Rivista Anarchica Online
Il viaggio e l'anarchia
di Francesco Berti
Boom anarco-librario puntata seconda. Dopo il dossier pubblicato lo scorso novembre sulle numerose
novità
editoriali politico-sociali legate all'anarchismo, ci occupiamo in queste pagine di narrativa, sempre legata
all'anarchia
Nel numero 231 di "A" (novembre 1996) erani stati presentati, in un sintetico
dossier, i libri di e su libertari usciti
negli ultimi due anni per conto di case editrici commerciali. In particolare, avevo recensito tutti quei testi che
possono essere fatti rientrare nella categoria della saggistica. Ora invece ci occuperemo dei romanzi, sempre usciti
in questi ultimi due anni, che hanno come protagonisti anarchici. Vorrei inizialmente soffermarmi sul
tipo di anarchico che emerge da questi libri: qual è l'immaginario
dell'anarchico che fuoriesce dalle pagine dei romanzi di Cacucci, di Toninelli, di Taibo II, di Sepulveda, di
Magagnoli, di Maggiani, di Pariani, di Corrias? Per rispondere a questo interrogativo occorre avere presente
qual era il tipo di anarchico, anzi lo stereotipo
dell'anarchico, che fuoriusciva invece dai romanzi e dal cinema sino a poco tempo fa, tranne qualche rara e
lodevole eccezione. Bombarolo di professione, velleitario per definizione, romantico per vocazione,
individualista per antonomasia. Questi sono i tipi immaginari legati all'anarchismo nella
letteratura e nel cinema, a volte riassunti in un'unica
figura stereotipata, caricaturata. Due esempi tra tutti: per la letteratura, Il diavolo a Pontelungo,
di Riccardo Bacchelli; per il cinema, San Michele
aveva un gallo e Allonsanfan, dei comunistissimi fratelli Taviani. Eccezioni? poche,
pochissime: Ritratto in piedi, della Manzini, Un uomo solo, di Cassola e forse anche
Un uomo, della
Fallaci (anche se Panagulis, il protagonista, non era propriamente un anarchico). Grazie a Land and
freedom (Terra e libertà) ed a questi romanzi, l'immaginariolegato all'anarchismo sta
effettivamente mutando, in alcuni casi viene addirittura capolvolto. L'anarchico è un protagonista,
non una figura di contorno; una persona reale, magari pure esistita, e non un
personaggio caricaturale; un uomo in carne ed ossa, inserito nel proprio tempo, nelle lotte e nei dibattiti
d'avanguardia, non un corpo estraneo alla società, dedito a velleitarie battaglie di retroguardia; un uomo
infine
del '900 e non solo dell''800. E l'anarchia? E' un'idea bella e sacrosanta, un'idea universale di libertà
e di giustizia sociale, un'idea che ha una
forte pregnanza etica e proprio per questa sua dimensione universalmente etica, può ancora dirci
qualcosa. Chiaramente, sto semplificando all'eccesso per rendere più comprensibile la cesura
logico-temporale che divide
i due immaginari di anarchico, quelli del passato prossimo e quelli che si stanno affermando oggi. Questo schema
però, come tutti gli schemi, non riesce a dar conto esattamente della multiformità del reale. La
realtà raramente
presenta dicotomie così nette; esistono i grigi, le zone d'ombra, le sfumature. Anche in questo
caso. Interessante è poi notare che questi romanzi hanno lo stesso schema logico-narrativo, cosa
davvero singolare, che
è poi lo stesso schema del film Terra e libertà e lo stesso tema dominante: il
viaggio. Il viaggio come metafora di una ricerca a ritrosonei luoghi dimenticati ma ancora vivi della nostra
memoria
