Rivista Anarchica Online
Efficienza organizzativa ed efficacia anarchica
di Camillo Levi
L'improvviso arrivo della polizia francese bloccò la riunione. In
un paesetto nelle vicinanze di Parigi, a
Bourg-la-Reine, si erano riuniti compagni francesi, italiani, bulgari, spagnoli, russi, polacchi, cinesi e di
altri Paesi per discutere un lungo documento politico-organizzativo elaborato dal gruppo Dielo
Truda.
La discussione era iniziata da poco quando la polizia arrestò tutti i presenti: si era nella
primavera del
1927. Il trionfo del partito bolscevico di Lenin e di Stalin nell'Unione Sovietica, del partito nazionale
fascista
in Italia, l'aggravarsi della situazione politica in altri Paesi avevano fatto di Parigi il luogo di esilio e di
incontro per gli oppositori di molti regimi, ed era naturale che la "colonia anarchica" fosse
particolarmente numerosa e vivace. Il succitato documento, che doveva essere esaminato e discusso in
quella riunione, era stato elaborato nel corso del 1926 dai componenti il gruppo anarchico Dielo
Truda,
composto da compagni russi ed ucraini sfuggiti alle persecuzioni contro i militanti rivoluzionari, seguite
allo strozzamento della rivoluzione sovietica del '17 da parte della nuova classe bolscevica al potere.
Figure di primo piano nel gruppo erano P. Arscinov, lo storico della rivoluzione anarchica Ucraina, e
N. Machno, che di quella rivoluzione era stato il combattente più in vista. Il documento, che
fin
dall'inizio venne definito "piattaforma di Arscinov", veniva presentato come il sunto delle considerazioni
di Machno e compagni di fronte alla schiacciante vittoria bolscevica nell'U.R.S.S., in vista di un
prossimo
rilancio rivoluzionario del movimento anarchico, che attraversava allora in quasi tutti i paesi una
crisi. L'interesse suscitato dalla presentazione della Plateforme d'organisation de l'Union
générale des
anarchistes (projet) testimoniava la coscienza della necessità di ripensare oltre mezzo
secolo di
esperienza e di pensiero anarchici, dalla Prima Internazionale bakuniniana alla situazione di allora, per
studiare quali strade seguire verso la rivoluzione libertaria. Se dunque la riunione a Bourg-la-Reine
andò
praticamente in fumo, non fu certo quella la fine delle discussioni: anzi, nel giro di qualche mese, tutti
i militanti ed i gruppi più influenti del movimento anarchico intervennero nella polemica e fecero
sapere
la loro opinione sia sull'analisi fatta dal gruppo Dielo Truda, sia sulle proposte concrete
di
riorganizzazione che chiedevano la Plateforme proposta. Fra le molte pagine del
documento, infatti,
quelle che maggiormente suscitarono diverse prese di posizione furono le pagine riguardanti i principi
dell'organizzazione anarchica: tre semplici paginette, nelle quali venivano indicati i quattro presupposti
che Machno e compagni ritenevano fondamentali per una nuova organizzazione, che si proponesse di
evitare gli errori di quelle fino ad allora succedutesi. Di questi quattro principi, i primi tre costituivano
una completa novità (unità teorica, unità tattica, responsabilità
collettiva), mentre il quarto (federalismo)
era in linea con la "tradizione" anarchica, fin dalle origini del movimento come corrente antiautoritaria
e federalista in seno alla Prima Internazionale. Quanto all'unità teorica, la piattaforma
sosteneva che "la teoria è la forza che dirige l'attività degli
individui e delle organizzazioni per una via definita e verso uno scopo determinato. Naturalmente essa
dev'essere comune a tutti gli individui e a tutte le organizzazioni aderenti alla Unione Generale.
