Rivista Anarchica Online
Storiella illustrata
di Mirko Roberti
Il numero di settembre di "Storia Illustrata" è
dedicato interamente agli anarchici. Attraverso
l'uso sapiente di una falsa obiettività, con un'esposizione - a tratti fumettistica, a tratti seria e
onesta o quasi onesta - di un po' di pensiero, un po' di vicende e un po' di cianfrusaglia
folkloristica,
"Storia Illustrata" porta il lettore alle solite conclusioni: anarchici terroristi e/o
utopisti.
In questi giorni è in vendita, nelle edicole di ogni città italiana, il fascicolo speciale
numero 191 di "Storia
Illustrata", completamente dedicato alla anarchia. Dall'impostazione generale data lavoro si deduce che
suo scopo è quello di dare un quadro sufficientemente esauriente della materia: sono stati
affrontati,
infatti, i momenti storici più importanti ed alcuni aspetti teorico-pratici significativi, sono stati
biografati
una parte dei personaggi più importanti, ecc. Tuttavia, dopo aver letto l'intero fascicolo, siamo
costretti
a concludere che non solo non è stata data al lettore una visione generale della materia, ma
anche che
essa è stata presentata in modo falsamente obiettivo. È questa falsa
obiettività che vogliamo per
l'appunto discutere, portando alla luce sia i motivi di essa, sia le necessarie interpretazioni storiche che
sono state alterate o sottaciute. Abbiamo parlato di falsa obiettività. Che cosa
intendiamo dire con questo? Pensiamo di potere
rispondere definendo il tipo di interpretazione storica che la sorregge: essa è fondata sul
tentativo di
presentare l'anarchismo non come un movimento, bensì come un fenomeno
storico. La distinzione ci
permette di capire alcune conseguenze implicite presenti sia nell'una che nell'altra prospettiva
interpretativa. Mentre con la prima (movimento storico), è necessario portare in
evidenza le
caratteristiche proprie di esso, continuità, rapporto organico con la storia generale, l'insieme
sistematico
delle sue dottrine, ecc., al contrario con la seconda (fenomeno storico) tutte queste
caratteristiche
vengono a mancare. Di conseguenza il confronto e la verifica fra prassi storica e ideologica,
rapporto
indispensabile per poter capire qualsiasi movimento storico, lascia il posto alla
improvvisazione, alla
discontinuità, alla imprevedibilità, tipiche del fenomeno storico. Ecco,
è questa una prima considerazione
generale che abbiamo ricavato dal fascicolo in esame. Nei singoli temi trattati, sebbene vi sia una
ricostruzione abbastanza fedele dei fatti storici, non esiste né un innesto fra essi e il loro contesto
più
generale, né fra l'insieme di essi e il senso e le ragioni dell'azione anarchica. Inoltre, la
sproporzione fra le parti (un terzo del lavoro è dedicato al "terrorismo anarchico", mentre alla
rivoluzione russa e soprattutto a quella spagnola, è dedicato molto meno spazio) ha completato
l'immagine ormai stereotipata dell'anarchismo utopia-violenza; del resto ben riassunta nella copertina
e
nel sottotitolo del fascicolo: utopia, rivolte e attentati da Bakunin ad oggi. Da sottolineare
il termine
rivolta: gli anarchici, secondo gli estensori del fascicolo, sono evidentemente congeniali solo
alle rivolte
e non alla rivoluzione. Comunque vediamo ora alcune conseguenze interpretative
del fenomeno storico e per converso le
risposte per ridefinire l'anarchismo come movimento storico.
