Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 3 nr. 24
ottobre 1973


Rivista Anarchica Online

Burocrazia in Kaki
di R. D. L.

Funzione, struttura, ideologia, potere dell'apparato militare italiano

È opinione diffusa che, dalla fine della seconda guerra mondiale, si stia sviluppando in tutto il mondo una "rinascita militare", un'importanza crescente delle forze armate nell'amministrazione del potere. Tale importanza, ovviamente, non si manifesta in modi uguali in ogni parte del mondo. Alle diverse realtà economiche, politiche, storiche, ecc., corrispondono diversi gradi e forme di questa "escalation". Le due forme principali, tuttavia, con cui si afferma il potere dei militari sono, schematizzando, la gestione diretta (in esclusiva o a mezzadria con i "civili") del potere politico a seguito di un colpo di stato (o di una minaccia di colpo di stato) e la partecipazione indiretta al potere politico attraverso la formazione di un centro di potere economico che vede strettamente uniti l'apparato militare ed importanti settori industriali (il cosiddetto "complesso militare-industriale" o military-industrial complex). La prima forma, diciamo tradizionale, è attualmente tipica dei Paesi del terzo mondo (cioè dei Paesi sottosviluppati o in via di sviluppo). La seconda forma, recente, è tipica dei Paesi industriali avanzati (cfr., su A 23, Il potere militare, di E. Cipriano).
L'importanza e l'estensione del fenomeno giustificano pienamente l'interesse che hanno finalmente suscitato in Italia le forze armate, un interesse che tende a stabilire se anche in Italia è in atto una escalation del potere militare. Dato che l'Italia, accanto a caratteri (prevalenti) socio-economici tipici di un Paese industriale avanzato, presenta aspetti (minori ma non trascurabili) di un Paese in via di sviluppo, sono in teoria possibili entrambe le forme di escalation del potere militare su accennate.
È necessario quindi sia quantificare l'incidenza delle forze militari (potenziale umano, armamenti, incidenza sulle spese pubbliche), sia qualificare il loro peso politico ed economico nella nostra società, per vedere se le forze armate italiane si muovono in una prospettiva di maggiore potere.

un dinosauro erbivoro

Le dimensioni dell'esercito italiano (e vi comprendiamo anche l'aviazione e la marina militari), comparate a quelle delle altre potenze mondiali, portano a credere che il nostro sia un esercito tra i più potenti del mondo. Qui di sotto riportiamo il totale degli uomini in armi nei paesi con gli eserciti più ricchi di soldati: (cifre del 1967)

UNIONE SOVIETICA 3.375.000
CINA (valutaz. americana) 2.880.000
STATI UNITI 2.391.000
INDIA 960.000
COREA DEL SUD 634.000
FORMOSA 500.000
FRANCIA 500.000
GERMANIA OCC. 467.000
ITALIA (esclusi i carabinieri) 427.600
GRAN BRETAGNA 372.000
ISRAELE 77.000

Queste cifre testimoniano che l'Italia è fornita di uno dei più consistenti eserciti, almeno numericamente. Tuttavia per una giusta valutazione di questa forza numerica è necessario comparare queste cifre alla tabella delle spese militari, delle maggiori potenze (nel 1971, in milioni di dollari):

STATI UNITI 78.743
UNIONE SOVIETICA 55.000
CINA (valutaz. americana) 8.000
GRAN BRETAGNA 6.333
GERMANIA OCC. 5.961
FRANCIA 5.202
ITALIA 2.651

