Rivista Anarchica Online
Dimenticare Kropotkin?
di Massimo La Torre
I nodi delle critiche in campo anarchico nei confronti del pensiero kropotkiniano sono qui sviluppati da
Massimo La Torre. Il testo è una elaborazione del suo intervento al convegno di studi su Piotr
Kropotkin
svoltosi a Bologna nell'aprile '91, organizzato dall'associazione La rete di Bologna e dalla Biblioteca Libertaria
"A. Borghi" di Castelbolognese
L'interpretazione critica del pensiero anarchico oscilla tra la tesi che attribuisce
a questo un orientamento
eminentemente giusnaturalistico (1) e comunque una metaetica oggettivistica e naturalistica e la tesi opposta
che vede in esso l'esito estremo di una concezione morale soggettivistica e volontaristica. Per questa seconda
interpretazione l'anarchismo potrebbe essere accomunato al nichilismo o addirittura all'immoralismo (2). In
questo scritto mi propongo di affrontare - sia pure in modo indiretto - tale questione, con riguardo ad uno
specifico teorico dell'anarchismo, il russo Petr Kropotkin. In particolare quello che mi propongo è di
mettere
a confronto due tradizioni teoriche entrambe interne al pensiero politico anarchico, per un verso la tradizione
che potremmo definire "giusnaturalista" in senso lato, e per altro verso la tradizione volontaristica. La prima
è ben rappresentata da Petr Kropotkin, la seconda dagli italiani Errico Malatesta e Francesco Saverio
Merlino.
Lo scontro tra queste due "tradizioni" avviene a diversi livelli e su terreni molteplici, investendo questioni di
filosofia morale e addirittura squisitamente metafisiche così come problemi di teoria politica e giuridica.
Procederò nel modo seguente. Innanzitutto cercherò di dare conto di alcune critiche alle
concezioni di Kropotkin
formulate all'interno del pensiero anarchico. Presenterò poi un approccio al problema morale - quello
di Ricardo
Mella - alternativo a quello del pensatore russo, elaborato però anch'esso da una prospettiva libertaria.
Nel
prosieguo indicherò, per tesi, le idee centrali della filosofia morale e sociale di Kropotkin, segnalando
subito
dopo alcune (più o meno immediate) conseguenze teoriche di quelle idee. Concluderanno questo scritto
alcune
brevi considerazioni sulla contrapposizione tra "giustizia" e "bontà", contrapposizione usata di recente
da John
Rawls e Jurgen Habermas e qui applicata al pensiero dell'anarchico russo come griglia interpretativa.
Malatesta e Kropotkin
Le critiche più serie mosse a Kropotkin da una prospettiva interna al pensiero anarchico sono quelle
di
Francesco Saverio Merlino ed Errico Malatesta. Tali critiche trovano una eco abbastanza forte nell'opera di colui
che rimane ancora oggi il massimo storico dell'anarchismo, Max Nettlau (3). Il dissenso di Malatesta rispetto
all'anarchismo kropotkiniano è espresso in modo esplicito nel I931, vale a dire dieci anni dopo la morte
del
principe russo e solo un anno prima della scomparsa del rivoluzionario italiano. Tale dissenso si trova formulato
nell'articolo Pietro Kropotkin. Ricordi e critiche di un vecchio amico pubblicato in "Studi Sociali"
(una rivista
di lingua italiana stampata in Uruguay a Montevideo) del 15 aprile 1931. A questo scritto qui di seguito
farò
copioso riferimento. Malatesta attacca innanzitutto la confusione compiuta programmaticamente da
Kropotkin tra discorso
descrittivo (la scienza) e discorso normativo (la morale, la politica). "Kropotkin - scrive Malatesta nell'articolo
appena citato - era uno spirito eminentemente sistematico e voleva spiegare tutto con uno stesso principio e tutto
ridurre a unità e lo faceva spesso, secondo me, a scapito della logica. Perciò egli appoggiava
sulla scienza le
sue aspirazioni sociali, le quali non erano, secondo lui, che delle deduzioni rigorosamente scientifiche" (4). "La
scienza - aveva detto in precedenza Malatesta riferendosi implicitamente alla concezione scientista di Kropotkin
- è la raccolta e la sistemazione di ciò che si sa, o si crede sapere: dice il fatto e cerca di scoprire
la legge del
fatto, cioè le condizioni nelle quali il fatto necessariamente avviene e si ripete (...). Essa è
uguale per tutti e
serve indifferentemente per il bene o per il male, per la liberazione come per l'oppressione (...). L'anarchia
invece è un'aspirazione umana, che non è fondata sopra nessuna vera o supposta
necessità naturale, che potrà
realizzarsi e non realizzarsi secondo la volontà umana" (5). La seconda critica di Malatesta a
Kropotkin è diretta contro l'estremo determinismo della sua filosofia, il quale
finisce per ridurre a mera illusione autoconsolatoria l'esperienza esistenziale di autonomia del soggetto
così
come ogni aspirazione di libertà di questo. "Kropotkin - scrive Malatesta - professava la filosofia
materialista
che dominava tra gli scienziati nella seconda metà del secolo XIX (...); e per conseguenza, la sua
concezione
dell'universo era rigorosamente meccanica. Secondo il suo sistema,la volontà (potenza creatrice di cui
non
possiamo comprendere la natura e la sorgente, come del resto non comprendiamo la natura e la sorgente della
"materia" e di tutti gli altri "primi principi"), la volontà, dico, che contribuisce poco o molto a
determinare la
condotta degli individui e delle società, non esiste, non è che un'illusione. Tutto quello che fu,
che è e che sarà,
dal corso degli astri alla nascita e alla decadenza di una civiltà, dal profumo di una rosa al sorriso di una
madre,
da un terremoto al pensiero di un Newton, dalle crudeltà di un tiranno alla bontà di un santo,
tutto doveva, deve
e dovrà accadere per una sequela fatale di cause e di effetti di natura meccanica, che non lascia nessuna
possibilità di variazione. L'illusione della volontà non sarebbe essa stessa che un fatto
meccanico" (6). Malatesta afferma inoltre che per una concezione radicalmente fisicalista del mondo, come
quella professata
dal principe russo, "libertà", "uguaglianza", "giustizia" cessano d'essere termini dotati di significato.
"Naturalmente - scrive l'anarchico napoletano - logicamente, se la volontà non ha alcuna potenza, se
tutto è
necessario e non può essere diversamente, le idee di libertà, di giustizia, di
responsabilità non hanno nessun
significato, non corrispondono a niente di reale" (7).
Quale "presa dal mucchio"?
La terza critica di Malatesta a Kropotkin riecheggia la critica di Saverio Merlino al pensatore russo, e si
incentra
sull'eccessivo ottimismo del russo riguardo alle virtù intrinseche del popolo. "Il popolo qui rappresenta
- scrive
Merlino a proposito dell'anarchismo kropotkiniano già nel 1893 - la parte del coro nelle tragedie greche.