collettiva; il viaggio come impegno etico di una parte non indifferente di scrittori contemporanei nel portare alla
luce, ora che sono crollati i miti menzogneri del socialismo di regime, del comunismo reale, persone e personaggi,
immaginari e utopie di una sinistra diversa, libertaria, umanista: come se quelle passioni, quei valori, quella forza
che li animava fossero sopravvissuti, intatti, al trascorrere del tempo e potessero rianimare oggi anche noi,
così
scettici, così disillusi. Anche lo schema di questi libri, come dicevo, è lo stesso: vi sono due
figure protagoniste, un vecchio (libertario)
e un/a giovane; una generazione impegnata, animata da una fede di riscatto sociale, da ideali socialisti e libertari,
e una generazione che non riesce più a guardare avanti, insoddisfatta del presente e quasi costretta, per
trovare
qualche esempio, qualche stimolo di speranza, a voltarsi indietro. Forse il termine "generazione", riferito ai
giovani protagonisti dei romanzi, è esagerato: poichè la volontà di
ricerca a ritroso appartiene, per ora, solo a poche e a pochi, anche se il disorientamento - etico e politico -
è totale
e generale; questo sì, davvero, generazionale. La nuova "generazione" recupera il nocciolo etico, lo
zoccolo duro del socialismo libertario, anche se questo
recupero non è spesso così chiaro come nella scena finale di Terra e libertà
dove la nipote dell'ex miliziano
innalza, retoricamente, il pugno chiuso dopo la sepoltura del nonno; è spesso un recupero che si
può intuire, come
in Sepulveda, un recupero non urlato, non spettacolarizzato, ma forse per questo ancora più efficace e
convincente. Non stride, come invece secondo me accade in Terra e libertà, dove
l'ultima scena appare una forzatura artificiosa
e ideologica. Questo "ritorno al futuro" vale, probabilmente, sia per i protagonisti di questi libri, sia per coloro
che li hanno
scritti, e suona come implicita conferma, anche se per nulla voluta, di quanto avevano affermato, in polemica con
il marxismo, Merlino, Malatesta e Berneri. Il nocciolo dell'anarchismo e del socialismo, ciò che di
essi rimarrà anche quando le trasformazioni sociali
renderanno obsolete certe forme di lotta, e spariranno o si ridimensioneranno alcune figure sociali, è la
loro
pregnanza etica. Maurizio Maggiani, vincitore del Premio Viareggio e del Premio
Campiello con Il coraggio del pettirosso
(Feltrinelli, Milano 1995, pp. 316, £ 28.000) narra, in un romanzo fittissimo di trame,la storia del viaggio, fisico
e mentale, di saverio, giovane figlio di immigrati italiani, ad Alessandria d'Egitto, alla ricerca di se stesso, delle
proprie origini e di un motivo sufficientemente valido per tirare a campare. Nella prima parte del romanzo,
il protagonista ripercorre le tappe della propria infanzia ad Alessandria, città di
esuli, politici e non, babele di lingue, razze, culture; il difficile rapporto con il padre anarchico - che si era
rifugiato in Egitto dopo aver partecipato alla Resistenza partigiana nel battaglione Lucetti - e con il suo ambiente
di fuoriusciti libertari, di anarchici "in pensione", con i quali Saverio non riesce mai a legare, e che vede in termini
negativi. Solo dopo la morte del babbo, scomparso nel mare di Alessandria forse nel disperato tentativo di
tornare a nuoto
in Italia, Saverio comincia ad entrare in crisi nella sua identità di scapolone dongiovanni e qualunquista.