A questo punto i nodi vengono al pettine, infatti l'Italia ha numericamente una forza simile alla Germania Occ., alla Francia e alla Gran Bretagna, tuttavia pur rientrando nel novero delle nazioni con un'alta spesa militare, il suo distacco dalle altre nazioni sopra citate mette in evidenza una delle più grosse contraddizioni dell'esercito italiano, e cioè il mantenimento di un grosso esercito con una spesa, in proporzione, largamente insufficiente.
Questa contraddizione trova origine nell'immediato dopoguerra, quando le pressioni statunitensi (e i loro aiuti gratuiti) indirizzarono verso un esercito italiano che contasse un potenziale umano vasto, con un armamento bellico insufficiente a fini bellici, ma pienamente soddisfacente per qualsiasi tentativo insurrezionale interno. Ciò che gli americani chiedevano in cambio dei loro aiuti (stanziarono 1.300 miliardi nel decennio 1948-1958) era la stabilità politica in Italia. Decresciuti nel decennio successivo gli aiuti militari americani, si liquidarono ben cinque divisioni di fanteria, ma globalmente il problema non è stato risolto. Ancora oggi ci troviamo di fronte ad un esercito troppo vasto perché possa essere mantenuto in condizioni di efficienza. Tranne alcuni reparti specializzati: la quasi totalità delle forze armate non è affatto armata, sempre per quanto riguarda un'ipotesi di guerra. È questo un dato importante per una esatta valutazione dell'esercito e della sua potenza come forza militare: in realtà ci troviamo di fronte ad un dinosauro "erbivoro", ad una macchina militare assolutamente inefficiente per i compiti alla quale è ufficialmente preposta, cioè la difesa militare del territorio nazionale. Parlando in termini di bilancio, il 65% dei 2.294.480 milioni stanziati dallo Stato per la Difesa nel 1973, vanno in spese per il personale, mentre solo il 26% è stanziato per il mantenimento e il funzionamento dei reparti. In realtà la maggior parte dei reparti esistenti non ha alcuna giustificazione bellica, ed anche i pochi reparti meglio attrezzati (tutti integrati nella NATO) soggiacciono ad una generale inefficienza.
L'equipaggiamento bellico dell'esercito italiano non è però soltanto carente in termini di quantità, ma anche di qualità, le divisioni corazzate e la fanteria hanno un armamento in ritardo di 10-15 anni rispetto ai francesi e ai tedeschi, ancora maggiore rispetto alle altre grandi potenze. Per quanto riguarda i carri, quello base dell'esercito italiano è l'M 47, vecchio di vent'anni e ampiamente superato. Nel 1964 negli Stati Uniti impongono l'acquisto del carro M 60, un carro con notevoli difetti di costruzione (come ad esempio la sua intrasportabilità sulle strade ferrate italiane), che lo rende utilizzabile solo nei luoghi di stanza. Appare chiara la sua scarsa utilizzazione bellica e la sua naturale destinazione per fini di repressione interna. Ultimamente sono stati ordinati anche 800 esemplari del carro tedesco Leopard che, quando sostituirà i carri precedenti, sarà ormai vecchio di 12 anni.
Non molto dissimile è la situazione dell'aeronautica, dove l'aereo base è lo Starfighter F 104, di uso abbastanza limitato ma con fabbricazione su brevetto americano e per questo "scelto" dall'aviazione italiana; l'altro aereo base è il FIAT G. 91, un aereo vecchio, ormai idoneo solo all'antiguerriglia e che tuttavia si continua a costruire. Peggiore in assoluto è la situazione della Marina: scarsezza e antichità dei mezzi in uso provocano un continuo ridimensionamento delle sue strutture. Ridimensionamento che però non tocca i ventimila operai occupati in arsenali talmente pietosi, che ogni costruzione di qualche valore viene commissionata ai cantieri civili.

