolamento che porterà una parte di esso a praticare
la "propaganda
del fatto". È in questo quadro generale che si fa strada all'interno di alcuni ambienti operaie
anarchici l'idea di ricostruire
le associazioni operaie sulla base del principio fondamentale della Prima Internazionale: la lotta gestita
dagli
sfruttati stessi attraverso lo sviluppo delle loro organizzazioni. Era questa però una interpretazione
leggermente
distorta del programma della Prima Internazionale. Se infatti "l'emancipazione dei lavoratori deve essere
opera
dei lavoratori stessi" il programma non aggiungeva che tale emancipazione deve farsi per forza
sulla base dello
sviluppo delle loro organizzazioni.
Le borse del lavoro
Questa ricostituzione avviene per gradi. Nel 1886 si costituisce la Federazione nazionale dei
sindacati, organizzata
sul raggruppamento per mestieri, ad indirizzo inizialmente moderato e riformista. Un anno dopo a Parigi
viene
fondata la prima Borsa del lavoro, negli anni seguenti altre ne verranno fondate in altre città
francesi. Esse
formeranno una federazione a partire dal febbraio 1892 con il loro congresso svoltosi a Saint-Etienne.
Le Borse,
a differenza dei sindacati, svolgono diverse funzioni, oltre a sviluppare la resistenza al padronato: ufficio
di
collocamento, cassa di disoccupazione, aiuto economico agli operai di passaggio e agli emigranti stranieri,
ricerca
e studio statistico dell'economia locale nazionale, diffusione della cultura scientifica ed umanistica
attraverso
conferenze, servizio di biblioteca, ecc.. Sebbene all'inizio avessero avuto l'appoggio delle
autorità locali municipali e a volte dirette sovvenzioni
governative, con l'entrata di molti anarchici esse finirono per diventare veri centri operai rivoluzionari.
La loro
azione, dopo il 1892, si farà sempre più autonoma rispetto ad ogni ingerenza politica e
governativa, e dal 1895,
con la nomina di Pelloutier a segretario generale, esse diverranno di ispirazione decisamente
anarcosindacalista. Nello stesso anno viene fondata la Confederazione Generale del Lavoro,
prodotto dell'unione di molti sindacati
nazionali; le Borse, però, vi aderiranno solamente nel 1902. Anche la Federazione dei sindacati
nazionali era
venuta, negli anni precedenti, ad un atteggiamento sempre più autonomo rispetto alle "scuole"
e a partiti politici.
Nel 1888 con il congresso di Bouscat, e nel 1892, con quello di Marsiglia, vengono ripetutamente
affermati i temi
dell'autonomia operaia e dello sciopero generale. Due anni dopo nel 1894, al congresso di Nantes,
presenti anche
alcuni delegati delle Borse, i guesdisti di ispirazione marxista che avevano proposto la strumentalizzazione
delle
lotte economico-sindacali per la conquista del potere, vengono clamorosamente battuti. È proprio
il discorso della
anarchico Pelloutier a fare riapprovare lo sciopero generale. Dal 1895 con la costituzione della C.G.T.
e
l'influenza anarchica delle Borse, inizia il vero periodo anarcosindacalista del movimento operaio
francese,
periodo che si concluderà dopo il 1908 per il fallimento di alcuni tentativi di sciopero generale,
per lo scontro
feroce e l'epilogo sanguinoso di parecchie lotte sociali, per la diversa situazione politica ed economica
della
Francia. Comunque in questo periodo, definito eroico dallo storico francese Dolleans, la classe
operaia si viene ad
organizzare federalisticamente attraverso l'esperienza delle lotte. La propaganda anarcosindacalista
porterà le
camere sindacali, che nel decennio 1880-1890 erano passate da 500 a 1000, a salire, nel decennio
1890-1900
da 1000 a 2685 con 492.647 iscritti (2). Sebbene esse organizzassero una parte minima del
proletariato francese (nel 1902 su 3.285.911 operai
dell'industria solo 614.000 sono organizzati) la loro opera di stimolo, portata avanti soprattutto dalle
Borse,
contribuì a sviluppare un entusiasmo ed un ottimismo prima sconosciuto. A rendere più
intransigente la condotta
della lotta operaia contribuiva in quegli anni anche la politica, parlamentare, legale e moderata della
socialdemocrazia francese ed europea. È questo un altro motivo non indifferente dell'innesto
dell'anarchismo nelle
associazioni operaie, sulla scia di un ritorno originale, anche se male interpretato, allo spirito e agli
insegnamenti
della Prima Internazionale. La pratica libertaria nella lotta economica, l'entrata consistente di molti
anarchici nei sindacati, il decentramento
federalistico e la gestione conseguente delle Borse del lavoro, l'asprezza dello scontro sociale di quegli
anni, lo
spirito di sacrificio e di eroismo di molti esponenti anarcosindacalisti, ecc., queste le ragioni della nascita
e dello
sviluppo anarcosindacalista. Su queste esperienze, per certi versi originali e proprie solo del movimento
operaio
francese, si viene ad elaborare una teoria conseguente che accamperà la pretesa di essere
autenticamente unica
ed autosufficiente. In parte essa lo fu, perché caratteri di estremismo teorico culminante con
la "Carta d'Amiens" delle 1906, non si
ritroveranno nelle organizzazioni anarcosindacaliste di altri paesi, come Spagna, Italia, Argentina, ecc..
