Rivista Anarchica Online
I guerriglieri: avanguardia di quale classe?
di Parane
Indubbiamente la difficoltà maggiore che si presenta per
comprendere i movimenti guerriglieri che nascono,
muoiono e risorgono in America Latina, risiede nella differenza esistente tra la realtà di tali
movimenti e le teorie
che li generalizzano, li interpretano o li glorificano. Attenersi ai fatti è un duro lavoro,
perché la letteratura che
li circonda, gli deforma e li travisa. Tuttavia, anche limitandosi ai documenti, è possibile
liberarsi dal fumo e dalle fraseologie che impediscono di
guardare apertamente alle esperienze; a volte riferendosi agli scritti di una stessa persona, com'è
il caso di "Che"
Guevara. La sua "Guerra di guerriglia" - edita dal Ministero delle Forze Armate di Cuba - teorizza
l'esperienza
cubana e dà le leggi imperative per la tattica: creazione di un centro armato a direzione
politico-militare, ambiente
contadino, la lotta deve mirare al potere attraverso il disturbo continuo, l'esaurimento, la liquidazione
delle forze
armate. Per involontaria contraddizione il suo "Diario" di Bolivia ci mostra un gruppo in cui la
maggioranza degli
elementi sono "importati" ed in cui l'azione si limita presto, dopo elementari errori contro la sicurezza,
alla ricerca
dei mezzi di sopravvivenza, senza legami con l'ambiente rivoluzionario dei centri minerari, ai margini
delle poche
popolazioni contadine, che finirono per denunciarli. Una fine deplorevole. Una avventura suicida
più che un
tentativo sfortunato. Un altro testo, quello del capo guerrigliero Hector Bejar sugli scritti peruviani
del 1965, fornisce una lucida critica
del carattere stretto e meccanico della teoria che dei giovani intellettuali cittadini tentarono di mettere in
pratica.
Le qualità richieste dalla natura del terreno e dall'esigenza di contatti con le popolazioni locali
favorirono la
rapida e definitiva vittoria degli eserciti regolari. Gli insuccessi e lo sfaldamento della guerriglia rurale
in Venezuela, in Colombia, in Guatemala, non scoraggiano
i teorici. Impegnano subito le loro capacità per formulare un altro metodo, esattamente opposto
al primo,
giudicato quindi infallibile. Si tratta questa volta della guerriglia urbana. Dimenticando tuttavia che
l'esperimento
era stato tentato a Caracas all'inizio degli anni '60 e che furono le grandi difficoltà incontrate dal
terrorismo
urbano a costringere i nuclei rivoluzionari a cercare dei punti di appoggio nelle regioni montagnose. La
teoria
viene dopo. Già autore di trattati perentori sulle rigide regole della guerriglia rurale - "la
città è un marciume"
- Régis Debray troverà un nuovo argomento per una dottrina definitiva nell'esperienza
dei Tupamaros uruguaiani.
Nel suo studio, pubblicato dalla rivista "Casa de las Americas" dell'Avana, Debray presenta il movimento
di
Sendic come un modello degno di essere imitato, e per così dire, come l'unico. Questo poche
settimane prima che
la rete dei Tupamaros fosse praticamente smantellata. Il destino dei dottrinari e degli animatori della
guerriglia prima maniera è a volte interessante da seguire.
Curiosamente ritroviamo Hector Bejar consigliere presso la Giunta Militare e incaricato speciale dei
problemi di
mobilitazione popolare. In quanto a Régis Debray, dopo avere dato qualche consiglio a Salvador
Allende, si
avvicina al Partito Socialista, una volta rientrato in Francia.