l'esercito polizia

Questo breve quadro della potenzialità bellica dell'esercito italiano dimostra che la maggior parte delle spese di bilancio della Difesa è dedicata al mantenimento di un personale eccessivo e di una vastissima rete di comandi, magazzini, impianti, uffici, depositi che non rivestono importanza militare. Viene logico domandarsi a che serve il mantenimento di un esercito così vasto, così costoso e così inefficiente, quando l'eventualità di una guerra "vecchia maniera" o di un conflitto atomico è assolutamente impensabile per l'Italia. In realtà il ruolo che svolge l'esercito italiano oggi, dietro la labile facciata della difesa nazionale, è un ruolo di conservazione e stabilità politica. Le forze armate oggi sono un enorme apparato burocratico costosissimo ed inutile, una burocrazia privilegiata che non produce, ma che amministra una parte notevolissima del reddito pubblico quasi completamente spesa per il suo mantenimento. Tuttavia ha ancora una sua funzione sociale specifica alla sua essenza di forza armata, questa funzione è l'uso dell'esercito come forza di polizia, nei casi di emergenza. In questo compito affidato alle forze armate, ritroviamo una continuità storica ed una subordinazione ai voleri degli Stati Uniti nella strategia militare della NATO, per l'Europa.
Già nel 1950, dopo il fallimento da parte delle sinistre di democratizzare l'esercito, l'allora ministro della Difesa, Pacciardi, con una circolare ministeriale, integrativa di un precedente regolamento dello stesso anno, prevedeva minuziosamente tutte le possibili utilizzazioni dell'esercito come forza di polizia e ne regolamentava il comportamento, aggiungendo anche che "ad evitare incertezze, disorientamenti e sorprese, l'impiego e l'intervento delle truppe in OP (ordine pubblico) è considerato e studiato in "piani locali" (...). In realtà ai suddetti piani locali il Comandante militare territoriale terrà aggiornato un "piano generale" di impiego per tutte le truppe del territorio. Si vede qui, che l'utilizzazione dell'esercito come polizia non è soltanto previsto, ma regolamentato e istituzionalizzato. Tuttavia si deve notare che se è raro l'uso dell'esercito in servizio di OP, questo va spiegato non tanto da una relativa pace sociale o da un pudore statale ad usare forze repressive; piuttosto il motivo va trovato nelle ingentissime forze di polizia, comprendenti PS e Carabinieri (più di 200.000 uomini) che fino ad oggi sono state sufficienti a garantire la repressione in Italia. (Gli unici casi recenti di utilizzazione delle forze armate si sono avuti negli anni '60 a Bolzano, nel quadro della lotta contro il terrorismo sud-tirolese e nel 1970 a Reggio Calabria, quando si andava delineando un protrarsi dell'agitazione).
A parte l'eventualità dello scontro fisico diretto, l'utilizzazione dell'esercito in funzione di polizia si manifesta come forza di retroguardia, ad esempio fornendo alla polizia una serie di servizi logistici e tecnici, per il trasporto di truppe e materiali, o per l'impianto di una rete di trasmissioni. Inoltre, per alleggerire il compito delle forze di polizia, l'esercito si occupa di presidiare edifici pubblici e militari (carceri, municipi, ecc.) e svolge un'azione di crumiraggio in occasione di scioperi di servizi pubblici (treni, tram, gas, elettricità, telefoni, ecc.).

mille generali