Tanto
più che, rovistando tra le cose del padre, trova una copia de Il porto sepolto di Giuseppe
Ungaretti; grande è il
suo stupore, perchè maii avrebbe potuto pensare che il babbo anarchico potesse leggere e custodire le
poesie di
colui che i libertari di Alessandria chiamavano il traditore. Ungaretti, cresciuto a contatto con la comunità
anarchica alessandrina, se ne era presto allontanato per seguire la strada della poesia, dopo essere passato tra le
fila del nemico, attirato dalle sirene nazionaliste, dapprima, fasciste poi. Ha qui inizio la lunga ricerca di
Saverio: la ricerca del Porto Sepolto, delle proprie origini, della propria identità,
della propria diversità. Viaggio fisico (nel deserto) e immaginario: apprende dagli amici del padre,
tipografi libertari, la leggendaria storia
di Carlomagno, paese natale di Ungaretti e del padre. Paese diverso, paese contro delle valli Apue sin dai tempi
del dominio romano. Come il piccolo villaggio gallico di Asterix, il popolo del futuro paese di Carlomagno si era
subito opposto all'imperialismo romano, ed era stato piegato solo dopo 250 anni di lotte. I superstiti di quella
sconfitta, ritiratisi sui monti, vi avevano appunto fondato il paese di Carlomagno: di qui la sua diversità,
geografica ed antropologica, preservata sino al fascismo. Nel suo lungo peregrinare, Saverio incontra
Ungaretti, che lo invita ad approfondire la ricerca: prende così corpo
la storia dei progenitori di Saverio, si sviluppa la saga dei millenaristi abitanti del cinquecentesco borgo di
Carlomagno, spazzati via dalla Santa Inquisizione. Infine, Saverio troverà finalmente pace nell'amore per
Fatiha,
guerrigliera palestinese: nel confronto con lei scopre ed accetta la sua diversità, ne capisce l'importanza.
Ritrova
un passato vivificato ora, nel presente, da una passione amorosa. Quasi per distrazione, Saverio si rende
così conto
di aver concluso il suo viaggio, di aver trovato "la sua parte di dio, la sua parte di anarchia", che andava
affannosamente cercando. Il tema del viaggio alla ricerca delle proprie origini, in un romanzo però
più descrittivo, antiretorico, semplice ed
autobiografico è presente anche nella penultima fatica di Luis
Sèpulveda: La frontiera scomparsa (Guanda
Edizioni, Farigliano, Cuneo - 1996, 125 pp., £ 18.000). Si tratta di un libro commovente, ironico ed
autoironico, nel quale Sèpulveda rievoca la propria infanzia a
Santiago del Cile, e che inizia con un sintetico e riuscitissimo ricordo del nonno anarchico, fuggito dalla Spagna
presumibilmente dopo la fine della guerra civile: una figura carismatica e burlona, le cui "bravate" (quali il
pisciare sui portoni delle chiese) il giovane Sèpulveda era costretto malvolentieri ad assecondare. Il
giovane protagonista decide però ad un certo punto di seguire le orme paterne, e così entra nelle
fila del partito
comunista cileno: il fatto non può che destare l'ostilità del nonno il quale, dopo aver letto una
copia di Gente
Joven, rivista dei giovani comunisti cileni, si augura che infine il nipote sappia ritrovare il vero ordine: "Non
quello che impone lo stato, cazzo, ma quello naturale, che esce dalla fratellanza degli uomini". La
rievocazione si fa poi drammatica testimonianza della repressione fascista seguita al colpo di stato militare
di Pinochet del 1973 e della dura esperienza del carcere. Solo dopo la quale, il giovane protagonista può
iniziare
il viaggio per nessuna parte, prima, alla ricerca di Martos, paese andaluso del nonno, poi. E così, dopo
la
narrazione della lunga peregrinazione tra i paesi dell'America Latina, ricca di episodi significativi, spesso