Il
Kropotkin non ci dice come il popolo sarà organizzato, oppure se resterà una moltitudine, una
massa informe"
(8). Una volta posta la contrapposizione popolo/governo, e concepito il primo come sede unica della
spontaneità
dell'autonomia sociale, e il secondo come sede esclusiva del potere e del diritto (sicché questi due ultimi
concetti finiscono per identificarsi), il popolo è in grado - nella concezione kropotkiniana -, abbattuto
il governo,
di trovare per virtù propria e senza forme politiche e giuridiche specifiche e appropriate, la coesione
e la
solidarietà necessarie a sopravvivere e a realizzare la società giusta e ben ordinata. "Le
difficoltà morali - scrive
Malatesta a proposito dell'anarchismo di Kropotkin - sparivano perché egli attribuiva al "popolo", alla
massa
dei lavoratori tutte le virtù e tutte le capacità (...). Ed egli pensava che basterebbe abolire i
privilegi dei
capitalisti ed il potere dei governanti perché tutti gli uomini cominciassero immediatamente ad amarsi
come
fratelli ed a badare agl'interessi altrui come ai propri" (9). Malatesta critica così l'idea tipica
dell'anarchismo kropotkiniano, e popolarissima nel movimento anarchico tra
Ottocento e Novecento, della "presa nel mucchio", che il rivoluzionario napoletano definisce "la maniera
più
primitiva e più realmente utopistica" di concepire il comunismo. Qui Malatesta riecheggia nuovamente
opinioni
di Saverio Merlino formulate quasi quarant'anni prima. "In nessun tempo - scriveva Merlino in una lettera a
Kropotkin pubblicata sul numero sedici de"La Révolte" (30 dicembre-6 gennaio 1894) -, neanche dopo
che"l'evoluzione susseguente" alla rivoluzione sarà compiuta, la produzione potrà essere
organizzata sulla base
del"fa ciò che vuoi" né il consumo sulla base della presa nel mucchio. Saranno necessari un
piano, patti liberi
ma obbligatori, adattamenti permanenti fondati, io penso, sopra un principio di giustizia, non già sopra...
il caso
o sull'armonia prestabilita" (10). Insomma ciò che Malatesta critica del pensiero di Kropotkin
è il suo "naturalismo", la sua convinzione che i
princìpi direttivi dell'agire sociale ci siano dati dalla natura. A questa concezione Malatesta contrappone
un
radicale volontarismo (11), che vede la natura in termini negativi, come qualcosa contro cui lottare, e non come
un'entità benefica e provvidenziale. "In fondo - così Malatesta conclude le sue critiche al
vecchio amico -
Kropotkin concepiva la natura come una specie di provvidenza grazie alla quale l'armonia doveva regnare in
tutte le cose, comprese le società umane. E' ciò che ha fatto ripetere a molti anarchici questa
frase di sapore
squisitamente kropotkiniano: L'anarchia è l'ordine naturale. Si potrebbe domandare, io
penso, come mai la
Natura, se è vero che la sua legge è l'armonia, ha aspettato che vengano al mondo gli anarchici
ed aspetta ancora
ch'essi trionfino per distruggere le terribili e micidiali disarmonie di cui gli uomini hanno sempre sofferto. Non
si sarebbe più vicini alla verità dicendo che l'anarchia è la lotta, nelle società
umane, contro le disarmonie della
Natura?" (12). Potremmo forse dire che per Malatesta l'uomo si afferma come soggetto morale in quanto
assume un'attitudine
polemica rispetto alla realtà, alle cose, in quanto cioè percepisca il mondo come un campo di
resistenza che si
oppone alla realizzazione dei suoi desideri e delle sue aspirazioni, e che quindi va piegato alla nostra
volontà
(13). L'atteggiamento di Kropotkin rispetto alle "cose", alla natura in primo luogo, invece non è
conflittuale, bensì
conciliante. L'uomo, a suo avviso, si realizza come soggetto morale solo se si colloca in una relazione armonica
con la realtà e si sente in comunione con questa. Così mentre il conflitto con le "cose" è
il segnale - per
Malatesta - della presenza di una volontà morale, questo stesso conflitto si presenta - nella visione di
Kropotkin
- come sintomo evidente di debolezza morale o più semplicemente di immoralità. Il
movimento socialista, per Malatesta, al contrario di quanto crede Kropotkin, non è un portato
dell'evoluzione
naturale o storica, o di un determinato processo economico, bensì è il risultato di un'azione
motivata dal
contrasto tra ciò che è una realtà sociale data, e ciò che deve essere, certi
princìpi, certe aspirazioni, certi
"sentimenti" (parola quest'ultima assai cara a Malatesta). Ciò è già detto molto bene
da Merlino nel suo libro
Formes et essence du socialisme: "Il movimento socialista non è il prodotto della miseria
crescente né sarebbe
più esatto dire che è il prodotto della ricchezza decrescente. Esso è l'effetto d'un
contrasto tra condizioni di vita
e la concezione di questa che noi abbiamo" (14) . La metaetica non cognitivistica difesa da Malatesta non
ha alcuna implicazione "immoralista" o "relativista".
Così, a quegli anarchici che "negano la morale" egli oppone l'argomento seguente: "La morale è
la regola di
condotta che ciascun uomo considera buona. Si può trovare cattiva la morale dominante in una data
epoca, in
un dato paese, in una data società, e noi infatti troviamo pessima la morale borghese; ma non si
può concepire
una società senza una morale qualsiasi, né un uomo cosciente che non abbia un qualsiasi criterio
per giudicare
di quello che è bene e di quello che è male per se stesso e per gli altri" (15).
La concezione morale di Ricardo Mella Alternativa a quella di
Kropotkin si presenta la concezione morale di Ricardo Mella, forse il pensatore anarchico
spagnolo più importante ed influente della seconda metà del secolo diciannovesimo (16). Mella
innanzitutto
rifiuta l'analogia, al suo tempo assai popolare negli ambienti socialisti e anarchici, tra natura e società
ritenendo
che nella prima operino leggi cogenti e indipendenti dall'azione umana, mentre nella seconda vigano leggi
variabili e dipendenti dalla condotta dell'uomo. "Mentre le relazioni degli organi e delle funzioni dell'animale,
e dell'animale uomo - egli scrive -, sono connesse secondo caratteri di necessità, mentre queste relazioni
sono
idealmente, astrattamente, le medesime per tutti gli esseri, le relazioni degli elementi sociali e delle loro funzioni
mancano di tale carattere, sono modificabili, variabili all'infinito sotto l'azione, anch'essa variabile, degli
uomini" (17). Mella, inoltre, ha ben chiara la distinzione tra atteggiamento descrittivo e atteggiamento
normativo rispetto ad
un certo oggetto di studio. Così, per ciò che concerne lo studio della natura non potremo - a suo
avviso - che
assumere il punto di vista di ciò che è, mentre per ciò che concerne lo
studio della società sarà prevalente il
punto di vista di ciò che dovrebbe essere. "Nel primo caso - scrive Mella - si studia
ciò che è. Ci limitiamo a
una semplice, ma laboriosa, ricognizione del modo in cui lavorano i muscoli, circola il sangue, ecc. Nel
secondo caso si studia quale sarà il miglior metodo di lavoro, il procedimento più rapido di
circolazione, di
scambio, ecc. Ci riduciamo alla difficilissima ricerca di ciò che dovrebbe essere secondo
le necessità che
avvertiamo. È questa la ragione per cui si discute poco o niente in fisiologia, e molto in sociologia.
Coloro che
vogliono fondare quest'ultima scienza secondo relazioni di analogia con quell'altra e con le sue simili
dimenticano questa verità, che la società non è un organismo predeterminato dalla
natura" (18). Secondo Mella la società non è una grandezza indipendente dalle singole
azioni umane; è a queste che bisogna
far riferimento per intendere gli eventi sociali. La società è così vista non come un
organismo armonico, ma
come il risultato multiforme delle diverse azioni umane. Ciò però non implica in Mella una
visione
individualistica e contrattualistica della società. Questa, se pure è dipendente dalle azioni
umane, non è la mera
somma di queste, ne è piuttosto una risultante non riducibile all'addizione delle singole forze in gioco.