Sopra, citando le forze di polizia, abbiamo annoverato anche l'Arma dei Carabinieri (che in realtà è integrata nell'esercito) e, viceversa, quando abbiamo dato il totale degli uomini alle armi in Italia, la cifra è stata data escludendo i carabinieri. Questa scelta è dovuta ai compiti peculiari che svolge l'Arma dei Carabinieri, che sono compiti di polizia sia nei rapporti con la società, sia negli stessi quadri dell'esercito. Tuttavia, anche considerando la possibile utilizzazione dell'esercito, in servizio di OP, non si riesce a spiegare la sopravvivenza stentata ed inutile di un esercito così vasto e disorganizzato. Abbiamo già prima accennato alle ingerenze statunitensi del dopoguerra nella ricostruzione delle forze militari italiane, ma vi sono ragioni proprie allo sviluppo storico dell'esercito in Italia che ne spiegano le dimensioni considerevoli. Le radici storiche di questa elefantiasi vanno ricercate sin dalla costituzione delle forze armate italiane, nello sviluppo di questa burocrazia privilegiata, di questa casta. All'interno di questa struttura i capi militari avevano potere assoluto ed instaurarono una prassi tipica della vita italiana: il nepotismo militare. Questa tendenza si manifestò ancora più chiaramente durante il fascismo, che lasciò la massima libertà di decisione ai capi militari per le questioni interne. Si ebbe così una moltiplicazione di generali, ammiragli, ufficiali superiori che portavano alla formazione di divisioni fantasma per assicurare un posto di prestigio sociale e laute prebende. Ancora oggi il numero di ufficiali degli alti gradi è enormemente superiore a quello stabilito dalle stesse regole militari (invece dei 327 stabiliti per legge, ve ne sono ben 1.063). Pur avendo l'esercito italiano 4 Corpi d'Armata, conta 44 generali di Corpo d'Armata; per le 7 divisioni può disporre di 85 generali di divisione e così via in questa paradossale sfilza di burocrati inutili e costosi.
Naturalmente non mancano gli studi e le proposte per una ristrutturazione dei ranghi militari. Da una parte i tecnocrati spingono per la formazione di un esercito professionale, più piccolo di quello attuale, ma assolutamente efficiente; una piccola parte di militari, quasi tutti in pensione, parlano di una ristrutturazione dell'esercito, senza vistosi cambiamenti (si potrebbe tentare, ciò che è stato fatto per i burocrati in sovrappiù dei servizi civili dello Stato, pensione volontaria notevolmente aumentata). Tuttavia non è difficile immaginare come tutti i capi militari in servizio attivo rifiutino queste proposte restrittive al loro potere assoluto all'interno della struttura militare e continuino a coprire col comodo paravento del "segreto militare" tutto ciò che ad una verifica seria si dimostrerebbe come inutile.
Finora abbiamo posto in evidenza due dei tre ruoli che le forze armate svolgono oggi in Italia. Il primo è il mantenimento di un potente apparato burocratico, che vive una vita autonoma, uno stato nello stato, con sporadici controlli politici e che tuttavia attinge dal bilancio nazionale con una percentuale che non è mai stata inferiore al 21% (a titolo comparativo la percentuale del bilancio spesa per la voce istruzione è del 23%). Una burocrazia che non deve rendere conto a nessuno della sua amministrazione e della sua strutturazione interna. Il secondo ruolo è la sua utilizzazione in funzione di OP, di difesa delle istituzioni nazionali contro il "sovversivismo". Terzo di questi ruoli che oggi svolge l'esercito, e non certo ultimo in ordine di importanza, è la funzione antipedagogica. Almeno la metà dei giovani soggiace alla chiamata obbligatoria, circa 250.000 entrano ogni anno nelle caserme per subire un bombardamento a tappeto dei principi "etici" dello stato, la prova del fuoco prima di essere iniziati alla vita sociale da adulti.

