Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 25 nr. 219
giugno 1995


Rivista Anarchica Online

Anarchici nella Resistenza
di Giampiero Landi

A cinquant'anni esatti dalla sconfitta del nazifascismo e dalla fine della seconda guerra mondiale, mentre si intensificano le iniziative per celebrare degnamente I'anniversario con manifestazioni, mostre e convegni di studi, i tempi sembrano ormai maturi per una riflessione storiografica seria e approfondita sulla partecipazione degli anarchici italiani alla guerra di liberazione. Per fare il punto sulla situazione degli studi e per stimolare nuove ricerche e contributi su un periodo della nostra storia su cui resta tutto sommato ancora molto da scoprire, la Fondazione «Anna Kuliscioff» e il Centro Studi Libertari - Archivio «Giuseppe Pinelli» hanno organizzato 1'8 aprile 1995 a Milano, presso il Circolo De Amicis, una giornata di studi su «Le Brigate Matteotti "Bruzzi Malatesta" e il contributo degli anarchici e dei libertari alla Resistenza. 1943-1945». Anche se la partecipazione degli anarchici viene sempre taciuta nelle celebrazioni ufficiali e trascurata o minimizzata (con poche eccezioni) nei libri di storia della Resistenza, il fenomeno ci fu ed ebbe una certa rilevanza sia sul piano politico che su quello strettamente militante. Come dovrebbe essere ormai noto perlomeno ai lettori di questa rivista, a Carrara, a Pistoia, in Lombardia e in Liguria durante la Resistenza operarono alcune formazioni partigiane composte prevalentemente o esclusivamente da libertari. In numerose altre localita dove non fu possibile fare altrettanto per l'esiguita numerica dei militanti o per altri motivi, molti anarchici e libertari scelsero di aggregarisi a formazioni miste create da altri partiti: le Brigate Garibaldi (comuniste), le Brigate Matteotti (socialiste), le Brigate Giustizia e Liberta (azioniste).
Non tutti gli anarchici italiani aderirono comunque alla lotta armata contro i nazifascisti. Ci fu anche chi - reduce magari dall'esilio, dal confino o dalla guerra di Spagna - vide nella seconda guerra mondiale soprattutto l'aspetto dello scontro tra opposti imperialismi, e preferì non prendere parte a un movimento partigiano egemonizzato in molte localita da forze politiche verso le quali si avvertiva una comprensibile e giustificata diffidenza (dai comunisti ai democristiani ai liberali monarchici).
Su questi e su altn temi sono intervenuti i relatori del Convegno di Milano, dedicato in particolare all'esperienza delle Brigate Matteotti «Bruzzi Malatesta» operanti in Lombardia, ma aperto a un'indagine a tutto campo sull'intero fenomeno della Resistenza anarchica e libertaria italiana (con l'eccezione dell'ltalia meridionale, su cui non sono state previste relazioni, come ha fatto rilevare opportunamente Natale Musarra in un suo breve intervento critico a conclusione dei lavori). Aprendo i lavori del Convegno Giulio Polotti, presidente della Fondazione Kuliscioff, ha ricordato come a tutt'oggi esistano diversi contributi parziali, ma nessuno studio complessivo, sulla storia delle Brigate Matteotti. A maggior ragione poco ancora si sa sulle formazioni libertarie lombarde che dopo una fase autonoma decisero di aggregarsi alle Brigate Matteotti per acquisire maggiore incisivita e efficacia sul piano operativo. Queste formazioni avrebbero operato a Milano, nella provincia di Pavia, nel Bresciano (Val Trompia), e si ha notizia anche di un gruppo operante nel Veneto. A Milano operò tra l'altro un GAP che compi una settantina di azioni. Tra le operazioni principali si possono ricordare l'assalto alla «Villa Triste» dove aveva la propria base la famigerata Banda Kock, e quello al Carcere di San Vittore. Di notevole importanza anche l'attivita di sabotaggio alla produzione nelle industrie, e il ruolo svolto nel salvataggio di impianti e servizi al momento della cacciata dei tedeschi.
