Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 3 nr. 22
giugno 1973


Rivista Anarchica Online

Addio Lugano bella...
di Camillo Levi

Quel giorno l'avvocato Pietro Gori rimase per ore ed ore nascosto sotto il palco delle autorità, in attesa dell'inizio della grande manifestazione commemorativa dei fatti del 1848. Si era a Bologna, quel giorno del 1903, ed il questore aveva imposto che nessun anarchico fosse ammesso a parlare dalla tribuna ufficiale, poiché sarebbe stato intollerabile - a suo dire - che proprio gli esaltatori del regicida Bresci parlassero impunemente in pubblico in quella manifestazione popolare, cui si voleva dare un carattere patriottico.
Ma gli anarchici della zona non la pensavano così, e furono proprio loro che chiamarono a gran voce il nome di Pietro Gori, al termine delle orazioni ufficiali tenute dal sindaco della città e da un noto avvocato socialista. Sbucato improvvisamente dal suo nascondiglio nel palco adornato di drappi tricolori, il trentottenne avvocato Gori prese la parola e, fra gli applausi della folla e lo sgomento dei questurini, difese i malfattori e sostenne apertamente le lotte del proletariato. Non gli fu però concesso di terminare l'inaspettato comizio, perché un robusto commissario di polizia se lo issò sulle spalle, mentre ancora parlava e lo sottrasse così agli applausi della folla.
Il coraggioso avvocato Pietro Gori a trentotto anni era ben noto sia nel movimento operaio sia alle questure, e non solo per la sua instancabile attività di difensore dei malfattori contro le angherie e la repressione "legale" operata dallo Stato contro gli anarchici. Gori, infatti, non solo fu sempre l'avvocato dei malfattori, ma fin dalla sua giovinezza fu lui stesso malfattore; così non poteva che essere definito chi, come lui, dedicò tutta la sua vita alla propaganda anarchica, portata avanti in tutte le sue multiformi attività di organizzatore operaio, conferenziere, poeta, criminologo, ecc.
Nonostante fosse nato a Messina (nel 1865), Pietro Gori può essere considerato toscano, sia perché da quella regione proveniva la sua famiglia, sia perché proprio in Toscana andò a vivere pochi mesi dopo esser nato e sempre vi tornò dopo i periodi di esilio, di carcere, di viaggi all'estero. Laureatosi in giurisprudenza a Pisa con una tesi su "La miseria ed il delitto", Gori accompagnò sempre allo studio dei problemi dell'emancipazione umana il suo valido contributo personale come attivissimo militante anarchico; non è per caso che il 1° maggio 1890 la polizia lo arrestò a Livorno quale principale organizzatore del giovane movimento operaio locale, che traeva la sua forza dalle lotte dei portuali e degli operai delle prime fabbriche del Livornese. La condanna ad un anno di galera gli fu cancellata dalla Corte di Cassazione, ma nel frattempo il giovane avvocato già l'aveva espiata per intero, provando direttamente quella ingiustizia di Stato che continuamente combattè nelle aule dei tribunali come difensore dei compagni incriminati. Costretto a trasferirsi a Milano, vi continuò la sua attività di organizzatore operaio e di avvocato, nonostante gli ostacoli frappostigli dall'Ordine degli Avvocati che cercò in tutti i modi di costringerlo ad abbandonare l'attività forense, prendendo a pretesto la sua fedina penale.
Così nel 1891 Gori partecipò al congresso anarchico di Capolago, voluto da Errico Malatesta ed Amilcare Cipriani nel tentativo di dare un'organizzazione efficiente al movimento anarchico italiano, indebolito sotto i colpi della reazione statale e logorato al proprio interno dalle polemiche sulla questione dell'individualismo. Gori, sempre attivo nella costruzione delle organizzazioni dei lavoratori (partecipò fra l'altro al Congresso operaio di Milano come delegato della federazione dei Cappellai del Lago Maggiore) fu naturalmente fautore di una seria organizzazione degli anarchici italiani in seno al crescente movimento operaio, ma non per questo fece venir meno la sua solidarietà rivoluzionaria e la sua efficace difesa "legale" ai accompagni che anche isolatamente combattevano contro lo stato. Più volte nella sua vita, per esempio, gli fu rinfacciato l'appassionata testimonianza da lui data in favore del tirannicida Sante Caserio, e sempre Gori confermò la propria solidarietà con coloro che, come Caserio, sacrificavano la propria vita per commettere un atto di giustizia. Non solo, ma al giovane Caserio, ghigliottinato (nel 1894) dalla "giustizia" francese, l'avvocato anarchico dedicò una delle sue più belle canzoni, indirizzata come sempre ai lavoratori:
"Lavoratori a voi è diretto il canto / di questa mia canzon che sa di pianto / e che ricorda un baldo giovin forte / che per amor di voi sfidò la morte / ...".