scuola di ingiustizia

La leva militare è una sublimazione dell'educazione scolastica, una dose urto dei principi che sin dall'infanzia vengono propinati per formare il "buon cittadino": obbedienza acritica, divisione in caste, gerarchia, autorità, repressione. La vita di caserma riproduce in piccolo, ma con contrasti più violenti, la struttura della società. Chi non supera lo shock dell'ineducazione ricevuta nella caserma difficilmente si ribellerà alla società ingiusta, autoritaria, gerarchica: l'autorità, la gerarchia, la divisione in classi non sono più sentite come forme oppressive, ma piuttosto come l'essenza dell'ordine. È evidente l'importanza che svolge in questo senso la leva obbligatoria e il motivo per cui questo mastodontico apparato militare non viene smantellato e reso più efficiente. Naturalmente l'ineducazione dell'esercito non viene impartita alla cieca; difatti ben diverso è il trattamento che ricevono i giovani provenienti dalle classi lavoratrici e i giovani delle classi agiate. I primi, che solo raramente riescono a sottrarsi alla leva, compongono la truppa e vengono direttamente colpiti dalla propaganda statale per i 15 mesi di permanenza (24 per la marina). I secondi, che facilmente riescono a sottrarsi a questo obbligo, fanno parte dei quadri ufficiali e trascorrono ben diversamente il periodo di naia.
Che la funzione prima della leva obbligatoria sia questa attività antipedagogica e non la preparazione militare appare anche evidente dal ridottissimo bagaglio di conoscenze militari con cui vengono rispediti a casa i soldati di leva. Obiettivamente gli armamenti in dotazione all'esercito non consentono una preparazione adeguata e nemmeno sufficiente. Per esempio nella marina militare, la leva militare è più lunga, si dice, per permettere una affinità tra il richiamato e la vita di mare; tuttavia più della metà dei marinai le navi le vede solo da lontano e lavora negli uffici di terra.