Vediamo
quindi più da vicino questa teoria.
La carta d'Amiens
Il riferimento teorico fondamentale della teoria anarcosindacalista è dato dall'autonomia del
movimento operaio.
Esso rappresenta il vero e unico soggetto rivoluzionario, il solo in grado di sviluppare l'azione liberatrice
in virtù
della sua funzione produttrice dell'intera ricchezza sociale. Per riappropriarsi di essa, perché
l'autonomia del
movimento operaio diventi feconda di pratica rivoluzionaria, l'intera classe degli sfruttati deve trovare la
sua unità
sulla base del vero denominatore comune: l'eguale condizione sociale dovuta allo sfruttamento
economico. La
realizzazione di questa unità, condizione fondamentale della forza del movimento operaio, si
ottiene solo
escludendo, all'interno delle associazioni operaie, ogni "scuola politica" perché fonte di possibile
discordia e
divisione. "La Confederazione del lavoro non può divenire una potenza che a immagine del
comitato federale delle Borse,
che conta il più gran numero di rappresentanti delle diverse scuole socialiste, elemento stesso
della sua vitalità
perché i delegati che partecipano e prendono posto, abdicano alle loro preferenze politiche
limitandosi alle loro
discussioni corporative" (3). Così Fernand Pelloutier riassume il pensiero che anima le Borse del
lavoro, pochi
giorni prima che egli ne diventi segretario, in una riunione a Nîmes organizzata per decidere se
entrare nella
Confederazione Generale del Lavoro che verrà fondata nel settembre 1895 a Limoges. Questa
tendenza verrà
accentuata l'interno della C.G.T. dopo il 1902, quando al congresso di Montpellier, la federazione delle
Borse
e la C.G.T. formeranno una unica organizzazione. Pouget, che sarà per alcuni anni segretario
aggiunto riconferma
questo punto di vista in un opuscolo dal titolo "Il partito del lavoro". Scriveva Pouget "... Il partito del
lavoro
coordina degli interessi e non delle opinioni. Questa potenza d'assorbimento delle divergenze individuali
è la
ragione dell'accordo che lega forzatamente la comunità di interessi, e dà, al Partito del
Lavoro, una superiorità
di vitalità e di azione mettendolo al riparo dai torti presenti nei partiti politici" (4). Il rifiuto
della componente politica altro non è che il rifiuto dell'ingerenza dei "dottori del socialismo"
nell'elaborazione di una autentica teoria proletaria. Quest'ultima si sviluppa sulla negazione stessa della
funzione
dell'ideologia, prodotto della cultura appartenente alle classi dominanti. Anche l'ideologia rivoluzionaria
altro
non è che una dimensione astratta e alienante, poiché i valori su cui è costruita,
poggiano su un progetto positivo
avulso dalla lotta sociale; il movimento operaio pertanto deve, anche nel campo teorico, elaborare per
proprio
conto i valori che sono alla base della sua azione di lotta quotidiana. "Nei militanti, desiderosi di dare il
primo
posto all'azione sindacale, vi è un sentimento di opposizione brutale alla borghesia, non vi
è nessuna
preoccupazione che si riattacchi ad un piano preconcetto e ad una teoria dell'insieme... Gli uni si sforzano
di
riallacciare le origini del movimento operaio attuale ai principi enunciati dalla concezione anarchica; gli
altri si
studiano al contrario di trovarli nella concezione socialista... Secondo me, il movimento operaio non
risale a
nessuna di queste due sorgenti" (5). Questa precisa affermazione di Victor Griffuelhes segretario
generale per tanti
anni della C.G.T. conferma lo spirito e le idee che animavano l'anarcosindacalismo di quegli
