Rivista Anarchica Online
Un'ambigua utopia
dossier a cura di Laura di Martino e Giuseppe Vergani
Caro amico/a in occasione dell'ormai prossima ricorrenza del 30° anniversario
del "maggio '68" è prevedibile un profluvio di
iniziative editoriali incentrate su analisi, ricordi, testimonianze, ecc. Inguaribili bastian contrari, noi pensiamo
di dedicare il numero di maggio al maggio...2068. Intendiamo
pubblicare una serie di brevi scritti di diversi autori - tra i quali ci farebbe piacere annoverare anche te. Il "tema"
che ti proponiamo è - più o meno - il seguente: "quali pensieri/azioni/movimenti collettivi e/o
individuali di segno
libertario nel maggio 2068?"
Inviato a fine dicembre ad un primo elenco di scrittori - diventati mano a mano, anzi e-mail a e-mail,
sempre più
numerosi - questa proposta è stata accolta con inaspettato piacere dalla maggior parte dei destinatari. I
quali,
puntuali, ci hanno fatto pervenire i loro scritti, che trovate appunto in questo dossier. Per
evidenti ragioni di spazio, abbiamo dovuto dividere in più puntate il dossier. Le prossime due appariranno
su "A" 246 (giugno) e 247 (estate) e ospiteranno gli interventi di Alessandro Bresolin, Valerio Evangelisti,
Roberto Fuiano, Carlo Lucarelli, Domenico Gallo, Andrea Malis, Michele Monina, Giampiero
Rigosi. Illustrano questo dossier alcuni disegni di Giuseppe Festino, tratti dalle annate
1977-1979 di Robot, rivista/cult
italiana della fantascienza. Come premessa, abbiamo scelto ampi stralci dell'editoriale che
Valerio Evangelisti ha scritto per il n. 6 della
rivista Carmilla, perchè ne condividiamo le linee di fondo. Naturalmente
un grazie a quanti hanno collaborato, soprattutto a Laura e a Giuseppe che hanno tenuto le fila
del dossier fin dall'inizio del progetto. Per tutti due appuntamenti: il primo al Bloom di Mezzago (MI) il prossimo
10 maggio per un incontro con molte delle scrittrici presenti in questo dossier. Il secondo, in
realòtà senza tempi
prefissati, per continuare sulle pagine di "A" una riflessione e un'attenzione che non si esauriscono certo con
questo dossier.
La redazione
...et MOURIR de
PLAISIR di Valerio Evangelisti
Colonizzare l'immaginario. Sembrava impossibile, eppure basta disporre degli strumenti opportuni.
Televisioni,
mass-media, una stampa docile, un trend culturale. Finisce che intere generazioni si trovano immerse in un sogno,
e lo scambiano per realtà. Ora, quali sono le caratteristiche di un sogno? Che si vive una vicenda priva
di
antecedenti e di conseguenze nel futuro. Esiste il presente e basta. In un sogno analogo siamo immersi ormai
da un decennio, con un'accentuazione negli ultimi anni. Sotto gli occhi
ci scorrono immagini senza origine e senza spessore. Esalazioni di gas nervino uccidono o mandano all'ospedale
migliaia di persone nella metropolitana di Tokyo? La notizia ci viene data in tempo quasi reale, eppure pare che
accada su un altro pianeta. Nessuno si scompone più di tanto, se non per un tempo misurabile in minuti,
o
addirittura in secondi. Nella ex Jugoslavia si susseguono i massacri? Anche qui la commozione è legata
ai singulti
di un qualche telecronista, analoghi a quelli che accompagnerebbero una qualsiasi calamità naturale.
Perché quella
gente si massacra? Non lo sa nessuno, forse nemmeno i diretti interessati. Questione genetica, di razza, di
religione. Ciò che importa è che la versione corrente faccia appello a eventi incontrollabili, in cui
la volontà e la
logica non abbiano parte alcuna. Così la notizia perde tutti i suoi contenuti nel momento stesso in cui
viene
diramata. Non è sempre stato così. Fino a qualche anno fa, qualcuno, parlando di Jugoslavia,
avrebbe menzionato le
condizioni durissime imposte al paese dal Fondo Monetario Internazionale in cambio dei propri
aiuti. Paragonando le date, si sarebbe accorto che proprio in quel momento le repubbliche più ricche
reclamarono
l'indipendenza, per scindere i propri destini da quelli delle regioni più povere. Avrebbe notato l'affanno
della
Germania nel riconoscere immediatamente le nuove entità statali appena sorte, situate ai propri confini.
Avrebbe
anche osservato l'entusiasmo con cui l'intero Occidente salutava la dissoluzione di un paese sedicente
socialista. Ma a quei tempi si ragionava ancora per catene logiche, si scavava nella storia per ricercarne la
più intima
dinamica, affidata allo scontro tra forze sociali, politiche ed economiche contrapposte. Tutte cose che fanno a
pugni con l'irrazionalità del sogno.
Adesso non è più così. Adesso siamo tutti Numeri Sei.
Il numero 6.
Qualcuno ricorderà quella straordinaria serie di telefilm intitolata "Il Prigioniero", concepita e
interpretata
dall'attore inglese Patrick Mc Goohan. Un individuo di cui si ignora tutto si trova rinchiuso in un assurdo
villaggio di vacanze, simile a un Club Mediterranée, in cui tutti sono esageratamente felici. La radio non
fa che
parlare del bel tempo che c'è fuori, ogni abitante ha a disposizione una graziosa villetta. Non ci sono
guardie, ma
solo degli enormi palloni silenziosi che emergono dal mare ogni volta che il prigioniero tenta la fuga (gli altri non
ci pensano nemmeno). Il protagonista non ricorda la propria identità. Viene chiamato "numero 6" e
basta. Il villaggio è agli ordini di un
misterioso numero 2, che muta di continuo. Si intuisce che esiste un numero 1, ma non si sa chi è (il
sospetto è
che si tratti di un maggiordomo nano, che se ne va in giro con un grande ombrello multicolore, però anche
questa
ipotesi verrà smentita). Ogni volta che il prigioniero cerca di indagare sulla propria carcerazione, si trova
sottoposto a lavaggi del cervello, nelle forme più insidiose. Da lui si vuole sapere solo perché ha
"rassegnato le
dimissioni", ma non viene mai specificato da che cosa. Di tanto in tanto finge di adattarsi alle regole di vita
comune, ma queste gli sfuggono sempre, e quando crede di averne afferrato un brandello scopre che si tratta di
un'illusione. Partecipa persino alle elezioni, folle carosello di sfilate demenziali e di programmi insensati. Lo
spaesamento è la sua condizione normale, accentuata da sapienti messinscene destinate ad alimentare le
sue
speranze di fuga per spegnerle subito dopo. Alla fine riesce in effetti a fuggire, dopo un confronto col numero
1. Gli strappa una maschera e appare un muso
di scimmia; ma anche quella è una maschera che, strappata, rivela il volto dello stesso protagonista. Infine
il
numero 6 raggiunge Londra, molto più vicina di quanto si sarebbe creduto. Sale nel proprio appartamento,
afferra
la maniglia. La porta è la stessa della villetta che occupava al villaggio. Chi ha avuto modo di vedere
questa serie di telefilm non la dimenticherà mai più. E, non dimenticandola, potrà
raffrontarla alla realtà odierna. La somiglianza è impressionante. La schiavitù del numero
6, sotto le apparenze
di una libertà quasi totale, nasceva dalla mancanza di un passato, e dall'immersione in un clima onirico
fatto di
solo presente. Non appartiene alla stessa sfera autoritaria l'emergere di una psichiatria che ricerca (inutilmente,
è chiaro) l'origine della malattia mentale esclusivamente nei meccanismi biologici del cervello, rifiutando
programmaticamente l'analisi ambientale (e cioè venti lustri di approcci psicoterapeutici)? O di una
storiografia
che si adagia sulle invarianze e sui tempi lunghissimi, considerando gli episodi conflittuali quasi di semplice
disturbo? O di un'economia ristretta alla sola realtà aziendale? O di una criminologia regredita alla
fisiognostica
lombrosiana? Si potrebbe continuare. Ma ciò che preme rilevare è che l'esito di tante rinunce
alla riflessione sono più manicomi
(con conseguente rivalutazione dell'elettroshock), più carceri, l'imposizione del lavoro non creativo, tanto
dilatato
da riempire ogni spazio di vita, l'anomia, l'oblio del passato come chiave del presente (e del presente come chiave
del passato). Fino alla creazione di un villaggio virtuale dove tutti sono felici ma nessuno è contento,
perché
nessuno è libero. Un villaggio in cui la morte intellettuale viene spacciata per piacere supremo, allo scopo
di
ottenere il consenso delle vittime - come è nella tradizione della letteratura e del cinema di vampiri da
Carmilla
a Lestat, passando per Dracula. Quando è la vittima stessa a porgere la gola, significa che è
all'opera un vampiro insidioso, che prima del sangue
ha succhiato l'immaginazione. A quel punto o ci si ribella o ci si abbandona, ci si rassegna a mourir de
plaisir. Ma se si sceglie la ribellione, "la forza vindice della ragione", allora anche l'immaginario
dovrà divenire campo
di battaglia. Pena la vittoria del vampiro prima ancora che lo scontro abbia inizio.
Carmilla unbound.
Ci hanno raccontato delle balle. Nessun Van Helsing può vincere un vampiro. Aglio, paletti e
crocifissi servono
a poco o a nulla. Solo un vampiro può sconfiggere un altro vampiro. O comunque chi del nosferatu
condivida la
volontà, la determinazione, la capacità di lacerare la notte con lo sguardo penetrante del lupo o
del felino. Contro
Dracula, capace di affascinare la preda e di renderla consenziente, abbiamo deciso di scatenare Carmilla. O
Mircalla. O Marcilla. O Millarca. Poco importa il suo nome vero. Ogni volta che se ne è dato uno
si è consegnata indifesa ai suoi nemici. Certo,
ha continuato a vivere; ma ogni volta più fragile, più confusa, più evanescente.
Carmilla non è Dracula. Il vecchio Vlad (vecchio? diciamo decrepito, mentre Carmilla è
sempre giovane) è una
forza innaturale scatenata, che non parla e forse non ragiona (a parte l'orrida parodia di Coppola), agitato da istinti
famelici di sopraffazione. All'inizio del romanzo di Bram Stoker ha, con Jonathan Harker, un dialogo di due
paginette. Poi tace e succhia, perché succhiare è la sua normale maniera di vivere, se di vita si
può parlare. Carmilla di Karnstein è diversa. Seducente e trasgressiva, non teme affatto la
luce del sole e non ama dormire
troppo a lungo nei sepolcri. Si muove tra prati e fanciulle in fiore, impegnata in una lotta per la sopravvivenza
che dura da secoli, contro una morte a cui non si è mai rassegnata (mentre Dracula è la morte
stessa). Certo,
dichiara di disinteressarsi dei contadini, ma ciò non basta a collocarla dalla parte della reazione.