Come si reclutano, qual è l'origine sociale dei guerriglieri? Sono, nella stragrande
maggioranza, giovani
intellettuali, già laureati o ancora studenti universitari, figli della piccola, media o grande
borghesia. Fra di essi
rari sono gli operai o contadini. Il loro linguaggio è socialista, indubbiamente operaista,
più generalmente
"populista"; il loro comportamento è quello di una categoria sociale "disponibile" e si considerano
atti ad
esercitare il potere. La dottrina, se così si può chiamare un insieme di formule
semplicistiche, si presenta come il punto di incontro
di influenze o di fraseologie diverse i cui denominatori comuni sono l'indipendenza nazionale, lo sviluppo
economico, l'eliminazione delle classi dirigenti incapaci. Tutti sono anti-imperialisti, con un accento
particolare
sull'anti-yankismo, anti-oligarchi, sostenitori di uno stato propulsore e pianificatore, per lo più
avversi e diffidenti
nei confronti delle borghesie nazionali considerate strumento della dipendenza esterna. La loro
ricerca di metodi efficaci è costante, il che spiega la facilità con la quale passano da una
tattica all'altra,
sempre in cerca dell'ultima tecnica che ha dato buoni risultati. Essi sono talvolta, nello stesso tempo,
successivamente o contraddittoriamente maoisti, castristi, marighelisti,
"tupamaros". Sempre in cerca del potere. Sempre alla ricerca di una teoria "rassicurante" che
darà loro piena
giustificazione della funzione sociale che intendono adempiere, allo stesso tempo in cui fornirà
loro una coscienza
atta al ruolo storico progressista che essi compiono. "La Storia ci assolverà". Poiché
è traumatizzante per loro,
spesso, lo scoprire di non essere l'avanguardia di una classe operaia conquistatrice, o di una farsa paesana
rivoluzionaria, ma piuttosto gli apprendisti, i precursori di una nuova classe dirigente. Non provengono
né dalle
fabbriche, né dalle fattorie. Non sono frutto del movimento operaio. Si sforzano di occupare le
posizioni marginali
che movimenti sociali anteriori hanno lasciate incolte; gli abitanti delle bidonvilles, disoccupati o sotto
occupati,
diplomati in cerca di impiego, studenti senza prospettive. Cercano un vettore sociale per la propria
ascesa? In questo sono paradossalmente vicini a quelli che denunciano con maggior vigore, vale a
dire i funzionari, i
tecnici e gli impiegati del regime in carica che, spesso in condizioni materiali mediocri, servono le classi
privilegiate e che già parzialmente integrati, consenzienti, utilizzati, preferiscono i metodi
riformisti, parlamentari,
o più semplicemente carrieristi. Anche essi sostenitori del cambiamento, del progresso, dello
sviluppo, di una
società ove la produzione sia razionale e basata su di un proletariato numeroso, mobilitato,
inquadrato, entusiasta
ed efficiente. Anch'essi "di sinistra". A condizione beninteso che non le si confonda con i manuali, gli
operai, con
i proletari.
Queste sono le constatazioni sociologiche, poco propizie a suscitare l'entusiasmo. Esse non devono
far
dimenticare che fra le centinaia o le migliaia di buone volontà che si manifestano in seno ai
gruppi di giovani
intellettuali, il coraggio, l'eroismo corrispondono frequentemente ad una sana reazione morale, alla
denuncia
dell'ipocrisia sociale, alla presa di coscienza dei grandi problemi della miseria, dello sfruttamento
economico, dei
molteplici sistemi di frustrazioni e di sottomissione. Gli studenti che abbandonano la casa paterna,
prendono le armi e se ne vanno a cercare il contatto con la
popolazione dei quartieri miserabili o con i semi-schiavi dei latifondi danno prova di una volontà
di rottura con