stato nello stato

Ritorniamo al problema che ci eravamo posti in apertura d'articolo: esiste in Italia un "potere militare" ed eventualmente in quali forme si è sviluppato? Dopo la costituzione della Repubblica Italiana i rapporti tra forze armate e potere politico (che equivale a dire l'ininterrotto governo della Democrazia Cristiana) sono stati dei migliori. Vi è infatti una identità di vedute fondamentali tra esercito e DC nella conduzione politica dell'Italia. In realtà è inesatto accusare di fascismo tutti gli alti ufficiali delle forze armate, essi oggi sono nella maggioranza benpensanti di destra e trovano nella conduzione democristiana del potere una soddisfacente rispondenza alle loro esigenze. Accanto a queste affinità politiche, è importante per l'equilibrio tra forze armate e DC il compromesso raggiunto sulla non ingerenza reciproca nelle rispettive sfere di potere. Non a caso il potere politico ha abdicato alle sue prerogative costituzionali, in tal modo infatti si è assicurato l'appoggio delle forze armate rendendoli compartecipi al potere.
Abbiamo già detto precedentemente che le forze armate costituiscono, con la loro autonomia, uno stato nello stato. Esse hanno infatti particolari regole di vita, una serie di servizi che le rendono in larga misura autosufficienti (anche a discapito della logica e dell'utilità) ed un'amministrazione interna scevra da ogni controllo esterno. Ancor più grave è il mantenimento di una amministrazione della "giustizia" e di un codice militare portante. Il codice militare è, ancor più di quello ordinario, un codice dell'arbitrio, dell'ineguaglianza, specchio delle assurdità della vita militare e della repressione violenta contro ogni forma di critica. Alcuni esempi bastano a dare la misura dell'arbitrio, mascherato malamente da giustizia: la difesa ha, rispetto alla sua forma civile, possibilità ridottissime di parola e di azione; una stessa offesa, rivolta da un inferiore ad un superiore è punita più severamente che nel caso inverso, in spregio dell'affermazione costituzionale che tutti i cittadini sono uguali, e così via. Il ciclo dell'amministrazione della giustizia in mano ai militari si chiude con il privilegio delle forze armate di avere carceri militari non sottoposti ad alcun controllo pubblico: ricordiamo Gaeta, Peschiera, Forte Boccea già note per le accuse di maltrattamenti da parte degli internati.
Nell'attuale situazione non vi è quindi dissidio tra potere politico e potere militare, ma convivenza e connivenza. Tuttavia non possiamo escludere a priori che le forze armate tendano ad aumentare ed estendere il loro potere, insoddisfatti dalla loro posizione di "burocrazia privilegiata". Uno studioso delle forze armate ha affermato che un putsch è cosa troppo seria per pensare che il potere politico ed economico italiano lo possa affidare all'esercito. È un'implicita affermazione che oggi le forze armate hanno trovato una loro ragione d'essere soddisfacente nella parassitizzazione della società e soprattutto non hanno trovato un modo di uscire dall'impasse di essere un apparato militare inutile. Inoltre la particolare natura burocratica delle forze armate, unitamente al carrierismo, le ha frantumate in molti particolarismi, all'interno delle tre armi e all'interno di ogni arma. L'esempio più clamoroso di questa attitudine delle forze armate italiane lo possiamo ritrovare nel ventennio fascista, quando la preparazione alla guerra si attuò nell'ignoranza completa di un piano comune, priva di ogni coordinamento, con i risultati tragici che tutti conoscono.
Oggi, questo particolarismo è ancora presente e i legami con il principale gruppo di potere politico, la DC, lo rendono ancora più frantumato per gli stessi particolarismi che esistono all'interno della Democrazia Cristiana.

un golpe all'italiana

Nel 1966, ad esempio, il democristiano Moro difese calorosamente il gen. De Lorenzo come "antifascista" (sic!) promuovendolo capo di stato maggiore dell'esercito, scontrandosi acerrimamente con il democristiano Andreotti che combatteva De Lorenzo, non perché naturalmente diffidasse del suo "antifascismo", ma perché non era un suo uomo. Non a caso abbiamo citato il nome di De Lorenzo: il suo ricordo è legato ad uno dei pochi tentativi di golpe militare in Italia, avvenuto nel 1964. Tuttavia la prima precisazione necessaria è che De Lorenzo era generale dell'Arma dei Carabinieri. Questa quarta Arma, piuttosto che le tre forze armate, è un pericoloso focolaio di infezione reazionaria. Tanto disorganizzato è l'esercito, tanto è efficiente invece l'Arma dei Carabinieri, con i suoi 80.000 effettivi dislocati strategicamente in tutta la penisola, con la sua organizzazione accentratissima ed armata in modo soddisfacente. Ad essa sono infatti affidati compiti molto importanti, ad esempio il controspionaggio, oltre alla sua normale attività di polizia. Vi è anche un altro elemento che la fa preferire per le tentazioni golpiste e cioè la sua compattezza ideologica, nettamente superiore a quella dell'esercito, dai vertici alla base. Nelle forze armate che si basano sulla leva obbligatoria, per quanto importante sia la sua attività antipedagogica, è un'incognita la risposta che può venire dai 250.000 giovani di passaggio in questa istituzione.
Il colpo di mano, progettato dal generale De Lorenzo nel 1964, è probabilmente il modello ideale di come può essere condotto un putsch in Italia: non dalle altre tre armi, ma dai Carabinieri; non per assicurarsi il potere assoluto, ma piuttosto per dividerlo con chi già lo detiene, l'Arma avrebbe svolto il ruolo di punta di diamante per una svolta maggiormente autoritaria dello Stato. Tuttavia questo, come gli altri tentativi di golpe, non vennero a conoscenza degli italiani che dopo molto tempo e per caso: lo stesso potere politico li faceva rientrare, senza scosse per l'opinione pubblica, perché convinto, a ragione, che per ora la stabilità politica in Italia è una realtà solida. Escludendo quindi la possibilità di aspirazioni golpiste nell'esercito (eccezione fatta per l'Arma dei Carabinieri, che consideriamo forza di polizia), eliminiamo anche l'ipotesi "terzomondista" che avevamo prospettato all'inizio.