L'incomprensione
verso i contadini è stata storicamente una caratteristica non già dell'aristocrazia, bensì
del movimento operaio
(qualcuno ricorderà forse il conflitto tra mezzadri e operai agricoli, nell'Italietta giolittiana; o, di converso,
l'esaltazione del piccolo proprietario rurale operata da Maurras e dall'Action Française - per non dire della
"contadinizzazione" delle campagne tentata da Mussolini). Dracula è un vampiro notturno, Carmilla
è un vampiro "lunare". Quando sceglie come terreno d'azione la notte,
lo fa alla stessa maniera di Diana, di Ecate, di Abundia, di Persefone, di Iside. Divinità femminili e
liberatrici,
che guidavano la corsa sfrenata di legioni di donne alla luce suadente della luna, in conformità a ritmi
biologici
antichi e segreti. Ma Carmilla è soprattutto intelligenza e amore, le armi con cui soggioga vittime che tali
non
sono, perché la loro morte prelude a una vita eterna, difficile ma ricca di profumi e sapori. Mentre gli
avversari
di Carmilla - primo fra tutti il pedante e bigotto colonnello Spielsdorf - rappresentano, anche in virtù della
loro
carica militare, la morte veramente eterna, accompagnata da rituali (il taglio della testa) idonei a garantire che
l'intelligenza rimanga davvero per sempre nella tomba. In quest'epoca di sinistre virtuali e non reali, ci piace
pensare a una sinistra che di Carmilla condivida il potere
seduttivo, trasgressivo, lunare e libertario. Una sinistra nuovamente capace di soggiogare, però in
virtù
dell'intelligenza, e capace di alludere, nella sua lotta contro la morte, a una vita ai margini (ma più
numerosi sono
i vampiri, più quei margini si estendono) molto più affascinante di quella condotta in stato di
catalessi nel
gigantesco luna-park dell'immaginario colonizzato. Il vecchio Dracula che, rivestiti abiti moderni, cerca di
perpetuare la propria stirpe di succhiatori del sangue di
una folla di schiavi, non può più essere affrontato con croci o con paletti - tristi reliquie pescate
tra le leggende
dei paesi che hanno visto la nascita ambigua e la morte ingloriosa del socialismo reale. E nemmeno può
essere
combattuto aderendo con tetro entusiasmo alle regole del nemico, presunte eterne e presunte
inevitabili. Significherebbe accettare come dato di fatto la schiavizzazione dei tre quarti dell'umanità,
ridotti a mera fonte
di nutrimento. A beneficio di una élite di non-morti che, nei paesi in cui ha insediato i propri troni,
governa i
sudditi condannandoli al sogno forzato. Solo una sinistra che risponda ai morsi con i morsi, all'ipnosi con la
seduzione, all'animalità con l'intelligenza,
all'omologazione con l'impulso di rivolta è in grado di ricacciare per sempre il mostro nel suo
sepolcro. [
] Altri percorsi, anche radicalmente differenti, sono possibili. Questa rivista, pur senza eccessive
pretese, nasce
con l'intento di esplorarne il ventaglio, e comunque di recuperare a sinistra - una sinistra senza nome, ma
combattiva e libertaria - un tema di analisi che, in Italia, è stato troppo spesso lasciato nelle grinfie di una
destra
odiosa, spesso addirittura nazisteggiante. Nella convinzione che la narrativa fantastica, con la sua natura di sogno
consapevole, da cui si entra e si esce a volontà, costituisca un buon addestramento a evadere dai sogni
imposti
ed eterodiretti.
Tratto da "Carmilla online" Indirizzo Internet: http:
//www.fantascienza.com/carmilla/
Valerio Evangelisti è nato a Bologna nel 1952. Dopo aver pubblicato volumi
e saggi di storia si è dedicato interamente
alla narrativa. Nel 1994 il suo primo romanzo, Nicholas Eymerich, inquisitore, ha vinto il Premio
Urania. Sono seguiti
Le catene di Eymerich (1995), Il corpo e il sangue di Eymerich (1996) e Il
mistero dell'inquisitore Eymerich (1996),
Cherudek (1997) pubblicati da Mondadori. Nel 1997, in occasione dei 45 anni della collana Urania,
cura l'antologia Tutti
i denti del mostro sono perfetti. Nel 1998 esce per Urania il suo ultimo romanzo Picatrix,
tratto dal suo originale
radiofonico per Radio Rai La scala per l'inferno. Nel 1998 i romanzi di Evangelisti
saranno pubblicati in Francia dalla casa editrice Rivages.
L'ologramma della
colomba di Franco Berardi (Bifo)
(Un mattino del 2068 nell'arca cablata orbitante)
Noè si sveglia con la solita sgradevole sensazione di avere una turbina al posto del cervello, una
specie di
macchina in ronzio permanente. Pur avendo disattivato la funzione "download simultaneo from the net to the
brain", ormai il deposito organico del suo subconscio è lesionato, stracarico di informazione irrilevante
sulle
fluttuazioni dei ratings su tutte le piazze finanziarie extra atmosferiche negli ultimi dodici anni. Irreversibile stato
di elettrocuzione ininterrotta. L'interno della capsulArca è arredato con tappeti del Raijstahn e
riproduzioni di vanitas fiamminghe del
diciassettesimo secolo. Gli ambasciatori di Holbein rilucono in uno schermo lungo rettangolare disteso lungo il
fondo, che divide l'abitacolo dalla cabina di pilotaggio. Noè guarda fuori dall'oblò numero
due. La terra è lì sotto a due passi, un po' grigia e un po' color ocra. Meglio
non guardare a lungo la sua massa limacciosa, disperata, rischia di rovinarti l'umore per tutta la
giornata. Noè tira rapidamente la tendina e si volta verso l'interno: l'ologramma di una colomba vola
leggero sotto la volta,
ed in fondo il pannello convesso con nove monitor di differenti grandezze, connessi in permanenza con diversi
domini del Web. Sul monitor centrale lampeggia ammiccante il Pegasus: you have new
mail. Stancamente Noè va ad aprire la mailbox. Non ha voglia di tuffarsi nella solita quotidiana
cascata nevrastenica
di messaggi provenienti dal circuito GVC (global virtual class, la rete che connette diciotto milioni di operatori
dell'economia globale extra atmosferica). Non ha voglia di mettersi lavorare subito, appena alzato, e clicca
incuriosito sul messaggio di un sender sconosciuto che si firma infinità futura. "Come hanno potuto
trovare l'indirizzo dell'arca?" si chiede Noè sbigottito scorrendo rapidamente il contenuto
del messaggio turbativo. "Questi sono anarchici, paranoici esistenzialisti beatniks. Come hanno fatto ad
entrare in casa? Come hanno fatto
ad entrare nella mia vita?" Vita... ammesso che si possa chiamare vita questa. Noè si guarda intorno,
e sente che la crisi di sconforto è in
arrivo. Meglio infilarsi subito la cuffia antipanico: segnali massaggia-neuroni per la riduzione della tensione
ansiogena. Ma il messaggio di infinità futura, che lemme lemme si srotola sotto i suoi occhi in
caratteri focus, caratteri
avvolgenti 3D, quello Noè non riesce ad ignorarlo. "Questi anarchici debbono avere assoldato un
grafico subliminale... non riesco a staccarmi." Ed ecco allora il messaggio entrare nello strato intermedio della
sua coscienza. "Questo messaggio è destinato a voi sintonizzati extra atmosferici, fottuti fantasmi
che vi credete onnipotenti,
manipolatori di cifre a dieci zeri. Colonie di elders e di daisies si stanno organizzando sulla terra che voi
cercate di ignorare ma che c'è ancora, qua
sotto. Abbiamo alle spalle mezzo secolo di devastazione pura. È innegabile. Il trionfo capitalistico
del tardo secolo
ventesimo ci ha lasciato in eredità un mondo irrespirabile. Gli stati le etnie le famiglie di ogni genere
hanno lottato
con tutti i loro mezzi di distruzione per potersi accaparrare le razioni residue di ossigeno, mentre voi della Global
virtual class scivolavate fuori dall'orbe terracqueo con le vostre razioni illimitate di ossigeno rinnovabile a
continuare i vostri affari incomprensibili senza più carne né sesso né odori. Noi qua, un
cinquantennio di guerra
per il controllo delle riserve d'aria. È stato un bello spettacolo, Hitler moltiplicato per cento, e
metà della
popolazione mondiale ci ha lasciato le penne. Se dio esiste è certamente un gran figlio di puttana, ma
sono stati i porci papi ed i porci ayatollah di tutte le chiese
di merda a portare l'umanità al suicidio per sovrappopolazione. Il trionfo del capitalismo ha fatto il resto,
fin
quando la vita associata è diventata un inferno così intollerabile, che nel sentimento comune la
procreazione
cominciò ad apparire un crimine contro l'umanità, il crimine per eccellenza. E così
la terra ha cominciato a sgonfiarsi. Adesso assomiglia a un deserto. Le guerre per l'ossigeno e l'epidemia
cianotica hanno portato via tre miliardi e mezzo di esseri umani. Poi la
nebbia neurolettica si è diradata, e nell'ultimo decennio si è cominciato di nuovo a
respirare. Ecco gli anni sessanta del secolo postumano. Per voi fantasmi dell'etere sospesi a mezz'aria
nell'iperuranio virtuale le razioni di ossigeno erano assicurate.
Nelle vostre arche solitarie avete portato via tutta l'informazione disponibile sul pianeta. Avete continuato a
vivere in sospensione sensoriale, e credete che questa sia la vita. Intanto sulla terra rifioriscono forme di vita
intelligente. Piccole tribù di elders sono sopravvissuti e menano un'esistenza monacale, gente nata
a metà del ventesimo
secolo, drogati di utopia e di psilocibe sintetica e di litri di piracetam, allegri centenari dal petto glabro e la mente
vivace. Ed ora innumerevoli colonie di desintonizzati che fra loro si chiamano daisies si accampano lungo
le coste dei
continenti devastati, e si ingegnano a ricostruire geografie immaginarie, recuperando reperti del passato moderno,
per riprendere di una vita collettiva e felice il filo che da mezzo secolo è spezzato. Molti tra voi,
fantasmi cablati, hanno cominciato a tradire il paradiso virtuale. Molti sono scesi dalle loro capsule
portandosi dietro preziosi depositi di quella informazione che avete sequestrato
all'umanità. Incredibile, i decablati fanno amicizia coi desintonizzati. Fantasmi eterei lunghi e diafani
di pallore extra
atmosferico si mescolano ai teneri e carnali daisies, ragazzi selvaggi del tempo che segue all'epoca
irrespirabile. Fantasmi eterei abbandonate le vostre capsule paranoiche." Un messaggio che Noè
avrebbe forse preferito ignorare. Il residuo spazio subconscio comincia a pulsare. Noè guarda
l'ologramma della colomba, un sentimento indefinibile gli fa tremare le gambe magrissime e tutte
quelle venuzze rosa ed azzurrognole. É ora di prendere decisioni. Presto quella colomba potrà
uscire dall'oblò,
e volare libera verso il globo color ocra.