la propria classe, di cui essi vedono e denunciano il carattere sfruttatore, e di un evidente desiderio di
mettersi
al servizio di un movimento di emancipazione. Uno spirito di sacrificio che si ritrova in altre iniziative
del mondo
universitario dell'America Latina, come i servizi di ampliamento scolastico, di lotta contro l'analfabetismo,
di
biblioteche popolari, iniziative alle quali ogni anno migliaia di studenti si dedicano. Non si tratta
dunque di denigrare i moti di simpatia e solidarietà, né di disistimare il valore della
abnegazione o
dei sacrifici che importanti porzioni di gioventù intellettuale spende, generazione dopo
generazione. Ciò che è
da denunciare è lo spreco o deviazione di questo "capitale", per effetto di confusione teorica o
a causa di metodi
organizzativi o di sistemi di potere che sono contraddittori con i moventi morali che animano gli
universitari. Le
dottrine e i metodi che mirano a favorire l'ascesa di una nuova classe di dirigenti professionali - e fra i
quali si
possono distinguere tecnici, quadri politico-direttivi sorti da organizzazioni operaie e contadine, burocrati
di stato
- che si fa spingere dagli slanci popolari e utilizza la tradizione d'un socialismo libertario e solidale, sono
viceversa
da denunciare, poiché conducono diritto a nuove forme di sfruttamento delle quali il proletariato
resta vittima
e gli strati "organizzatori" i beneficiari, sia come detentori del potere sia come privilegiati dalla
funzione. Non è il problema della violenza che segna la frontiera. La violenza è il
prodotto naturale dei conflitti sociali,
sotto forme armate o sotto molteplici travestimenti della repressione, dell'imposizione gerarchica, della
sotto-alimentazione o della concorrenza economica. La frontiera è quella che delimita una classe
intellettuale in ascesa,
chiamata a liquidare l'oligarchia, a sostituirsi ad una borghesia senza dinamismo, ed anche a mobilitare
un'altra
classe, quella produttrice, ma non padrona del proprio destino e unica sudare il plus-valore.
Tutto ciò non è discutibile in in teoria. Sono infatti e le situazioni che richiedono e
permettono un minimo di
generalizzazione. La prova è facile da presentare se si prende in esame una situazione concreta.
Prendiamo quella
della Argentina. Dal 1970 al 1973, la violenza urbana, che parecchi militanti qualificheranno come
l'espressione
di una "sinistra armata", si scatena. Essa è guidata, per non citare che le correnti più
importanti, dalla Forze
Armate Rivoluzionarie- F.A.R. -, dalle Forze Argentine di Liberazione - F.A.L. -, e dall'Esercito
Rivoluzionario
del Popolo - E.R.P.. Espropriazioni, sequestri, occupazioni-lampo di piccole località, furto
d'armi, esecuzioni
formano la trama quotidiana della guerriglia urbana. "Dottrinalmente", questi movimenti si
qualificano tutti, poco o molto, peronisti, neo-peronisti, perché ritengono
che la corrente popolare peronista sia potente, e che eserciti una pressione permanente favorevole al
cambiamento, propizia all'iniziativa rivoluzionaria. A guardar più da vicino, il F.A.R. non prende
il giustizialismo
che come un'esperienza che fu limitata e che deve proseguire attraverso una rimodellazione socialista.
Questo
movimento si dichiara nazionalista, nel senso che vuole liberare il paese e la sua economia da tutte le
imprese
straniere, ma che non respinge il marxismo, sebbene questo debba essere considerato come uno dei
metodi di
approccio alla complessa realtà Argentina. Esso a metà del '73 s'aspetta da Peron che
superi la "fase" del suo
potere 1945-1955 e prenda posizioni nettamente socialiste, appoggiandosi alla classe operaia ed alle classi
medie.
