Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 3 nr. 22
giugno 1973


Rivista Anarchica Online

Una mediazione difficile
di Emilio Cipriano

Anche quest'anno la relazione Carli cerca di mediare le esigenze dell'impresa privata e quelle del settore pubblico dell'economia

"O servi o padroni, con la istigazione nel sangue o alla sedizione o alla prepotenza, conforme il primitivo assoluto diritto della persona, cui spetti farsi giustizia da sé". Con queste parole di Giustino Fortunato, il Governatore della Banca d'Italia ha chiuso la sua relazione all'Assemblea Generale.
L'importanza di questa relazione è data soprattutto dall'analisi complessiva della situazione economico-finanziaria italiana, più che dalle proposte formulate (quasi sempre di conciliazione tra i settori pubblici e quelli privati).
La relazione prende le mosse da una critica al trattato di Bretton Woods ed al riconoscimento del suo ormai definitivo decadimento. È questo un argomento caro al Governatore Carli, tant'è che ogni anno rincara la dose contro il famigerato trattato, per proporre, al suo posto, la creazione di una moneta che dell'oro non abbia nemmeno il lontano ricordo.
Questo esordio serve a Carli per insistere sulla necessità di rafforzare l'assetto economico-finanziario dei paesi della C.E.E. affinché diventino competitivi nei confronti degli U.S.A., e sappiano fornire una risposta unitaria alla "sfida monetaria americana". Tutto ciò non sarà possibile fino a quando i paesi della C.E.E. non avranno sviluppato sia al loro interno sia nei rapporti intercomunitari un meccanismo di regolazione e di sviluppo che ponga in un primo piano il pieno impiego di tutte le forze produttive.
Partendo da queste affermazioni il Governatore Carli si lancia in difesa dell'impresa privata, contro la sempre più incontrastata invadenza delle imprese pubbliche.
La necessità di difendere le imprese private è determinata soprattutto dal fatto che "... l'ampliamento della sfera d'azione delle imprese pubbliche, quale risultato di interventi di salvataggio non rispondenti a una coerente linea di politica economica, conduce alla degenerazione della imprenditorialità pubblica e privata e concorre a chiudere il sistema alla integrazione europea".
Infatti come Carli rileva se mancano imprese efficienti l'abbattimento delle frontiere economiche genera soltanto l'inserimento di imprese straniere in Italia, fenomeno questo, non bilanciato da investimenti italiani all'estero.
A questo riguardo è interessante notare una convergenza del governatore della Banca d'Italia con il segretario generale della programmazione Ruffolo: questi infatti riconosce che "è tuttavia necessario impedire che l'estensione dell'area pubblica tenda prevalentemente a fronteggiare situazioni di crisi e cedimento dell'apparato produttivo".
Ora, che Carli non veda di buon occhio un eccessivo sviluppo delle imprese pubbliche è comprensibile, ma che questa tesi sia espressa anche da Ruffolo, tipico esponente del settore pubblico, deve farci comprendere che l'area pubblica è così estese in Italia da divenire (se non interverranno riforme strutturali) ingovernabile. Quindi i più accorti spingono oggi verso una più organica sistemazione dell'intero complesso che non verso un suo allargamento.
Successivamente Carli scopre senza ritegni il suo vero volto, e abbandonati i giri di parole, dichiara esplicitamente che la maggior parte dei problemi dell'economia italiana derivano dalla crisi iniziata nell'autunno 1969 in cui "la pressione sindacale dopo essersi esercitata, in occasione delle vertenze contrattuali, sui temi consueti, quali il miglioramento dei salari e la riduzione dell'orario di lavoro, si trasferì a livello di contrattazione aziendale, su aspetti che investivano da vicino la condizione dei lavoratori all'interno delle fabbriche e, a livello nazionale, sui problemi di interesse generale concernenti il miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori al di fuori dell'ambiente di lavoro; i rapporti nelle fabbriche si deteriorarono per la commistione di istanze e dei conseguenti metodi di lotta, riflettenti stati d'animo che rifuggivano dall'esprimersi in obiettivi costruttivi".
Il riferimento agli organismi extra-sindacali è esplicito, ma Carli rivela una buona dose di lungimiranza perché non invoca soluzioni reazionarie, in senso stretto, ma: "... la ricerca di una nuova normalità, necessariamente laboriosa..." cioè la ricerca di una strutturazione più avanzata capace di assorbire gli aumenti del costo.
Solo poche imprese sono state in grado di superare i problemi creatisi dopo il '69, i maggiori costi hanno contratto gli utili aziendali e hanno impedito un programma di sufficienti investimenti, soprattutto nelle imprese private.
"Già nel 1971 - rileva Carli - le imprese minori, anche per le più difficoltose condizioni finanziarie, erano costrette a ridurre fortemente l'attività di investimento mentre le maggiori ne rallentavano il ritmo, che continuava ad essere positivo, cercando soprattutto di adeguare il loro apparato alle necessità imposte dall'aumento dei costi salariali e dai mutamenti intervenuti nei rapporti di lavoro".
In questo quadro congiunturale l'impresa pubblica non è stata in grado di sviluppare una sufficiente azione anticiclica. Quindi per Carli (come per altri accorti ed astuti dirigenti) occorre "gestire i contratti collettivi di lavoro" e le centrali sindacali in continua collaborazione con i consigli di fabbrica.
Bisogna inoltre risolvere il problema centenario dell'economia italiana: il divario di sviluppo tra nord e sud, con il conseguente "contraddittorio coesistere degli inconvenienti propri del pieno impiego con quelli della sottoutilizzazione del lavoro".
In effetti l'economia italiana deve liberarsi, per essere competitiva con quella degli altri paesi europei, da questo dualismo, oltre che geografico, strutturale, e deve eliminare i contrasti troppo stridenti e perciò dannosi ad uno sviluppo di tipo europeo.
La relazione del governatore Carli termina con una considerazione sulla contrazione del margine di manovra della Banca d'Italia a causa dell'accresciuto "peso delle decisioni concernenti il volume della spesa pubblica e la sua destinazione, l'incentivazione dell'investimento pubblico e privato e soprattutto la definizione dei rapporti di lavoro".
Tutto questo, benché Carli se ne dispiaccia è in armonia coi tempi, lo Stato sempre più totalitario sia in politica, sia in economia ha sempre meno bisogno di un regolatore finanziario dell'economia, perché è lo Stato in prima persona che, tramite le sue aziende, "fa" l'economia.

Emilio Cipriano