FRANCO BERARDI (BIFO), figura centrale dell'underground italiano a partire dagli
anni '70, ha pubblicato numerosi
libri sulla politica, la storia dei movimenti giovanili, le sottoculture, la comunicazione, l'arte. Ha partecipato alle
esperienze politiche di Potere Operaio e alla creazione delle prime radio libere. Negli ultimi anni si è
intensamente
occupato dell'immaginario cyberpunk.
metAmorfosi di
Paolo Maurizio Bottigelli
Urlava un revolver esplodendo nell'inseguimento in spirale sotterranea nella moviola la cieca
giustizia a caso con una parola il pomeriggio ipocrita gioco o non gioco o fato così
muto da non ricordare ottiche in relazione per future comunicazioni. Tempi
moderni icone pallide ma non ancora assorbite e basterà? L'internazionale ovale
trasmissione, oleografia del cavaliere nel tunnel esploso
Paolo Maurizio Bottigelli è nato a Piacenza il 21.09.50. I suoi testi pubblicati
dalla Casa Editritce Vicolo del Pavone di
Piacenza sono: Epèira, Ciliege senza nocciolo, Petali di carne in un acconto notturno, Il suono in
una mano, La bottega
dove nascono gli angeli, Pallide lontananze. Sul sito Internet della rivista telematica
DADA sono apparsi alcuni suoi testi tra cui L.DAY.3. Alcune poesie sono state
pubblicate dalla rivista Internet News e da Musica Estatica. Ha partecipato nel maggio '97 alla
trasmissione "Io scrivo tu scrivi" trasmessa da Raidue e condotta dalla scrittrice Dacia
Maraini, con ospite in studio il poeta Mario Luzi.
2068 di Enzo Fileno
Carabba
Quando il vento nero entra nelle case e nella mia testa mi sembra di ricordare. Pensavamo che il futuro
sarebbe
stato orribile. Così è stato, ma non nel modo in cui credevamo. Pensavamo a un mondo governato
dalla polizia,
dall'esercito, dalle forze della repressione. Pensavamo di doverci sottrarre al controllo, a favore della
libertà.
Fosse così, sarebbe semplice. Se ci penso, sorrido. Gli uomini liberi che si battono contro gli uomini
cattivi. Che
idea. Gli uomini liberi. Gli uomini cattivi. Ci sono anche gli uomini cattivi liberi. Questo vento nero che sa
di petrolio entra nei miei occhi e cancella il presente. Prima di tutto ci fu la guerra.
Nessuno credeva più nella guerra, tutti qui pensavano fosse una cosa superata, da film, o da paesi poveri,
che non
ci riguardava se non indirettamente. Anche quando ci dicevamo preoccupati, in realtà mentivamo,
eravamo troppo
presi a disquisire su cosa era giusto e cosa era ingiusto per avere paura. Quando popoli senza niente arrivarono
da noi con un certo appetito ci sorprendemmo tutti, anche se ripetevamo "Io l'avevo detto". Poi, quando la
faccenda finì, e i popoli pieni di appetito furono sterminati, ognuno, con agghiacciante continuità,
riprese il
proprio ruolo come se nulla fosse stato. Chi aveva il ruolo di oppressore o torturatore opprimeva e torturava
come prima. Le forze della liberazione,
invece, subirono un mutamento singolare. Sembravano recitare la loro parte, come in un gioco di società.
Certo,
alcuni morivano o venivano arrestati, per le loro azioni, eppure noi sentivamo che era soltanto un gioco, non
riuscivamo a sottrarci a questa impressione. Certo, già prima di tutto questo, la mente umana aveva
dato prova di non essere programmata per la libertà. Per
andare in un centro sociale dovevi vestirti "da centro sociale" - difficilmente potevi, per esempio, andarci in giacca
e cravatta - come per andare a una riunione del Ku Klux Klan dovevi vestirti"da Ku Klux Klan". Ma poi le cose
degenerarono: questo è il destino delle cose. Sui manifesti trovavi senza grandi cesure pubblicità
di
elettrodomestici difettosi, esortazioni allo sterminio motivato, messaggi di libertà, informazioni tipo "Un
vero
partito comunista impara dalle masse e le dirige", inni alla vita e proclami di purezza. Oggi il processo si
è concluso. Non c'è più bisogno di repressione. Ognuno si uniforma al proprio ruolo.
Coloro
che hanno provato a liberarsene hanno fallito. Per esempio uomini pacifici hanno provato a uccidere. Ma non
è
stato bello, né per loro né per le vittime. Oggi la psicanalisi genetica ti aiuta a obbedire
perfettamente a te stesso,
a trovare l'armonia. Forse era nel nostro destino di specie, finire così. Forse è un adattamento
che ci consente di trionfare. Nonostante
il vento nero soffi incessante, portando nuvole di combustibile bruciato, nonostante questo noi soppravviviamo.
Tra qualche anno l'energia a nostra disposizione terminerà per sempre, ma noi entreremo nella notte
liberati.
Enzo Fileno Carabba è nato a Firenze nel 1966. Ha scritto tre romanzi
pubblicati da Einaudi: Jakob Pesciolini (1992,
vincitore del Premio Calvino 1991), La regola del silenzio (1994), La foresta finale
(1997). È autore di libretti d'opera:
Integrale Sade (1989, Edizioni Ricordi), Non è più notte (1996)
entrambi musicati da Sylvano Bussotti e L'eroe dei due
Mondi, musicato da Carlo Boccadoro. Scrive inoltre poesie e racconti per bambini. Collabora con
L'Unità e Diario, suoi
racconti e poesie sono stati pubblicati su: Nuovi Argomenti, Poesia,
L'Avvenire, Avvenimenti, Millepiani, Mondo
Sommerso. Ha scritto anche In gita a Firenze con Enzo Fileno Carabba (Paravia-Gribaudo
1997), una guida semiseria
alla sua città. A Maggio uscirà Il cubo incantato (Panini). È guida
subaquea.
La fede dei padri di
Vittorio Catani
Se oggi, nel 2068, vogliamo parlare di "libertà", dobbiamo anzitutto precisare il significato che
hanno assunto
parole come "uomo", "lavoro", "stato", "potere". È forse lo stesso di 100 anni fa? No, troppi parametri
sono
mutati, e cercheremo di scoprire come... (Da: "La libertà immateriale", di David G. Bonocore)
Ai primi del '900 un anarchico dette alle sue quattro figlie nomi che, uniti, diventavano quattro parole di una
frase
compiuta. Davvero singolare. E singolare può sembrare che io ci pensi ora, mentre sorvoliamo la Luna
a mille
metri di altezza. Giù crateri e pianure, con luce accecante e rughe di ombre nere; sopra, il cielo buio.
Harry guida
silenzioso. "Ehi, quanta serietà" gli dico. Si gira. "E ti pare strano?" Torna a guardare a Nord. "Non
vedo l'ora di rientrare alla Base, io. Poi magari mi darò ai
divertimenti." È un po' che lui fa questi viaggi al Polo Sud lunare, per il carico di acqua dai resti
fossili di una cometa precipitata
millenni fa. Ma stavolta sono riuscito ad accompagnarlo io, come secondo di bordo: "A me", spiego, "viene da
ridere perché abbiamo stivato ghiaccio e minerali, una 'palla di neve' quanto un palazzo... E immagina
se
capitasse un intoppo, proprio adesso."
'Uomo': il dato più eclatante è la perdita di identità dell' Homo Sapiens.
Clonazione, trapianti, allungamento
della vita, colture di organi, protesi inorganiche attecchite nella carne, nuovi media, droghe intelligenti, hanno
modificato lo strumento del nostro rapporto col mondo: il corpo. E quindi il modo di essere, di pensare... (Op.
cit.)
"Intoppo? Che cavolo dici, Marino!" fa Harry. "Qui l'acqua è vitale, anche per estrarne idrogeno, il
carburante
per le astronavi. Dobbiamo assolutamente portarla alla Base." Incrocia le dita. Non sa che questo ghiaccio
sarà sacrificato. "Vedi, Harry?" "Mi distrai!" si innervosisce lui voltandosi. "Non..." Resta di
sasso. "Non muoverti" gli ordino, "questa che ho in mano spara davvero e sono pronto a tutto. Ora
cambiamo rotta. Sali di quota. Vai! Sarà una passeggiata breve... Tranquillo." "Marino, sei impazzito
all'improvviso!" grida lui spiritato. Ma vedo già che la navetta punta il muso verso l'alto.
'Stato': la sua progressiva perdita di autorità è correlata alla proliferazione di
mega-aziende transnazionali, con
bilanci maggiori di quelli di tanti stati. Le decisioni-chiave nascono in ambiti industriali.
Diviene arduo controllare produzione e lavoro dal punto di
vista sindacale, finanziario, fiscale, di difesa ambientale... (Op. cit.)
Siamo alla quota giusta, dalla tuta mi sparo un energetico in vena, ragiono fulmineo! Col chip cerebrale
contatto
i compagni del mio Gruppo, su Terra: "Tutto Ok", mormoro al microfono che ho nell'epiglottide modificata,
"Bene!" mi grida Enrico nella testa. "Il nano-proiettore" sussurrò in gola "l'ho già piazzato
nella 'palla di neve'. Scriverà quella frase..." I quattro
nomi, insieme. Pochi ne conoscono la fonte, ma l'importante è il senso complessivo. "La pagherai"
ringhia Harry, "che cazzo credi di fare!" "Fase seguente! Fase seguente!" mi urla in mente Enrico. "Nulla
di cruento, Harry. Uno scherzetto, solo per ricordare qualcosa a un po' di gente. ADESSO! SGANCIA IL
CARICO!!" "Sei fuori di te" implora Harry, ma esegue. La stiva si apre, la navetta ha un sobbalzo. La sagoma
gigante della
'palla' ora è un'ombra scura che galleggia fuori, accanto a noi, nel cielo nero.
'Lavoro': la telematica ha stravolto lo scenario con drastiche redistribuzioni di compiti. Ha creato
milioni di
disoccupati o precari, e ristrette élites di supertecnici. (...) In conclusione, rileviamo che continuano a
crescere
dovunque, nonostante tutto, disparità e gerarchie: vero humus per l'azione libertaria, fosse anche il gesto
non
cruento, dimostrativo, spettacolare, del singolo individuo. (Op. cit.)
Be', poi non ho potuto evitare il rientro alla Base, ovvio. E mi hanno subito bloccato. Lo sapevo. L'ho fatta
grossa, dicono. Mi spediranno a Terra, e non so come finirà. Ma nella stanzetta dove ora mi alloggiano
c'è un
oblò, e mi consolo guardando il cielo! Come era facile prevedere, la 'palla' in orbita, riscaldata dal
Sole, è ridiventata una cometa. È piccola, ma il nostro
nano-proiettore funziona. Esistere nel marcio teatro delle comunicazioni e dello spettacolo significa anche:
dichiarare spettacolarmente. La coda si è già allargata milioni di km. quadrati, trasformata in un
immenso schermo
luminoso, sul quale l'universo intero legge: (1968 ---- 2068) FEDE - NELLA - TERRA - LIBERA
Vittorio Catani (Lecce, 1940) pubblica fantascienza dagli anni '60. Nel 1990 col
romanzo Gli universi di Moras ha vinto
la prima edizione del Premio Urania. Suoi romanzi, racconti, saggi e articoli sono apparsi sulle maggiori riviste
specializzate (Galaxy, Galassia, Robot, Nova Sf), in antologie collettanee, su quotidiani e periodici
(La Gazzetta del
Mezzogiorno, cui collabora da vari anni; L'Unità; L'Eternauta, etc.) Alcuni racconti
hanno avuto traduzioni in Francia
(Denoel), Germania (Heine), Repubblica Ceca, Ungheria. Ha scritto anche storie di un ciclo di Storia Futura
Libertaria
(I guastatori dell'eden; Il pianeta dell'entropia; e altre). Si occupa di fantascienza attraverso vari
media. Vive e lavora a
Bari.