(...)". L'unità tattica, altrimenti definita metodo collettivo d'azione, veniva spiegata come
la necessità per tutti
i militanti di "trovarsi in perfetta concordanza tanto tra di loro quanto con l'ideologia e la tattica generali
dell'Unione", rifiutando così l'eventuale coesistenza di diverse tattiche motivate da differenti
situazioni
locali. Sia la analisi della storia e della situazione del movimento anarchico, sia l'affermazione dei
principi di
unità teorica e tattica e di una certa concezione del federalismo si riassumevano nel principio
della
responsabilità collettiva che, pur presentato in maniera fumosa e aperta a varie interpretazioni,
subito
risultò essere la principale "nuova proposta" del gruppo Dielo Truda, il punto
centrale delle successive
polemiche. "L'abitudine di agire sotto la propria responsabilità individuale - sosteneva al
riguardo la piattaforma di
Arscinov - deve essere condannata e respinta all'interno del movimento anarchico. (...) L'organo
esecutivo del movimento anarchico generale - l'Unione Anarchica -, pronunciandosi decisamente contro
la tattica dell'individualismo irresponsabile, afferma fra i suoi membri il principio della
responsabilità
collettiva; per cui tutta l'Unione sarà responsabile dell'attività rivoluzionaria e politica
di ciascuno dei
suoi membri, così come ciascuno dei suoi membri sarà responsabile dell'attività
rivoluzionaria e politica
di tutta l'Unione".
Solidarietà ed autonomia
Prima di esaminare le reazioni del movimento anarchico di fronte al principio della
responsabilità
collettiva ed alla piattaforma di Arscinov nel suo complesso, giova lanciare uno sguardo alla questione
organizzativa, come era stata impostata e risolta in precedenza. Già abbiamo ricordato che il
movimento
anarchico organizzato si costituì nel 1872 (congressi di Rimini e di Saint-Imier) proprio come
federazione della sezione della Prima Internazionale, contrarie all'autoritarismo marxista: e fin dai primi
documenti risulta chiara l'affermazione del principio della autonomia delle sezioni locali, sempre libere
di agire pienamente sotto la propria responsabilità, quindi in piena
autonomia. È pur vero che, accanto al massimo decentramento esistente nell'ala
antiautoritaria della Prima
Internazionale, sussistevano forme organizzative di fatto accentrate e verticistiche nelle
associazioni
(segrete o quasi) promosse da Bakunin per estendere l'influenza antiautoritaria nel movimento autonomo
dei lavoratori (come dimostrano alcuni progetti bakuniniani di statuto). Ma è anche vero che
tutto ciò
era dovuto al persistere in Bakunin di una forte influenza, tipicamente ottocentesca, derivante dalle sette
cospiratrici segrete, ed in particolare dall'esperienza del populismo in Russia. Comunque tali forme
organizzative, se potevano (e possono) essere eventualmente valide in periodo clandestino (ma anche
su ciò abbiamo le nostre forti riserve), non possono assolutamente essere accettate
altrimenti. Tant'è vero che tutta la storia successiva del movimento anarchico testimonia
che caratteristica prima
delle organizzazioni anarchiche è quella di essere quanto più federali e decentrate, con
la massima
autonomia lasciata agli individui ed ai gruppi. Libertà e responsabilità individuale sono
sempre stati
considerati termini indivisibili, ed in questa luce sono stati compiuti i più validi tentativi di
organizzazione
anarchica. Basti pensare, per esempio, al congresso di Capolago (1891), cui parteciparono delegati
di gruppi
provenienti dall'Italia e dall'esilio, ove fu approvato lo "schema di organizzazione" del Partito Socialista
Anarchico Rivoluzionario. Presenti Malatesta, Merlino, Gori, Molinari, Galleani e tanti altri compagni,
fu in quella sede ribadito il principio dell'autonomia dei gruppi, e per rilanciare la presenza anarchica si
stimolò la costituzione di commissioni di corrispondenza regionali, che favorissero il
coordinamento
delle varie attività e l'espansione del "partito" (termine questo che allora coincideva con quello
attuale
di "movimento" e non aveva alcun significato centralizzatore, come ora). Una discussione ben
più
approfondita sulla questione organizzativa caratterizzò la prima parte del Congresso
Internazionale
Anarchico dell'Aia (1907), che vide riuniti compagni provenienti anche dalle Americhe, oltre che da
molti
paesi europei. Uno dei punti sui quali si temeva il Congresso avrebbe potuto arenarsi era quello
dell'opposizione che molti compagni facevano al concetto di organizzazione anarchica, ritenendo che
l'anarchismo fosse per sua natura anti-organizzatore; vi erano inoltre compagni che si rifacevano
all'individualismo anarchico ed ognuna di queste posizioni aveva le sue sfumature, per cui molte ed
apparentemente contraddittorie erano le posizioni degli anarchici di fronte alla questione
dell'organizzazione. Il Congresso avrebbe forse potuto risolversi in sterili contrapposizioni e magari in
accuse reciproche se la questione non fosse stata impostata con chiarezza da Malatesta, il cui lungo
intervento trovò la maggior parte dei compagni consenzienti.