Nell'agosto 1892 Pietro Gori fu il più influente degli anarchici presenti al congresso di Genova, in cui il vivace dibattito fra socialisti legalitari da una parte, ed anarchici e operaisti dall'altra, portò alla definitiva scissione, ed alla costituzione da parte dei legalitari del partito socialista. Assenti (in esilio) Errico Malatesta e Francesco Saverio Merlino, toccò a Gori ed a Luigi Galleani la difesa intransigente del socialismo anarchico contro qualsiasi tentazione legalitaria e riformista, in aspra polemica con i socialisti moderati Prampolini e Turati. Erano quelli gli anni della netta separazione delle due tendenze storiche del movimento socialista, e di fronte ai tentennamenti di molti compagni grandemente risalta la semplice eppur decisa chiarezza con cui Gori respinse qualsiasi transazione con i fautori dello Stato; e fu proprio questa sua coerenza che gli costò addirittura l'espulsione dal congresso internazionale socialista di Zurigo (1893), insieme ad Amilcare Cipriani.
L'anno successivo fu quello dei grandi moti popolari dei Fasci Siciliani e della Lunigiana, ed anche degli attentati a capi di stato da parte degli anarchici Paolo Lega contro Crispi e Sante Caserio contro il presidente francese Sadi Carnot. Le violente accuse mosse contro di lui dagli sbirri e dalla stampa reazionaria lo costrinsero a rifugiarsi a Lugano, dove la sua casa divenne come sempre un attivo centro di incontro per molti rivoluzionari. Quando, poi, dopo essere casualmente sfuggito ad un attentato ed aver per questo passato due settimane in galera (misteri della "giustizia" di stato!), venne espulso dal Canton Ticino e condotto al confine di Basilea, compose un'altra di quelle sue canzoni che ancor oggi formano buona parte del canzoniere anarchico, la più famosa: quell'"Addio Lugano bella..." che è diventata un po' come l'inno degli anarchici, sempre espulsi da ogni stato.
Dalla Svizzera Gori si trasferì poi in Germania, in Belgio, in Olanda, in Inghilterra (dove dimorò per un periodo con Malatesta), e da lì si recò in nave negli Stati Uniti dove, sfruttando la suo buona conoscenza di più lingue, tenne centinaia di conferenze, svolgendo una colossale opera di propaganda rivoluzionaria.
Si giunse al punto che centinaia di operai di molte nazionalità si stesero sui binari per impedire la partenza del treno con cui Pietro Gori avrebbe dovuto recarsi in un'altra città, perché volevano che continuasse lì la sua propaganda con comizi e conferenze: ovunque era salutato come il cavaliere errante dell'anarchismo italiano.
Fu in quel periodo che cominciò a manifestarsi quel male (la tubercolosi) che lo avrebbe portato alla morte molti anni dopo; Gori fu costretto a interrompere la sua attività propagandistica, ed a curarsi, prima a Londra, poi in famiglia a Portoferraio (Isola d'Elba). Rimessosi provvisoriamente in salute, l'avvocato anarchico tornò a Milano dove aprì nuovamente uno studio e riprese a fare conferenze, anche se una precisa disposizione poliziesca (ed in particolare, i due sbirri che sempre gli erano dietro) gli imponevano di prender la parola solo in circoli privati. Bastò un suo comizio in pubblico, richiesto a gran voce dalla folla accorsa per l'inaugurazione del monumento ai martiri delle Cinque Giornate, per far piovere su di lui una nuova incriminazione, una nuova montatura da parte dello stato.
Continuava nel frattempo la sua attività di difensore dei malfattori, che proprio in questo periodo lo vide accusatore dello stato e dei suoi organi repressivi nei clamorosi processi intentati contro i rivoltosi del '94 in Lunigiana e contro Errico Malatesta per i suoi articoli su L'Agitazione di Ancona. "Se voi, inquisitori del pensiero, condannerete Errico Malatesta per i suoi articoli su L'Agitazione, nella superba pretesa di troncare il volo delle idee e il passo degli eventi, il vostro giudizio resterà impercettibile e pur fosca macchia di questa epoca di transizione, innanzi al Tribunale dei secoli. La lotta rimarrà: nel libero scontro delle idee l'avvenire s'avanzerà solenne, vincente le amarezze del momento. Ed allora, o giudici, voi pure sarete giudicati!".
È questo un tipico esempio della prosa del Gori avvocato, che con grande abilità oratoria e con sincera convinzione riusciva sempre, anche nei processi più difficili, a trasformare l'aula del tribunale in una potente tribuna di propaganda anarchica. Memorabili rimangono i molti scontri che si trovò ad avere con giudici e pubblici ministeri, che sempre gli contestarono anche il diritto di "parlare di politica" invece di fare il suo mestiere, che - a loro avviso - sarebbe stato quello di appellarsi umilmente alle autorità chiedendo clemenza e perdono per i suoi difesi: Gori invece ne rivendicò sempre l'alto valore morale, non tanto per richiedere attenuanti legali, quanto per accusare lo stato.

