Lo scorso autunno è passato a Milano Horst Stowasser, un anarchico tedesco che conosciamo da
quasi un ventennio e che più volte ha collaborato con la nostra rivista. E' venuto a parlarci del
progetto "A", o meglio della sua (parziale) realizzazione a Neustadt: da qualche anno,
infatti, in questa cittadina tedesca è in atto un'esperienza comunitario-cooperativa che coinvolge, con
diverse gradazioni, un centinaio di persone. Non una microcomunità di "alternativi", chiusi nel bozzolo
della loro diversità: quella che si sta sviluppando a Neustadt è un'esperienza di segno libertario
ed ecologista radicata e proiettata nella società circostante. Alcuni giovani libertari milanesi - Annalisa
Bertolo, Rossana Caroni, Serena Fogaroli, Alberto Mauro, Dario Sabbadini, Francesca Tondi - hanno deciso
di approfondire la conoscenza delle Wespe. Alcuni di loro sono andati a Neustadt, tutti insieme hanno curato
questo dossier
Le basi del progetto "A"
Nel 1986, a Melbourne, in occasione del centenario
del movimento anarchico in Australia, Horst Stowasser presentava una relazione sul progetto da cui è
nata la Wespe.
Il "Progetto A" vuole caratterizzarsi, prima
di tutto, come progetto MULTIDIMENSIONALE, con l'obiettivo di coinvolgere contemporaneamente la vita
politica, la vita economica e la vita privata unificandole, superando i limiti artificiali che vengono posti fra di
esse. Quest'idea riprende il sogno anarchico di tutti i tempi ed il fallimento di questo sogno è una
delle ragioni principali per cui tanti progetti ed iniziative non solo libertari - sono deboli, sterili, si creano i loro
ghetti o semplicemente falliscono. Generalmente il lavoro, la vita personale e l'attività politica
sono tre ambiti separati nella vita dell'"anarchico medio" che fa politica, e questo spiega la
mancanza di popolarità dell'anarchismo di oggi, la sua assenza di radici nella vita quotidiana della
grande maggioranza della gente. L'anarchismo di oggi è capace di assicurare la sopravvivenza
della cultura e della tradizione libertaria, di criticare in modo eccellente la società, ma non sa indicare
una via d'uscita possibile per questa società, un modo di cambiarla, e neanche un modo per creare nuove
forme sociali libertarie per e con la maggioranza della gente. Il "Progetto A" vuole proporsi come
una delle tante alternative possibili per superare lo sterile ed isolato anarchismo "vecchio stile",
un'alternativa in cui la felicità personale, il successo politico ed una forma decente per guadagnarsi la
vita abbiano uguale importanza. Questo significa essere anarchici per "egoismo positivo": io voglio
prima di tutto essere felice, ma mi rendo conto di non poter esserlo se le persone che mi circondano non sono
ugualmente felici, libere ed autonome, e quindi devo propormi di cambiare sia la mia vita che la
società. Questa è la base di ogni progetto politico: non ha senso essere rivoluzionari nei
principi senza includere se stessi, senza cambiare la propria vita. In questo senso, il "Progetto
A" vuole opporre all'anarchismo "pamphletario"
l'anarchismo"vissuto". L'anarchismo "pamphletario" diffonde le idee anarchiche
tramite la carta scritta, i libri, i volantini,i discorsi, e in misura minore la musica, il teatro,... così si
chiude in un ghetto, perché non potrà mai raggiungere più del 3-6% della popolazione,
per la semplice ragione che pochi sono abituati a leggere. Solo gli "intellettuali" e, a volte, nei
periodi di lotte sociali, i gruppi emarginati ed oppressi possono essere raggiunti dall'anarchismo, ma la
"gente normale" ne è automaticamente esclusa. Questa gente, nelle esperienze
libertarie del passato, si è interessata e compromessa con l'anarchismo o con altre idee rivoluzionarie
solo se questi movimenti erano capaci di proporre vie di soluzione concrete, comprensibili e non esotiche ai
problemi che esistevano nella vita quotidiana. L'anarchismo "pamphletario" è
necessario, ma solo in una proporzione "sana" rispetto alla cultura, vita, lotta anarchica reale, ossia
l'anarchismo "vissuto". Questa deve essere la base di un cammino popolare, in cui i contatti
sociali sono fondamentali per mostrare alla gente la possibilità concreta di realizzare ciò che
noi sentiamo e desideriamo; la possibilità di risolvere i nostri e i loro problemi di vita
quotidiana. Per me l'anarchismo è una forma di vita creativa e costruttiva concreta e il progetto
è formato da due aspetti fondamentali: la micro-struttura organizzativa ed economica, che costituisce
la base solida del progetto, e la dinamica politica, lo sviluppo e la prospettiva che devono emergere da questa
base. Il "Progetto A" è, nella sua fase iniziale, un piano di "conquista" di
una città tedesca di medie dimensioni (circa 50.000 abitanti) da parte di un movimento libertario di tipo
politico-economico-culturale, per rendere l'anarchismo una forza popolare, accessibile ed importante nella vita
sociale di questa città e dei dintorni. Questo intento deve realizzare per i suoi abitanti la
possibilità di una vita migliore e, contemporaneamente, deve costituire una prospettiva libertaria
politica.