esercito e industria

Le forze militari italiane oggi non si muovono nella prospettiva di diventare un "centro di potere". Il problema da considerare è piuttosto il procedimento che abbiamo indicato come tipico alle società avanzate, cioè una scalata all'interno del sistema per guadagnarsi spazi più ampi di potere rispetto a quelli attuali. Intendiamo con questo riferirci a quel fenomeno che è chiamato "military-industrial complex". La nascita del "complesso militare-industriale" è posta dall'economista statunitense Galbraith, nella necessità dell'apparato militare di acquistare continuamente armi e di sviluppare la ricerca tecnologica per il loro miglioramento e nell'interesse dello stato alla stabilità e alla espansione dell'economia e quindi alla pianificazione industriale. La convergenza di questi due interessi trova riscontro nella stessa industria, di cui uno dei maggiori e più costanti clienti è proprio la Difesa. La stessa industria ha quindi interesse allo sviluppo del settore militare, tanto quanto ne hanno le autorità militari. Si arriva quindi ad una collaborazione stretta fra industria e organismi militari, ad "un processo di formazione delle decisioni" tra le due parti interessate, alla ricerca congiunta, ad una stretta collaborazione che porta ad una tale importanza del blocco militare-industriale da poterne parlare in termini di "centro di potere decisionale" all'interno della società.
Se questa è la situazione statunitense (e verosimilmente delle altre "grandi potenze" mondiali), è necessario chiarire se un fenomeno di questo tipo è in atto anche in Italia. Abbiamo visto che come quantità e qualità degli armamenti, l'esercito italiano è veramente carente e scadente; tuttavia, anche se con ritmi più lenti e spese più basse, le forze armate italiane soggiacciono alla legge del continuo rinnovamento tecnologico delle armi che, sulla scia delle frenetiche ricerche da parte delle grandi potenze, divengono ben presto obsolete. Intorno ai trecento miliardi di lire sono state calcolate le commissioni delle forze armate all'industria per il proprio rinnovamento tecnico. Questo continuo acquisto da parte della Difesa di armi, consente alle industrie belliche nazionali, che non hanno la possibilità come quelle americane di smerciare i loro prodotti nelle guerre in corso, di vendere anche esse a ritmi sostenuti. È anche da dire che lo Stato è, per gli industriali italiani, un ottimo compratore, non solo per la domanda costante di materiali, ma anche perché poco esigente per la qualità dei prodotti. Particolarmente importante è la richiesta continua delle forze armate nel settore aeronautico, dove sono praticamente l'unico compratore, ma notevole è il suo peso economico anche nel campo dell'industria meccanica ed elettronica. Per quanto riguarda le costruzioni navali, abbiamo visto che le poche ordinazioni importanti vengono commissionate ai cantieri civili.
I maggiori rapporti commerciali sono con la FIAT, che ha un'intensa produzione bellica: aeronautica, dove si è assicurata la produzione dei due aerei base (uno con brevetto USA) e nella costruzione dei carri armati e dei mezzi di trasporto blindati. Di notevole importanza è anche la collaborazione che si è venuta a creare tra organismi militari e industria nel campo delle applicazioni militari dell'energia nucleare. L'organismo militare che si occupa di queste ricerche è il CAMEN (Centro Applicazioni Militari dell'Energia Nucleare), di cui si sa ben poco dato lo stretto segreto militare che lo circonda. Tutte le ricerche di questo organismo sono sotto la stretta sorveglianza degli Stati Uniti, fornitori del reattore usato nel centro, che controllano l'uso che viene fatto del materiale nucleare. Infatti l'esercito italiano può utilizzare l'energia nucleare per costruire, ad esempio, navi e sommergibili a propulsione nucleare, ma non può costruire missili a testate nucleari. Attualmente il CAMEN è diventato il più importante centro di incontro tra le autorità militari e i complessi industriali per le ricerche congiunte in questo settore, ha infatti iniziato una stretta collaborazione prima con l'ENI, poi anche con la FIAT.
Nonostante un volume di rapporti considerevole, dobbiamo sottolineare che la particolare situazione dell'esercito italiano all'interno del Patto Atlantico, ha relegato l'industria bellica nazionale ad un ruolo secondario, facendola rinunziare a forme originali di produzione. Inoltre data la sua portata globale limitata, i costi di produzione sono considerevolmente più alti (20%-25%) di molte industrie estere. Esistono quindi legami e collaborazioni tra organismo militare e industria, si può tuttavia parlare di un complesso industriale-militare in Italia? Da una parte vi sono gli organismi congiunti, come il CAMEN, che indicano come i rapporti tra industria ed esigenze militari non sono più rapporti episodici e frammentari, che esiste indubbiamente una volontà di incontro e di collaborazione. In questo senso si sono avute testimonianze a livello governativo, riscontrabili in alcune dichiarazioni del democristiano Pintus e nella costituzione di un organismo interministeriale (Difesa-Industria) per la collaborazione e la programmazione unitaria dei due organismi. Si tratterebbe comunque di un complesso in fase ancora natale, che non ha assolutamente le dimensioni e l'importanza del modello statunitense.
Tuttavia la situazione italiana è fondamentalmente diversa da quella statunitense. La partecipazione italiana alla NATO mette una pesante ipoteca ad uno sviluppo di un complesso autonomo in Italia. Tutti gli armamenti più importanti l'Italia è costretta a comprarli dalle industrie USA, o quanto meno su brevetto americano. L'Italia è uno dei principali mercati bellici per gli USA e difficilmente questi rinunceranno al loro predominio per favorire lo sviluppo di un'industria nazionale italiana. Al contrario degli USA, che praticamente vivono dal 1940 in un'economia di guerra, l'esercito italiano abbiamo visto spende per il proprio riarmo solo il 26% del bilancio annuale e per limiti imposti dalla stessa NATO non può avere un superarmamento da grande potenza come i missili a testata nucleare. Inoltre il ruolo che svolgono le forze armate all'interno di questi due paesi è completamente diverso. Negli USA la struttura militare è una struttura tecnocratica, in Italia è una organizzazione burocratica; negli USA l'esercito ha finalità ed addestramento per guerre imperialiste, in Italia è una forza di repressione interna.
Parrebbe quindi di poter escludere, per la realtà italiana al presente e nel prossimo futuro, una crescita significativa del potere militare nella forma del military-industrial complex, a meno che la struttura dell'esercito italiano e la sua sudditanza nei confronti dell'industria bellica statunitense non vengano modificate. L'esercito italiano ci sembra per ora destinato a rimanere essenzialmente uno strumento del potere politico ed economico più che una componente del potere stesso e le gerarchie militari destinate a rimanere una categoria privilegiata od al più un gruppo di pressione più che un centro di potere vero e proprio.