esilaranti ed interrotta saltuariamente dai ricordi dell'infame dittatura militare, il giovane Sèpulveda
giunge infine
a Martos, ottemperando così ad un solenne giuramento fatto al nonno molti anni prima, e coronando il
sogno del
vecchio anarchico, divenuto ora anche suo: tornare nei luoghi dell'infanzia e della giovinezza del vecchio; nella
terra così amata che era stato costretto ad abbandonare a causa della sconfitta della rivoluzione. La
diaspora e l'esilio di due diverse generazioni hanno così fine, incontrandosi al punto di partenza. E il
ritorno
a Martos pare significare anche un ritorno immaginario ed etico ai valori di libertà del nonno, da dove
iniziare
un nuovo viaggio verso la speranza: con la consapevolezza che recuperare il filo che ci lega alla memoria dei vinti
può consentire ai vivi di continuare i sogni, le aspirazioni, le tensioni utopiche. Altro racconto, altro
viaggio. Questa volta la protagonista è una ragazzina, e se il viaggio che lei compie è
geograficamente inverso a quello
descritto ne La frontiera scomparsa - questa volta dall'Europa all'America Latina - il motivo e gli
esiti sono
simili: la ricerca di una memoria e di una radice grazie alla quale far crescere nuove speranze. E' questo il
tema principale di uno dei racconti de Il pettine, di Laura Pariani,
già ampiamente recensito da Elena
Petrassi su "A" n. 225 (marzo '96) - Il pettine, Sellerio, Palermo 1995, 159 pp., £ 15.000. Anche
qui, i protagonisti sono una giovane ragazza e un vecchio nonno, anarchico tanto per cambiare: il loro
incontro, in Patagonia, dove il vecchio si era rifugiato dopo essere fuggito dall'Italia fascista, rappresenta la
scoperta di un altro mondo, diverso da quello sino ad allora conosciuto, e l'ingresso nell'età
adulta. Pure qui, il viaggio attraversa l'orizzonte geografico e quello immaginario, unendo in un unico afflato
etico due
generazioni diverse accomunate però da una medesima aspirazione: non dimenticare, non mollare. Ne
Un caffè molto dolce (Bollati Boringhieri, Torino 1996, 257 pp., £ 32.000)
Maria Luisa Magagnoli ripercorre
la medesima trama: una giovane ragazza, un vecchio anarchico, la ricerca di una memoria, la scoperta di un
mondo, l'innamoramento, il passaggio di speranze e passioni. Con alcune varianti: questa volta, la scoperta del
personaggio è casuale - una fotografia - perchè tra i due non vi è nessuna parentela.
Inoltre, l'anarchico in
questione non è un personaggio (inventato), bensì una persona realmente vissuta: una figura
storica e controversa
del movimento anarchico internazionale: si tratta di Severino Di Giovanni, anarchico abruzzese; una vita di
passione ed azione, di intransigenza e di una fede politica sconfinata nel fanatismo ideologico. Figura difficile
e tormentata, Di Giovanni polemizzò a lungo - e non solo a parole - con gran parte del movimento,
soprattutto con gli esponenti di quella che riteneva la corrente moderata e che era poi quella socialista e
maggioritaria (Borghi, Fabbri, Malatesta, ecc). Un'altra variante sul tema è rappresentata dal fatto che
l'anarchico
in questione è "vecchio" nel senso che è vissuto molti anni fa, ma la sua vita è stata recisa
quando aveva solo 29
anni: era il 1 febbraio 1931 e a massacrarlo fu un plotone di esecuzione, dopo l'arresto seguito a un conflitto a
fuoco con la polizia. La giovane donna, protagonista del romanzo, rimane talmente affascinata dalla figura
di Di Giovanni, da volera
andare più a fondo: "conoscere un periodo storico che non è il suo, gli anni venti, un'utopia
politica di cui ignora
tutto, l'anarchismo, ma soprattutto partire per l'Argentina dove cerca di incontrare gli ultimi testimoni di quel