Tolleranza libertaria L'unità più piccola che compone la base del progetto è il "doppio
progetto", con cui si vuole combinare un'attività più "commerciale" che
guadagna soldi, con una più "politica" che ne spenda. Tuttavia questa separazione
è arbitraria, perché vogliamo che tutti i progetti abbiano una certa importanza
politica. Esistono molte combinazioni utili ed intelligenti di doppi, tripli o quadrupli progetti (ad esempio
il Centro di Documentazione Anarchica sarà combinato con un servizio di fotocopie ed una
cartoleria). Con questa combinazione vogliamo anche evitare la produzione di articoli di
"sinistra", "hippy" o "ghetto" che non sono necessari alla vita quotidiana
della gente, bensì folkloristici. Ogni doppio progetto è a sua volta unito ad una
comunità di convivenza nella quale coloro che organizzano e lavorano in un doppio progetto
condividono la casa, lo stile di vita, l'educazione dei bambini, l'attività politica, il
divertimento...Così creiamo comunità, completamente autonome.
Allo stesso tempo sperimentiamo modi e stili differenti di vita, lavoro, attuazione, che sono collettivi senza
opprimere l'individualità. Evitiamo così l'uniformismo e il terrore di un falso collettivismo
di tipo autoritario, senza cadere nell'altro estremo di una dispersione individualistica. Abbiamo la
possibilità di apprendere una virtù indispensabile per l'anarchia: la "tolleranza
libertaria" combattendo i nostri pregiudizi, cooperando e imparando 1'uno dall'altro. Nessuno
è obbligato a vivere una certa morale, uno stile di vita o un livello di consumo determinati, sempre che
le varie forme di vita realizzate non si oppongano ad un consenso minimo, che possiamo chiamare "etica
libertaria generale". Vogliamo dimostrare che nella nostra "microsocietà"
possono coesistere vari modi di vita per rendere comprensibile a tutti la visione anarchica dell'abolizione dello
Stato come livellatore artificiale. Naturalmente la vita in comunità è solo un'idea modello
e non un dogma. Diamo solo schemi generali e non formiamo nuove leggi e regole scritte di comportamento
anarchico corretto. Ad ogni modo, ciò non sarebbe nulla di straordinario. In molte
città tedesche, oggi, troviamo una rete più o meno densa di piccoli progetti e comunità
alternative, in parte di ispirazione libertaria. Ma rimangono sterili, inerti, e con gli anni diventano pure imprese
commerciali, che non partecipano a lotte sociali o attività politiche. Il primo passo per superare
l'isolamento delle "unità" in vista di una prospettiva più ampia è l'uso del
guadagno generato dai doppi-progetti e della cassa comune per espandersi continuamente, creando nuovi
doppi-progetti e inoltre per finanziare attività politico-sociali che abbiamo sempre organizzato. La
differenza è che ora diamo ad esse una base solida di gente, infrastruttura collettiva e denaro, e la
possibilità di una vasta partecipazione per le centinaia di contatti sociali che creiamo tramite i
doppi-progetti. Quindi il campo politico-sociale-culturale è la prospettiva più ampia che
deve unificare i diversi doppi-progetti, evitando che essi entrino in decadenza e spirito apolitico di
autosufficienza. Per realizzare questa prospettiva creiamo il "consiglio", le cui funzioni sono
molto più ampie della semplice amministrazione e redistribuzione della "cassa
comune". Questa specie di "foro" o "parlamento" sia che rimanga una
"riunione plenaria" sia che diventi con la crescita del progetto una riunione di delegati (con
rotazione delle funzioni), deve sempre essere strutturato in modo da impedire la burocratizzazione ed ogni
struttura autoritaria. Non ha potere esecutivo e non può decidere, bensì realizza decisioni
collettive. Può solo dar consigli, strutturare i dibattiti e la critica, arrivare ad accordi, il compimento dei
quali spetta sempre ai diversi collettivi e, alla fin fine, ai singoli individui che li compongono.