"La
società quindi - scrive Mella - sarà una risultante ideale come espressione variabile delle azioni
e reazioni dei
suoi componenti; giammai la somma assoluta degli stessi e ancora meno la somma del tutto identica alla loro
aggregazione positiva. Che si deduce da ciò? Che la società non può essere considerata
un aggregato, e ancora
meno un tutto organico permanente, permanentemente uguale a se stesso nel senso proprio agli esseri viventi,
completamente organizzato, individualizzato, armonicamente uno, identico a se stesso in quanto relazione fatale
dei suoi elementi" (19). Così Mella rifiuta l'evoluzionismo spenceriano (e di riflesso anche quello
kropotkiniano), non lesinando appunti
critici alla stessa filosofia positivistica. L'evoluzione sociale, come movimento necessitato ("che è"),
non è in
grado - a suo avviso - di condurci a ciò "che dovrebbe essere"; essa risulta anzi dominata com'è
da costumi e
abitudini già date, fortemente conservatrice e nemica d'ogni innovazione morale e politica. Mella
giunge ad attaccare poi uno dei capisaldi delle filosofie deterministiche: la negazione del libero arbitrio.
Tale negazione - egli ci dice - urta contro le nostre intuizioni, contro il sentimento diffuso e persistente d'essere
in qualche modo padroni (e responsabili di conseguenza) delle nostre azioni. "La ragione - egli scrive -
potrà
essere condotta da un numero considerevole di esperienze al determinismo come teoria accordabile alla
realtà
delle cose. Ma la coscienza individuale non si cura dei sistemi teorici e si conduce come se fosse regina e
signora dei propri atti" (20). Il punto d'arrivo dello spagnolo è una morale deontologica assai
diversa da quella teleologica di Kropotkin -
fondata non sul principio del mutuo appoggio, bensì su quello della dignità personale. Il
fondamento di questo
principio viene rinvenuto in un universale sentimento d'equità che starebbe al fondo dell'animo umano,
sentimento che è considerato indefinibile. "Sussiste, in tutti i tempi e in tutti gli uomini, un fondo
di equità. Non chiedetemi in cosa esso consista né come
va definito. Osservate semplicemente come opera" (21). Ci troviamo così dinanzi ad una miscela
metaetica di
emotivismo e di intuizionismo, con una prevalenza forse di quest'ultimo. Siamo lontani comunque dalla morale
naturalistica e solidaristica di Kropotkin. Mentre quest'ultimo esalta la comunità, Mella aggancia la sua
etica
all'autonomia dell'individuo, senza per questo cadere in una morale egoistica o edonistica. Inoltre, mentre
Kropotkin ha una visione armonicistica delle relazioni sociali, Mella assume una posizione conflittualistica, la
quale però si mantiene lontana dagli eccessi del darwinismo sociale.
Tra naturalismo e comunitarismo
Cerco ora di riassumere, in forma apodittica e per punti, le tesi fondamentali della filosofia politica di
Kropotkin. (i) Tra natura e società non v'è soluzione di continuità, sicché
le leggi che reggono l'una sono esattamente le
stesse che reggono l'altra. Di conseguenza Kropotkin afferma che il metodo da usare per lo studio della
società
nei suoi vari aspetti deve essere il medesimo che è impiegato nelle scienze naturali (22). È
indicativo a questo
proposito quanto egli raccomanda per l'economia in Campi, fabbriche e officine, e cioè
ch'essa deve modellarsi
come una scienza naturale: "Noi pensiamo che per diventare una scienza l'economia politica debba essere
costruita in modo diverso. Deve essere trattata come una scienza naturale, e deve usare i metodi seguiti da tutte
le scienze esatte empiriche"(23). (ii) Non v'è salto o scarto tra piano descrittivo e piano normativo,
sicché la descrizione di uno stato di cose ha
nel contempo un contenuto valutativo, tale da indirizzare l'azione umana. Così l'anarchismo e la scienza
finiscono per coincidere, come leggiamo in una pagina molto nota di un'altra opera del principe russo,
La
scienza moderna e l'anarchia: "L'anarchismo è una concezione dell'universo basata
sull'interpretazione
meccanica di fenomeni, che comprende tutta la natura, inclusa la vita delle società umane e i loro
problemi
economici, politici e morali. Il suo metodo è quello delle scienze naturali, e ogni conclusione a cui
arriva deve
essere verificata da questo metodo se pretende di essere scientifica" (24). (iii) L'universo è
orientato verso un certo fine identificato con l'armonia dei suoi elementi. La storia umana è
solo una vicenda della grande storia dell'universo, tant'è che si può arrivare "a interpretare la
storia nello stesso
modo in cui le scienze naturali interpretano i fenomeni della natura" (25). L'armonia è vista come uno
stato
provvisorio sottoposto a modificazioni e aggiustamenti continui. La rivoluzione sociale non ha altro compito
che quello di ristabilire l'armonia dell'ordine sociale turbata dalla presenza dello Stato e del regime proprietario
capitalistico. "L'armonia appare così come equilibrio temporaneo, stabilito fra tutte le forze, un
provvisorio
adattamento, e questo equilibrio durerà solo ad una condizione, quella di modificarsi continuamente;
di
rappresentare ad ogni momento la risultante di tutte le azioni contrarie. Che una sola di queste forze sia impedita
per qualche tempo nella sua azione, e l'armonia scomparirà. La forza accumulerà il suo effetto,
deve
manifestarsi, esercitare la sua azione; e se altre forze glielo impediscono, essa non si annullerà, ma
finirà col
rompere l'equilibrio e lavorare ad un nuovo adattamento. Cosi è l'eruzione di un vulcano la cui forza
imprigionata finisce per rompere la lava che le impediva di eruttare gas, magma e cenere incandescenti.
Così
le rivoluzioni" (16). (iv) Non v'è necessità, perché una società
sussista e si sviluppi, della mediazione normativa (giuridica e
politica). Si ritiene che la dinamica sociale della società borghese o di classe si articoli solo nella
tensione tra
popolo e governo, e questa tensione è vista come una relazione distruttiva di contrapposizione. Si crede
che non
sia possibile inserire tra questi due termini contrapposti e nemici un terzo elemento (ad esempio la
"società"
di Andrea Caffi, il quale - anch'egli di formazione culturale russa e socialista - articolava significativamente la
sua riflessione politica secondo una dinamica tripolare: popolo-società-governo) (27). (v) Anche
la mediazione economica, come regolazione del rapporto tra produzione e consumo, è del tutto
superflua. Il valore economico - secondo Kropotkin - è solo valore d'uso. Non vi è alcun valore
di scambio o,
se vi è, questo è necessariamente - per usare una terminologia marxiana - valore "alienato",
"merce", "capitale",
ed è quindi inammissibile in una società socialista. Sul piano economico l'obiettivo
dichiarato del principe russo diviene così una sorta di società autarchica, dove
la produzione è regolata dal consumo diretto dei produttori medesimi. "Ritornare - leggiamo in
Campi,
fabbriche e officine - a una situazione in cui il grano è cresciuto e i beni manifatturieri vengono
prodotti, per
l'uso proprio di quella gente che coltiva e produce - questo sarà senza dubbio il problema da
risolvere nei
prossimi anni della storia europea. Ogni regione diverrà la produttrice e la consumatrice dei propri
prodotti(28). In questa sede non m'interessa tanto procedere a una critica articolata di queste tesi. Voglio
piuttosto indicare
alcune loro possibili conseguenze teoriche. La tesi (i), strettamente collegata alla tesi (iv) e (v), conduce ad
assumere un atteggiamento di rifiuto di ogni norma, regola, e organizzazione. Non è un caso che la
filosofia
ispiratrice di certe correnti radicalmente antiorganizzatrici dell'anarchismo (penso innanzitutto a Luigi Galleani)
fosse proprio il comunismo armonista kropotkiniano (29).