anni. Esse troveranno compiutezza teorica nella famosa carta d'Amiens votata dal congresso
confederale il 13 ottobre
1906 con 830 voti favorevoli contro 9 contrari. Questa riafferma la assoluta autonomia del movimento
operaio
rispetto ad ogni movimento politico e rivoluzionario, compreso quello anarchico per "rafforzare il
più possibile
i sindacati, l'razione economica va condotta direttamente contro il padronato; le organizzazioni
confederate, in
quanto gruppi sindacali, non devono occuparsi di sètte di partiti, che sono liberi al di fuori, e,
indipendentemente
dai sindacati, di lavorare per la trasformazione sociale che ritengono più appropriata" (6). Inoltre
l'anarcosindacalismo passa dalla fase di resistenza alla fase costruttiva, esso non è più un
mezzo di opposizione
allo sfruttamento capitalistico, ma l'organizzazione stessa su cui poggerà la società futura.
"I sindacati
raccomandano lo sciopero generale come mezzo per l'attuazione di questo fine, e affermano che il
sindacato,
attualmente un gruppo di resistenza, sarà in futuro il gruppo responsabile della produzione e della
distribuzione,
cioè la base dell'organizzazione sociale" (7). Questa affermazione di assoluta autonomia non solo
nel momento
della lotta, ma anche in quello più complesso della ricostruzione sociale, pone una divisione
abbastanza profonda
con il movimento anarchico specifico: la negazione di efficacia di altri mezzi rivoluzionari sarà
infatti combattuta
e discussa al congresso internazionale anarchico di Amsterdam del 1907 (8).
I mezzi di lotta
Anche i mezzi di lotta contro lo sfruttamento capitalistico, per la liberazione degli sfruttati dal giogo
del salariato,
si sviluppano rigorosamente sul terreno della lotta economica attraverso l'uso rivoluzionario delle
associazioni
operaie. Gli scioperi di resistenza allo sfruttamento padronale, il boicottaggio del lavoro e il
sabotaggio delle merci,
l'azione diretta sfociante nello sciopero generale, ecco i mezzi propugnati e praticati in quegli anni
dall'anarcosindacalismo francese. Questi mezzi sono gli unici, secondo gli anarcosindacalisti, che
permettono agli sfruttati di lottare sul proprio
terreno, essi implicano, di conseguenza, una pratica di solidarietà attiva e concreta. Inoltre
essi, nel momento
della lotta, si ricompongono uniti come classe che sta interamente unita in contrapposizione rispetto alla
classe
borghese. Lo sciopero generale abitua gli sfruttati non solo "alla solidarietà e all'iniziativa"; esso
è una
rappresentazione collettiva della inconciliabilità degli interessi, presenti nella società
borghese, tra il movimento
operaio e la classe capitalista. Nello schema strategico dell'anarcosindacalismo, lo sciopero generale
sostituisce
l'insurrezione rivoluzionaria. La lotta economica è la sole efficace anche per un'altra ragione
teorica. Se infatti gli sfruttati lottano sul proprio
terreno, essi non hanno bisogno di una minoranza guida che animi e organizzi la lotta. In questo modo
l'anarcosindacalismo francese era convinto di aver risolto il problema del rapporto tra minoranze
rivoluzionarie
masse sfruttate. Era questa però una grossa velleità: gli stessi esponenti riconoscevano
esplicitamente il ruolo
insopprimibile di esse (9) e la stessa pratica lo confermava (negli "anni eroici" del sindacalismo anarchico,
1895-1906, gli operai organizzati non superarono mai il 20% dell'intera loro classe e tra gli organizzati
solo una
minoranza era nelle Borse del lavoro, l'organizzazione più combattiva).