Le ultime lotte

Costretto nuovamente all'esilio, Gori si recò in Sud-America, dove fu fra i promotori della Federaciòn Obrera Regional Argentina (F.O.R.A.), continuando la sua instancabile attività di organizzatore operaio e di propagandista anarchico.
Nel contempo fondò una rivista di sociologia criminale, che contava fra i suoi collaboratori Ferri e Labriola, ed intraprese delle spedizioni a scopo scientifico, spinto dai suoi multiformi interessi per molti aspetti dell'esistenza e dell'emancipazione umana. Continuò a scrivere saggi di vario argomento, con particolare interesse per la sociologia criminale e l'antropologia culturale, senza per questo distaccarsi dal movimento dei lavoratori, cui sempre dette il suo contributo con la parola e con la lotta.
Tornato in Italia ai principi del secolo, riprese i suoi giri in conferenze, ma la sua salute, minata dalla tisi e da una recente malattia tropicale, lo costringeva a lunghi periodi di convalescenza in famiglia all'Isola d'Elba. Manco a dirlo, fu proprio Gori, pur malato sempre più seriamente, ad organizzare il primo storico sciopero dei minatori di Capoliveri (Isola d'Elba), recandosi poi più volte in mezzo ai lavoratori per spingerli a resistere all'intransigenza padronale, che potè esser piegata dopo trentacinque giorni di lotta. Molti compagni continuavano a scrivergli, molti ancora si recarono a trovarlo, ma ormai impossibilitato a muoversi da casa Gori era ridotto all'ombra di se stesso. La sua ultima uscita in pubblico era stata per commemorare Francisco Ferrer, l'ideatore della "Escuela Moderna", fucilato in Spagna nel 1909. Poi, due anni dopo, la morte.
Il passaggio del suo feretro, da Portoferraio alla sua Rosignano (in cui aveva lungamente vissuto e di cui si considerava cittadino), fu accompagnato dalla presenza di migliaia di lavoratori, molti dei quali giunti da altre regioni, per rendere omaggio a Pietro Gori, propagandista, organizzatore operaio, poeta, studioso, avvocato, malfattore anarchico.

Camillo Levi