Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 4 nr. 26
gennaio 1974 - febbraio 1974


Rivista Anarchica Online

Non è colpa degli sceicchi
di Emilio Cipriano

La questione petrolifera ha fatto precipitare una crisi economica più generale dai molteplici aspetti

"Ci sarebbe stato un problema anche senza la guerra in Medio Oriente e ci sarà un problema dell'energia anche dopo che l'embargo sarà stato tolto". Così si è espresso il segretario di stato degli U.S.A. Henry Kissinger il 3 gennaio nel corso di una conferenza stampa a San Clemente.
In effetti la crisi energetica è stata solo accentuata dalle recenti misure restrittive dei paesi arabi produttori, ma è indubbio che i giacimenti petroliferi nell'arco di alcuni decenni saranno pressoché esauriti. Le opinioni in merito sono molto diverse, talora contrastanti, comunque facendo una media approssimativa dei pareri degli "esperti" possiamo ragionevolmente supporre che i giacimenti a tuttoggi sfruttati o individuati possano dare petrolio per ancora trenta o quaranta anni. Quindi, in teoria, esisterebbe un lasso di tempo sufficientemente ampio entro il quale non dovrebbe essere difficile mettere a punto forme tecniche di approvvigionamento e di sfruttamento di nuove energie.
La crisi attuale è però il risultato di più cause contemporanee che rendono di difficile applicazione le manovre anticongiunturali a disposizione dei padroni e dei governi.
La crisi petrolifera è stata preceduta e viene accompagnata da una spirale crescente dei prezzi delle materie prime e di prodotti agricoli. Questi aumenti, talora elevatissimi (vedi tabella A), sono risultato di più cause concomitanti: aumento della domanda, rigidità o calo nell'offerta, speculazione, decisioni politiche, ecc.... Assistiamo inoltre al protrarsi o all'espandersi di una crisi monetaria che non ha precedenti nel mondo capitalistico moderno. Monete che hanno dominato la scena finanziaria mondiale per decenni e decenni, come il dollaro o la sterlina, sono entrati in crisi, mentre parallelamente altre raggiungevano livelli di scambio difficilmente ipotizzabili, come il marco tedesco lo yen giapponese. Poi mentre tutti si stavano convincendo che il dollaro non era più la moneta "principe" degli scambi e delle operazioni internazionali, ecco che questo riprende quota (vedi tabelle B) e si assicura posizioni invidiabili. Canto del cigno o inversione di tendenza? E mentre le "monete commerciali" subiscono alti e bassi considerevoli, una enorme massa di capitali finanziari (per la quasi totalità eurodollari) vaga per l'Europa in cerca di operazioni speculative, realizzando profitti enormi e squilibrando l'economia di interi paesi.
Se a tutto quanto accennato aggiungiamo il continuo aumento dei consumi energetici e le recenti misure restrittive, oltre al persistere e ad un espandersi di un forte tasso inflazionistico, cominciamo ad avere una prima idea della portata della crisi attuale.

