Rivista Anarchica Online
Addio Lugano bella...
di Camillo Levi
Quel giorno l'avvocato Pietro Gori rimase per ore ed ore nascosto sotto
il palco delle autorità, in attesa
dell'inizio della grande manifestazione commemorativa dei fatti del 1848. Si era a Bologna, quel giorno
del 1903, ed il questore aveva imposto che nessun anarchico fosse ammesso a parlare dalla tribuna
ufficiale, poiché sarebbe stato intollerabile - a suo dire - che proprio gli esaltatori del regicida
Bresci
parlassero impunemente in pubblico in quella manifestazione popolare, cui si voleva dare un carattere
patriottico. Ma gli anarchici della zona non la pensavano così, e furono proprio loro che
chiamarono a gran voce
il nome di Pietro Gori, al termine delle orazioni ufficiali tenute dal sindaco della città e da un
noto
avvocato socialista. Sbucato improvvisamente dal suo nascondiglio nel palco adornato di drappi
tricolori,
il trentottenne avvocato Gori prese la parola e, fra gli applausi della folla e lo sgomento dei questurini,
difese i malfattori e sostenne apertamente le lotte del proletariato. Non gli fu però
concesso di terminare
l'inaspettato comizio, perché un robusto commissario di polizia se lo issò sulle spalle,
mentre ancora
parlava e lo sottrasse così agli applausi della folla. Il coraggioso avvocato Pietro Gori a
trentotto anni era ben noto sia nel movimento operaio sia alle
questure, e non solo per la sua instancabile attività di difensore dei malfattori
contro le angherie e la
repressione "legale" operata dallo Stato contro gli anarchici. Gori, infatti, non solo fu sempre l'avvocato
dei malfattori, ma fin dalla sua giovinezza fu lui stesso malfattore;
così non poteva che essere definito
chi, come lui, dedicò tutta la sua vita alla propaganda anarchica, portata avanti in tutte le sue
multiformi
attività di organizzatore operaio, conferenziere, poeta, criminologo, ecc. Nonostante fosse
nato a Messina (nel 1865), Pietro Gori può essere considerato toscano, sia perché da
quella regione proveniva la sua famiglia, sia perché proprio in Toscana andò a vivere
pochi mesi dopo
esser nato e sempre vi tornò dopo i periodi di esilio, di carcere, di viaggi all'estero. Laureatosi
in
giurisprudenza a Pisa con una tesi su "La miseria ed il delitto", Gori accompagnò sempre allo
studio dei
problemi dell'emancipazione umana il suo valido contributo personale come attivissimo militante
anarchico; non è per caso che il 1° maggio 1890 la polizia lo arrestò a Livorno quale
principale
organizzatore del giovane movimento operaio locale, che traeva la sua forza dalle lotte dei portuali e
degli operai delle prime fabbriche del Livornese. La condanna ad un anno di galera gli fu cancellata dalla
Corte di Cassazione, ma nel frattempo il giovane avvocato già l'aveva espiata per intero,
provando
direttamente quella ingiustizia di Stato che continuamente combattè nelle aule dei tribunali come
difensore dei compagni incriminati. Costretto a trasferirsi a Milano, vi continuò la sua
attività di
organizzatore operaio e di avvocato, nonostante gli ostacoli frappostigli dall'Ordine degli Avvocati che
cercò in tutti i modi di costringerlo ad abbandonare l'attività forense, prendendo a
pretesto la sua fedina
penale. Così nel 1891 Gori partecipò al congresso anarchico di Capolago, voluto
da Errico Malatesta ed
Amilcare Cipriani nel tentativo di dare un'organizzazione efficiente al movimento anarchico italiano,
indebolito sotto i colpi della reazione statale e logorato al proprio interno dalle polemiche sulla
questione
dell'individualismo. Gori, sempre attivo nella costruzione delle organizzazioni dei lavoratori
(partecipò
fra l'altro al Congresso operaio di Milano come delegato della federazione dei Cappellai del Lago
Maggiore) fu naturalmente fautore di una seria organizzazione degli anarchici italiani in seno al
crescente
movimento operaio, ma non per questo fece venir meno la sua solidarietà rivoluzionaria e la sua
efficace
difesa "legale" ai accompagni che anche isolatamente combattevano contro lo stato. Più volte
nella sua
vita, per esempio, gli fu rinfacciato l'appassionata testimonianza da lui data in favore del tirannicida
Sante