I limiti del sindacalismo
L'autonomia del movimento operaio, unico soggetto rivoluzionario, è riflessa nella autonomia
teorica
dell'anarcosindacalismo, come schema strategico-tattico di resistenza e di attacco allo sfruttamento, come
mezzo
originale capace di sorreggere l'intero impianto della società libertaria (10), come formulazione
autenticamente
proletaria perché nata dalle esperienze della lotta quotidiana. Questa proclamata e praticata
autosufficienza si
presenta attraverso due presupposti fondamentali implicantisi l'uno con l'altro: i loro limiti assumono
rilievo
qualora siano confrontati e visti rispetto allo scopo implicito della loro azione, l'abolizione delle classi,
l'abolizione dello Stato, la realizzazione della società anarchica. Il primo presupposto
è dato dalla identificazione del soggetto rivoluzionario che nello schema sindacalista viene
ridotto alla classe operaia, anche se gli statuti delle Borse del lavoro prevedevano l'inserimento, nelle loro
organizzazioni, delle masse contadine (11). La complessità dello scontro sociale, la
trasformazione dei suoi
rapporti di forza continuamente in evoluzione, l'imprevedibilità e la variabilità di altri
fattori, ecc., sono ricondotti
all'interno di un quadro riduttivo. La lotta sociale si riduce alla lotta economica tra classe capitalista e
movimento
operaio, nel senso che l'abolizione dello sfruttamento passa automaticamente attraverso
l'abolizione della classe
capitalista. Così il secondo presupposto è dato implicitamente: la realizzazione della
società libertaria non passa con lo
sviluppo di un programma positivo dato e immesso forzatamente nel corso della storia. Programma e
ideologia
rivoluzionaria sono, per gli anarcosindacalisti, una conseguenza automatica derivante
dall'eliminazione del
nemico, il capitalismo. La dimensione rivoluzionaria e l'autenticità libertaria assumono valore
solo alla luce di
questa lotta, in modo tale che la garanzia e la positività dell'azione liberatrice vengono
ricavate negativamente. In questo modo i limiti dell'azione solamente economica
risultano chiari: gli sfruttati sviluppando solo l'aspetto
negativo, come lotta contro lo sfruttamento, rimandavano al dopo l'aspetto
positivo, come lotta per il
comunismo anarchico. Oltre a scindere i due momenti dell'interazione rivoluzionaria, cioè i mezzi
e i fini, gli
anarcosindacalisti non passavano dallo sviluppo della "coscienza di classe" a quello della coscienza
rivoluzionaria. La loro azione rimaneva irrimediabilmente corporativa. La società autoritaria
e sfruttattrice, semplificata nell'immagine teorica dell'anarcosindacalismo, portava i suoi
esponenti alla convinzione di aver scoperto il punto vulnerabile del sistema (la paralisi del
lavoro) e la leva
potente dell'azione rivoluzionaria (lo sciopero generale). Questo schema riduttivo, proprio delle analisi
anarcosindacaliste, è ben riassunto nella rappresentazione meccanica dello scontro sociale,
presente nel pensiero
di Paul Delesalle riguardo allo sciopero generale tentato il 1° maggio 1906; a) sciopero generale ad opera
di
sindacati che paragoneremo a manovre di guarnigioni; b) cessazione del lavoro dovunque e a data fissa,
che
sarebbero le nostre grandi manovre; c) arresto generale completo, che metta il proletario in guerra aperta
contro
la società capitalistica; d) sciopero generale-Rivoluzione (12). La "lettura" tutta economica
della società portava l'anarcosindacalismo a sottovalutare altre forme di lotta, o a
renderle strumentali rispetto a quella economica. Scrive Cristian de Goustine, riguardo all'evoluzione del
pensiero
di Pouget dall'anarchismo all'anarcosindacalismo "Contro lo Stato, Pouget preconizza l'apoliticismo
l'antimilitarismo e lo sciopero generale rivoluzionario. Infine, egli definisce il ruolo del sindacato della
società
futura. L'apoliticismo e l'antimilitarismo e l'idea della rivoluzione sociale sono dei contributi anarchici al
sindacalismo. Ma essi ora cambiano di senso. L'apoliticismo non è più
l'affermazione della lotta contro il governo
come manifestazione dell'Autorità, ma la presa di coscienza della
solidarietà degli interessi della classe operaia...