mondo". "E in questa felice fusione di passato e presente, nell'incontro di due epoche - in particolare, l'amicizia
tra la protagonista e la donna amata dall'anarchico - cogliamo un messaggio: il presente non trova oggetti di
passione che non vengano da un passato che di passioni era capace". Un'altra figura storica dell'anarchismo,
anch'essa controversa e tormentata; un'altra storia drammatica, culminata
in tragedia. Jules Bonnot, anarchico espropriatore e terrore della Sureté parigina e di tutte le polizie
francesi,
massacrato dall'esercito e dalla polizia sotto gli occhi assetati di sangue di una folla inferocita nei sobborghi di
Parigi: è il 28 aprile 1912. La vita di Bonnot, l'altra faccia della Belle Epoque, le lotte operaie, le miserie
sociali
prodotte da una società profondamente ingiusta, il movimento libertario e le sue polemiche sulla violenza
- tra
gli anarchici socialisti e quelli "illegalisti", individualisti propugnatori della "propaganda del fatto" -: tutte queste
tematiche trovano spazio nel romanzo di Pino Cacucci, In ogni caso nessun
rimorso, uscito ora in edizione
economica (Tea, Milano 1996, 264 pp., £ 15.000). Già recensito con dovizia di analisi e particolari
su "A" 212 (ottobre '94) da Massimo Ortalli (pp. 16-17), questo
romanzo merita comunque un'ulteriore segnalazione: è un libro bellissimo che si legge tutto d'un fiato,
capace
di toccare il cuore e nel contempo far riflettere. Anche qui è possibile rinvenire il tema del viaggio: solo
che si
tratta di un viaggio senza ritorno, tutto interno alla figura di Bonnot; è la sua corsa disperata, quasi
predestinata,
dall'infanzia di miseria via via attraverso delusioni affettive, politiche e lavorative, verso la morte. In questa
volontà di comprendere senza giustificare le ragioni profonde, esistenziali prima che politiche, che hanno
spinto
Bonnot, e molti altri come lui, sulla strada della violenza armata e dell'illegalità, risiede uno dei pregi
maggiori
del romanzo, uno dei suoi universali insegnamenti: affinchè non vi sia più una società
dove si nasca marchiati
da un destino di miseria e morte impossibile da rifuggire. Da Parigi alla Toscana dei primi anni del secolo:
in queste terre è ambientato il romanzo di Angelo Toninelli,
Luigi Regoli anarchico (Shakspeare and Company, Osteria Grande - Bologna 1995, 284 pp., £
24.000). La storia di Luigi Regoli è la stessa di molti giovani operai di quel periodo: catapultato nella
Piombino in rapida
industrializzazione, "tra le ciminiere e gli altiforni del nuovo centro siderurgico", Gigi conosce gli anarchici e
diventa uno di loro, sospinto in questo dalla passione per Vera, una giovane anarchica piombinese. Il clima
politico e sociale di quegli anni, le dispute tra anarchici e socialisti, l'umile vita delle classi proletarie, fanno da
minuzioso sfondo alle vicende umane delprotagonista. Vi sono pagine di alto lirismo, come quelle che descrivono
l'amore di Gigi e Vera, oppure quelle che ricordano i funerali di Pietro Gori e il profondo impatto emotivo che
ebbero sulle popolazioni locali. Come puntualmente rileva Giorgio Sacchetti in Rivista Storica
dell'anarchismo (n. 1, anno III, gennaio-giugno
1996) ci troviamo di fronte "ad un incontro di generi" (il romanzo e la ricerca storica) "osteggiato dalla maggior
parte degli storici quanto apprezzato dal grande pubblico". Per fortuna vi è chi non si lascia
influenzare da questi cori accademici e costruisce narrazioni efficaci: attraverso
il rimestamento di più generi, prende così forma un nuovo genere, un nuovo strumento di
produzione
immaginifica. Il noto - ed eclettico - Paco Ignacio Taibo III, giornalista, giallista,