E' seguita la relazione di Nico Berti (Fascismo, Antifascismo, Anarchismo), incentrata sull'analisi del fascismo da parte degli anarchici italiani. Se all'inizio il fascismo fu considerato negli ambienti anarchici quasi esclusivamente iI braccio armato della borghesia, a partire dai primi anni Trenta alcuni teorici (in particolare Rocker e, tra gli italiani, Berneri) sarebbero arrivati a coglierne la natura di «Totalitarismo imperfetto» (imperfetto non perche tale fosse la sua aspirazione, ma perche la presenza in Italia di forze come la Monarchia e la Chiesa impose al fascismo un compromesso con le vecchie forze dell'ltalia liberale). Secondo Berti, l'anarchismo riusci a comprendere la natura totalitaria del fascismo solo quando si mise a riflettere seriamente sulle sue analogie con un «Totalitarismo perfetto»: il comunismo russo. Ma il totalitarismo, in fondo, non è che I'enfatizzazione delle statalismo (di cui la democrazia sarebbe la variante «debole»). Di qui, da un lato, l'ovvia assunzione della centralita della lotta antitotalitaria per gli anarchici, ma anche, dall'altro lato, una comprensibile difficolta a identificarsi completamente con la categoria dell'antifascismo (che non è necessariamente antiautoritario, e che anzi nella sua componente comunista è anch'esso potenzialmente totalitario).
Questa fu in effetti la tragedia dell'anarchismo nella guerra di Spagna, costretto ad adottare iI paradigma del male minore (ogni cedimento fu giustificato in nome della necessita di contrastare il fascismo, considerato come il male maggiore). Una situazione per molti versi analoga si ripropone nella Resistenza (e questo spiega anche la non partecipazione di alcuni anarchici). In ogni caso, per Berti va sfatato il mito della «Resistenza tradita», in quanto la Resistenza non poteva produrre esiti diversi da quelli che ha dato.
Sulla diversificazione di scelte all'interno del movimento anarchico italiano si è soffermato anche Claudio Venza (Dopo la Spagna: resistenza sì, resistenza no), che nella sua ricostruzione è partito dalle riunioni quotidiane che si tenevano tra i libertari al confino a Ventotene negli ultimi anni del regime fascista. Alcuni, dopo I'esperienza della Spagna, rifiuteranno di unirsi alle bande partigiane per non «lavorare per gli altn» o per non essere eliminati dai comunisti (esemplari, in proposito, i casi di Umberto Tommasini e di Pio Turroni). Altri, e furono tanti, scelsero invece la strada della collaborazione antifascista e parteciparono a pieno titolo alla Resistenza. Interessante l'osservazione di Venza, secondo il quale in molti casi su questa scelta pesarono probabilmente (a fianco di considerazioni di natura piu strettamente politica) anche aspetti prepolitici, quale il dato sociologico della appartenenza a una comunita, verso la quale questi anarchici avvertivano un senso di responsabilita.
Dopo un breve saluto di Aldo Aniasi, presidente della FIAP, sono seguite le relazioni di Cesare Bermani (Le Brigate Matteotti «Bruzzi Malatesta» a Milano) e di Marcello Zane (Le «Bruzzi Malatesta» nelle valli del Bresciano). Richiamandosi esplicitamente a quanto sostenuto da Polotti nella sua introduzione, sia Bermani che Zane hanno sottolineato la difficolta del reperimento delle fonti per questo tipo di studi. Se per le Brigate Garibaldi esistono grandi archivi (anche se depurati nel dopoguerra), per altre formazioni, e in particolare per quelle libertarie, mancano i documenti. Quel poco che esiste è spesso posteriore, oppure tutto è affidato alla memoria dei protagonisti, molti dei quali gia scomparsi per ragioni anagrafiche. Si aggiunga che gli stili di lotta sono diversi da quelli delle Brigate Garibaldi, dotate di una organizzazione molto pill strutturata. Con tutte queste difficolta, i due ricercatori hanno dato I'impressione di avere scandagliato abbastanza a fondo l'oggetto del loro studio, e di avere molte pill cose da dire di quello che permetteva il tempo loro assegnato. Nell'impossibilita di dipanare tutti i fili di una vicenda complessa ed estremamente fluida, entrambi hanno scelto di presentare alcune «storie di vita», come esempio dell'attivita di un personaggio o di un nucleo. Ciò che è emerso ha lasciato nel pubblico il rammarico di non potere ascoltare per ragioni di tempo altri percorsi di vita, ed eventualmente una ricostruzione organica delle vicende di tutti questi personaggi inseriti nel contesto storico del periodo.