Comune Theodor
Sturgeon di Vittorio Curtoni
Il cacciapalle si avvicina etereo, in punta di piedi. Pare quasi che leviti sopra il selciato. Cerca di dare
l'impressione leggiadra che, ritiene, farà colpo sui poveri imbecilli. Il muro di sbarramento è saldo
dietro i suoi pensieri; trapanarlo non sarà una cosa semplice. Oggi più di ieri e meno di domani
è il loro motto. Compagnifratellitutt'uno, all'opera. "Buongiorno a lei, mio caro telepate"
esordisce. "Come il mio collega accennava un paio di giorni fa al suo
confratello, l'operazione che vi proponiamo..." "Io non siamo confratelli" lo interrompo. "Per favore, risparmi
il suo dio e tutte quante le palle. Venga al sodo." Svirgola la testa in un inchino possente. "Come crede. Come
credete. Dunque..." Estrae di tasca il proiettore e lo
punta sull'aria. Appare, tridimensionale, l'immagine di un cervello umano. "È una cosa da niente. Basta
interrompere i collegamenti neurali qui... e qui..." Zone rosse si accendono nella mappa cerebrale. "Ed è
FATTA!
Niente più telepatia! Basta con questa assurda comunione mentale! Libertà, libertà. Il
singolo individuo..." "Io siamo singoli individui" ribatto. Se solo quell'idiota di Corinne la smettesse di ridere
come
un'ossessa. Giuseppefallastarezittac'èunlimiteatutto.CristoRobertaperchéticimettianchetu?
D'accordovabenechegrandescopatal'altraseraperònonmipareilcasodiricordarloproprioadesso. "E i
vantaggi?" chiedo, cercando di restare serio. Dura, coi cacciapalle. "Ma il libero mercato, amico mio! Amici
miei!" L'urlo gli esce dalla gola col frastuono del Mar Rosso che si
divide in due. Suppongosupponiamo. "Lei provi a immaginare di vendere uno shuttle usato a un telepate. Okay?
Come fa a passargli sotto silenzio il razzetto direzionale che ogni tanto perde colpi? Il sedile con l'imbottitura
un po' troppo logora? Eh? Ditemelo voi." Losoiodoveficcargliquelrazzetto. Eliana, la solita
pervertita. "L'estetica della bugia!" urla il cacciapalle. Invasato dalla propria missione, non si rende conto che
le mienostre
orecchie non hanno bisogno di strilli. Forse gli serve uno psicanalista. "Il grande motore del nostro secolo! E di
tutti i secoli della storia umana! E che cazzo!" Tump, tump, tump. I mattoni del suo muro mentale stanno
cadendo. Si apre uno squarcio di
luce. Daiforzadaccisottounpo'piùadestracosìvabenetulavoratiquell'angolinolìinalt
olostiamofottendolostronzo. "L'estetica della bugia. Interessante. Solo che noi non vendiamo shuttle, e a dire
il vero non abbiamo nemmeno
un mercato. Ognuno di noime produce in base alle proprie capacità e riceve in base alle necessità.
Teoria antica
ma sempre buona. Può persino portare all'autosufficienza, e infatti ionoi qui alla
comune..." Indietreggia a occhi sbarrati. L'invasione è totale; il povero idiota non ha più
difese. Ci andiamovanno giù
pesante. Ehicacciapalletiricordilavoltachetuoziotihaammazzatoilcaneperchégliavevarovinatoleros
eetuavevinoveannietuttelesuepallenonsonoserviteanienteelavoltachetuamoglietihabeccatoconquella... L'es
tetica della bugia ha perso un po' del suo fascino. Il cacciapalle indietreggia, gira sui tacchi, e scappa col
solito ululato che ci tocca sentire tutti i giorni. Uffa che barba. Ce ne fosse almeno uno un po' più
resistente e originale. Ionoi ne abbiamoho le palle veramente
piene.
Vittorio Curtoni è, a quarantotto anni, uno dei personaggi storici della
fantascienza italiana. Dopo avere esordito nel 1965
nel mondo delle fanzines, alla fine del 1969 assume, con Gianni Montanari, la cura di Galassia e
dello Science Fiction
Book Club. Nel 1975 diventa redattore della casa editrice milanese Armenia Editore. Per
Armenia, dal 1976 al 1978,
dirige il mensile di fantascienza Robot, considerata la migliore pubblicazione specializzata che sia
mai apparsa in Italia.
In anni successivi cura altri periodici di fantascienza (Aliens, Omicron, La rivista di Isaac Asimov)
e collane librarie (I
libri della paura, con Giuseppe Lippi, Fantascienza Sperling & Kupfer,
Horror Armenia). Dal 1978 si dedica
prevalentemente all'attività di traduttore dall'inglese. Oltre a una cinquantina di racconti,
apparsi dal 1970 a oggi su numerose antologie e riviste specializzate, ha pubblicato
un romanzo (Dove stiamo volando, La Tribuna Editrice, 1972), un'antologia personale (La
sindrome lunare e altre storie,
Armenia Editore, 1978), e due saggi dedicati alla fantascienza: Le frontiere dell'ignoto (Editrice
Nord, 1977; vincitore
nel 1978, a Bruxelles, del premio come miglior saggio europeo sulla fantascienza) e Guida alla
fantascienza (Gammalibri,
1978), quest'ultimo scritto in collaborazione con Giuseppe Lippi. Quest'anno la Shake Editrice
pubblicherà un'antologia
dei suoi migliori racconti di fantascienza, dal 1971 a oggi.
Dentro i colori di
Barbara Garlaschelli
"...vivere in un mondo senza evasione possibile, dove non restava che battersi per un'evasione
impossibile." V. Serge
Pablo passò in rassegna con gli occhi la lunga fila di Guardiani schierati in assetto da
combattimento. Immobili nelle loro divise nere, i fucili tra le mani e le facce rivolte ottusamente davanti a
sé, circondavano il
muro di cinta del carcere. Se ne stavano lì da mezz'ora e da mezz'ora Pablo non staccava gli occhi
da loro. E dall'enorme scritta a colori
vivaci che un Guardiano magro e sudato stava tentando di cancellare con un rullo imbevuto di pittura bianca. Al
suo fianco c'erano due latte, una delle quali si era rovesciata quando un secondo Guardiano, avvicinatosi di corsa
al compagno con il rullo, l'aveva centrata in pieno. Pablo aveva visto il Guardiano pittore fare un salto
indietro per evitare gli schizzi che, comunque, lo avevano
raggiunto lo stesso, imbrattandogli i pantaloni scuri della divisa. Il Guardiano aveva esclamato "Cazzo!".
L'altro aveva fatto una smorfia imbarazzata e poi gli aveva detto qualcosa
all'orecchio. Dopodiché il pittore aveva ripreso il lavoro con furia. Ma la lotta pareva impari: la scritta
teneva
almeno cinque metri di muro per due e la latta di vernice non bastava. Senza contare la temperatura caldissima
che rallentava non poco l'impeto censorio del Guardiano. Pablo sentì un sorriso sottile stendergli le
labbra. Era orgoglioso del suo lavoro. Quella scritta gli era costata quasi l'intera notte, costretto com'era
stato a interrompere ogni mezz'ora per evitare
la ronda. Il risultato, però, superava qualunque sua aspettativa. E anche di Nolegs che, insieme ad altri
tre Scarti,
aveva fatto da vedetta per l'intera durata dell'opera. Chissà dov'erano in quel momento? Pablo si
mosse e con la mano sfiorò il telo gettato di fianco a lui. Il sorriso
si allargò. Anche quella di coprire il muro con un telo dello stesso colore del muro tutte le volte che
passava la
ronda era stata un'idea incredibile. Incredibile soprattutto che avesse funzionato. - È un'operazione
troppo macchinosa- aveva detto a Nolegs il giorno prima, quando l'uomo sulla Roller gli aveva
spiegato il piano. - - Funzionerà - aveva risposto lui mettendo le mani sui cerchioni della Roller e
sollevandosi di alcuni centimetri
sul sedile. Si erano fissati alcuni secondi senza parlare, poi Pablo aveva fatto scivolare lo sguardo dagli occhi
di Nolegs, alle
spalle muscolose, alle gambe che si troncavano di colpo a metà cosce. Aveva annuito. In fondo, non aveva
niente
da perdere. A parte la libertà, ovviamente, perchè se i Guardiani li avessero presi - lui, il capo
degli Spraymen e
Nolegs, il capo degli Scarti, la famigerata banda di paralitici- sarebbero finiti dritti dritti al di là della
scritta,
dentro il carcere. Se non peggio. Ma se Nolegs diceva "Funzionerà", lui si fidava. E aveva funzionato.
Quasi. Comunque, la sola immagine di tutti quei Guardiani in assetto di guerra e in preda al panico per una
sua scritta,
solo quella valeva la pena. Quando aveva sentito la voce di Nolegs era quasi alla fine e non aveva voluto
smettere. - Muoviti Pablo! Dobbiamo andarcene. È tardi. - - Ho quasi finito - aveva sussurrato
mentre il braccio, nonostante lo stesse muovendo in su e in giù da più di due
ore, sembrava muoversi da solo, a una velocità incredibile. - Sbrigati. - - Va' avanti tu. Ci
vediamo al Pleiade. - Pablo aveva sentito le ruote della Roller di Nolegs muoversi e poi fermarsi. -
È la cosa più bella che tu abbia mai fatto. - Poi il fruscio delle ruote si era allontanato,
inghiottito dal silenzio tiepido della notte di maggio. Pablo aveva sorriso senza voltarsi. Era vero: quella
scritta gigantesca, dai colori violenti che si mischiavano fra loro, dilatandosi nelle lettere e
troncandosi ai bordi ripassati col nero, quella scritta, la prima in sei anni di Normalizzazione, in sei anni di muri
lindi, puliti, asettici, di silenzi e consensi, di giochi televisivi e stampa pilotata, sei anni durante i quali la
città era
stata spaccata a metà un Sopra di potere e un Sotto di ubbidienza, in sei anni quelle parole sul muro che
suonavano antiche e dimenticate, erano la prima nota stonata, la prima incrinatura nell'Ordine. Ed erano opera
sua. Se li era trovati addosso senza quasi sentirli. Lo avevano sbattuto contro il muro che stava disegnando.
La faccia
aveva aderito sul viola della lettera A. Gli avevano fatto allargare le gambe usando il calcio del fucile e lo avevano
tastato dappertutto. Poi gli avevano strappato dalle mani la bomboletta spray e lo avevano girato di colpo,
facendogli sbattere la nuca contro il muro. Per tutto il tempo avevano continuato a urlargli "Fermo stronzo!" anche
se lui non stava opponendo alcuna resistenza. Da un'ora lo tenevano in piedi tra due Guardiani, in attesa Pablo
non sapeva di chi o cosa. Pablo sorrise di nuovo e non smise nemmeno quando il colpo lo prese in pieno
stomaco, costringendolo a piegarsi
in due, crollando sulle ginocchia. - Cos'hai da ridere, coglione? - Un Guardiano alto, dal viso spigoloso e gli
occhi spiritati, lo guardava torvo,
reggendo il fucile dalla parte della canna. Pablo sputò a terra e vide la saliva rossa di sangue.