santi o delinquenti
Arturo Colombo e Ugoberto Alfassio Grimaldi si sono assunti il compito di dare un panorama
ideologico
dell'anarchismo: il primo con una introduzione generale, il secondo con l'esame del pensiero e dell'azione
di Bakunin, evidentemente presentato come il teorico più importante. Nell'introduzione
generale l'ideologia storica dell'anarchismo non esiste. Vi si parla dei due poli opposti
di esso, santità e violenza, riferendo alla santità personaggi come Tolstoj e Gandhi, alla
violenza Stirner
e Neciaiev. Ebbene, che cosa hanno a che fare Tolstoj e Gandhi con l'ideologia e il movimento storico
dell'anarchismo? Assolutamente nulla. È possibile, del resto, definire Stirner come teorico e
apologeta
dell'assassinio e dell'attentato politico? Dove mai Stirner, che era un filosofo, ha scritto
queste cose? Si
potrà casomai interpretare Stirner in un certo modo, e così infatti fu fatto
alla fine del secolo scorso, ma
questa è una cosa molto diversa. Raccomandiamo al signor Colombo di leggersi un libro uscito
recentemente su Stirner, per vedere anche come è possibile interpretarlo in modo
completamente diverso
(1). Rimane Neciaiev. Un personaggio assolutamente secondario quale Neciaiev viene assunto come
secondo rappresentante e teorico della violenza anarchica. Si tenga presente che Neciaiev con
l'anarchismo storico ha solo un tenue e passeggero legame: è ricordato, infatti, solo
perché per un paio
d'anni fu in contatto con Bakunin. L'aspetto teorico-ideologico dell'anarchismo è esaurito
qui. Le sue analisi sullo Stato, la religione, il
sistema di sfruttamento, ecc. e, per converso, i mezzi teoricamente concepiti per combattere la
disuguaglianza, per costruire una società libera, ecc., non esistono. Gli accenni a Proudhon,
Godwin e
Kropotkin non aiutano a capire maggiormente l'ideologia anarchica, sempre combattuta fra una visione
mitica (il "ritorno" alla vita semplice, quasi agricola-pastorale) e una apocalittica (la palingenesi della
distruzione totale in Stirner e Neciaiev). L'introduzione non ci ha introdotti. Passiamo a Grimaldi.
Di Bakunin, Grimaldi ci dà la solita immagine
di personaggio sconclusionato e imprevedibile; più che un rivoluzionario egli è
presentato come un
bohémien edonista. Scrive lo storico Grimaldi: "Poi, mentre s'avvia in carrozza verso
Praga, incontrando
una folla vociferante attorno ad un castello, scende, prende il comando dell'operazione - egli possiede
il fascino del capo, chi lo vede è portato spontaneamente ad obbedirgli -, divide i contadini in
squadre,
impartisce gli ordini e quando le fiamme avvolgono l'edificio risale soddisfatto sulla sua carrozza: si
è
dimenticato di chiedere il perché dell'assalto". La vocazione ribellistica di Bakunin è
forse possibile, per
Grimaldi, spiegarla con l'analisi del complesso di Edipo. Questo il personaggio. Per la sua azione
storica e il suo pensiero, Grimaldi ci dice che essi vanno inquadrati partendo dalla
formazione culturale e dal contesto storico in cui essa si sviluppa: Bakunin è il teorico dei
declassati, dei
contadini, degli slavi, delle jacqueries di stampo populista, ecc.. Sebbene questo sia
vero in parte il
pensiero di Bakunin nella sua sostanza non è nemmeno accennato. Le sue analisi e le sue
straordinarie
anticipazioni sullo sfruttamento e sul ruolo storico del movimento operaio e socialista, i limiti dell'azione
politica e la teorizzazione della lotta sociale, l'interpretazione magistrale della Prima Internazionale e la
funzione rivoluzionaria di essa, ecc., sono ombre pallide nell'articolo di Grimaldi. La sua azione
all'interno dell'Internazionale e lo scontro con Marx, scontro dovuto all'opposta funzione
che essi volevano imprimere ai destini storici del proletariato, è ricondotta, per Grimaldi, alla
diversità
delle menti e dei temperamenti. La mente scientifica di Marx contro la mente vulcanica di Bakunin!
Certo, un modo nuovo per definire l'intelligenza: vulcanismo.
gli anarchici italiani
"Le mille vite dei libertari italiani" di Vittorio Emiliani e "Anarchici e operai uniti nello sciopero"
di
Giovanni Spadolini, sono i due "servizi" che tentano di presentare la storia dell'anarchismo italiano. Il
primo ci dà una serie di biografie scritte con simpatia e una certa "benevolenza", tutti bravi, tutti
buoni,
ecc. Ciò che manca, però, è la storia dell'anarchismo come
movimento, la sua azione rispetto agli sfruttati
e agli sfruttatori. Nell'articolo di Emiliani vi è una storia degli anarchici, non
una storia dell'anarchismo. Se i due aspetti
appartengono ad un unico movimento, quello dell'emancipazione umana, come è
possibile scinderli
presentandoci una somma di vite individuali? L'anarchismo riappare qui come un fenomeno.
Nell'articolo
di Emiliani non vi è un confronto fra l'azione storica degli anarchici e le ragioni della loro
strategia.