Non è la rivoluzione ma..
Infine il consiglio non può pronunciare pene o sentenze, ma può arrivare ad escludere degli
individui quando sono falliti tutti i tentativi per giungere ad un accordo. In realtà, il consiglio
è uno sforzo per praticare la "democrazia" anarchica, cercando di arrivare al consenso
rispettando le nostre diversità. Pertanto è uno dei punti più delicati del nostro
progetto. Crediamo che in questo modello ci sia una notevole dinamica sovversiva... è una
struttura che si può diffondere, e vogliamo immaginarci cosa succederebbe se riuscissimo a
"rubare" i giovani della città; essi potrebbero vedere perfettamente che lavorare in
condizioni più libere, gradevoli, soddisfacenti, senza capi e senza essere sfruttati, partecipando alle
decisioni, significa lavorare in un collettivo anarchico. Essi saranno la seconda generazione del nostro
progetto. Senza spaziare troppo con l'immaginazione, pensiamo che una possibilità realistica dopo
i primi 5-10 anni dall'inizio del progetto sia che gran parte della popolazione - che prima o poi, in un modo o
nell'altro, deve venire a contatto con noi e prendere una posizione nei nostri confronti - simpatizzi apertamente
con la nostra proposta. Ciò nonostante non è questa la nostra meta finale: è solo
un modo per preparare il campo, creare basi solide sulle quali possano organizzarsi e svilupparsi lotte offensive
e difensive, con la speranza di un appoggio da parte della popolazione locale. Quindi il "Progetto
A" non è la rivoluzione, bensì una serie di passi preliminari e necessari verso di essa, ne
è la base necessaria, costituita da una "tolleranza positiva" verso le idee e le forme
anarchiche di vita. In tal modo, vogliamo che ogni persona acquisti fiducia nelle proprie forze e
capacità, e la sostituisca all'identificazione negativa con lo Stato, al timore della rivoluzione, diffuse
tra la gente. L'identificazione negativa con lo Stato si esprime come un malcontento generale verso di esso,
insieme all'idea che sia possibile farne a meno: è il "meno peggio". Una rivoluzione
significherebbe perdere il poco che si ha, visto che l'alternativa offerta dai rivoluzionari è molto
nebulosa. Bisogna perciò creare strutture solide per dimostrare alla gente che l'autogestione è
possibile, e farle perdere ogni timore, rispetto e fiducia nelle istituzioni statali; renderla capace di prendere il
destino nelle proprie mani e darle il coraggio necessario. Solo in questo modo si può sgretolare
la "linea immaginaria di resistenza" alla rivoluzione che esiste nella mente della
gente. Naturalmente, questa "linea immaginaria" ha anche un altro fronte, quello della
resistenza attiva dello Stato. Anch'essa va perforata e distrutta con colpi continui. Ogni rivoluzione
deve quindi operare su entrambi i fronti: con il lavoro quotidiano, per vincere le resistenze mentali della
popolazione, e con le ribellioni, gli scioperi, i momenti violenti per vincere la resistenza statale. Entrambe
le forme sono necessarie e il compito degli anarchici è di usare la forma violenta il meno
possibile. Non bisogna infatti confondere la rivoluzione con l'insurrezione: pensare che tutto ciò
che è violento è automaticamente rivoluzionario e che tutto ciò che è pacifista
è riformista significa confondere la forma di un avvenimento con il suo contenuto, il fenotipo con il
genotipo.