Senso morale e istinto innato
La società armonica, alla quale fa riferimento il principe russo, ha però poco a che fare con
lo "stato di natura"
dei giusnaturalisti del XVII e del XVIII secolo, anche nel caso in cui questo non sia pensato nei termini di una
situazione di guerra di tutti contro tutti. Lo "stato di natura" è un concetto giuridico o normativo, ed ha
forti
tratti individualistici. La società armonica, composta di associazioni volontarie, preconizzata da
Kropotkin è
piuttosto un concetto sociologico, il quale viene giocato contro ogni prospettiva giuridica.
Nè può dirsi che per
Kropotkin la società sia il risultato di un contratto tra gli individui, giacché essa è
pensata come un fatto che
precede l'individuo e che si giustifica a prescindere dalla volontà di questo. La forma di organizzazione
delle
"associazioni volontarie" - scrive Jurgen Habermas a proposito della teoria sociale dell'anarchismo - è,
a
differenza della costruzione individualistica, giusnaturalistica, dello stato di natura, un concetto sociologico,
che consente di pensare i rapporti come qualcosa che insorge spontaneamente, senza dominio, in modo non
contrattuale. La società priva di dominio non deve dunque essere concepita come l'ordine strumentale
e quindi
pre-politico, che si stabilisce a partire da un contratto, vale a dire da accordi guidati dall'interesse di privati che
agiscono in funzione del successo (30). La tesi (ii) conduce a ignorare l'elemento normativo d'ogni morale,
il carattere per così dire "controfattuale"
dell'etica, e a confondere infine la morale positiva (la morale socialmente vigente) con la morale critica, quella
che un certo soggetto ponendosi in posizione normativa raccomanda a sé e agli altri, la quale
però potrebbe
anche non essere applicata e vigente socialmente in alcun luogo e tempo. Kropotkin opera tale confusione dal
lato della morale positiva, nel senso che egli riconduce a quest'ultima anche la morale critica. Nel suo libro
sull'etica, l'ultima sua opera prima della morte, Kropotkin sembra coniugare una morale storicistica
("è giusto ciò che è portato della Storia") con una morale evoluzionistica ("è
giusto ciò che è portato
dell'Evoluzione") (31). Ciò significa, in breve, ricondurre "ciò che deve essere" a "ciò
che è" in una certa fase
storica o in un certo stadio dell'evoluzione, negando alla morale la controfattualità rispetto all'esistente.
Un tale
atteggiamento teorico può però facilmente scivolare da un lato nella glorificazione dell'esistente
"ciò che è reale
è razionale", e d'altro canto nella dismissione da parte del soggetto del suo statuto di fonte di produzione
- per
così dire - delle norme morali. Il carattere principale della metaetica kropotkiniana è il
naturalismo, quindi un
deciso oggettivismo. Il sentimento morale non è visto come esclusivo del genere umano. Esso è
piuttosto
comune a tutto il mondo animale, e qui si manifesta in espressioni che non differiscono essenzialmente tra loro.
Gli animali - scrive Kropotkin -, i quali vivono socievolmente, sanno far distinzione tra il bene e il male,
precisamente come l'uomo. E, ciò che più colpisce, egli è che le loro concezioni sul
bene e sul male sono
assolutamente dello stesso genere di quelle dell'uomo" (32). Per Kropotkin il senso morale è un
istinto innato nell'uomo, frutto dell'evoluzione della specie. "Mutuo
Appoggio - Giustizia - Moralità sono dunque rispettivamente i passi di una serie ascendente, che
ci viene
rivelata dallo studio del mondo animale e dell'uomo. Essi costituiscono una necessità
organica che ha in sé la
propria giustificazione confermata dall'evoluzione complessiva del regno animale, a cominciare dai suoi
primissimi stadi (sotto forma di colonie negli organismi più primitivi) salendo pian piano fino alle
nostre
comunità umane civilizzate. Parlando per immagini, è una legge universale
dell'evoluzione organica, e questo
è il motivo per cui il senso del Mutuo Appoggio, della Giustizia e della Moralità è
radicato nell'animo umano
con tutta la forza di un istinto innato. (33) La filosofia morale del russo è un esempio di ciò
che John Rawls chiama "perfezionismo", vale a dire di quella
concezione per cui il bene è tutto ciò che incoraggia il, e tende al, perfezionamento delle
capacità intrinseche
dell'individuo. E' questa una visione - per così dire - teleologica della morale, che si ricollega all'antica
dottrina
aristotelica secondo cui gli esseri sono dotati di un fine connaturato ad essi. In Kropotkin il "perfezionismo"
si sposa con una sorta di "vitalismo" che gli proviene tra l'altro dalla lettura di Guyau. "Sii forte! - scrive
Kropotkin - trabocca di energie passionale e intellettuale - e tu riverserai sugli altri la tua intelligenza, il tuo
amore, la tua forza di azione! - Ecco a che cosa si riduce tutto l'insegnamento morale, spogliato delle ipocrisie
dell'ascetismo orientale" (34). E' questa una morale "eroica", che giunge quasi a sconfinare nel titanismo. La
metaetica di Kropotkin è comunque "comunitaristica" ed antiriflessiva. A suo avviso i giudizi morali
vanno
tipicamente pronunciati alla prima persona plurale. E' il "noi" e non l'"io" il soggetto degli enunciati morali -
egli scrive. "La vita sociale, vale a dire noi, non io, è la forma normale di vita,
è la vita stessa. Perciò "noi"
dev'essere stata la tendenza di pensiero usuale dell'uomo primitivo, una "categoria" della sua mente, come forse
avrebbe detto Kant. Qui, in questa identificazione o, potremmo anche dire, in questa assimilazione dell'"Io" da
parte della legge o della tribù, risiedono le radici di tutto il pensiero etico" (35). L'origine del
pensiero morale va rinvenuta pertanto - secondo il principe russo - non tanto nella riflessività del
soggetto, quanto nel sentimento di identificazione con un collettivo, con una comunità. Tuttavia il
"comunitarismo" di Kropotkin non ha marcato carattere storicistico, com'è il caso in genere dei
più moderni
"comunitaristi" (36). Il russo infatti distingue tra codici morali dominanti, frutto - a suo avviso
- di superstizioni
e subalterni al dominio di classe, e senso morale, il quale ultimo è il vero e proprio luogo
della morale ed è
connesso alla natura dell'uomo piuttosto che alla sua contingente appartenenza ad una certa comunità
(37). Il comunitarismo di Kropotkin, almeno in materia morale, è per così dire
"trascendentale", si àncora non in un
certo ambito comunitario storicamente e geograficamente determinato, bensì nel carattere
eminentemente
sociale (cooperativo) di tutti gli esseri umani, come portato evolutivo della storia non di singoli gruppi, popoli,
etnie o nazioni bensì dell'intera specie umana. Ciò che Kropotkin cerca per la morale è
un fondamento assoluto,
che sfugga alla disposizione e al calcolo degli esseri umani. Siamo dunque ben lontani da qualunque posizione
volontaristica o addirittura immoralistica. L'obiettivo di Kropotkin è una morale rigorosa e
oggettivamente
fondata sottratta alla convinzione e alla volontà dei singoli (38).