Inoltre non c'è un rapporto fra questa azione e le condizioni storiche e sociali dell'Italia di
allora. Così risulta incomprensibile la scelta fatta dagli internazionalisti anarchici per le
rivolte nel meridione,
scelta necessaria per le condizioni storiche di quel tempo. Oppure, per la "settimana
rossa", scaturita
da un lavoro colossale di propaganda e di organizzazione, portato su più piani,
dall'antimilitarismo alle
lotte operaie e contadine. Lavoro costato due decenni, dopo il tradimento e la svolta a destra dei
socialisti marxisti. Fatti, questi, né improvvisabili, né
imprevedibili. Tutto questo sarebbe risultato intellegibile se Emiliani avesse fatto vivere i
grandi nodi della problematica
rivoluzionaria dell'anarchismo, in un quadro organico rispetto alle lotte degli operai e dei
contadini
italiani. A differenza dell'articolo di Emiliani, che parla degli anarchici, quello di Spadolini è
in buona parte
inesaminabile. In esso si parla dei sindacalisti rivoluzionari, di Sorel e delle sue dottrine, e qualche
volta
anche degli anarchici e dell'anarchismo storico. I pretesi rapporti tra Sorel e il sindacalismo
rivoluzionario da una parte, e le dottrine, i metodi e l'azione rivoluzionaria degli anarchici dall'altra,
rapporti che Spadolini presenta molto stretti e congeniali, sono invenzioni da giornalista e non analisi
da storico. Così risulta assolutamente priva di fondamento l'affermazione che Arturo Labriola,
teorico
del sindacalismo rivoluzionario, sia stato il "campione più caratteristico e singolare dell'innesto
fra
sindacalismo e anarchismo". Anche per Spadolini possiamo consigliare un libro molto documentato sulla
genesi del sindacalismo rivoluzionario in Italia (2). Infine, l'affermazione che Malatesta fosse stato
completamente ostile verso i "consigli di fabbrica" è
talmente grossa che, più che discuterla, è da rimandare Spadolini a leggersi cosa
scriveva Malatesta in
proposito (3). Comunque la questione di fondo, anche qui, è un'altra: la presentazione
dell'anarchismo non come un
movimento storico. Infatti nulla è scritto della sua organizzazione all'interno del
movimento operaio (per
Spadolini l'U.S.I. aveva "limitate capacità proselitistiche"), né vi è una
spiegazione ragionata della sua
strategia. Se, infatti, non vengono esaminati i rapporti tra anarchismo e marxismo, all'interno del
movimento socialista, è impossibile comprendere la posizione necessariamente "estremistica"
degli
anarchici costretti a tamponare le fughe in avanti, la svolta a destra, gli errori madornali e le balordaggini
più inaudite degli "scientifici marxisti". Spadolini riporta la cronaca dell'occupazione delle
fabbriche, ma
non spiega il suo fallimento. L'identificazione tra sindacalismo rivoluzionario e
anarchismo, è questo il
nodo su cui ruota l'articolo di Spadolini, viene assunta sulla base del comune "estremismo". Come
è
possibile fare un'analisi storica così stupidamente superficiale?
ucraina e catalogna
Le pagine dedicate a Machno se ricostruiscono abbastanza fedelmente la cronaca dei fatti compiuti
dal
movimento libertario in Ucraina, nulla ci dicono del rapporto fra quest'ultimo e la rivoluzione russa. In
questo modo l'anarchismo russo ritorna sotto il segno del fenomeno storico, e non come
espressione
autenticamente emancipatrice della rivoluzione. La rivoluzione russa scoppiata dopo un gigantesco
lavoro durato oltre cinquanta anni, lavoro di
propaganda fra le masse contadine, lavoro di organizzazione fra i lavoratori delle città, lavoro
di
agitazione permanente verso il fior fiore generoso della gioventù russa, non nacque come
monopolio
della squallida burocrazia bolscevica. Al contrario, nell'articolo di Uboldi, l'anarchismo russo non figura
organicamente all'interno della rivoluzione, ma si presenta come una componente di per sé
eccezionale,
come un fenomeno, appunto. Eppure il movimento anarchico in questo lavoro di
preparazione
rivoluzionaria svolse una parte di primo piano. Rettificando la prospettiva: la rivoluzione russa non
espresse alcuni fenomeni di estremismo come l'anarchismo, ma fu quest'ultimo, assieme ad altre
componenti rivoluzionarie che portò le masse oppresse e sfruttate sul piano della
rivoluzione. Per la Spagna, Tranfaglia, non potendo negare l'importanza del movimento anarchico,
lo ha presentato
come espressione arcaica del mondo contadino. Egli incomincia citando tendenziosamente Brenan: "In
altre parole l'anarchismo spagnolo ha, come il carlismo, un aspetto atavico: esso è in certo senso
espressione di nostalgia per il passato e atteggiamento di resistenza alla schiavitù che la moderna
struttura capitalista della società e la tensione della vita industriale impongono all'uomo".