Poco riposo molto lavoro Questo
concetto di rivoluzione risolve l'apparente contraddizione per cui nella storia delle rivoluzioni sforzi identici
portano a risultati differenti. Il fatto è che per il trionfo di una rivoluzione non è sufficiente
il grado di eroismo ed impegno; sono necessari insieme la stabilità e il livello della base da cui la rivolta
emerge. Quindi alle critiche di chi ci considera "riformisti" risponderemo che, pur esistendo
il rischio dell'integrazione, il "Progetto A" è rivoluzionario, in quanto demistifica il mito
della lotta violenta per cercare di creare, nella situazione odierna, le condizioni per una vittoria sul sistema in
molteplici forme e livelli apertamente e segretamente. Con tutte queste considerazioni politiche, non
dobbiamo dimenticare le prospettive individuali. Naturalmente, nella fase iniziale dei primi anni, ci
sarà poco riposo e molto duro lavoro. Ma successivamente, una volta raggiunta una stabilità
politica, morale ed economica, ognuno avrà la possibilità di realizzare i suoi progetti e i suoi
sogni. Ovviamente la nostra meta finale non è di creare una specie di isola anarchica in una piccola
città. Vogliamo che 1o spirito del "Progetto A" cresca e si diffonda, così,
tramite una rivista informativa, un lavoro di relazioni pubbliche ed un continuo scambio di visite, pensiamo sia
possibile creare una rete di progetti ed iniziative simili in tutta la Germania. Inoltre un'intensificazione dei
contatti e della cooperazione con il movimento libertario internazionale può permettere una diffusione
in tutto il mondo del progetto, adattandolo alle singole realtà dei Paesi. Non si tratta naturalmente
di creare una nuova corrente ideologica, bensì di trasferire alcune idee fondamentali come la rottura del
"ghetto" anarchico, la conquista della popolarità e la fiducia tra la gente, il tentativo di unire
il settore politico con quello privato e quello economico. Tutto ciò può apparire molto
ottimistico. Ma noi siamo coscienti anche dei punti deboli del nostro progetto. Il più importante
è certamente la natura umana, con tutti i comportamenti assurdi e i sentimenti irrazionali che essa
comporta. Un altro punto debole è il pericolo che il progetto sia integrato al sistema, si imborghesisca
o si commercializzi.
Esigere l'impossibile Un altro ancora
è costituito dalle varie forme possibili di repressione. Ma pensiamo che gli ostacoli vadano
superati e i problemi risolti; chiaramente possiamo solo cercare di ridurre i rischi, ma non possiamo eliminarli:
non esiste nessuna garanzia su cosa succederà. Ma conoscete qualche alternativa? Sempre
la vita è un insieme di rischi ed esperimenti. Noi vogliamo che essi non rimangano nelle mani degli
altri. Io voglio prendere i rischi della mia vita nelle mie mani! Bakunin lo disse con altre
parole: "Coloro
che esigono il possibile non ottengono mai niente. Ma coloro che esigono l'impossibile almeno ottengono il
possibile".
Horst Stowasser
Questo è il riassunto (con
traduzione dallo spagnolo) della Conferenza pronunciata il 4 maggio 1986 nella sala 218 del "Melbourne
College for Advanced Education", in occasione della celebrazione del 100° anniversario del
Movimento Anarchico in Australia. La conferenza è a sua volta un "estratto" del libro che
espone il Progetto A, purtroppo mai pubblicato in Italia. Quindi ci scusiamo per le riduzioni ed eventuali male
interpretazioni del progetto, dovute alla tripla traduzione (tedesco-spagnolo-italiano) e soprattutto a ciò
che può risultare dal "riassunto di un riassunto", del resto necessario per ovvi motivi di
spazio.
Aggirare il vuoto tra teoria e pratica
Incontriamo Horst, l'autore del progetto
"A", a Milano, ritagliando spazi al nostro tempo sempre corto. Le poche idee che abbiamo sul
progetto Wespe ci "ronzano" intorno rumorose e non ce le sappiamo spiegare. Di quale paradiso
Horst è il barbuto profeta? Il nostro esiguo gruppetto lo scruta con curiosità. Lui sorride
distinto e ha voglia di cominciare presto a raccontare. Da qualche giorno sta girando l'Europa per parlare di
Neustadt e di quel che lassù stanno costruendo. Dentro la sua valigetta tiene decine di opuscoli e
fotografie: tira fuori tutto per darci un'idea di come è nato e come funziona il progetto: le facce, le case,
gli scritti, le attività.