Uno scambio meno ineguale

La recente guerra in Medio Oriente è stata solo un'occasione o meglio un pretesto, per prendere quelle decisioni che i Paesi arabi avevano in animo di adottare da diverso tempo. Per anni il mondo occidentale aveva basato il suo sviluppo sullo sfruttamento del terzo mondo, è in particolare i Paesi produttori di petrolio e di materie prime erano stati depredati delle loro ricchezze naturali dietro corrispettivi, in proporzione, modesti.
Oggi, con l'aumento del prezzo del petrolio greggio e con l'acquisizione di compartecipazioni nelle società estrattive, i Paesi arabi cercano di modificare un po' più a loro favore il saggio di scambio nei confronti dei paesi industrializzati. Cercano cioè di rompere un cerchio vizioso e di riequilibrare, almeno in parte, le condizioni critiche delle loro bilance dei pagamenti e di rimuovere uno dei più importanti ostacoli al loro sviluppo economico.
Un saggio di scambio più favorevole per i Paesi arabi dovrebbe creare quelle riserve per poter iniziare investimenti con capitali nazionali o misti (nazionali ed esteri) e creare quindi industrie per la raffinazione del petrolio greggio, industrie chimiche di base e altre imprese di prima trasformazione. Abbiamo detto "dovrebbe" perché è tutt'altro che pacifico che i maggiori capitali introitati vengano investiti nei paesi d'origine, e non è detto che il maggior prezzo del greggio non venga assorbito dai maggiori prezzi dei prodotti finiti e alimentari che i Paesi arabi acquistano dall'occidente.
Tutto questo non mette (come potrebbe sembrare a prima vista) in serie difficoltà le grandi società petrolifere, anzi permette loro di giustificare delle ampie manovre speculative, permettendo loro di incamerare altissimi profitti.
Infatti se nei primi nove mesi del 1973 i profitti delle maggiori "petrolifere" sono aumentati da un minimo del 35% (Texaco) ad un massimo del 417% (Occidental), per l'anno 1974 (secondo le previsioni di due noti economisti statunitensi, Walter Heller e George Perry), i profitti dovrebbero triplicarsi raggiungendo i tredici miliardi di dollari.
Inoltre l'aumento di prezzo del greggio arabo permette alle "sette sorelle" di sfruttare redditiziamente giacimenti ritenuti sino ad ora poco economici, ad esempio, il petrolio dell'Alaska, che a causa dei forti costi di trasporto aveva un elevato prezzo. Costi questi che domani saranno assorbiti dal nuovo livello dei prezzi.

Lo sviluppo "trainato" dall'automobile

La crisi petrolifera inciderà negativamente sulla produzione automobilistica, sia contraendo il numero totale delle autovetture prodotte, sia riducendo o eliminando alcuni tipi di grossa cilindrata.
Entrando in crisi il settore automobilistico, la crisi generale, cui abbiamo accennato prima, subirà un ulteriore spinta perché l'economia occidentale si è basata per decenni sulla produzione automobilistica. L'automobile è stata fino ad oggi uno dei "fattori trainanti" dello sviluppo economico, paesi ricchi come gli U.S.A. e meno ricchi come l'Italia hanno potenziato le proprie strutture economiche incrementando gli investimenti e le vendite proprio in questo settore che oggi sta entrando in crisi. Né d'altro canto crediamo sarà sufficiente puntare sulla produzione di autoveicoli collettivi (autobus, ecc.) per coprire il "buco" nelle vendite di autovetture private.
Fino a quando non si saranno riconvertite queste strutture produttive verso forme e finalità nuove (e ci vorranno anni) assisteremo ad una recessione settoriale che si allargherà ai settori direttamente e indirettamente collegati all'automobile, fino ad influenzare (per la interdipendenza delle strutture della moderna economia) anche i settori non collegati alle "quattroruote". Il discorso della interdipendenza si può, a nostro avviso, sviluppare anche in riferimento alla situazione internazionale, nel senso che una crisi generalizzata e prolungata nei paesi industriali avanzati si rifletterebbe inevitabilmente anche nel terzo mondo, produttore o non di petrolio. I più colpiti saranno evidentemente quei paesi in via di sviluppo che non sono produttori di petrolio o di materie prime. Per essi l'esigenza di approvvigionamenti sicuri e a prezzi costanti è una necessità imprescindibile per continuare lo sviluppo intrapreso.
Il consumo energetico di questi Paesi è pari ad un quinto di quello dei paesi industriali avanzati, e pur tenuto conto che i Paesi arabi hanno promesso di non alterare il flusso di petrolio nei loro riguardi, rimane il fatto che non verrano adottate eccezioni per quanto riguarda il prezzo. Questo significa per i Paesi emergenti una recessione ancora più grave che per quelli industrializzati.
Inoltre i Paesi in via di sviluppo subiranno un duplice "scambio ineguale" sia verso i paesi industrializzati sia verso i paesi esportatori di petrolio. La spirale inflazionistica subirà un ulteriore accrescimento dall'aumento dei prezzi che i paesi industrializzati praticheranno sulle loro esportazioni, con il risultato di estinguere progressivamente le capacità di mercato dei Paesi in via di sviluppo. Un circolo vizioso perché questo si ripercuoterà sull'economia dei Paesi industrializzati.