Considerazioni analoghe potrebbero valere per la relazione di Augusta Molinari (Anarchici e Resistenza in Liguria: un contributo per una storia che non c'è), che nelle sue ricerche è riuscita a ricostruire le biografie di ben 80 partigiani libertari operanti in Liguria (che non coprono la totalita), mentre nella storiografia sulla Resistenza nella regione gli anarchici non compaiono. Di notevole interesse il dato generazionale e di classe di questi partigiani, quasi tutti giovani operai (tra i 19 e i 27 anni). Si ha l'impressione che molti siano diventati anarchici durante o dopo la lotta armata.
L' esperienza della Resistenza sarebbe stata allora importante per portare all'anarchismo molti giovani che si erano ribellati spontaneamente al fascismo.
Dispiace che non sia possibile per ragioni di spazio soffermarsi su ognuna delle altre relazioni presentate al Convegno, tutte in qualche modo significative: Giorgio Sacchetti (25 luglio/8 settembre: Renicci d'Anghiari, un campo di concentramento badogliano); Lorenzo Pezzica (Le formazioni Iibertarie nella Resistenza apuana); Marco Puppini (Anarchici e Resistenza nella montagna friulana); Furio Biagini (Un libertario tra storia e leggenda: Silvano Fedi); Franco Bertolucci (Quelli che non si sono fermati il 25 aprile).
Resta da ricordare che il Convegno di studi - come si è visto estremamente dense di temi e di relazioni - si è svolto praticamente nell'arco di un pomeriggio, in quanto la mattina è stata riservata alla proiezione di filmati e di video sulla lotta partigiana (Lotta partigiana), prodotto dall'Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza di Torino, e Le Brigate Matteotti «Bruzzi-Malatesta» e il contributo degli anarchici e dei libertari alla Resistenza, (prodotto dalla Fondazione Kuliscioff e dal Centro Studi Libertari di Milano). Da segnalare in particolare il secondo, se non altro per la sua assoluta novita (è stato presentato al pubblico per la prima volta, e ora si spera che abbia un'ampia circolazione).
II video è basato su una ricostruzione storica curata da Nico Berti e su interviste ai non molti anarchici superstiti tra quelli che presero parte alla Resistenza. Dispiace solo che un'iniziativa del genere non sia stata pensata e realizzata dieci o venti anni fa, quando molti pill testimoni e protagonisti erano ancora vivi e intellettualmente lucidi.
In conclusione, se ci è permesso di muovere un appunto agli organizzatori del Convegno, a cui vanno riconosciuti comunque ampi meriti per avere promosso e condotto a termine l'iniziativa, la decisione di concentrare un numero così elevato di relazioni in una mezza giornata non è apparsa delle pill felici. Meglio sarebbe stato diluire gli stessi contributi nell'arco almeno di un'intera giornata. E se questo non era possibile, tanto valeva limitare il numero delle relazioni, concentrando magari gli sforzi sulle sole Brigate Matteotti «Bruzzi Malatesta» e su pochi altri temi. Ma queste osservazioni poco tolgono alla validita di una iniziativa che sicuramente rappresenta un passo avanti nella conoscenza di un periodo tragico, ma per certi versi anche esaltante, della nostra storia.