sindacalista, ecc., scrittore messicano di
origine spagnola - il padre, anch'egli scrittore, anch'egli libertario, fuggì dalla Spagna franchista - dal
crescente
successo internazionale, è in un certo senso il prototipo ideale di questa tendenza narrativa; dei suoi oltre
quaranta
titoli, alcuni sono già stati pubblicati in lingua italiana: Ombre nell'ombra (Marco Tropea,
Milano 1996, 232 pp.,
£ 12.000); Come la vita (Donzelli, Roma 1994, 175 pp., £ 28.000); La bicicletta di
Leonardo (Corbaccio, Milano
1994, 343 pp., £ 29.500); Stessa città stessa pioggia (Granata Press, Bologna 1994, 140 pp.,
£ 15.000). Il romanzo di cui ci occupiamo è però Rivoluzionario di passaggio
(Marco Tropea, Milano 1994, 144 pp., £
18.000) recensito anche da Jules Elisard in Rivista Storica delll'anarchismo (n. 1, anno III,
gennaio-giugno 1996,
pp. 156-7). Il sottotitolo è sufficientemente indicativo: si possono lasciare i luoghi, non le
idee. Pure questo "romanzo" rientra a pieno titolo nel nostro viaggio nel tema del viaggio che attraversa i
"romanzi
d'anarchia". Paco Taibo III rincorre, senza mai raggiungerlo, Sebastian San Vincente nel suo itinerario
politico-geografico nel Messico degli anni '20. Chi era costui? Ce lo dice un documento di polizia dell'epoca,
riportato da Taibo: "Pericoloso anarchico di origine
spagnola (...) già estradato dalla Repubblica messicana in quanto noto sovversivo". Di lui si sa poco,
pochissimo. Qualche documento di polizia, appunto. Qualche ricordo sbiadito su cui costruire
probabili congetture. Sono queste le poche cose su cui Taibo imbastisce una narrazione che rispecchia fedelmente
la miseria delle informazioni nello stile telegrafico e frammentario del testo, solo episodicamente interrotto da
qualche divertente e divertita considerazione dell'autore. In questo modo Taibo riesce genialmente ad ordire una
scrittura che profuma di giallo, ma anche di saggio storico, ma anche di romanzo biografico, ma anche di spunto
autobiografico... Alla fine, Taibo perde completamente le tracce della sua preda, che ad un certo punto della
sua vita, così come
era misteriosamente apparso, allo stesso modo scompare, beffando la polizia, gli amici ed i compagni, lo stesso
scrittore: "Le tue tracce sono svanite. I San Vincente dell'elenco telefonico di Gijon non sanno niente di te. Non
ci sono tue tracce negli archivi della CNT di Amsterdam, nè segni del tuo passaggio nella rivoluzione
asturiana
del '34 (...). Dove diavolo ti sei ficcato? Dove ti sei portato la rivoluzione?". Ma Taibo ci fa capire che non
è così importante dove sia finito San Vincente, nè se egli sia esistito vermante
oppure sia una burla ideata dal narratore. Perché, se lui sia morto, dove, se sia vissuto o meno, il fatto
è che le sue
idee sono vissute veramente, sono diventate corpo e spirito in moltissimi individui. Le sue idee sono più
vive della
sua stessa vita e sono giunte sino a noi. A questo punto, prima di concludere, mi preme di citare almeno altri
due romanzi: uno già recensito a suo tempo
su "A", Vita agra di un anarchico di Pino Corrias (Baldini e Castoldi,
Milano 1993, pp. 192). Si tratta di un
romanzo biografico nel quale viene descritta la tormentata vita milanese di Luciano Bianciardi, scrittore toscano,
spirito ribelle poco incline ai compromessi. La sua coerenza etica gli ha reso la vita difficile, portandolo sino alla
morte per alcolismo, ma ci ha lasciato, limpido, il ricordo di un intellettuale integerrimo, assolutamente non
organico, di un individuo di rara sensibilità umana, come ricorda anche Pier Carlo Masini, che
personalmente lo
conobbe, su Rivista Storica dell'anarchismo (anno I, n. 2, luglio-dicembre 1994, pp.