Tutti individualisti
"Gli anarchici sono tutti individualisti - sostenne Malatesta al Congresso dell'Aia -, ma non tutti gli
individualisti sono anarchici. Vi sono infatti due specie di individualisti: gli uni che rivendicano il pieno
sviluppo della libera personalità di ogni individuo, di tutti gli individui; gli altri che vogliono far
dominare
la loro sola individualità. Un individualista di quest'ultima specie è anche lo
czar di tutte le Russie (...).
Se si vuol collaborare in modo pratico, si deve constatare sempre di nuovo di essere costretti a ricercare
la collaborazione di altri individui, non appena la nostra attività vuol prendere una certa
estensione ed
importanza. Naturalmente l'organizzazione degli individui in gruppi e dei gruppi fra loro deve lasciare
completa autonomia a quelli ed a questi. Però non è a credere che la mancanza di
organizzazione
significhi una maggiore garanzia di autonomia per gli anarchici. Spesso è vero il contrario (...)".
La
posizione di Malatesta era dunque quella di un compagno partigiano dell'organizzazione, convinto che
solo organizzati gli anarchici possano essere attivamente presenti nella lotta rivoluzionaria; nel contempo
chiariva sempre che per lui l'organizzazione altro non era che la pratica della cooperazione e della
solidarietà, riaffermando l'inaccettabilità di qualsiasi limitazione "istituzionale"
dell'autonomia dei gruppi
e degli individui. In questo senso, Malatesta stimolava i compagni ad unirsi in gruppi ed in federazioni,
a separarsi quando non c'era una base comune di affinità politica ed organizzativa, accettando
così una
molteplicità di scelte organizzative (e "anti-organizzative"), purché tutte animate dal
desiderio di
contribuire in piena autonomia alla comune lotta anarchica. Le differenze fra individualisti,
anti-organizzatori ed organizzatori potevano essere superate almeno nel momento dell'attività,
non per dare
al movimento (o al "partito", come si diceva allora) un volto forzatamente unitario, soffocando qualsiasi
"dissenso", ma per assicurare la massima efficienza pratica nel rispetto dei basilari principi di autonomia
e libertà organizzativa. Questa esposizione, forzatamente sommaria, della concezione
organizzativa di Malatesta è importante
perché rappresenta con chiarezza la posizione "classica" del movimento anarchico, comune alla
grande
maggioranza dei compagni. Contro questa visione della questione organizzativa si mossero sia gli
individualisti e gli anti-organizzatori più accesi (che spesso mascheravano così la loro
scarsa attività e
la loro intolleranza) sia quei fautori dell'organizzazione che giungevano a contraddire gli stessi
principi-base dell'anarchismo pur di costruire un'organizzazione forte, efficace, strutturata. È
quest'ultimo il caso
del gruppo Dielo Truda, la cui piattaforma organizzativa rappresenta a tutt'oggi la
più completa
esposizione di questa tendenza ultra-organizzatrice, che di tanto in tanto affiora nel
movimento. Ciò fu ben compreso fin dal 1927, e le polemiche risposte di Fabbri, Nettlau,
Berneri, dell'Adunata dei
Refrattari, di Volin, di altri compagni e soprattutto di Malatesta alla piattaforma di Arscinov
testimoniano l'immediata reazione di rigetto dei settori più attenti del movimento anarchico di
fronte a
simili proposte. Per limitarci alla questione della responsabilità collettiva, Malatesta la
respinse come un'assurdità,
inesistente ed inconcepibile. "La responsabilità morale (poiché nel nostro caso non
può trattarsi che di
responsabilità morale) è individuale per sua natura. Soltanto lo spirito di dominazione,
nelle sue diverse
manifestazioni politiche, militari, ecclesiastiche, ecc. ha potuto ritenere responsabili gli uomini di
ciò che
questi non hanno fatto volontariamente (...)".
Da Arscinov ai G.A.A.P.
Più che la discussione teorica, ci interessa qui seguire gli sviluppi pratici della piattaforma
di Arscinov.