Sollevò la testa e senza abbandonare il sottile sorriso si limitò
a guardarlo. - Ridi ridi che tra un po' rideremo noi. - Alzò le braccia per colpirlo di nuovo, ma
una voce lo bloccò. - Fermo! - Pablo spostò l'attenzione sul nuovo venuto. Era un uomo
sui cinquanta, massiccio, con un viso quadrato
dall'espressione malinconica. Contraccambiò l'occhiata di Pablo e disse: - Sono il commissario Falce. -
Parlava
senza enfasi, quasi con rassegnazione. - Voglio sapere chi erano quelli con te. - Pablo non mosse un muscolo
ma non smise di sorridere. Il commissario flettè le ginocchia per trovarsi faccia a faccia con il
ragazzo. - Altri tuoi... colleghi hanno imbrattato la parete di un laboratorio del Centro Sperimentale -
continuò Falce senza
modificare il modo calmo di parlare. Ce l'avevano fatta! Pablo dovette reprimere la voglia di scoppiare a
ridere. - Fino a che vi divertite con i muri, va bene. Ma se entrate nelle Zone top secret, allora è
un'altra faccenda. Sai
che rischi di finire in uno dei laboratori del Centro? Un posto dove ti collegano a un computer e ti rimettono il
cervello a nuovo? È lì che vuoi andare? Il sorriso di Pablo tremò per un secondo, poi
tornò fermo e sottile come una lama. - Portatelo via - disse Falce ai due Guardiani che erano arrivati
con lui. Pablo si lasciò condurre via docilmente. Prima di infilarsi nella macchina si fermò
a guardare il carcere. Sul muro
campeggiava la scritta: LIBERTÀ O MORTE che ora dopo lo zelo del Guardiano pittore, era
diventata LIBERTÀ O La MORTE era stata inghiottita dal bianco della vernice. Falce fece
un cenno con il capo e un Guardiano spinse Pablo nella macchina nera che partì silenziosa. Mentre
l'auto sfrecciava per le strade deserte, Pablo accarezzò con lo sguardo tutti quei muri perfettamente puliti
che gli scorrevano di fianco. E di nuovo sorrise, ma solo con gli occhi. Il commissario si voltò verso
il Guardiano che, madido di sudore, stava cancellando la scritta LIBERTÀ O
MORTE. Falce corrugò la fronte. Tra dieci minuti avrebbe dovuto affrontare quel coglione
dell'ingegner Pasero,
amministratore delegato del Centro Sperimentale e avrebbe dovuto spiegargli che una banda scalcagnata composta
da ragazzini armati di bombolette spray e da paralitici, era riuscita a fare tutto quel casino. Infilò una
mano in tasca, prese un pacchetto di sigarette e se ne accese una, aspirando a fondo il primo tiro, poi,
si allontanò lungo il marciapiede, sfiorando con lo sguardo la schiena dei Guardiani schierati immobili
e armati
sotto il sole. Nel silenzio.
Barbara Garlaschelli è nata a Milano nel 1965. Si è laureata in lettere
moderne all'Università Statale di Milano. Ha
lavorato per più di un anno in uno studio d'arte, occupandosi di teatro e di letteratura. La prima
pubblicazione nel 1993
è una raccolta telematica intitolata Storie di bambini, donne e assassini. Nel 1995 pubblica,
con la casa editrice Marcos
y Marcos, la raccolta di racconti noir O ridere o morire e nel 1996 il romanzo Ladri e
barattoli. Suoi racconti sono apparsi
su varie riviste e antologie (Crimine; Inverno giallo; Tutti i denti del mostro sono perfetti). Nel
1997, per El, pubblica il
Corto Quando la paura chiama e, nel 1998, per la collana Frontiere, il romanzo breve Tre
amiche e una farfalla e un nuovo
Corto. In progetto, per piccoli lettori, storie terrificanti in combutta con Nicoletta Vallorani.
Carnefice nostro
amatissimo di Luca Masali
Il fragore del tuono fece tremare le antiche vetrate policrome. La vampata di luce, filtrata dai mosaici colorati
accese riflessi inquietanti sui volti dipinti alle pareti della cupola. Trenta metri più in basso, nella
navata buia, tra i banchi barocchi di mogano tarlato, un vecchio prete pregava in
silenzio, incurante del temporale che illuminava la notte dei romani, solo sotto lo sguardo cieco della Pietà
di
Michelangelo. Era una notte di maggio, ma nella basilica di san Pietro faceva freddo lo stesso. Assorto nelle
sue meditazioni,
sobbalzò quando qualcuno gli appoggiò delicatamente un cappotto pesante sulle spalle. Si
voltò con gli occhi
dilatati dall'apprensione. Poi si costrinse a sorridere, anche se l'angoscia gli chiudeva lo stomaco. - Oh, suor
Angela, siete voi! - La donna annuì, e si inginocchiò al suo fianco, mormorando una breve
preghiera. Poi sussurrò sottovoce - Ha
chiesto di voi. - Padre Corona sospirò. - È arrivato il momento? - La donna non rispose. Si
alzò in piedi, e fece
un rapido segno della croce. Alla luce delle candele votive la sua figura era notevole, anche sotto il castigato abito
dell'Ordine di Santa Canossa. Non era alta, ma minuta e ben proporzionata. La prima cosa che colpiva di lei era
lo sguardo dei grandi occhi neri, che rivelava un'intelligenza fuori dal comune e una vigorosa, struggente dolcezza
che faceva dimenticare agli uomini il significato dell'abito che portava. Quindi si soffermavano in seconda battuta
sul seno, che meritava senz'altro un secondo sguardo... Padre Corona si maledisse per questi pensieri in una notte
così tragica, e cercò di scacciarli massaggiandosi gli occhi arrossati per le lunghe ore di
veglia. - Venga con me, padre. Purtroppo non abbiamo molto tempo. - Stringendosi nel morbido cappotto
che lei gli aveva messo sulle spalle, il vecchio prete la seguì. Attraversarono
in silenzio la navata principale, verso le ali che ospitavano gli uffici vaticani. A quell'ora gli antichi corridoi erano
deserti, i loro passi rimbombavano tra le pietre antiche. Tutto il palazzo era in penombra, ma suor Angela
sembrava conoscerne ogni pietra e ogni anfratto. A un certo punto ai familiari aromi dei palazzi Vaticani e
cioè
incenso, odore di libri e di legno se ne aggiunse un altro, dolciastro e penetrante. Puzza di disinfettante e di
medicinali: l'odore tipico di un ospedale. Di fronte all'ultima porta due guardie svizzere, impeccabili
nell'uniforme rinascimentale, si irrigidirono sull'attenti. Non erano certo lì per sole ragioni di protocollo,
ragionò
padre Corona... I due giovanotti avevano sì l'alabarda regolamentare, ma a tracolla portavano anche
mitragliette
militari dall'aria minacciosa. Il prete non si sarebbe assolutamente stupito se avesse saputo che entrambi avevano
il colpo in canna, e che avevano l'ordine di aprire il fuoco al minimo sospetto. Suor Angela mostrò il
lasciapassare
alla guardie, che lo studiarono per lunghi minuti. Poi annuirono, e aprirono il portone laccato. Intimidito,
Padre Corona deglutì e varcò la soglia degli appartamenti privati del pontefice. Solo una volta
gli era
stato concesso questo onore, quando era molto più giovane e Bonifacio Nono era appena giunto al soglio
pontificio. Ricordava ancora l'emozione di quel momento: nessuno aveva osato sperare un conclave così
favorevole... Molti videro un segno della provvidenza divina l'investitura del giovane e vigoroso cardinale di
Avignone, espressione dell'ala più dura dell'estrema destra ecclesiastica. In vent'anni di pontificato, dal
2048 fino
ad oggi, il pontefice aveva raccolto successi insperati nella lotta contro il laicismo politico e il lassismo morale,
sia nella chiesa che nella società civile. Ricordò la commozione di quando ebbe il coraggio di
dichiarare al mondo
che la Congregazione per la dottrina della fede si sarebbe dotata di sofisticati strumenti informatici, e che avrebbe
collaborato coi servizi segreti dei moltissimi Paesi, soprattutto Stati Uniti, Europa mediterranea e America latina,
che avevano recepito nei loro codici penali le direttive delle encicliche pontificie. Si era quindi aperta una fase
di grandi successi politici, che avevano portato la Chiesa ad essere il vero faro di civiltà del primo secolo
del
nuovo millennio. Il pontefice stava lavorando a un'enciclica particolarmente difficile, che avrebbe coronato la
prima fase dell'attacco politico del vaticano conto l'amoralità: se i Paesi amici avessero una volta di
più recepito
le direttive ecclesiastiche, dopo l'omosessualità anche l'infedeltà coniugale femminile sarebbe
diventato un
crimine punibile con la durissima rieducazione nei Conventi Correttivi Obbligatori... Suor Angela
aprì l'ultima porta. Padre Corona trasse un lungo respiro per farsi coraggio, e varcò la soglia.
Socchiuse gli occhi alla luce crudele delle lampade asettiche. Quando si fu abituato alla luce, spalancò
gli occhi
per la sorpresa. Il corpo nudo di Bonifacio Nono era steso su un lettino operatorio. Le braccia e le gambe distese
facevano sembrare il vicario di Cristo una rana inchiodata al tavolo di dissezione. Accanto alla testa, ai piedi ed
alle mani c'erano cinque isole medicali, ognuna presidiata da una giovane Canossiana. Nessuna delle suore si
distrasse dal proprio lavoro: i volti tirati per la stanchezza e la tensione non si alzarono dai monitor che tenevano
sotto controllo i parametri vitali del papa. Appena sotto il cuore del paziente, un bendaggio macchiato di sangue
indicava il foro d'entrata del proiettile. Una donna era riuscita a filtrare tra le maglie della sicurezza pontificia,
e aveva esploso un solo colpo di pistola prima di essere catturata dalle guardie svizzere. Purtroppo non si era
riuscito ad interrogarla, perché durante il trasferimento al carcere di massima sicurezza di Castel
Sant'Angelo
l'elicottero vaticano era precipitato per un guasto tecnico, e l'attentatrice era morta carbonizzata insieme ai piloti
e alle guardie. Padre Corona cercò lo sguardo di Suor Angela. - Non mi aspettavo nulla di simile! -
La donna annuì, e indicò le cinque stazioni, disposte a corona attorno al
corpo sofferente del paziente. Con la freddezza dell'esperto informatico, la suora spiegò. - È il
sistema I.C.H,
Integrated Computerized Hospital... Ma avvicinatevi, padre. Sono sicura che troverete la visita molto istruttiva.
- Padre corona scosse il capo. - Sorella, non sarei in grado di capire! Sono medico, è vero... ma ho studiato
medicina prima che venisse sviluppato il sistema I.C.H.! Vi prego, non abbiamo tempo... Fatemi parlare con Lui!