Lo sceicco speculatore

Le prospettive economiche sono tutt'altro che rosee e ad accrescere la precarietà della situazione contribuiranno vari altri elementi di natura prettamente finanziaria. Uno di questi è direttamente dipendente dall'aumento del prezzo del greggio. I maggiori capitali introitati dai Paesi arabi saranno solo in parte (o in alcuni di essi) reinvestiti in loco per potenziare lo sviluppo, ma la maggior parte degli sceicchi continuerà (noi crediamo) ad esportare i propri capitali in banche europee, incrementando notevolmente la massa dei capitali finanziari (di cui abbiamo parlato prima) in cerca di operazioni unicamente speculative, incidendo quindi, (insieme alle eurodollari preesistenti), in modo negativo sulle già traballanti bilance dei pagamenti dei Paesi europei.

Una nuova "autarchia"?

Vediamo ora di interpretare i fenomeni economici descritti e di vedere gli effetti che questa crisi produrrà.
I Paesi arabi elevando il saggio di scambio, a proprio favore, nei confronti dei Paesi industrializzati, si assicureranno una espansione della loro economia passando dalla fase di puri e semplici produttori a quella industriale di base, mentre in quelli industriali avanzati resteranno e si svilupperanno le industrie ad alto contenuto tecnologico. Questo processo evolutivo porterà ad un elevamento qualitativo della divisione internazionale del lavoro, ma lo sviluppo sarà parallelo e quindi il rapporto rimarrà inalterato, cioè i Paesi avanzati continueranno a sfruttare i Paesi arretrati o in via di sviluppo, anche se in modo più razionale e meno brutale. Questo anche perché i Paesi industrializzati rispondono (per non perdere la loro posizione di predominio) con nuove modalità di sfruttamento alle nazionalizzazioni operate dai Paesi del terzo mondo.
La situazione creatasi e che si sta sempre più sviluppando impone la ricerca di nuove forme di energia. I progetti sono molti, ma quello che crediamo che dominerà nel lungo periodo sarà l'energia nucleare, atteso che nell'immediato futuro verranno utilizzate anche altre energie, oggi in parte accantonate, quali il carbone, in considerazione del fatto che la costruzione e la messa in funzione di una centrale nucleare richiede numerosi anni.
Questo significa anche che lo "stato imprenditore" eroderà altri spazi al capitalismo sottraendogli un altro settore vitale: le fonti energetiche.
Una nuova modalità di approvvigionamento energetico si rifletterà di conseguenza anche sul modello socio-economico di sviluppo dei Paesi industrializzati: ai consumi privati tenderanno a sostituirsi quelli pubblici, cioè regolati e decisi dallo stato. Al mercato tenderà ancor più a sostituirsi la distribuzione pianificata dell'energia e dei beni di consumo. Dato questo prevedibile sviluppo dell'economia viene spontaneo chiedersi se il ciclo dell'economia capitalista non si avvicini, ancor più rapidamente di quanto fosse prevedibile, alla sua conclusione. Il capitalismo era sorto, tra l'altro, sull'idea dello sfruttamento privato ed intensivo dell'energia e questi presupposti stanno, giorno dopo giorno, esaurendosi. Inoltre il quadro finora tratteggiato porta come conseguenza ad un processo involutivo nei rapporti commerciali tra gli stati, poiché le nazioni più colpite tenderanno a rinchiudersi in forme protezionistiche ed autarchiche per salvaguardare le proprie strutture industriali.
Già oggi assistiamo al nascere ed al consolidarsi di protezionismi che si accentueranno quando la concorrenza internazionale si farà ancora più dura e soprattutto più ineguale. In questo modo verrà a cadere un'altra delle istituzioni fondamentali del capitalismo: il libero movimento dei fattori di produzione e delle merci tra i vari sistemi economici. Nuove "autarchie" ci attendono e con esse nuovi assetti economici e sociali.

