Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 4 nr. 26
gennaio 1974 - febbraio 1974


Rivista Anarchica Online

Per un esercito rosso
di Claudio Venza

Il presunto antimilitarismo dei marxisti extraparlamentari

Può sorprendere il fatto che organizzazioni marxiste che funzionano gerarchicamente con lo scopo della conquista del potere e dell'esercizio della repressione statale "proletaria" siano impegnate nella lotta antimilitarista. In verità solo pochi di questi comunisti autoritari giungono al punto di dichiararsi antimilitaristi, consapevoli che qualsiasi persona con un minimo di cultura storica e politica può ricordare che i grandi capi del comunismo di stato, da Trotsky a Stalin a Mao, hanno ricoperto alti posti di comando nei loro eserciti e si sono identificati nel ruolo al punto di esibirsi costantemente in divisa militare.
Per tutti e tre i suddetti becchini della rivoluzione sociale l'esercito è stato uno strumento di imposizione del potere proprio o della propria cerchia in concorrenza violenta con gli altri pretendenti. Se Stalin ha militarizzato la vita dell'Unione Sovietica per controllare le masse e pianificare l'economia, il suo apparente acerrimo nemico Trotsky, capo dell'Armata Rossa, si è reso responsabile del massacri di Kronstadt, la "perla della rivoluzione".
Né è da meno il presidente cinese che ha usato l'esercito nella fase della rivoluzione culturale per eliminare le frange libertarie operaie. Famoso è il contrasto sorto durante la rivoluzione spagnola tra le forze libertarie che rifiutavano la militarizzazione delle milizie e gli agenti bolscevichi che la imposero brutalmente.
Così inquadrato il problema degli extraparlamentari "antimilitaristi" si risolve in una questione di pura tattica marxista: poiché esiste una tendenza diffusa nei giovani di opposizione all'esercito, tendenza a cui il P.C.I. risponde con una propaganda sfacciatamente neo-militarista (1), le "avanguardie rivoluzionarie" cercano di gestire la protesta e le iniziative antimilitariste schierandosi a fianco di movimenti non marxisti, per strumentalizzarne la carica di rivolta. Questa manovra di recupero si svolge con caratteri diversi a seconda del differente modo dei gruppi di appoggiare criticamente il partito guida dei marxisti.
Qui si esamineranno le rispettive posizioni sull'esercito dei tre gruppi più attivi nell'intervento specifico.
L'analisi delle Forze Armate è sostanzialmente uguale, partendo tutti dagli stessi principi ideologici. Di esse si denunciano le funzioni di repressione interna capitalista, scuola di valori borghesi, strumento dell'imperialismo USA, tramite la NATO, area di parcheggio per contenere la disoccupazione. In generale l'esercito viene giudicato un "corpo separato" dello Stato perché dotato di un'organizzazione autonoma, di regolamenti particolari e di tribunali speciali. Questa definizione nasconde la profonda e voluta ignoranza del ruolo oppressivo dell'intera macchina statale la quale può di volta in volta accordarsi o rivaleggiare col capitale.
Per i marxisti dei gruppi lo Stato italiano non va riformato, come sostiene il PCI, però non va neanche abbattuto con una lotta antiautoritaria. Andrebbero invece attaccate le singole istituzioni (magistratura, carceri, polizia, esercito) collaborazioniste del capitalismo. Manca evidentemente il giudizio di fondo sul potere statale che sotto forme militari, giuridiche ed economiche costituisce sempre un centro di controllo e di sfruttamento dei subordinati.
Passando alle proposte di critica contro l'esercito, tutti sono d'accordo col PCI sul mantenimento del carattere "popolare" dell'esercito a leva obbligatoria al fine di evitare una professionalizzazione maggiormente pericolosa per la repubblica e le masse popolari. Si cade perciò nel tranello del militarismo riformista che si illude di condizionare l'esercito tramite i soldati di leva. Succede invece proprio l'opposto: i giovani sotto le armi sono condizionati nel comportamento e nel pensiero, la loro individualità viene annullata da una situazione di precarietà e di paura a cui la gran parte risponde arrangiandosi e accettando l'intruppamento. Al termine della naja si è in generale molto più rassegnati e disposti all'obbedienza al padrone, al prete, al dirigente, al partito. La "lezione di vita" ha dato i suoi frutti.
Di recente Lotta Continua ha formulato un invito di tipo frontista a tutta la sinistra per aggiornare (!) l'analisi sul ruolo della NATO (2). Indubbia nostalgia per lo slogan di qualche anno fa della FGCI e del PCI, ripetuto in tutta Italia in modo assai poco credibile (la NATO sarà il nostro Vietnam). La sinistra parlamentare non se ne è dimenticato, come sembra credere qualcuno, ma l'ha volutamente cancellata. Ciò è successo per varie altre campagne di propaganda sostenute fin a quando erano utili per influenzare il governo di turno.