Veri sviluppi, in realtà, non ci furono, poiché l'organizzazione proposta dal gruppo
Dielo Truda rimase
sempre sulla carta, continuamente respinta dai compagni e dai gruppi più influenti. Quando poi
nel 1933
Arscinov, dopo aver incessantemente difeso la "sua" piattaforma, abiurò pubblicamente
l'anarchismo e
passò al bolscevismo, la credibilità delle sue proposte calò ulteriormente. La
piattaforma venne
accantonata, e per un po' non se ne parlò più; anche se, a voler essere precisi, alcuni
motivi che la
ispirarono ed alcune soluzioni suggerite da Machno e compagni vennero fatte proprie da alcuni
movimenti, ed in particolare da quello spagnolo nelle ultime fasi della rivoluzione sociale del 1936-'39
(con conseguenze gravi e molto discutibili). Solo nel secondo dopoguerra, comunque, vi fu qualche
"nuovo" tentativo di strutturare rigidamente il
movimento anarchico, e come già per la piattaforma di Arscinov e per altri tentativi consimili,
la
proposta di "solida" riorganizzazione era accompagnata da un'analisi politica di derivazione marxista,
da un'acritica esaltazione per la lotta di classe, per il ruolo "dirigente" che doveva competere
all'organizzazione anarchica nel movimento dei lavoratori, ecc. In Italia più di un tentativo in
tal senso
abortì, o visse una breve e poco brillante esistenza: ben superiore per durata e per
qualità fu l'esperienza
dei Gruppi Anarchici d'Azione Proletaria (G.A.A.P.), che dalla fine del 1949 si protrasse al 1956-'57.
Senza qui ripercorrere la parabola dei G.A.A.P. - partiti come gruppi dissidenti all'interno della
Federazione Anarchica Italiana, costituitisi in un "movimento orientato e federato" e finiti, dopo
successivi cedimenti, all'unità d'azione con alcuni gruppi leninisti, nei quali confluirono molti dei
"gaapisti" - interessa qui sottolineare alcune posizioni ideologiche dei G.A.A.P., significativamente
contemporanee alle loro scelte organizzative para-arscinoviste. "Non si entra né si resta nella
storia se
non rappresentando una realtà di classe": così già nel 1949 la dissidenza
ultra-organizzatrice cominciava
a chiarire il suo orientamento ideologico, che in seguito fu corroborato da molteplici citazioni marxiste,
oltre che da assurde forzature del pensiero dei "classici" dell'anarchismo. L'approvazione della
responsabilità collettiva, la decisione di partecipare (come anarchici!) alle elezioni politiche,
l'interesse
per i problemi del "periodo transitorio", il rifiuto del tradizionale antistatalismo anarchico (veniva
auspicata "la liquidazione dello stato come apparato di classe", formula quanto meno confusa ed
equivoca), tutti questi sono alcuni dei passi che successivamente hanno percorso alcuni dei più
attivi
militanti dei G.A.A.P., seguendo le orme di Arscinov: dall'anarchismo piattaformista al
marxismo-leninismo. Dalla fine ingloriosa dei G.A.A.P. ad oggi non vi sono più stati
tentativi così consistenti di dare al
movimento anarchico una base ideologica strettamente comune a tutti i militanti ed una conseguente
organizzazione rigidamente strutturata: nel contempo però si sono rifatte di tanto in tanto vive
forze
tendenti a seguire le orme dei piattaformisti, senza successo. È indubbio che il periodico
ripresentarsi di tendenze ultraorganizzatrici può essere considerato come una
reazione alla mancanza di cooperazione e di coordinamento che talvolta ostacola la crescita del
movimento. Ma l'esperienza storica dimostra che anche le soluzioni ultraorganizzatrici agiscono nel
medesimo senso. Recentemente, nei movimenti anarchici di lingua francese ed italiana, più di
un gruppo
ha "riscoperto" la piattaforma di Arscinov, e la polemica si è riaccesa sulle questioni della
responsabilità
individuale e collettiva, del rapporto maggioranza-minoranze, dei legami fra organizzazione specifica
e lotta di classe, del gruppo d'affinità e territoriale, del pluralismo e dell'omogeneità
teorica, ecc.... Il
meno che ci possiamo augurare è che queste discussioni si basino anche sull'esperienza storica
dell'anarchismo, ad evitare che, se veramente si vogliono trovare nuove più efficaci strade, si
ripercorrano vie già battute infruttuosamente in passato.
Camillo Levi
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