Scienza, cioè morale
E' in nome di un'esigenza oggettivistica, e non di una metaetica relativistica e noncognitivistica, che
Kropotkin
rifiuta l'utilitarismo di Bentham e Mill, giacché questo - a suo avviso - affiderebbe la giustificazione dei
princìpi
morali ai sentimenti e alle sensazioni dei singoli soggetti, e si baserebbe su misurazioni astratte. Al riguardo la
domanda sollevata da Kropotkin è la seguente: "E' possibile che la moralità non sia altro che
un fenomeno
accidentale nella vita degli uomini e fino a un certo punto anche nella vita degli animali sociali? E possibile che
non abbia fondamento più profondo se non la mia casuale inclinazione benevola accompagnata dalla
considerazione della ragione che tale benevolenza mi torna utile, in quanto mi tutela da ulteriori spiacevolezze?"
(39). Per Kropotkin, come per tanta parte del positivismo filosofico ottocentesco, scienza e morale
finiscono per
coincidere. Per il principe russo anzi coincidono pure scienza e rivoluzione. La tesi (ii), che qui si discute,
rimanda così alla tesi (iii). La tesi (iii), che - come si è visto - è quella più
criticata da Malatesta, conduce ad
una visione fatalistica o deterministica del cambiamento sociale, mortificandone il lato volontaristico. Per
Kropotkin non sono tanto la volontà dell'uomo, la sua decisione morale, il suo impegno, il motore del
cambiamento quanto piuttosto le leggi intrinseche all'universo. Leggi - si badi - intese in senso finalistico, leggi
intrinseche alla natura, e non estrinseche a questa come strumenti convenzionali ad uso dello scienziato, leggi
scientifiche che sono anche "buone" per definizione, ovvero "morali". Ancora una volta, secondo
Kropotkin la categoria principale, centrale, dell'attività umana risulta essere quella
della scienza, non quella della morale o della politica. In un certo senso per Kropotkin basta conoscere e il gioco
è fatto, si giungerà là dove la volontà non ci condurrebbe mai: al mondo
dell'armonia e del mutuo appoggio.
Basta guardare, osservare, descrivere un alveare, per ricevere già per ciò stesso un'esortazione
alla rivoluzione
sociale, ed avere un programma politico e un modello per la società futura. Non v'è più
spazio qui per la
distinzione tra giudizi "teorici" (o discorsi assertivi) e giudizi "pratici" (o discorsi valutativi o normativi). Il
giudizio "pratico" può essere ricondotto a quello "teorico". Un reale conflitto di opinioni può
vertere dunque
solo su questioni di fatto, e sarà bene o male risolubile con metodi scientifici o empirici. Ciò
è ripetuto con
molta chiarezza da William Morris, un pensatore socialista per molti versi contiguo a Kropotkin, quando si
arrischia a descrivere il processo decisionale nella società comunista del futuro: "Di norma, l'esito
immediato
dimostra quale opinione su un determinato argomento è quella giusta; è una questione di fatti,
non di
speculazione" (40). Adottando una terminologia di Thomas Nagel (41), si potrebbe dire che per Kropotkin
"punto di vista
personale" e "punto di vista impersonale" possono felicemente convivere ed anzi coincidere in ciascun
individuo, senza creare problemi di coordinamento e tanto meno conflitti. Ciò vuol dire che ciascun
individuo,
perseguendo i propri interessi, le proprie inclinazioni, i propri desideri ("punto di vista personale"), promuove
al tempo stesso l'interesse della collettività ed anzi dell'intero genere umano ("punto di vista
impersonale"). In
una tale prospettiva, allora, perde d'importanza ogni meccanismo di regolazione di eventuali conflitti tra i due
"punti di vista".
Norme, diritto, mercato
La tesi (iv), che insieme alla (v) è quella più criticata da Saverio Merlino, conduce
all'amorfismo politico e
all'astensionismo dalla politica intesa come mediazione di interessi. Se la società è retta da
meccanismi
automatici, quindi necessari e dunque giusti - giacché per Kropotkin, come si è visto,
ciò che è necessario
finisce per essere anche giusto - non importa avere piani accurati di ricostruzione sociale per chi si propone di
modificare o rivoluzionare un certo regime sociale. Ci si può limitare ad asportare le escrezioni
autoritarie e
proprietarie, esaltando così la radicalità e l'intransigenza del proprio intervento, confidenti che
in ogni caso
l'accordo e l'armonia si daranno per la forza delle cose stesse. Così tutto ciò che è
mediazione,
regolamentazione, normazione, può essere trascurato, ed anzi indiscriminatamente attaccato come
escrescenza
maligna, come ipostasi di princìpi ordinatori che non abbisognano di alcuna esplicitazione né
consapevolezza
da parte dei consociati (42). Il diritto in questa prospettiva è principalmente una funzione del
regime proprietario, serve soprattutto a
difendere questo dalla rabbia delle sue vittime: "Metà delle nostre leggi, il codice civile di ciascun
paese, non
hanno altro scopo che conservare questa proprietà, questo monopolio a beneficio di alcuni individui
contro tutta
l'umanità. Tre quarti delle cause su cui i tribunali sono chiamati a giudicare non sono altro che contese
fra
monopolisti, due ladri che litigano per il bottino. Gran parte delle nostre leggi criminali inoltre hanno lo stesso
obiettivo, il loro fine essendo quello di mantenere il lavoratore in una posizione subordinata rispetto al datore
di lavoro, garantendo quindi uno sfruttamento indisturbato" (43). Il diritto qui è visto come
violenza (occultata, dietro un manto d'ipocrisia e d'ideologia) del più forte sul più
debole. Verso di esso l'unica possibile rispettabile attitudine è il disprezzo. "Se si analizza la legge, e
la si
spoglia di quelle nebulose fantasie con le quali è stata elaborata così da nasconderne la vera
origine, ovvero il
diritto del più forte, e la sua sostanza, che è sempre stata la causa di tutte le tirannie subite
dall'umanità nella
sua lunga e sanguinosa storia, una volta capito ciò, il disprezzo per la legge si farà ancora
più profondo" (44). Connessa al rifiuto di qualsivoglia istituzioni e norme, e quindi all'amorfismo
politico, è l'assunzione
dell'assenza di conflitti all'interno della società comunista, ovvero la valutazione del conflitto come una
situazione negativa o patologica per la società. Inoltre, in assenza di istituzioni e di norme, il controllo
sociale
deve affidarsi completamente alle virtù delle masse indistinte. "La negazione a priori
dell'autorità - commenta
criticamente Camillo Berneri - si risolve in un angelicarsi degli uomini ed in uno sviluppo irrompente di un
genio collettivo, quasi immanente alla rivoluzione, che si chiama iniziativa popolare. Il popolo,
in questo
sistema, è omogeneo, per natura e per impulsi" (45). Nelle parole di Kropotkin si avverte la tentazione
di una
tirannia dell'opinione pubblica, tentazione che al russo rimproverano prima Merlino e poi George Woodcock.