Per L.C. è sbagliato battersi, come vorrebbe la stragrande maggioranza dei giovani, per l'eliminazione del servizio militare obbligatorio, cioè del furto statale di 15 o 24 mesi di vita. Bisognerebbe invece chiedere la riduzione dei professionisti con lo scioglimento dei reparti speciali e formulare una "precisa richiesta di libertà", cioè limitazione del potere degli ufficiali, abolizione del Codice Militare e riforma del regolamento di disciplina quali affermazioni delle "libertà previste dalla Costituzione". Lo slogan "libertà in caserma" denuncia il pauroso vuoto teorico e l'incredibile acrobazia logica per conciliare una aspirazione libertaria con la struttura militare, autoritaria e repressiva per sua natura. Si salta in pieno la prospettiva di eliminare le caserme per chiedere che siano gestite meglio!
"Ammodernamento delle caserme" rivendica il gruppo di Avanguardia Operaia (3), che affianca questo obiettivo con altre richieste inutili come la "riassunzione nel precedente posto lavorativo a servizio militare assolto", già prevista dalle leggi attuali. Ulteriori rivendicazioni sono marginali quali "licenze periodiche uguali per tutti, allungamento della libera uscita, diritto di pernottamento fuori caserma, permesso di fine settimana per il personale non in servizio". Non mancano indicazioni quali "aumento del soldo, istituzione per i militari sotto leva delle forme assistenziali previste dalla vita civile (assegni familiari, pensioni, scala mobile sul soldo, ecc.)".
Questa linea è chiaramente la caricatura della strategia sindacale e sta a prefigurare un esercito democratico-costituzionale entro il quale i rivoluzionari godrebbero, secondo A.O., di spazi di intervento sempre più ampi. Tutto ciò viene accompagnato da un ordine di costituire organismi di massa "attraverso la emarginazione di tendenze avventuriste e spontaneiste" per sviluppare una "direzione proletaria" con un "processo di aggregazione dei quadri comunisti". Lo scopo a breve termine è di far sentire in caserma "il peso di un blocco alternativo al comando composto dai militari di truppa". In questo obiettivo così fumoso e vago si intravvedono i connotati del futuro sindacato dei soldati che, accettando l'istituzione militare, ne migliori il funzionamento integrando la base scontenta tramite concessioni economiche e normative.
Emerge così l'idea di "un'adeguata riforma dell'esercito" che è la proposta del Manifesto, il movimento che tallona più da vicino il PCI (4). Partendo dal "coraggio (sic!) di pensare un altro esercito" si propaganda la nomina, parlamentare e proporzionale, di delegati al controllo democratico della FF.AA. Si auspica l'impegno delle grandi forze politiche e sindacali a fianco dei soldati antifascisti in modo che venga evitato il pericolo che l'azione democratica possa essere "imputata di ribellismo e repressa". Così essendo dentro la Costituzione e il sistema statale nessuno potrà essere accusato di volere una sovversione della nostra piacevole condizione post-resistenziale.
L'ansia di egualitarismo del gruppo extraparlamentare si esprime pure con la richiesta di un servizio militare non più discriminato tra i sessi e che si estenda "perché no, alle ragazze". Notevole risultato di un'analisi scientifica della realtà sociale capitalista la quale emargina la donna dal vivo e palpitante ambiente della caserma!
Tutte queste proposte degli extraparlamentari sono precedute e seguite dall'impegno politico di un "antimilitarismo di classe" e "per una definizione della lotta in caserma come momento dello scontro di classe generale". Avendo come prospettiva ultima un esercito di classe in uno Stato di classe dove la classe (cioè il partito) sia al potere per difendere la rivoluzione di classe dai nemici di classe, già oggi questi signori pensano che tutto sommato alla classe faccia bene un po' di vita di caserma. Questa esperienza abituerà le masse alla obbedienza e al gregarismo verso le avanguardie che pretendono nel futuro di rinverdire le glorie del militarismo bolscevico e dittatoriale che - per proteggere la classe - ha sterminato gli oppositori libertari.

Claudio Venza

(1) Il 4 novembre scorso l'Unità faceva concorrenza ai giovani fascisti con tanto di foto che giocano sui carri armati. Lo stesso giorno, "festa della Vittoria", il PCI affiggeva in tutta Italia un manifesto tricolore di caloroso saluto alle FF.AA.

(2) Cfr. LC del 15-12-73, p. 2, "La riduzione della naja".

(3) Cfr. A.O. del 26-10-73, pp.8-9, "Per un lavoro politico nell'esercito di leva".

(4) Cfr., Il Manifesto del 4-11-73, p. 4, "Il coraggio di volere un altro esercito", di Gino Vermicelli.