Caserio, e sempre Gori confermò la propria solidarietà con coloro che, come Caserio,
sacrificavano la
propria vita per commettere un atto di giustizia. Non solo, ma al giovane Caserio, ghigliottinato (nel
1894) dalla "giustizia" francese, l'avvocato anarchico dedicò una delle sue più belle
canzoni, indirizzata
come sempre ai lavoratori: "Lavoratori a voi è diretto il canto / di questa mia canzon che
sa di pianto / e che ricorda un baldo giovin
forte / che per amor di voi sfidò la morte / ...". Nell'agosto 1892 Pietro Gori fu il più
influente degli anarchici presenti al congresso di Genova, in cui
il vivace dibattito fra socialisti legalitari da una parte, ed anarchici e operaisti dall'altra, portò
alla
definitiva scissione, ed alla costituzione da parte dei legalitari del partito socialista. Assenti (in esilio)
Errico Malatesta e Francesco Saverio Merlino, toccò a Gori ed a Luigi Galleani la difesa
intransigente
del socialismo anarchico contro qualsiasi tentazione legalitaria e riformista, in aspra polemica con i
socialisti moderati Prampolini e Turati. Erano quelli gli anni della netta separazione delle due tendenze
storiche del movimento socialista, e di fronte ai tentennamenti di molti compagni grandemente risalta
la semplice eppur decisa chiarezza con cui Gori respinse qualsiasi transazione con i fautori dello Stato;
e fu proprio questa sua coerenza che gli costò addirittura l'espulsione dal congresso
internazionale
socialista di Zurigo (1893), insieme ad Amilcare Cipriani. L'anno successivo fu quello dei grandi
moti popolari dei Fasci Siciliani e della Lunigiana, ed anche degli
attentati a capi di stato da parte degli anarchici Paolo Lega contro Crispi e Sante Caserio contro il
presidente francese Sadi Carnot. Le violente accuse mosse contro di lui dagli sbirri e dalla stampa
reazionaria lo costrinsero a rifugiarsi a Lugano, dove la sua casa divenne come sempre un attivo centro
di incontro per molti rivoluzionari. Quando, poi, dopo essere casualmente sfuggito ad un attentato ed
aver per questo passato due settimane in galera (misteri della "giustizia" di stato!), venne espulso dal
Canton Ticino e condotto al confine di Basilea, compose un'altra di quelle sue canzoni che ancor oggi
formano buona parte del canzoniere anarchico, la più famosa: quell'"Addio Lugano bella..." che
è
diventata un po' come l'inno degli anarchici, sempre espulsi da ogni stato. Dalla Svizzera Gori si
trasferì poi in Germania, in Belgio, in Olanda, in Inghilterra (dove dimorò per un
periodo con Malatesta), e da lì si recò in nave negli Stati Uniti dove, sfruttando la suo
buona conoscenza
di più lingue, tenne centinaia di conferenze, svolgendo una colossale opera di propaganda
rivoluzionaria. Si giunse al punto che centinaia di operai di molte nazionalità si stesero sui
binari per impedire la
partenza del treno con cui Pietro Gori avrebbe dovuto recarsi in un'altra città, perché
volevano che
continuasse lì la sua propaganda con comizi e conferenze: ovunque era salutato come il
cavaliere
errante dell'anarchismo italiano. Fu in quel periodo che cominciò a manifestarsi quel
male (la tubercolosi) che lo avrebbe portato alla
morte molti anni dopo; Gori fu costretto a interrompere la sua attività propagandistica, ed a
curarsi,
prima a Londra, poi in famiglia a Portoferraio (Isola d'Elba). Rimessosi provvisoriamente in salute,
l'avvocato anarchico tornò a Milano dove aprì nuovamente uno studio e riprese a fare
conferenze, anche
se una precisa disposizione poliziesca (ed in particolare, i due sbirri che sempre gli erano dietro) gli
imponevano di prender la parola solo in circoli privati. Bastò un suo comizio in pubblico,
richiesto a gran
voce dalla folla accorsa per l'inaugurazione del monumento ai martiri delle Cinque Giornate, per far
piovere su di lui una nuova incriminazione, una nuova montatura da parte dello stato. Continuava
nel frattempo la sua attività di difensore dei malfattori, che proprio in questo
periodo lo vide
accusatore dello stato e dei suoi organi repressivi nei clamorosi processi intentati contro i rivoltosi del
'94 in Lunigiana e contro Errico Malatesta per i suoi articoli su L'Agitazione di Ancona.