"Né - scrive in proposito Merlino - bisogna rimettere la soluzione di tutte le difficoltà
all'opinione pubblica, di
cui c'è da temere la tirannia e che, in fondo, è sempre l'opinione di taluni" (46). Tutti son
responsabili di tutti
e tutto: questa è la risposta kropotkiniana alla teoria liberale della divisione dei poteri. Ovviamente,
poiché le
norme sono viste con sospetto, il controllo sociale non è sottoposto ad alcuna regola né a limiti
formali, quindi.
Il problema del garantismo penale qui nemmeno si pone, giacché l'azione popolare è considerata
come tale
sempre legittima. La tesi (v) è certo quella che più richiederebbe un'analisi puntuale e
specializzata. Gran parte della critica
kropotkiniana all'economia capitalistica ossessionata dalle idee di profitto e di produttività è
ancora oggi attuale,
tanto più attuale in un'epoca in cui sempre più concreta si fa la prospettiva della catastrofe
ecologica.
L'ossessione di dominio e sfruttamento della natura, tipica del capitalismo, ci trascina ormai verso un punto di
non-ritorno: la mercificazione della natura comporta la distruzione di questa e il lento suicidio
dell'umanità che
non ha inteso il legame che la unisce all'ecosistema "terra". Questa ossessione e il rischio dell'autodistruzione
sono percepiti con lucidità dal principe russo, che non a caso insiste su motivi quali "piccolo è
bello", idee che
solo dopo molti anni cominceranno a penetrare nella coscienza civile della società industriale.
Tuttavia, nella teoria economica di Kropotkin si ripropone il problema dell'amorfismo. In essa, peraltro,
si opera
una perniciosa confusione tra regole dell'economia e leggi statali: le prime sono parificate alle seconde, e quindi
rifiutate. Questa confusione è riproposta da William Morris nel suo News from Nowhere,
che ci dipinge una
società utopica assai vicina al comunismo anarchico preconizzato da Kropotkin. "Non abbiamo uno
scambio
individuale evidente, - dice il cittadino della società "nuova" - (...) ma naturalmente ci sono regole del
mercato,
che variano a seconda delle circostanze e sono guidate dall'uso generale. Ma se queste sono oggetto di pubblica
approvazione e nessuno si sogna di metterle in discussione, non abbiamo fatto niente per consolidarle; quindi
non le chiamerei leggi. Nel diritto, che sia penale o civile, il giudizio è sempre seguito da
un'applicazione, e c'è
qualcuno che la deve subire" (47). Per William Morris, come per Kropotkin, il valore economico è
solo quello d'uso. "Le merci che produciamo,
- fa dire Morris al suo "uomo nuovo" - vengono prodotte perché sono necessarie: gli uomini le
producono a uso
del prossimo come se fosse per sé, non per un imprecisato mercato di cui essi non sanno nulla e sul
quale non
hanno alcun controllo: non essendoci compravendita, sarebbe pura follia produrre dei beni sperando nella
domanda (...) Niente può venir prodotto se non per il suo uso vero e proprio" (48).
Così il principe russo
raccomanda una riforma delle scienze economiche che dovrebbero incentrarsi non più tanto sui
problemi della
produzione quanto su quelli del consumo: "Secondo l'anarchismo - egli scrive - (...) l'attenzione dell'economia
deve essere diretta in primo luogo al cosiddetto "consumo"" (49). La questione economica non è
però solo quella del consumo (come ritiene Kropotkin) , né solo quella della
produzione (come crede Marx), bensì principalmente quella del raccordo tra produzione e consumo,
ovvero
quella dei - come direbbe Merlino - "cambi". Orbene, lo scambio per effettuarsi, al di là di
quantità minime, e
di momenti sporadici, richiede unità di misura comuni tra i partecipanti allo scambio. Ciò ha
per conseguenza
che il valore di scambio sia necessariamente distinto dal valore d'uso. Il valore d'uso (o di consumo)
è soggettivo, e può essere diverso in ciascun soggetto. Il valore di scambio
dev'essere comune ai soggetti che operano lo scambio, e quindi è non più soggettivo
bensì intersoggettivo.
Questa misura comune rimanda, però, proprio a quell'elemento di mediazione, di regolazione o di
norma, che
è invece avversato o trascurato dalla riflessione kropotkiniana . La prise au tas, la presa
dal mucchio, ha certo
un'intensa valenza utopistica, ma non pare costituire un meccanismo alternativo al mercato. Così
come avveniva per la politica, anche l'economia, nella proposta teorica di Kropotkin, finisce per confluire
nella morale. Qui il punto di vista morale non è solo predominante, esso è pervasivo. Esso
diviene anzi
totalizzante, giacché la morale è reinterpretata come scienza, meglio come le scienze.
Giustizia e bontà
Per Kropotkin la cosiddetta "fallacia naturalistica" (il salto logico dalla descrizione di uno stato di cose alla
posizione di un valore o di una norma) opera non più dall'"essere" al "dover essere", bensì dal
"dover essere"
all'"essere". A ciò che deve essere, ai princìpi, si fa corrispondere una qualche serie di eventi
empirici che
giustificherebbe quei princìpi attribuendo loro l'auspicata oggettività e necessità. Siamo
ben lontani
dall'immoralismo. È un moralismo rigidissimo quello che promana dal pensiero kropotkiniano, tanto
rigido da
giungere fino al limite estremo dell'antivolontarismo e da incontrarsi su questo terreno con l'etica tolstoiana (50).
Per rendere l'uomo finalmente libero si postula una morale assoluta ("certa" come solo può esserlo nel
caso di
Kropotkin una legge causale/scientifica o - nel caso di Tolstoj - una legge divina) che lo obblighi a essere
libero. Kropotkin rovescia la concezione moderna e liberale del rapporto tra "giusto" e "buono" (51). Questa
a sua
volta capovolgeva la visione antica, dando la preminenza al "giusto" rispetto al "buono", almeno per ciò
che
concerneva la morale intersoggettiva e la politica. Per il pensiero liberale, ciò che rileva in politica non
sono
tanto le virtù dei singoli individui, la loro "bontà", quanto i rapporti che si creano tra quelli, vale
a dire la
"giustizia" delle istituzioni civili. In questa prospettiva la "bontà" non è affare della politica,
non ricade nella
sfera pubblica, giacché essa esprime quanto di più privato v'è nella vita del soggetto,
le inclinazioni di questo.
Fondare sulla "bontà" dei singoli il valore delle istituzioni e della società civile, oltre a
rimandare a criteri
normativi di assai difficile individuazione e formulazione, significherebbe cancellare d'un tratto la linea
divisoria tra "pubblico" e "privato". Si preferisce allora restare neutrali rispetto alle "virtù" del soggetto,
non
domandargli troppo, e ci si contenta della corrispondenza dei rapporti tra soggetti a criteri più o meno
formali,
più o meno procedurali, che non caricano il "privato" di precisi contenuti sostanziali. E' questa la
prevalenza
del "giusto" di cui in tempi recenti si è fatto assertore il filosofo americano John Rawls. Orbene,
Kropotkin,
ritorna - per così dire - all'antico. Per lui come per Tolstoj la politica e la morale sono questione del
"buono",
delle virtù dei cittadini, e poco o niente affatto delle istituzioni. La "giustizia" si risolve così
nella "bontà" (52).