Noi abbiamo visto che l'antimilitarismo è uno degli interessi della classe operaia... Nella dottrina
sindacalista,
l'antimilitarismo si fonda sul principio della lotta contro l'esercito, per quel tanto che
rappresenta e difende gli
interessi della classe borghese contro la classe operaia" (13). Quando nell'agosto del 1914,
dopo una serie sfortunata di scioperi falliti, si tentò senza successo lo sciopero
generale contro la guerra, l'anarcosindacalismo francese evidenziò tutti i suoi limiti, ma
più dei suoi limiti le sue
velleità. Con la concessione di alcuni miglioramenti economici, i sindacati si trovarono in
difficoltà nell'agitazione
quotidiana, e furono costretti a ripiegare su una azione più moderata. Quest'ultima fu il frutto
anche dell'uscita
e del ritiro di molti militanti anarchici dal sindacalismo francese, il quale si configurava ora come
sindacalismo
"puro". L'azione rivoluzionaria dell'anarcosindacalismo trovava prima il suo referente nella classe
operaia e nel rifiuto
della funzione positiva dell'ideologia. Ora, l'azione rivoluzionaria, non era più impersonificata
e portata avanti
dalla classe operaia. Liberatasi di quest'ultima, senza più nessuna identificazione ideologica, essa
si era resa
autonoma e libera, arrivando all'attivismo "puro" di stampo fascista e soreliano. L'azione,
di per sé stessa, dava
la dimensione rivoluzionaria e non più lo scopo: questa era l'inevitabile parabola
dell'interpretazione negativa
della lotta, unita al rifiuto della funzione positiva della ideologia. Nulla di nuovo se oggi, al
posto dell'azione "pura", alcuni gruppi "rivoluzionari" scoprano e teorizzino la
"situazione" rivoluzionaria, svincolata da ogni identificazione ideologica. Se oggi risulta
estremamente importante l'esperienza storica dell'anarcosindacalismo, ciò è dovuto
all'innesto
teorico dell'anarchismo nel movimento operaio. Quest'ultimo, praticando l'azione diretta,
sviluppò la dimensione
rivoluzionaria della sua forza, proprio in virtù della pratica anarchica adottata. Il soggetto
rivoluzionario, però,
rimane l'anarchismo e il suo movimento storico.
Mirko Roberti
(1) F. Pelloutier, Histoire des Bourses du Travail, Paris 1946, p.69
(2) E. Dolleans, Storia del movimento operaio, Roma 1948, pp.20-58 (secondo
volume).
(3) M. Foulon, F. Pelloutier, précurseur du syndacalisme
fédéraliste, Paris 1972, p.128.
(4) Christian de Goustine, Pouget, les matins noirs du syndacalisme, Clamery 1972,
p.85.
(5) E. Dolleans, op. cit., p.132.
(6) A questo proposito Dolleans afferma che con il termine sètte, Pouget e Griffuelhes,
estensori del documento,
intendevano comprendere anche i gruppi anarchici. Vedi E. Dolleans, op. cot., p.143.
(7) G.D.H. Cole, Storia del pensiero socialista: la seconda internazionale (parte prima),
p.438.
(8) Si veda la polemica Malatesta-Monatte, Resoconto del Congresso gelerale anarchico di
Amsterdam,
Paterson, N.J.; s.d., pp.14 e sgg.
(9) Christian de Goustine, op. cit.riporta a p.84 molte affermazioni di Pouget in tal
senso. Anche nell'opuscolo
"Il sabotaggio", Catania 1973, Pouget riconosce il ruolo attivo delle minoranze.
(10) Si veda E. Pouget, Comment nous ferons la révolution Paris 1909, pp.71
e sgg.
(11) Sognificativi si presentano gli Statuti delle Borse a questo proposito. Cfr. sempre F. Pelloutier,
op. cit.,
p.303.
(12) Cfr. J. Maitron, F. Pelloutier, Le syndacalisme révolutionnaire: Paul
Delesalle, Paris 1952, p.81. Per avere
una visione generale dell'elaborazione teorica dello sciopero generale si veda l'opera fondamentale di J.
Julliard,
F. Pelloutier et les origines du syndacalisme d'action directe, Paris 1971, pp.279-341
(13) Christian de Goustine, op. cit., pp.85 e 132.
|