- La donna sorrise divertita. - Oh, basta con le cazzate, prete! - Sconvolto dal linguaggio della suora, Padre Corona
vacillò. - Scusate sorella...- riuscì a balbettare. Le cinque Cannossiane sedute ai terminali si
alzarono in piedi, e
si avvicinarono al prete. I loro volti erano segnati dal trionfo e dalla soddisfazione di chi ha finito un lavoro ben
fatto. Suor Angela si tolse il velo, e i lucidi capelli neri scesero come una cascata d'ebano sulle spalle perfette.
- Quello che vedi, prete, è l'inizio della vostra fine! - Indicò col dito il monitor dell'isola vicino
alla testa del
pontefice. - Vedi l'encefalogramma? Indica che finalmente abbiamo indotto la morte cerebrale in Bonifacio Nono!
- L'angoscia fece urlare il prete. - Cosa? Voi avete assassinato... - Non riuscì a finire, perché lo
schiaffo di Suor
Angela gli bloccò sul nascere la crisi isterica. - Calma, prete... Tu non hai ancora capito con chi hai a che
fare...
Vedi queste isole medicali? - Angela indicò con la mano le stazioni. I terminali color malva erano
inquietanti alla
luce cruda degli ultravioletti antibatterici, con le loro colonne di cristallo in cui si mescolavano i preparati
galvanici che i computer iniettavano nelle vene del papa morente. Solo allora Padre Corona capì che era
la loro
disposizione a renderle così terrificanti... Cinque isole, disposte attorno al paziente... Al capo, alle mani,
ai piedi...
Un dolore terribile al braccio sinistro gli tolse il respiro, ma riuscì a guardare negli occhi Angela, urlando
Vade
retro, Satana! Libera nos, Domine! Gli occhi stupendi della donna brillavano di gioia. - Hai riconosciuto il
pentacolo, prete? Tu sei medico, vero? - Indicò una delle polle in cui gorgogliava il medicinale. - Vedi,
sto
somministrando al paziente un farmaco potentissimo... di-tri benzoato di diacetil benzene... E tu sai che
cos'è,
vero? - Nonostante il dolore dell'infarto in corso, il prete annuì. Una bava biancastra colò
dall'angolo della bocca,
negli occhi bruciavano lacrime di frustrazione e rabbia. Suor Angela continuò - Certo che lo sai...
È il principio
attivo del fiore della Mandragola... Belladonna, come preferiamo chiamarlo noi! - la voce si abbassò in
un
sussurro che alle orecchie del prete sembrò paradossalmente dolce. - L'abbiamo estratto oggi, da una
pianta che una sorella ha raccolto al cimitero... Tu hai letto Roquetaillade, conosci
il De considerationae quintae Essentiae, vero? Il prete crollò a terra, negli spasmi indotti
dalla fibrillazione. Suor
Angela, implacabile, si inginocchiò accanto a lui. Padre Corona era un fanatico, certamente. Ma era anche
un
teologo esperto, oltre che un medico... le tre anime che convivevano in lui lottarono per ottenere l'estremo
controllo del corpo condannato. Il medico insisteva per implorare la donna di applicargli un defribrillatore, e di
iniettargli direttamente nel muscolo cardiaco dieci cc di adrenalina. Il fanatico premeva per raccogliere le ultime
forze e stringere le mani nodose su quel collo di cigno, finché quegli occhi che tanto lo turbavano non
avessero
perso ogni diabolica capacità di seduzione nella fissità della morte. Ma vinse la curiosità
del teologo. Con lo
sguardo ormai velato dalla morte, chiese - Perché? - La donna gli accarezzò la fronte imperlata
di sudore gelido.
- Perché oggi è il primo maggio... per noi è il giorno della Sorellanza. Vedi, prete, il
software che abbiamo usato
per curare il paziente si chiama EY.M.E.R... EuristYc Medical Emergency Room. L'hardware è I.C.H...
Dissolvi
e Combina, come ti avranno insegnato in seminario, è un principio che ben conoscevano gli esorcisti
medievali.
Se Combini, cosa ottieni? - In un ultimo rantolo, padre Corona balbettò - San... San Malvasio! Signore,
proteggimi... Che tu sia maledetta... maledetta... - Con un sorriso materno, Angela chiuse gli occhi sbarrati del
prete. Le consorelle la guardarono in silenzio, mentre si rialzava in piedi e riassettava i capelli. - Le emozioni sono
state troppo forti per lui... Peccato, avrei desiderato che assistesse alla fine del processo. Quanto manca? - Una
suora lanciò un'occhiata al monitor di una delle isole. - Centoventi secondi da ora, Madre. - La donna
annuì.
Come svuotata dalla drammatica morte del prete, si avvicinò al corpo del pontefice, e gli sfiorò
la fronte con le
dita, dolce come una madre che misura la febbre al bambino malato. Una Canossiana chiese, intimidita. -
Madre...- Suor Angela si voltò verso di lei. - Perdoni, Madre... San Malvasio... Che avrà
voluto dire? - Suor Angela abbracciò teneramente la consorella. -
Oh, significa che ha capito tutto! San Malvasio è il santo che Bonifacio avrebbe voluto canonizzare se
non lo
avessimo fermato... Ed è esattamente il nostro uomo, l'inquisitore medievale Nicholas Eymerich. - la
suora si
strinse ad Angela. - Ma io non capisco... Perché vogliamo che torni un uomo così?! -
Cercò lo sguardo della
superiora. - Lui bruciava vive e torturava quelle come noi! - Suor Angela le accarezzò il viso. - Dissolvi
e
Combina, ogni principio ha il suo contrario... La Sorellanza credette di aver vinto, quando sconfiggemmo
l'Inquisizione. Ma la morte del nemico è un po' la nostra morte. Noi non esistiamo senza di loro, loro non
esistono senza di noi. Bonifacio non poteva capirlo, impregnato di positivismo e attento all'opportunismo politico
com'era. È nel Cheroudek, nel limbo, se preferisci, che abbiamo evocato lo spirito dell'Antico Nemico.
- Lanciò
uno sguardo all'orologio. I cristalli liquidi segnavano le 23:59:59 del Primo maggio 2068. Il corpo di Bonifacio
Nono venne scosso da un brivido, e le labbra viola del pontefice balbettarono qualche frase smozzicata in latino.
Angela venne pervasa da un brivido di piacere, così intenso da risvegliarle il desiderio sessuale che aveva
dovuto
mortificare per così tanti anni passati nel convento. Ora non doveva più fingere. Baciò
con trasporto la fronte
gelida del paziente, che la gratificò con un'occhiata ardente di odio. Suor Angela gli mormorò
all'orecchio: - Bentornato, carnefice nostro amatissimo! - poi si scosse, e ordinò alle
sorelle di diramare il bollettino medico: Papa Bonifacio Nono, per grazia di Dio era fuori pericolo, la prognosi
veniva sciolta. Mentre le dita agili delle sorelle diramavano il bollettino alle agenzie stampa di tutto il mondo,
si concesse un
attimo di debolezza, e scoppiò a piangere per la contentezza. Dopo tanti anni era tornata la stagione dei
gioiosi
sabba e della antica scienza della natura. La resistenza era finalmente ricominciata.
Sono un torinese che lavora a Milano, nella redazione di una rivista informatica. I miei
testi più significativi sono il
romanzo I biplani di D'annunzio, edito da Mondadori (Urania) che è stato tradotto in Francia
da Fleuve Noire, eppoi ho
partecipato alle più divertenti antologie fantascientifiche degli ultimi tempi: Tutti i denti del
mostro sono perfetti (Urania)
e Fantastorie dal terzo pianeta di avvenimenti-le scintille. Entrambe sono state curate da Valerio
Evangelisti, a cui è
dedicato questo pezzo... Sperando che non si imbufalisca troppo vedendo lo scempio che ho fatto di mister
eymerich, che
è poi il suo personaggio. Sto lavorando da ormai troppo tempo al secondo romanzo,
Pensiero selvaggio, che vede monsieur Citroen (proprio quello
della dyane, esatto) più un gruppetto di scalcinati gentiluomini degli anni venti addirittura alle prese con
la fine del mondo
islamica... Se e quando riuscirò a finirlo, dovrebbe anche lui uscire per Mondadori. Chi vivrà,
vedrà.
La pulissìa di
Silverio Novelli
Pensando a Franca Rame e Dario Fo
Tuti ancora si voliamo tanto bene, molto. 'Sto giorno famoso del'ano 2068 l'aviamo festato tute 'nsieme in
un
gran circolo unito, mano ne la mano. Varda che bel sole radiante e 'l cielo tuto bianco. Tute noialtre semo
felici. Tute io penso è felici 'nsieme balando,
noialtre dòne con vesti bianchi lunghi, aviamo Fiori di Bacche che beli nei capeli beli lunghi si vardiamo
e si
diamo basi neli oci 'ntanto che Madre Aura canta: Om om om om, belo tuto spricica la pelle come
nonsoché e
mì sento lagrime de gioia empir li oci e un buso ne lo stòmigo che slarga come de pavura ma non
propio quela
pavura de quando certe volte faso 'l vuoto drento co li Essercizi che tuto 'nsieme poi nel buio negro de la mente
vien fora 'sta budelina che poi l'era mì de picolina 'pena sortì fora de la me mare e doppo dal
gnente se
sdesvilupàvino fantasimi ma buoni che l'era persone bele buone de tanti cicli prima. Un po' tanto non so
quanto
tempo fa, per vero, tute 'ste parvense me sdruciavano de strissa ma le Madri di Ciacra con bòne verghe
de fuogo
su l'ombelicolo e 'ntradel pube me 'stasiavano subito, "'Stàsiati, suora!" urlevano forte contente, noialtre
'stasiavamo che li oci se rovesciaveno, el cielo se sciarìva de boto, gnanche 'l sangue te 'ndoleva
più, scintilava
Madre Tera Gaia, era festa ne lo Spirito Unico de l'Olos che s'embiveva de' liquidi intimi evaporatili! Che
le Madri di Grof invece a mi me piàsono, dolci sempre te parano pronte serene col respiro cheto pure nel
Giorno del Miccromaccro che è de quando tuto 'l cosmo se varda drento e lì sgama che semo
propio noialtre
picoline ma sgrandite drento nel Tuto alegre e serene pronte parate sempre. Parate a cossché, dire' tu?