Uno dei portavoce del F.A.R. dichiara: "Molti di noi non provengono dalla classe operaia... Una delle
ultime
tappe della nostra evoluzione è la rivalorizzazione progressiva dell'esperienza peronista da parte
di vasti settori
di strati medi, e particolarmente del movimento studentesco". Inoltre, il F.A.R., giudica che lo sforzo
deve tendere
alla creazione di un partito di avanguardia, a somiglianza dei partiti cinese, vietnamita o cubano. Le
Forze Argentine di Liberazione si considerano come appartenenti alla "nuova sinistra". Esse si rifanno
al
marxismo-leninismo ed intendono rappresentare gli interessi del proletariato. La guerra che conducono
non è
solamente di liberazione nazionale, ma deve prendere un carattere di classe, di liberazione sociale. In
rapporto
al peronismo, ritengono che esista una forza peronista di base, sane ed utilizzabile, ed una burocrazia di
partito
e di sindacati interamente sclerotizzata. Nessuna attacco frontale contro Peron o contro il ricordo di
Evita, ma
l'utilizzazione di alcuni tratti "positivi" del peronismo, come l'anti-imperialismo e l'illusione popolare di
aver
partecipato al potere. "I nostri compiti non sono esclusivamente di tipo armato. Il nostro ruolo è
di abbattere
violentemente la sovrastruttura politica dello stato. Noi dobbiamo anche cercare di organizzare le masse
in vista
di farle partecipare alla loro liberazione. Un lavoro che ha di mira soprattutto la classe operaia, il
movimento
studentesco e gli abitanti delle bidonvilles". Dopo il F.A.R. nazionalista ed il F.A.L. classificabile
come maoista, viene l'E.R.P.- Esercito Rivoluzionario del
Popolo - che si presenta come "un un esercito proletario per la sua composizione sociale, rivoluzionario
per la
sua pratica e che dovendo agire nel quadro di una guerra civile popolare, prende l'aspetto di una
organizzazione
di massa", e la cui nascita è dovuta alla decisione del Partito Rivoluzionario dei Lavoratori,
affiliato alla IV
Internazionale, quella di Mandel e di Krivine. Ma se il programma del partito è chiaramente e
decisamente
socialista, quello dell'E.R.P. si limita alla anti-imperialismo, all'anti-capitalismo e alla democrazia. Il
legame fra
le due organizzazioni si stabilisce come segue: "In ogni gruppo armato dell'E.R.P. esistono commissari
politici
del P.R.T. che formano l'ossatura della direzione politica, ma non assumono necessariamente la direzione
militare". Ciò che è significativo, è che fra le tre organizzazioni, senza
contare le altre, meno nettamente definite, si esercita
il reciproco aiuto e in ogni caso si hanno rapporti fraterni. Indubbiamente non tanto a causa di certi tratti
comuni
negli orientamenti politici quanto del fatto che i loro membri appartengono al medesimo ambiente e
denotano
una stessa composizione sociale. Ciò che li rende così simili, è un certo
calcolo sulle possibilità di manovrare la massa peronista e di trasformarsi
in avanguardia di tale massa - supposta acefala - sostituendosi agli strumenti ufficiali del peronismo. Si
tratta di
un machiavellismo che non supera i limiti dei posti ove stato concepito. Effettivamente il ritorno di Peron
ha
significato subito l'allontanamento del "portavaligia" che aveva nome Campora, e dietro il quale i grandi
strateghi
della rivoluzione si nascondevano con astuzia. Il ritorno di Peron ha avuto anche come conseguenza
l'accordo
fra i servizi investigativi dell'esercito, i gruppi di difesa degli apparati sindacali e politici peronisti,
composti da
perfetti mascalzoni, e le varie polizie, per liquidare la "sinistra armata". E ciò, evidentemente con
la partecipazione
di organizzazioni ancora ieri alleate ai "rivoluzionari", e aderenti ora al potere peronista. Non è
l'assassinio di un
Ricci che fermerà una repressione che serve agli interessi di tutti quelli che desiderano
l'integrazione, quelli di
ieri e quelli di oggi. Un fenomeno prevedibile, al quale non sfugge neppure una parte dell'E.R.P., la
maggior parte
dei giovani peronisti e un settore non trascurabile di correnti nazionaliste. Poiché nel magma
di tendenze che formano la "sinistra armata", è ancora facile riconoscere l'influenza di tendenze
più vecchie, anch'esse favorevoli all'uso della violenza. Le tracce dell'Alleanza Liberatrice
Nazionalista, diretta
da Guillermo Patricio Kelley, all'estrema destra del peronismo della "belle époque". O quelle di
Tacuara,
l'organizzazione cattolica integralista, anti-semita, una parte dei dirigenti della quale è evoluta
verso fraseologie
più moderne come il marxismo-leninismo, seguendo l'esempio del loro leader Joe
Baxter. Una curiosa miscellanea come si vede, che può difficilmente essere confusa con la
"punta avanzata" d'un
movimento operaio o contadino, qualunque sia il vocabolario usato.
Parane
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