Tendenziosamente, perché, lo stesso Brenan, scrive venti pagine dopo a
conclusione del capitolo:
"Diversamente dal carlismo che - nella misura in cui significa ancora qualcosa - rifiuta totalmente la
modernità, esso (l'anarchismo) accetta i vantaggi offerti dalla produzione industriale, pur
asserendo che
nulla dovrebbe ledere il diritto di ogni uomo di vivere in modo umano e dignitoso" (4). Questo,
Tranfaglia, ovviamente, non lo ha citato. Certo, ci vuole un bel coraggio per asserire che gli
anarchici furono espressione delle masse contadine,
quando si sa che la Catalogna, la regione industriale della Spagna, rimase sempre il punto di forza
maggiore dell'anarchismo spagnolo. Contemporaneamente, quest'ultimo, seppe esprimere naturalmente,
a differenza del marxismo, anche le tendenze rivoluzionarie delle masse contadine. Questo per
confermare, per l'ennesima volta, che l'anarchismo non è l'espressione storica della "piccola
borghesia",
al contrario dei comunisti spagnoli che nella loro azione di tradimento e sabotaggio della rivoluzione
fecero leva sulla piccola borghesia per frenare la collettivizzazione delle terre e la socializzazione delle
industrie e per trasformare la rivoluzione sociale in una guerra tradizionale fra Stati. Ecco
la ragione
principale della sconfitta del proletariato spagnolo, che Tranfaglia non spiega nel suo "Comunisti contro
anarquistas". Falso è poi il giudizio sull'organizzazione dell'anarchismo spagnolo che
Tranfaglia definisce "sui
generis". Inaudito, se si pensa che questa organizzazione "sui generis" fu per oltre cinquant'anni
alla testa
di tutte le lotte sociali degli sfruttati spagnoli! Il titolo dell'articolo di Tranfaglia si potrebbe rileggere
in
due modi: "Comunisti contro rivoluzionari", ma più chiaramente "Comunisti
controrivoluzionari".
utopismo
Presentando l'anarchismo come un fenomeno storico, gli estensori del fascicolo hanno
indirettamente
ed involontariamente messo in evidenza la natura autentica di esso. Inesistenti i legami organici con la
storia dell'ultimo secolo, l'anarchismo non ubbidisce alle leggi della naturale evoluzione storica. Esso
appare, nel suo ripetersi eguale in condizioni diverse, un soggetto irriducibile ad ogni schema
interpretativo classico, fondato sulla spontanea adattabilità alle tendenze obbiettive della storia
generale
(che rimane sempre la storia dello sfruttamento e della disuguaglianza). Questa sua contemporanea
immodificabilità e presenza nel corso dello sviluppo storico porta gli
estensori del fascicolo a due giudizi complementari: alla sua immutabilità viene
assegnata tutta la
dimensione utopica, alla sua ricorrente persistenza, quella del
fenomeno. L'anarchismo, esprimendosi come soggetto storico non modificabile, a nostro
avviso, conduce invece
ad una lettura tutta diversa della sua natura. Noi leggiamo, nella sua
immodificabilità, tutta la
dimensione rivoluzionaria, nella sua contemporanea presenza storica, tutta la
certezza del suo essere
movimento reale di emancipazione umana.
Mirko Roberti
(1) Vedasi G. Penzo, "Max Stirner", Marietti, Torino, 1971. (2) L. Briguglio, "Congressi
socialisti e tradizione operaista", Tipografia Antoniana, Padova, 1972.
Pag.115 sgg. (3) Errico Malatesta "Scritti", Volume I, Ginevra, Edizione del "Risveglio" 1934, pag.
153 sgg. (4) G. Brenan, "Storia della Spagna" Einaudi, Torino, 1970, pag. 192.
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