"Se voi,
inquisitori del pensiero, condannerete Errico Malatesta per i suoi articoli su L'Agitazione,
nella superba
pretesa di troncare il volo delle idee e il passo degli eventi, il vostro giudizio resterà
impercettibile e pur
fosca macchia di questa epoca di transizione, innanzi al Tribunale dei secoli. La lotta rimarrà:
nel libero
scontro delle idee l'avvenire s'avanzerà solenne, vincente le amarezze del momento. Ed allora,
o giudici,
voi pure sarete giudicati!". È questo un tipico esempio della prosa del Gori avvocato, che
con grande abilità oratoria e con sincera
convinzione riusciva sempre, anche nei processi più difficili, a trasformare l'aula del tribunale
in una
potente tribuna di propaganda anarchica. Memorabili rimangono i molti scontri che si trovò ad
avere con
giudici e pubblici ministeri, che sempre gli contestarono anche il diritto di "parlare di politica" invece
di
fare il suo mestiere, che - a loro avviso - sarebbe stato quello di appellarsi umilmente alle
autorità
chiedendo clemenza e perdono per i suoi difesi: Gori invece ne rivendicò sempre l'alto valore
morale,
non tanto per richiedere attenuanti legali, quanto per accusare lo stato.
Le ultime lotte
Costretto nuovamente all'esilio, Gori si recò in Sud-America, dove fu fra i promotori della
Federaciòn
Obrera Regional Argentina (F.O.R.A.), continuando la sua instancabile attività di organizzatore
operaio
e di propagandista anarchico. Nel contempo fondò una rivista di sociologia criminale, che
contava fra i suoi collaboratori Ferri e
Labriola, ed intraprese delle spedizioni a scopo scientifico, spinto dai suoi multiformi interessi per molti
aspetti dell'esistenza e dell'emancipazione umana. Continuò a scrivere saggi di vario argomento,
con
particolare interesse per la sociologia criminale e l'antropologia culturale, senza per questo distaccarsi
dal movimento dei lavoratori, cui sempre dette il suo contributo con la parola e con la lotta. Tornato
in Italia ai principi del secolo, riprese i suoi giri in conferenze, ma la sua salute, minata dalla tisi
e da una recente malattia tropicale, lo costringeva a lunghi periodi di convalescenza in famiglia all'Isola
d'Elba. Manco a dirlo, fu proprio Gori, pur malato sempre più seriamente, ad organizzare il
primo storico
sciopero dei minatori di Capoliveri (Isola d'Elba), recandosi poi più volte in mezzo ai lavoratori
per
spingerli a resistere all'intransigenza padronale, che potè esser piegata dopo trentacinque giorni
di lotta.
Molti compagni continuavano a scrivergli, molti ancora si recarono a trovarlo, ma ormai impossibilitato
a muoversi da casa Gori era ridotto all'ombra di se stesso. La sua ultima uscita in pubblico era stata per
commemorare Francisco Ferrer, l'ideatore della "Escuela Moderna", fucilato in Spagna nel 1909. Poi,
due anni dopo, la morte. Il passaggio del suo feretro, da Portoferraio alla sua Rosignano (in cui
aveva lungamente vissuto e di
cui si considerava cittadino), fu accompagnato dalla presenza di migliaia di lavoratori, molti dei quali
giunti da altre regioni, per rendere omaggio a Pietro Gori, propagandista, organizzatore operaio, poeta,
studioso, avvocato, malfattore anarchico.
Camillo Levi
|