Parate
noialtre pistile ancogliere l'oltra metà del Fiore Umano stame che sia. Che ogi a punto l'è quel
Giorno che digo
mì, grande e un po' pavoroso per tante (no lo devevo dire forze ma so' smossionata come ne la prima volta
sempre), tute 'n fila 'po de la danza andaremo ne la Santa Palestra del Memorial Esalen a fare l'Unione. Noialtre
dice la Madre Unica de Olos (Olos come non capissi? Olos è 'sta Tera dove vivemo, te lo davo certo, no
me
vardàr acusì strambiata) semo come "Un-Unico-Regimento-Che-Fa-La-Guera-De-L'Amore,
L'Unica-Guera-Che-Dee-Venir-Dal-Core". Mì la guera no la so che la sia. Dice un tempo - me
reconté la me Sorela de Guardia, che custodia a le pulzèle - che uomi tuto strugevano tuto
col fuogo de bombe da l'alto sempre ma era tanto tempo orsù e moriva fino parvoli, orore! Nooo, ora uomi
fano
Unione, tuti quanti sempre, e 'l fuogo l'è quelo de la Mente che uniona uomi e done, 'l fuogo l'è
quelo, pavura
non sento, conosso ben, quel ch'è stato 'l tornarà. Chi tropa pavura sente non è Un Certo,
va a finir che finisse
drento le Casemantra vedi quele case grandi lì drento te rifàno la testa, no che no che non fa male,
su Olos el mal
non aligna ma te corìgono si ti te sbagli, sempre. È più mejo che ti non te sbagli. Io
paressempio seguro che sbaglio (ma sto calmisima serena e pronta), aòra sbaglio che tu a mi me tieni
'mbelequì
mentre ho da 'ndar a l'Unione, no non so parché tu ti se' tuta dissudata sbianca, calma, t'ol dito che su Olos
el
mal non c'è, no non semo 'gnoranti che vòi savèr tu de noialtri?, no non so che vol dir
"pecoroni masificàti" e
alòra?, no non capisso parché ti te trèmiti tuta, no non capisso che vòl dir che tu
veni da cent'ani fa viagiando nel
tempo 'traverso 'sta vasca de Timote Liri che però mo' che me dici me par de recordàrela
l'è ne la Folclòria
Minore, ma l'istesso te dimando: e alòra? Varda, ti me sembri tuta svisionata de Cative Maje Chimere
'Lusioni
e donca mì che son Zòvene Sienziata del Core e del'Animo e del Corpore Insereniti, tu ti che te
pensi!, te digo:
vedi 'st'omo 'mbelequì che t'ha prendù de retro e l'altri dui che ti te 'nfirmano e ti te sciornano tuta
quanta?
'Mpara, zòvene - come tu me disévi de ciamarte? "Ipi filia de' fiori" -, 'mpara che tute "Nostre
Menti Sono Una Mente Sola", si una ciàma l'oltra responde, si una
grida "sporco!" drento la testa, alòra eco che a l'istante te 'riva li uomi che fano "Pulissìa",
sempre. Deh, si nò che rassa de Olos sarèssimo mai?
Silverio Novelli (Torino, 1958) lavora nel settimanale "Avvenimenti". Ha scritto con
Gabriella Urbani due dizionari di
neologismi politico-giornalistici (Datanews, Editori Riuniti). Quando può, scrive racconti. Quando riesce,
li pubblica su
riviste.
Notificazione
cittadina di Serge Quadruppani
Notificazione cittadina al comitato delle Lettere 27 maggio 2068 n. 670009 serie BZ
Signore, introducendomi conformemente alle Leggi sulla Trasparenza e la Sorveglianza civica, nel sito
di lavoro
http/www./mordic@@@.com sono venuto a conoscenza di un progetto editoriale in via di realizzazione. Si tratta
di un vecchio testo di fiction (presentato sotto la desueta definizione di "romanzo") che un certo Andrea Gandolfo
sostiene aver ritrovato su supporto cartaceo e che avrebbe intenzione di diffondere su Rete. Dietro riserva di
ulteriori verifiche, egli dispone dei documenti necessari, ovvero l'Autorizzazione preliminare di
conformità agli
ideali consensuali stabiliti dall'Alta Autorità Europea dell'Immaginazione (sponsor Ciba Geigy/Vrais
Champagnes de France), il Certificato della Commissione d'eliminazione degli estranei(sponsor
Beretta/Disney/Le Monde-La Repubblica-El Pais), il visto del Comitato per il Rispetto delle Minoranze (Sponsor
Benetton/Coca Cola/Microsoft). Il Brevetto di buona condotta rilasciato dal Comitato misto di difesa degli
Interessi degli esperti psichiatri e delle
vittime dei deviati sessuali (sponsor General Eletric/Marseillaise des Eaux/Fondazione Berlusconi) e la ricevuta
di Quietanza del Sindaco degli autori di romanzi polizieschi (sponsor Havas/Mondadori/Random
House/Dassauli). È quindi con stupore che ho rilevato nel romanzo che Gandolfo ha ritenuto bene
riesumare, numerosi passaggi
assolutamente ignobili, che mi è dovere segnalarvi. Non mi assumo questo compito con piacere. Mi toglie
il
sonno, mi lascia senza fiato, mi dà le lacrime agli occhi, mi nausea, mi disgusta, ma è necessario
che sia fatto
perché giammai i vari Andrea Gandolfo esercitino il minimo ascendente su di noi, e impedir loro di
trasformare
l'odio per il prossimo in potere. Vediamo dunque questo "romanzo". Il trattamento che l'autore riserva alle
donne è scandaloso. Di fronte
all'"eroe", un detective privato profondamente maschilista, le eroine sono tutte presentate come tonte, streghe o
civette. Così, a pag.18, in una scena discretamente nauseabonda, l'"eroe" toglie di forza gli occhiali
all'eroina che,
invece di ribellarsi di fronte a questo comportamento autoritario, gli offre le labbra! Poiché la donna
è sempre
esclusivamente presentata come oggetto sessuale ("Entrai. Si era messa in modo tale che dovetti, per così
dire ,
spingerle le poppe per passare" p. 82) e che l'eroe non smette di evocare il suo desiderio di dare "una sculacciata"
alle eroine (p. 106, per esempio) non ci si stupisce di vedere che tutto ciò diventa apologia dello
stupro: "Tranquilla, signorina Gonzales. Non sono venuto che per affari. Non ho intenzione di violentare
nessuno. "No? Il tono si fece provocante "Ci comincio a pensare seriamente, per Dio. "Che faccia
tosta! Ma per essere un mascalzone, mi siete piuttosto simpatico", disse lei. E proprio miss Gonzales
tentò quindi di baciarlo! Si segnala inoltre con disgusto l'uso della parola "meteco" (p. 179) e "negro"
(p. 194-l'aggiunta dell'aggettivo
inglese "spiritual" non alleggerisce per nulla il peso razzista del termine), così come una propaganda
scatenata
a favore del fumo e addirittura della dieta carnivora e malsana ("al bancone del drugstore, ebbi il tempo di
inghiottire due tazze di caffè e un panino al formaggio con due fette di simil-pancetta... dovevo essere
pazzo, ma
lo trovai buono"). A questo si aggiunge una costante compiacenza nelle scene di violenza (descrizione ripetuta
degli effetti di un punteruolo da ghiaccio). Misoginia, razzismo, tabagismo, anti-igienismo, sfoggio di
violenza: tutti questi crimini ricadono sotto i rigori
della legge. Urge dunque prendere le misure di purificazione ideologica che s'impongono contro Andrea Gandolfo
e il libro immondo che ha riesumato da non si sa quale officina, "The Little Sister", di un certo Raymond
Chandler.
Un cittadino responsabile
Nato nel 1952, Serge Quadruppani a 16 anni vive in una "comune", a 18 viene espulso
dal liceo per agitazione politica,
a 20 rinuncia all'università a causa del prossimo arrivo della rivoluzione mondiale. Fino ai trenta si sforza
di fare della
propria vita un romanzo. Dopo si dedica ad attività più confessabili: scrive romanzi, saggi,
inchieste e traduce dall'inglese
e dall'italiano. Ha tradotto, tra gli altri Stephen King, Micheal Dibdin, Laura Grimaldi, Luigi Natoli, Santo
Piazzese,
Valerio Evangelisti. È in procinto di tradurre Andrea Camilleri e Brian Aldiss. Ha scritto saggi e inchieste
contro i "nuovi
filosofi" e la nuova destra, contro il negazionismo, contro la strumentalizzazione del terrorismo. Da dieci anni
si consacra
al romanzo poliziesco (all'attivo una decina di titoli). Tra i fondatori della serie cult "le Pouple" (personaggio
d'investigatore libertario le cui avventure sono raccontate ciascuna da un autore differente) e creatore della serie
Alias
(un moderno Fantòmas, basato sullo stesso principio del Pouple). Ultimo titolo apparso:
Le sourire contenu, Fleuve Noir.
Libero in freezer di
Nicoletta Vallorani
c'è qualcosa che non mi ricordo qualcosa
va così. Mi mettono a dormire un bel cento anni fa, e poi tutt'un tratto un giorno (il 12 dicembre, per
essere
precisi) i burloni furboni vengono e mi tirano fuori dal mio sonno surgelato. Apro gli occhi e i burloni se n'escono
con queste belle storie a proposito di come sono andate le cose sul serio, una volta per tutte, ora che di tempo ne
è passato abbastanza e l'opinione pubblica è stufa di tante menzogne. Per dire la verità,
è ovvio, ci vuole qualcuno
che a vederla la verità c'era
tipo me
perciò eccomi, lo scemo, il testimone scongelato, pronto pronto senza neanche metterlo nel
microonde. Cotto e
servito a piacere col cervello à la coque e le idee in fila per tre come soldatini in partenza per la guerra.
Una guerra
qualunque, una di quelle in ghingheri e con le bombe e i morti veri invece delle sagome di lucine su uno schermo
oversize. Mi sa che questo ero: un soldatino inamidato. Non avevo tante idee neanche prima che mi mettessero
in ghiaccio. Figuriamoci adesso
qualcosa proprio non me la ricordo
mi sbattono dentro una stanza simulata, coi muri simulati, i mobili simulati, le persone simulate e via dicendo,
uguale uguale a com'era. Tecnologia coi fiocchi, perché la stanza io la tocco e la vedo come se fosse di
ferro e
cemento e rancore e facce toste. Io dentro, lo scemo, che si deve ricordare come sono andate le cose. La
verità,
insistono; solo la verità. E io dico: vediamo se mi viene in mente con tutta questa gente che urla.
C'è un rumore
da fanfara triste e persino qualcuno che sbatte forte i pugni contro la porta, come fanno certe volte i bambini
uno sta zitto
anche fuori c'è la gente che urla. Faccio confusione col tempo, e non so se è prima o dopo,
ma sento un botto forte
- buumm - come un tempo spezzato. Ma siete sicuri che c'ero io? chiedo. C'eri, c'eri, superscemo, fidati,
rispondono i burloni. Ma io insisto, perché non ho mai saputo quando era il caso di smetterla: se avessi
visto
questo macello, mi ricorderei i tram la strada i sassi la fontana gli strilli i vetri e i pezzi delle persone davanti alla
banca. Tutto questo rumore non me lo sarei dimenticato neanche dopo cent'anni in freezer
cioè adesso
fidati, scemo. Ok, si riparte. Mettiamo tutto in fila per bene. La piazza la gente tranquilla la banca il prato i
tram
i rumori il botto il grande botto il silenzio prima che urli tutto e la strada si metta a parlare sconclusionata e pure
offesa sì offesa per essere stata coperta di sangue e vetri e ricordi morenti spiaccicati in giro e mischiati
come se
fossero tutti della stessa persona invece che di cento
ricordi morenti morti ora dopo, l'indagine. Tutto questo misto di voci che parlano parole
incomprensibili e accusano e dicono tutto e il
contrario. Arrestano prendono raspano schiacciano mischiano confondono, e io-lo-scemo guardo e non capisco.