R. D. L.

L'esercito italiano nella NATO

Nel tracciare un quadro generale della situazione e della storia delle forze armate italiane dopo il secondo conflitto mondiale, non si può tralasciare un aspetto fondamentale della sua esistenza, cioè l'appartenenza alla NATO.
La costituzione di questo organismo militare internazionale risale al 1949. Con un programma su una politica di ricostruzione europea esso si consolidò nel clima terroristico scatenato dalle grandi potenze mondiali sul pericolo di una guerra totale tra i due blocchi che si erano formati. In breve, la presenza del colosso americano spostò il centro di potere ad ovest, tanto che oggi, a vent'anni di distanza, si può parlare della NATO come dell'organizzazione militare degli Stati Uniti.
La politica perseguita, dalla fine della guerra fino ad oggi, dalla NATO è facilmente riconducibile alle varie fasi che hanno caratterizzato la politica estera statunitense. Dalla costituzione al '57 si sviluppa il "maccarthismo", sostenuto dal presidente Eisenhower: è il periodo della "guerra fredda" e del possibile pericolo di un nuovo conflitto. In questa fase la risposta americana a qualsiasi "provocazione rossa" sarebbe stata la guerra atomica. Gli U.S.A. non diedero fiducia, durante questo periodo, ai loro alleati NATO, l'organizzazione militare europea svolgeva solo la funzione di base di appoggio alle forze armate statunitensi.
Superata questa fase critica nei rapporti internazionali, si giunse alla "risposta flessibile e controllata" al periodo del dialogo, anche se non ancora alla distensione. Vari furono i motivi che portarono a questa svolta nella politica U.S.A.: il kennedismo in campo politico e il nuovo indirizzo intrapreso in campo economico dal complesso militare-industriale americano. Fu appunto in questa nuova ottica che l'interlocutore europeo della NATO acquistò una nuova importanza; infatti poteva svolgere non solo la funzione di appoggio militare, ma anche di mercato per l'industria bellica statunitense. Lo sviluppo in questa direzione del Patto Atlantico, ha portato Nixon ad affermare, nel 1969, che la NATO è oggi "il migliore investimento di azioni americane all'estero".
Globalmente possiamo dire che nel primo decennio di NATO, la politica U.S.A. si è servita delle basi europee come appoggio e puntava soprattutto alla stabilità politica interna dei paesi satelliti in senso filoamericano. A questo proposito affidava alle forze armate europee, piuttosto che finalità belliche (che era capace di sostenere da sola) finalità di repressione interna. Nel secondo decennio, gli U.S.A., avviato il dialogo con l'Est e sicuri del loro predominio in Occidente, si sono volti ad una infiltrazione economica all'Europa attraverso la NATO, con la massiccia vendita di materiale bellico.
I rapporti tra l'Italia e la NATO seguono anch'essi queste linee generali, con un tocco superiore di sottomissione e obbedienza.
Il maggiore artefice dell'entrata dell'Italia nella NATO è stata naturalmente la DC. A questo proposito è emblematica una frase di De Gasperi per capire in che modi la DC è riuscita nei suoi intenti: "non esistono promesse di basi militari". Attualmente sul territorio italiano esistono 18 basi NATO, più altre basi aeree e 300.000 ettari di terreno incatenati dalle servitù militari.
Ma non sono indubbiamente questi gli aspetti peggiori dell'Alleanza Atlantica. Conseguentemente con i piani voluti dal potere U.S.A., l'esercito italiano ha accettato una sua esistenza subordinata a quella delle forze armate statunitensi. Ha accettato la direttiva americana che ne faceva prima una polizia interna, poi un acquirente forzato dei prodotti bellici statunitensi. La sottomissione delle forze armate italiane al potere U.S.A. si dimostra non solo nel comprare materiale bellico, ma soprattutto nel comprare quei prodotti e quei modelli indicati dagli stessi americani. Se infatti lo stato è un buon compratore per le industrie nazionali italiane, perché è il meno esigente (e il più facile da imbrogliare), l'Italia svolge lo stesso ruolo nei confronti degli Stati Uniti. Alcuni esempi tra i più clamorosi sono stati gli acquisti dello Starfighter nell'aviazione e dei carri M 60 per le divisioni corazzate. Entrambi, che erano prodotti americani che non avevano avuto successo sul mercato per dei difetti di costruzione e che erano stati rifiutati anche da altri paesi europei membri della NATO, sono stati invece ordinati massicciamente dall'Italia è ancora oggi vengono acquistati.
Al momento attuale l'Italia non è più strategicamente importante per gli Stati Uniti: un valore reale lo ebbe una decina di anni fa quando ospitava le basi missilistiche più vicine alla Russia, oggi i missili spaziali americani non hanno più bisogno di basi vicine all'obiettivo e ciò ha ridotto notevolmente il valore strategico dell'Italia. L'organizzazione della NATO è oggi solo un paravento per l'infiltrazione economica degli Stati Uniti, che tuttavia condiziona ancora pesantemente la vita politica italiana.
Non si deve comunque pensare che l'esercito soffra di questa condizione, al contrario è inevitabile per fare carriera nelle forze armate, avere oltre all'appoggio politico, una provata "fede atlantica", cioè una brillante carriera all'interno di questa organizzazione e l'approvazione degli Stati Uniti.