Nella tradizione liberal-democratica, l'identità pubblica dei cittadini in quanto uomini liberi non
è determinata
dalla loro concezione di ciò è il "bene". Come ha scritto John Rawls "in quanto persone libere,
i cittadini
rivendicano il diritto a considerare le proprie persone come indipendenti da qualsiasi particolare concezione del
bene, o schema di fini ultimi, persone che non si identificano con essi" (53). Per Kropotkin invece, per il quale
pure i cittadini sono persone libere, là qualità di persona non è moralmente neutra ed
è strettamente connessa
ad una certa sostanziale concezione del "bene". La "giustizia" (intesa come "fairness", come equa
strutturazione delle relazioni politico-economiche di un
gruppo sociale) rappresenta un insieme di princìpi dotati di un ristretto àmbito di
validità e di applicazione,
mentre la "bontà" costituisce un corpo di princìpi la cui validità e applicazione
è pervasiva e globale, investendo
tutte le sfere della vita del soggetto umano. Come scrive Rawls, "la concezione del cittadino come persona
libera e uguale non è un ideale morale che governi tutta la vita, ma è un ideale appartenente a
una concezione
di giustizia politica che va applicata alla struttura di base" (54). Nella tradizione liberale la "giustizia" ha
il sopravvento sulla "bontà", in quanto la prima definisce quali
concezioni della seconda sono ammissibili entro una certa società. Ciò è detto molto
bene da Rawls: "Il concetto
di giustizia è indipendente dal, e precedente al, concetto di bontà nel senso che i
princìpi di quella limitano le
concezioni del bene che sono permesse" (55). E' per ciò che il filosofo americano parla della
priorità delle
libertà, di certi diritti fondamentali (condizioni necessarie della giustizia come "fairness", come
procedura equa)
sulle altre forme di "bene". Di "diritti fondamentali" non vi è invece traccia nella teoria politica
kropotkiniana.
1) Vedi ad esempio M. COSSUTTA, Anarchismo e diritto. Componenti
giusnaturalistiche del pensiero anarchico, Coopstudio,
Trieste 1987 . Vedi anche V.GUELI , Anarchia, in Enciclopedia del diritto, vol.2,
Giuffrè, Milano 1958, p.387.
2) Vedi ad esempio G.FASSO, Società, legge, ragione,
Comunità, Milano 1974, p.164.
3) Vedi ad esempio M.NETTLAU, Geschichte der Anarchie, Vol. 4,
Die erste Blütezeit der Anarchie, 1886-1894, ristampa, Topos,
Vaduz 1981, pp. 30 ss., 61, 98 ss., 312,467 ss.
4) E.MALATESTA, Pietro Kropotkin. Ricordi e critiche di un vecchio
amico, ora in ID., .Scritti, vol.3, Pensiero e volontà e ultimi
scritti, 1924/1932, Edizione del "Risveglio", Ginevra 1936,p.372.
5) E. MALATESTA, Commenti all'articolo "Scienza e anarchia" di Nino
Napolitano , in "Pensiero e volontà" del 1 luglio 1925,
anche in ID., Scritti, vol. 3, cit., p.176. Vedi anche E. MALATESTA, Aberrazioni
pseudoscientifiche, in "Pensiero e volontà" del 16
novembre 1925, ora in ID., Scritti, Vol.3, cit., pp. 203-205, e E. MALATESTA, Ancora su scienza e
anarchia, in "Pensiero e
volontà" del 1 febbraio 1926, ora in ID., Scritti, vol. 3, cit., pp. 211-213. Malatesta si
esprime criticamente anche contro lo
storicismo: vedi E. MALATESTA, Le leggi storiche e la rivoluzione, in "Umanità nova"
del 17 luglio 1920, ora in ID., Scritti, vol.
1., "Umanità Nova", Edizione del "Risveglio", Ginevra 1934, p. 103 ss. L'antiscientismo di Malatesta
ha radici in un analogo
atteggiamento di Mikhail Bakunin. In merito, cfr. D. FARIAS, Bakunin su scienza e Politica,
in ID., Saggi di filosofia politica,
Giuffrè, Milano 1977, pp. 462 ss.
6) E.MALATESTA, Pietro Kropotkin. Ricordi e critiche di un vecchio
amico, cit., p. 374. Vedi anche E. MALATESTA, Nota
all'articolo: "Scienza e anarchia", di Hz., in "Pensiero e volontà" del 1 settembre 1925, ora in ID.,
Scritti,vol. 3, cit., pp. 180 ss.
7) E.MALATESTA, Pietro Kropotkin. Ricordi e critiche di un vecchio
amico, cit., p.37
8) S. MERLINO, L'individualisme dans l'anarchisme, in "La
societé nouvelle", novembre 1893, trad. it. in ID., Concezione critica
del socialismo libertario, a cura di A. Venturini e P.C. Masini, La Nuova Italia, Firenze 1957, p.
126.
9) E.MALATESTA, Pietro Kropotkin. Ricordi e critiche di un vecchio
amico, cit.. pp. 376-377.
10) Cito la traduzione italiana fornita in S. MERLINO, Concezione critica del
socialismo libertario, cit., p. 141.
11) Cfr. c. CERRITO, Prefazione, in P.A. KROPOTKIN, Memorie di un
rivoluzionario, trad. it. a cura di L. Berrini Pajetta, VI ed.,
Feltrinelli, Milano 1969.
12) E.MALATESTA, Op. ult. cit., pp. 377-378. Corsivo nel testo. Qui riecheggiano,
forse, motivi del pessimismo leopardiano: cfr.
Zibaldone, 2 gennaio 1827 .
13) Per quest'atteggiamento in etica, cfr. F. SAVATER, Invitación a la
ética, IV ed., Anagrama, Barcelona 1986, p. 16.
14) S. MERLINO, Formes et essence du socialisme, Giard &
Brière, Paris 1898, p.257.
15) E. MALATESTA, Errori e rimedi-schiarimenti, in "L'anarchia",
Londra, agosto 1896, ora in ID., Scritti scelti,.a cura di G.
Berneri e C. Zaccaria, Edizioni RL, Napoli 1954,p.22.
16) In merito, cfr. J. ALVAREZ JUNCO, La ideología politica del
anarquismo espanol (1868-1910), II ed., Siglo XXI, Madrid 1991.
17) R. MELLA, La coacción moral (Fundamentos de una nuova
ética social), ora in ID., Breves apuntes sobre las pasiones humanas,
Tusquets, Barcelona 1976, p. 70.
18) Ivi, pp.70-71. Corsivo nel testo.
19) Ivi, p.69.
20) Ivi, p. 100.
21) R. MELLA, Breves apuntes sobre las pasiones humanas, cit.,
p.24.
22) "Poiché l'uomo è parte della natura, e poiché la vita del
suo"spirito", quello personale come quello sociale, è un fenomeno naturale
né più né meno che lo sbocciare di un fiore o lo sviluppo di una vita sociale fra le
formiche e le api, non c'è motivo che noi si cambi
metodo di indagine passando dai fiori all'uomo o da una colonia di castori a una città di uomini" (P.A.
KROPOTKIN, Modern Science
and Anarchism, in The Essential Kropotkin, a cura di E. Caponya e K. Tompkins,
MacMillan, London 1970, p.62).
23) P. KROPOTKIN , La società aperta, scelta degli scritti e
introduzione di H. Read, trad. it. di A. Savegnag, Antistato, Cesena
1973, p. 153.
24) "Le sue [dell'anarchismo] conclusioni possono trovare una verifica soltanto con
lo stesso metodo induttivo scientifico-naturale
attraverso il quale si costituiscono ogni scienza e ogni concezione scientifica dell'universo". (P. KROPOTKIN.