I burloni furboni ridono e dicono: ti ricordi così? Mi dicono che non mi devo intimorire anche se agitano
i pugni
e uno grosso mi guarda cattivo con una faccia da vendicatore tossico, un po' verdina e brufolosa. Devo fare una
cosa sola: ricordare bene e raccontare quello che vedo dentro la mia memoria. È una pozza umidiccia
perché
ancora i ricordi non si sono asciugati bene delle lacrime di allora
una pozza sporca e annebbiata
se si potesse avere un po' di silenzio vedrei cos'è successo dopo invece gridano tutti, soprattutto qui
dentro la
stanza. Poi c'è sempre quello in silenzio che scuote la testa e non dice una parola neanche a pregarlo. Si
vede che
pensa al suo motorino parcheggiato per strada o a sua moglie o alle sue bambine, io che ne so? Non parla, e quelli
si arrabbiano, il grosso minaccia, e io non capisco perché, ma tanto lo so che non sono intelligente
abbastanza da
capire. Mi viene il dubbio che forse prima non ero così. Forse prima capivo di più
così a scongelarmi si sono sbagliati e mi hanno scongelato più scemo
ti spieghiamo bene, dicono. Vedi la simulazione, no? Guidi tu, scemo. I tuoi ricordi guidano la macchina che
guida la realtà. Crea la realtà. Se tu ti ricordi bene, la simulazione viene bene e noi scopriamo
com'è andata e la
gente legge tutto sui giornali e la smette di pensare cose strane e senza senso e si convince che noi, i burloni
furboni, abbiamo fatto sempre il bene del mondo. Noi altruisti burloni furboni abbiamo pensato a salvare
l'umanità. Ci credi, scemo?
mica tanto
intanto quello che stava zitto resta zitto. Fermo come quando il videoregistratore va in pausa. Poi qualcuno
preme
il play e tutto si rimuove, dinamico. Vita. Troppa vita. C'è una mischia rossiccia e la simulazione si
annebbia, un
poco. Bisogna trovare un colpevole. Confessa, confessa. Così quello non dice niente, e ha l'aria un po'
pesta, ma
non ci giurerei. Si guarda intorno come una persona con la dignità. I burloni imbufaliti alzano le mani.
Un'altra
bella mischia rossiccia e dopo la scena di prima. Il silenzioso sta zitto con tutti gli altri che urlano: sei colpevole
sicuro di qualcosa. Confessa, colpevole, che se non parli sei colpevole ancora di più. Lo sanno tutti che
non ti
piace la polizia. Bombarolo bombarolo
bombaroloooo
perciò il tizio in silenzio si guarda e riguarda intorno. Si torce le mani e poi si alza dritto come un fuso
e dice: che
volete? E gli altri rispondono: solo che ci racconti la verità. E: ok, se confessi, ti perdoniamo qualcosa.
Avrai fatto
qualcosa, no? Cosa, non si sa. Ho bisogno di aria, dice il silenzioso. La finestra è aperta. Il silenzioso
fa silenzio, che gli riesce
bene. E alla fine della terza mischia, il silenzioso è sulla finestra. Strano perché non ha una faccia
da suicidio.
Saluta, il silenzioso, e se ne va da lì. Dalla finestra, cioè. Il che non è facile visto che il
silenzioso non sa parlare
e volare nemmeno
ma gli anarchici volano?
ho sbagliato qualcosa, mi sa, perché adesso i burloni furboni che è stata una scemenza questa
faccenda per cui
mi hanno scongelato. Se non sono utile mi rimettono a nanna. Rivedo tutto: parole mischia parole fanfara mischia
pugni silenzioso pestariello mischia davanzale finestra flap flap flap ma come? Non vola?
non vola torna indietro, scemo, mi dicono. Dal principio. Tutto dal principio. E ricorda. Mi aprono
gli occhi con degli
attrezzi strani tipo Arancia meccanica e mi mettono lì seduto fermo e io divento quel tipo del vecchio
film, quello
che andava in giro a pestare le vecchiette con una specie di tuta psichedelica da ballo e che doveva essere
rieducato. Occhi aperti e ricorda, bambino. Apro gli occhi e ricordo, di fila, come prima, cioè il botto la
banca
il sangue urla vetri ricordi spiaccicati sirene ambulanze medici passanti radio tram poliziotti indagine arresti
confusione bugie bugie bugie non colpevole colpevole forse chissà ti spingo giù non ti spingo
giù va' da solo
stanza chiusa urla vetri tram motorino prato finestra aperta piedi sulla finestra aperta poi fuori aria
libero
mi sa che non va bene, da come mi guardano. Occhi liberi e mi riportano a casa, nell'iceberg dove sono stato
finora. Mi rimettono in freezer. E se ne riparla tra cento anni
Nicoletta Vallorani è nata a S.Benedetto del Tronto nel '59 ma vive a Milano
da una quindicina d'anni, ha una laurea in
lingue, traduce e insegna inglese. Il primo romanzo è del '93 (Il cuore finto di DR, premio
Urania nel '92) e avrà un sequel
qualche anno dopo, cioè nel '97, con DReambox. Nel'95, invece, esce il primo noir per Luigi
Bernardi di Granata Press.
La fidanzata di Zorro è invece del '96; il sequel di questo giallo, pubblicato dalla Marcos
y Marcos, uscirà il 17 di aprile
con il molto sofferto titolo di Cuore meticcio. Dedicati ai bambini sono i minigialli pubblicati con
El (Luca De Luca detto
Lince, Pagnotta e i suoi fratelli, Un mistero cirillico), e per ragazzi più cresciuti invece è
pensato il Corto Ahab Azul. In
progetto, sempre per piccoli, storie terrificanti in combutta con Barbara Garlaschelli
Uomo alla finestra parte
I di Dario Voltolini
Un uomo si affaccia e dalla finestra urla sulla gente che passa nella strada, urla che tra qualche anno tutti loro
saranno avvocati saranno notai saranno impiegati bancari e la gente che cammina non lo può sentire
perché la
finestra è alta sulla strada e la gente è stipata e scende in una direzione tutta accalcandosi e
rumoreggiando così
l'urlo dell'uomo lo sentono solo quelli che stanno nella stanza dove c'è la finestra che l'uomo ha aperto
per
affacciarsi sulla strada invasa di persone che camminano tutte nella stessa direzione e non possono sentire non
solo quello che l'uomo ha da dire e dice urlandolo ma nemmeno che c'è un uomo che urla qualcosa. Quelli
nella
stanza forse condividono forse no quello che l'uomo sta urlando alla gente sotto. Anzi, non lo condividono.
Perché l'uomo ha ragione a dire quello che dice e ha ragione di dirlo urlando, ma lui se solo potesse, se
solo
esistesse un filo di possibilità che nella direzione imboccata da tutte quelle persone si arriverebbe da
qualche parte
(l'uomo forse non darebbe nemmeno tanta importanza a dove si arriverebbe, purché davvero si arrivasse)
molto
verosimilmente saluterebbe le persone nella stanza e scenderebbe le scale fino in strada e semplicemente si
unirebbe a tutti quelli che stanno passando adesso sotto la finestra. E facendo questo di sicuro non avrebbe
bisogno di urlare, non avrebbe senso farlo: e l'uomo è ipersensibile al senso delle cose e alla sua
mancanza, che
egli teme essere totale. In questo consiste il suo urlo, nella ribellione di chi vede una fiumana dichiarare il proprio
senso delle cose, lui che ora non crede che il senso delle cose sia a sua volta una cosa, e soprattutto una cosa che
esista. Ma inoltre sa che quando qualcuno, convinto o no, viene a insistere che il senso delle cose è quello
e solo
quello e cerca di convincerti con le buone che semplicemente preludono alle cattive, allora è il dolore
più assurdo
a gonfiarsi come un tifone dietro le parole della persona che vuole convincere e il tifone cresce e arrivando
distrugge tutto ciò che trova, perché quello fa il tifone, non altro. Ma se la gente che passa sotto
la finestra potesse
percepire l'urlo dell'uomo che si sta affacciando alla finestra di sicuro non lo tollererebbe e sbagliando lo
assimilerebbe a quegli altri che sono nella stanza con lui: non è che non sia vero: in effetti l'uomo
appartiene a
quella cerchia, ma non la pensa come quella cerchia pensa: no. E dunque l'uomo non può che essere solo
a
lanciare il suo urlo, poiché gli altri uomini che lo possono sentire, poiché sono chiusi con lui nella
stanza dove
c'è la finestra da cui l'uomo si sta affacciando sulla strada piena di gente, quegli altri uomini nella stanza
sono
pronti a dargli ragione e congratularsi con lui (alcuni), mentre invece lui darebbe tutto che ha di più caro
per poter
essere dimostrato in torto. E quelli giù in basso, nella via: loro non capirebbero nemmeno il senso dell'urlo
dell'uomo alla finestra, non è questo un momento in cui capire un uomo che urla dalla finestra. E hanno
ragione,
direbbe l'uomo stesso smettendo di urlare, hanno ragione in questo: sbagliandosi, credono di avere una visione
del futuro, ma in questo sbaglio tutto si esaurisce nel presente che è l'unico tempo di quella fiumana per
la strada.
E in questo unico loro tempo hanno ragione: anche se non lo possono sapere. Inoltre, l'uomo che si affaccia crede
di aver torto in ogni caso, anche perché ha conosciuto da vicino quelli che non potevano che avere
ragione. Li ha
conosciuti da vicino in altri luoghi e in tempi precedenti e ha capito una volta per tutte di non essere come loro.
L'uomo alla finestra se ci fosse anche cent'anni dopo, alla stessa finestra se vogliamo, si affaccerebbe di nuovo
e urlerebbe le stesse cose, che nel frattempo nei cento anni prima erano poi state riconosciute vere, ma come se
non fossero state dette da lui e da quelli come lui, perché nel frattempo di lui si erano occupati altri con
altre verità
che non potevano essere confutate e ne avevano stravolto l'urlo in preghiera e ogni suo sorriso in ghigno. L'uomo
affacciato alla finestra invece è gentile e sebbene non possa più fidarsi dell'intelligenza
sarà costretto sempre a
schivare gli sputi degli stupidi. L'uomo chiude la finestra e guarda senza riconoscerli i volti di quegli altri che
pure compongono la sua cerchia. Quando dalla strada con il tempo saliranno fino alla stanza della finestra,
assomiglieranno a questi che ora non riconosce?
Dario Voltolini è nato il 19 aprile 1959 a torino, dove vive. Ha pubblicato:
Una intuizione metropolitana (Bollati
Boringhieri, 1990), Rincorse (Einaudi, 1994), Forme d'onda (Feltrinelli, 1996),
Neve (Hopefulmonster, 1996), Fantasia
della giornata (Morgana Edizioni, 1997), In gita a Torino (Gribaudo, 1998). È autore
di tre radiodrammi: Onde, Le
lontananze accanto a noi (RAI-ERI, 1997) e Misha. Per il compositore Nicola Campogrande
ha scritto i testi di
Macchinario, Città, Via col vento?, Lego, Mosorrofa o dell'ottimismo (cd
DDT 19301, 1993) e Capelas Imperfeitas (cd
DDT 19701, 1997).
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