135-6). Infine, l'ultimo romanzo che vale la pena di segnalare è quello di Antonio
Tabucchi, Piazza d'Italia (Feltrinelli,
Milano 1996, 150 pp.) ora in versione economica (£ 11.000); anche se si tratta di un romanzo non nuovo (la prima
pubblicazione è del 1975), questa opera prima di uno dei maggiori scrittori italiani contemporanei ben
si inserisce
nel nostro filone di ricerca: questo romanzo narra infatti le vicende di vita e di lotta di una famiglia di anarchici
toscani dalla seconda metà dell'ottocento alla lotta partigiana, in uno stile particolarissimo che è
quello che poi
ha fatto la fortuna del suo autore. Siamo infine giunti al termine di questa fatica, ci auguriamo non
inutile. Così, per quel poco che capiamo noi, possiamo ragionevolmente sperare che questi romanzi
- così come i testi
di saggistica - riescano a destare un interesse vivo e critico per le nostre idee, per la storia del pensiero anarchico
e dei movimenti antiautoritari, e non siano solo una delle tante mode di passaggio che attraversano, senza lasciare
traccia di sé, gli schizofrenici immaginari dei nostri giorni. Perchè il ricordo rinnovato dei
pettirossi di un tempo - per Maggiani i pettirossi raffigurano gli anarchici -, dei
libertari "coraggiosi come quell'uccellino di tanto tempo fa che...ogni giorno che passava volava un po'
più in
alto e un po' più in là del posto che gli avevano assegnato" in misura tale da potere un giorno
"bombardare sul
capo il re degli uccellini a colpi di cacatine", ebbene spero che quel ricordo e quella memoria che ora ritorna
possano darci l'occasione di volare un poco più in alto anche noi.
Anarchia ancora
Continua "l'onda lunga" delle pubblicazioni di testi di e su anarchici. Negli ultimi due mesi sono usciti
numerosi titoli. Aggiorno dunque l'elenco per quanto riguarda la saggistica,
ricordando ancora che il dossier ad essa relativo (Anarchia in libreria) è uscito nel n. 231 di "A"
(novembre
1996). Purtroppo, per ovvi motivi di tempo, non sono riuscito ad allegare una scheda informativa su ciascuno
di questi
volumi.
- -AAVV, Max Stirner e l'individualismo moderno, Atti del
convegno su Max Stirner e l'individualismo
moderno tenutosi presso l'Istituto Suor Orsola Benincasa a Napoli nel 1994, Cuem, Napoli 1996, 601
pp., £ 50.000). A cura di Enrico ferri. Scritti (tra gli altri) di Claudio Cesa, Enrico Ferri, Antimo Negri,
Massimo La Torre, Marco Cossutta, Giampietro (Nico) Berti, Elisabetta Castana, Giorgio Penzo,
Alberto Signorini.
- -Carlo Cafiero, Compendio del Capitale, Acquarelli anarchici,
Demetra, Bussolengo (VR) 1996, 124
pp., £ 6.000
- -Camillo Berneri, Umanesimo e anarchismo, Introduzione di
Goffredo Fofi, ed. E/O, Roma-Città di
Castello 1996, 117 pp., £ 8.000. Estratti antologici: L'autodemocrazia; A proposito delle nostre critiche
al bolscevismo; Per un programma d'azione comunalista; Il feticcio dello stato; L'operaiolatria; La
polemica con Carlo Rosselli; Umanesimo e anarchismo; La dittatura del proletariato e il socialismo di
stato; In difesa del P.O.U.M.; Discorso in morte di Antonio Gramsci
- -Marzio Zanantoni, Anarchismo, Storia dei Movimenti e delle Idee,
Ed. Bibliografica 13, Milano 1996,
£ 9.000
- -Petr Kropotkin, Il mutuo appoggio, ed E/O Roma-Città
di Castello 1996, pp. 126, £ 8.000.
Introduzione di Colin Ward. Faccio presente che si tratta della ristampa non di tutta l'opera bensì della
terza sezione, Il mutuo appoggio ai nostri giorni.
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