Rivista Anarchica Online
La strada degli artisti
di Dino Taddei
Il primo biglietto da visita che notiamo in qualsiasi città europea, è
la folta presenza di artisti di strada che
allietano i passanti, svettando da vertiginosi trampoli o improvvisando concerti nelle stazioni della metropolitana.
Lo stesso purtroppo non si può dire accada a Milano che, in fatto d'arte, al di fuori dei rassicuranti circuiti
delle
gallerie o dei luoghi istituzionalmente preposti, offre ben poco ed anche quel poco viene accolto nel migliore dei
casi con una gelida diffidenza o con un bell'articolone sul Corriere enfio di ammiccamenti a proposito delle mode
dei nostri figli: preparatevi, adesso è il turno degli squatters. D'altronde non ci vuole molto a capire
che in un paese dove gli intellettuali mirano ad uno scanno di Accademici
d'Italia vi sia poca attenzione per quest'ultimo scampolo di cultura popolare rappresentato dall'arte di
strada. Dietro questa definizione generica si nasconde una vivace varietà di scelte espressive che
spaziano dal musicista
al tradizionale madonnaro, dal mangiafuoco alla spettacolarità dei giocolieri, accumunati però
da un ingrato
destino: essere trattati - unici in Europa - da malfattori, grazie ad una legge ereditata dall'era fascista e tuttora in
vigore la quale ostacola con pervicacia gli spettacoli in strada... D'altronde è risaputo, se in economia
i parenti europei ci considerano l'ultima ruota del carro, nel campo della
repressione abbiamo da insegnare a tutti: una autorevolezza plurisecolare. Naturalmente, nel quotidiano, le
amministrazioni locali mostrano maggiore flessibilità, perpetuando il modello
interpretativo inaugurato con l'obbligo delle cinture di sicurezza: ogni singolo comune chiude più o meno
gli
occhi a seconda della sensibilità o del quieto vivere della giunta di turno, con il risultato di creare un
quadro
complessivo di semi legalità a macchia di leopardo in cui convive il comune emiliano di San Giovanni
in
Persiceto prodigo verso gli artisti di strada, la città di Torino che ha ospitato nel '97 l'incontro annuale
internazionale dei giocolieri e, per l'appunto Milano, capace solo di mandare la vigilanza urbana a redigere verbali
contro i burattinai. Insomma una vita non facile quella dell'artista di strada, tanto più che l'incertezza
economica è la norma e non
l'eccezione: c'è una bella differenza tra avere un pubblico che paga un biglietto e quindi volente o nolente
segue
la rappresentazione e una platea da "catturare" che nulla ti ha chiesto e che desidera solo andare per la sua strada.
Eppure questo rapporto diretto, senza intermediazioni, è forse l'aspetto più coinvolgente della
professione, gli
applausi non sono di rito ma bisogna veramente sudarseli, la gente non vive quella sorta di timore reverenziale
che incutono i maestri parrucconi (non comprendo ma mi adeguo) e l'artista legge immediatamente negli occhi
e nei commenti della gente il gradimento al suo lavoro, oltre naturalmente a comprenderlo dalle somme lasciate
dentro il cappello, un modo di vivere dialetticamente la cultura e non solo di subirla. Capacità di
coinvolgere che non si può improvvisare ma deve essere affinata attraverso lunghe ed estenuanti
esercitazioni, come ho potuto appurare visitando la più importante palestra di giocoleria presente a Milano
presso
la cascina autogestita Torchiera, una vera e propria scuola senza maestri precostituiti, dove chi ha maggiore
dimestichezza con clave e palline aiuta gli altri a migliorarsi ed anche l'ultimo arrivato può cimentarsi
senza
sentirsi fuori luogo. Non c'è male per un centro sociale da cui sono usciti i migliori talenti dell'ultima
generazione, capaci di alternare le piazze di periferia con il tour del cantante Ligabue, la loro presenza nel
programma televisivo Scatafascio di Paolo Rossi con la voglia di difendere una dimensione schiettamente sociale
dell'arte. Forse chi ha intrapreso questa via sarà condannato eternamente ad occupare una nicchia del
tutto marginale nel
grande meccanismo dell'industria culturale ma è un dato di fatto che il fenomeno è in netta
ripresa, capace di
aggregare un numero crescente di ragazzi che riscoprono attraverso l'autodisciplina che la pratica impone e la
forza comunicativa propria di questo lavoro, filoni di ricerca espressiva assolutamente innovativi, creando
interazioni tra musica e teatro, tra danza e tradizione circense. Scordiamoci le immagini fruste
dell'improvvisatore di paese apprezzato dai palati forti, oggi il mondo dell'arte
di strada è un laboratorio che, partendo da tradizioni diverse (dal cantastorie nostrano al Living Theatre)
propone
- un po' come era avvenuto con la musica delle posse cantata in dialetto - una sperimentazione capace di indicare
nuove vie alle sorelle "maggiori": d'altro canto è impensabile che chi vive nelle strade si faccia ridurre
a museo
folkloristico buono per i turisti di passaggio. Questa vitalità è emersa dirompente nella
manifestazione di protesta che si è tenuta a Milano a metà marzo, un
corteo-spettacolo che ha saputo portare in strada quella sacrosanta irriverenza che è da sempre
l'espressione più
temuta da chi, pensando di fare cosa giusta nel condannare i pagliacci, esprime un'innata propensione a questa
antica e nobile arte.
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