Modern Science and
Anarchism, cit., p. 93).
25) P.KROPOTKIN, L'anarchia: la sua filosofia e il suo ideale, trad. it.
di D. Tarantini, Altamurgia, Ivrea 1973, p.17.
26) Ivi,p. 16. Corsivo mio.
27) Vedi A. CAFFI, Critica della violenza, raccolta di scritti a cura di
N. Chiaromonte, Bompiani, Milano 1966, p.84. Kropotkin,
nella sua esaltazione delle antiche comunità agricole russe, è del pari lontano dalle posizioni
di Alessandro Herzen, che invece scrive:
"La comunità, codesto prodotto del suolo, addormenta gli uomini, assorbe la loro indipendenza" (A.
HERZEN, Du développement
des idées revolutionnaires en Russie (1851), trad. it. (di M.C.) Breve storia dei russi, Longanesi,
Milano 1953, p. 42).
28) P. KROPOTKIN, La società aperta, cit., p. 169. Corsivo nel
testo.
29) Si legga, ad esempio, L. GALLEANI, La fine dell' anarchismo?,
L'antistato, Cesena 1966.
30) J. HABERMAS, Volkssouveranitat als Verfahren. Ein normativer Begriff
von Offentlichkeit, in "Merkur", 1989, p. 4T1. Corsivo
nel testo.
31) In merito, cfr. G.P. PRANDSTRALLER, Kropotkin: il problema
dell'etica, in "Volontà", 1981, n.2, pp.24 ss. Cfr. anche H.
HUG, Kropotkin zur Einfuhrung, Junius Verlag, Hamburg 1989, pp. 31 ss.
32)P. A. KROPOTKIN, La morale anarchica, trad. it., Biblioteca della
"Cronaca sovversiva", s.l. 1912, p. 15.
33) P.A. KROPOTKTN, Ethics, Origin and Development, traduzione
inglese di L.S. Friedland e J.R. Piroshnikoff, Prism Press,
Dorchester s.a.,pp. 30-31. Corsivo nel testo. "Mi permetto di porre alla scienza la seguente domanda" - dice
egli in una conferenza
degli anni 1888-1889 -: "la giustizia non ha il suo fondamento nella natura umana?" (P.A. Kropotkin,
Gerechtigkeit und Sittlichkeit,
Verlag "Der Syndacalist", Berlin 1924, p. 16).
34) P. A. KROPOTKIN, La morale anarchica, trad. it. cit.,
p.40.
35) P.A. KROPOTKTN, Ethics. Origin and Development, trad. inglese
cit., p. 60.
36) Com'è il caso, ad esempio, di Alisdair Maclntyre. Si veda A.
MACINTYRE, After Virtue. A Study in Moral Theory, II ed.,
Duckworth, London 1990.
37) In merito, cfr. G. WOODCOCK, I. AKUMOVICH, The Anarchist Prince.
A Biographical Study, Schocken Books, New York
I971, pp. 337-338.
38) In merito, cfr. G. WOODCOCK, I. AKUMOVICH, The Anarchist Prince.
A Biographical Study, Schocken Books, New York
I971, pp. 337-338.
39) P.A. KROPOTKTN, Ethics. Origin and Development, trad. inglese
cit., p. 334.
40) W. MORRIS, News from Nowhere, and Selected Writings and
Designs, a cura di A. Briggs. Penguin, Harmondsworth 1986, p.
258.
41) Vedi Th. NAGEL, Equality and Partiality, Oxford University Press,
New York 1991, pp. 10,ss.
42) "L' ipotesi deterministica - nota Franco Cordero - liquida etica e diritto
inghiottendo ogni differenza nei singoli fatti: l'amor fati
esclude uno sguardo selettivo sulle cose (...) Il diritto valuta, discrimina, qualifica, stimola, reprime, e siccome
non sfugge niente al
vaglio, ogni atto appare conforme o no a dei tipi. Nel mondo umano non esistono adiàfora, eventi senza
qualità (...). Nel caleidoscopio
deterministico, invece, sfuma ogni valutazione normativa; qui regnano inesorabili tautologie; qualunque cosa
accada, doveva
accadere" (F. CORDERO, Riti e sapienza del diritto, Laterza, Bari 1985, p. 86).
43) P.A. KROPOTKTN, Law and Authority, in The Essential
Kropotkin, cit., pp. 39-40. Cfr. C. CAHM, Kropotkin and Law, in
Law in Anarchism, a cura di T. Holterman e H. van Maarseven, Erasmus University, Rotterdam
1980, pp. 151 ss.
44) P.A. KROPOTKIN, An Appeal to the Young, in The Essential
Kropotkin, cit., p. 16.
45) C. BERNERI, Per un programma d' azione comunalista, in ID. ,
Pietrogrado 1917 - Barcellona 1937. Scritti scelti, a cura di P.C.
Masini e A. Sorti, Sugar, Milano 1964, p. 98. Corsivo nel testo.
46) S. MERLINO, L'individualismo nell' anarchismo, trad. it. cit., p. 132.
Vedi G. WOODCOCK, Anarchism. A History of
Libertarian Ideas and Movements, Meridian Books, Cleveland 1962, pp.216-217; e cfr. P. MARCONI,
La libertà selvaggia. Stato
e punizione nel pensiero anarchico, Marsilio, Venezia 1979, pp. 100 ss.
47) W. MORRIS, News from Nowhere and Selected Writings and
Designs, cit., p. 255.
48) Ivi, p.267. Corsivo nel testo.
49) P.A. KROPOTKTN, Modern Science and Anarchism, in The
Essential Kropotkin, cit., p. 92.
50) Si legga ad esempio L. TOLSTOI. Perché vivo?, in ID.,
Padre Seragij, trad. it. a cura di I. Sibaldi, Feltrinelli, Milano 1991,
p. 91 ss.
51) Sulla distinzione tra "giusto" e "buono", cfr. J. HABERMAS, Über
Moralitat und Sittlichkeit - Was macht eine Lebensform
"rational", in Rationalitat Philosophische Beitrage, a cura di H. Schnadelbach, Suhrkamp, Frankfurt am
Main 1984, pp.220 ss, e
J. HABERMAS, Erlauterunqen zur Diskursethik, Suhrkamp, Frankfurt am Main 199I, p. 199 ss.
Cfr. anche E. Tugendhat, Antike
und moderne Ethik, ora in ID., Probleme der Ethik, Reclam, Stuttgart 1984, pp. 33
SS.
52) Kropotkin potrebbe rovesciare dunque la tesi di Otfried Hoffe, per cui "persino un
popolo di diavoli ha bisogno di uno stato" in
quest'altra "di uno stato non ha bisogno nemmeno un popolo di diavoli". Vedi O. HOFFE, Den Staat
braucht selbst ein Volk von
Teufeln: ein Dilemma der naturlichen Gerechtigkeit, in ID. , Den Staat braucht selbst ein Volk
von Teufeln. Philosophische Versuche
zur Rechts- und Staatsethik, Reclam, Stuttgart 1988, pp. 56 ss.
53) J. RAWLS, Justice as Fairness: Political not Metaphysical, in
"Philosophy and Public Affairs", 1985, p.241.
54) Ivi p.245. Per "struttura di base" Rawls intende "le principali istituzioni politiche,
sociali ed economiche di una società e il modo
in cui esse si integrano reciprocamente in un sistema unificato di cooperazione sociale".
55) Ivi, p.249.
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