L'Italia esporta tecnologia

La prevedibile recessione internazionale non assumerà le stesse forme e non si presenterà con la stessa intensità. Come all'interno di ogni Paese ci saranno classe e categorie che pagheranno in maggior misura il costo della crisi ed altre che la pagheranno in misura minore o nulla, così, a scala mondiale ci saranno stati che pagheranno un costo maggiore ed altri uno minore o addirittura nullo a seconda della solidità del loro sistema produttivo e a seconda del loro potere economico-politico-militare.
Per quanto riguarda l'Italia appare difficile che riesca ad assorbire senza danno le ripercussioni della recessione internazionale, per diversi motivi. Sulla situazione italiana ci siamo soffermati più volte, rivelando il protrarsi dal 1969 di una crisi congiunturale di vasta portata. Giova qui ricordare che avremo una probabile recessione generata dal dissesto della bilancia commerciale, infatti già nel 1973 questa ha registrato un deficit di duemila e cinquecento miliardi, determinato dall'accrescersi delle importazioni rispetto alle esportazioni. Non è una novità che dobbiamo importare dall'estero beni indispensabili per la produzione mentre le nostre esportazioni sono significative solo per alcuni settori.
Inoltre le spese per le importazioni aumenteranno notevolmente: solo per il rincaro del petrolio verranno spesi circa millecinquecento o duemila miliardi in più, se vorranno essere mantenuti i livelli di produzione e di consumo del 1973. In questa situazione sarà difficile compensare i fattori sbilancianti con il ricorso alla produzione di beni collettivi (case, ospedali, trasporti pubblici, scuole, ecc.) perché essi non vengono, ovviamente, esportati.
Accanto a questi investimenti, pur necessari, i padroni ricorreranno a soluzioni che rendano "ottimale" l'impiego della risorsa-lavoro, vale dire compressione dei salari in termini reali, cioè mediante il protrarsi di una forte spinta inflazionistica. Ma uno dei più significativi modi di superamento della crisi consisterà probabilmente nell'esportare "tecnologia" verso i nuovi mercati offerti dai Paesi emergenti.
Si tratterà in definitiva di compensare le carenze di materie prime e di capitali sviluppando i settori di studio e di progettazione, inserendo l'Italia nel processo internazionale di divisione del lavoro (cui abbiamo accennato prima), che vedrà gli stati industrializzati abbandonare produzioni a basso contenuto tecnologico (per relegarle nel terzo mondo) e monopolizzare i rami più elevati del sapere produttivo.
Inoltre per superare o contenere la crisi i nostri padroni punteranno ancor più decisamente su "un tipo di sviluppo diverso", rendendosi ormai indispensabili quelle scelte che per tanto tempo erano state rinviate. Sviluppare modernamente l'agricoltura ed industrializzare il meridione è oggi una necessità economica per impedire il crollo delle attività produttive. Una più accelerata colonizzazione tecnologica del Sud sta per cominciare.

Un'occasione mancata

Rimane un'ultima, triste considerazione. Siamo di fronte ad una vasta e profonda crisi economica, cioè ad una condizione oggettiva che potrebbe favorire un processo rivoluzionario, ma purtroppo manca la condizione soggettiva, cioè un forte movimento anarchico ed un alto livello di coscienza e volontà rivoluzionaria negli sfruttati. Nelle condizioni attuali che vedono gli sfruttati delegare i propri poteri ai sindacati, tranne esemplari ma limitate eccezioni, e quando queste organizzazioni fanno quadrato attorno ai padroni e allo stato per superare e recuperare la crisi, questa non può che essere pagata dagli sfruttati stessi.
Un'altra occasione mancata per la rivoluzione.



TABELLA A
Evoluzione in percentuale dei prezzi delle materie prime e dei prodotti agricoli nel 1973
Petrolio + 382
Zinco + 268
Caucciù + 150
Cotone + 130
Grano + 94
Rame + 88
Piombo + 77
Granoturco + 73
Stagno + 68
Argento + 60
Cacao + 56
Zucchero + 43
Lana + 25
Caffè + 24


TABELLA B
Evoluzione dei tassi di cambio dalla prima svalutazione del dollaro ad oggi (in moneta nazionale rispetto al dollaro).
11 gennaio 1974 18 dicembre 1971
Marco 3,2225 2,77
Franco francese 5,1157 4,88 commerciale
5,08 finanziario
Lira 581,5 628 commerciale
636 finanziaria
Sterlina (1) 2,6057 2,25
Franco svizzero 3,84 3,36
Fiorino 3,2447 2,91
Franco blega 44,8159 42,4
(1) cambio dollari per sterlina

Emilio Cipriano