Noi lo ascoltiamo attoniti: Neustadt sembra davvero una fantasia libertaria, il coronamento contemporaneo
di utopie millenaristiche, e non smettiamo di fargli domande, ansiosi di ridimensionare una realtà
così dura e bella, che si vorrebbe far conoscere a tutti, a tutti dire: esiste, proviamo anche noi. Le pagine
che seguono vogliono essere un piccolo spazio informativo per tutti i compagni italiani come noi alla ricerca
di un "progetto Wespe", della possibilità, alle soglie del duemila, di sperimentare altre
economie, altri tipi di sviluppo, diversi rapporti umani: con la speranza che anche in Italia si riesca, prima o poi,
ad aggirare il vuoto che sta tra la teoria e la pratica libertaria.
Francesca Tondi
Nel nido di Wespe
Nel racconto di Annalisa Bertolo, l'impatto
e le sensazioni di una "visitatrice" con la realtà autogestionaria di
Neustadt.
Tre giorni di permanenza a Neustadt permettono giusto di intravedere le trasparenti
maglie di una rete libertaria, di odorarne i nascenti profumi e fotografarne la vivida atmosfera. Non di
più. Ma quanto mi resta dell'incontro novembrino con la WESPE può contribuire a dare
un'anima a un corpaccione gravido di dati e intenzioni quale forse può apparire questo dossier.
E dunque mi cimenterò nel raccontare (in modo certamente frammentario) quelli che sono i ricordi e
le impressioni che affiorano senza continuità: i più forti e per me significativi. Il giorno
d'arrivo io ed i miei 2 compagni di viaggio l'abbiamo trascorso vagando incuriositi per le strade della cittadina
alla ricerca, credo, di un segnale evidente di ciò che si stava realizzando da più di due anni:
qualcosa che testimoniasse di un nuovo modo di vita, una scelta precisa. Invece nulla, non c'era nulla di
particolare, di anomalo: tranquillità e benessere troneggiavano nelle fiorite villette di una ricca
città di provincia. Chissà perché mi aspetto sempre che un cambiamento interiore
profondo debba per forza lasciar dei segni, quasi squarciare l'immacolata facciata esteriore. E, credo, un
desiderio di conferma, di sicurezza anche formale, che il cambiamento sia reale. Ma ora ho capito che una
delle forze di WESPE è proprio quella di non essere appariscente e provocatoria. Di non creare una
distanza formale tra sé e la realtà circostante affinché l'approccio della "gente
comune" non sia traumatizzante, né foriero di luoghi comuni e marginalizzazione. Pertanto
niente anarchia per le strade. Così ci siamo avventurati nelle maglie del progetto, entrando nelle
case e conoscendone i protagonisti: giovani, bimbi, donne, persone come tutti, persone anche generose e piene
di vita. Siamo stati ospiti di Horst, il "papà" del progetto sia in senso politico che
effettivo: di lui ho in mente l'ottimismo, la forza e la generosità che riversa orgogliosamente nella
WESPE come nella vita (che poi è lo stesso) e nelle persone che gli si avvicinano incuriosite, alla
ricerca di impulsi e possibilità reali...Horst ci racconta di sé. Lui teme soprattutto l'elitarismo
intellettuale, da cui rifugge come da qualsiasi condizione privilegiante che inevitabilmente conduce al
riconoscimento di una autorità. Tiene a sottolineare che è arrivato a Neustadt quando la WESPE
già esisteva e che si è avvicinato disposto a rimettere in discussione ogni dogma, ogni certezza
che la sua cultura e il suo impegno politico come anarchico gli avevano trasmesso. Prima la vita, i problemi
reali, il contatto con la gente, l'esperienza diretta e i suoi risultati, quindi la conferma o meno di una teoria
impeccabile (quasi mai tale). Così è stato ed è tutt'ora: conoscendo le loro
attività economiche e sociali ho respirato proprio questo raro desiderio di mettersi in discussione, di
adeguarsi di volta in volta alle esigenze della gente, pur mantenendo una solida e trasparente etica libertaria di
fondo. Guidati da Horst abbiamo visitato alcune ditte: un'officina di materiali ecologici da costruzione,
una falegnameria, il laboratorio di biciclette, la libreria, la bottega di prodotti alimentari biologici...Era
domenica ma in alcune ditte si lavorava ugualmente; immagino per scelta. Nel laboratorio PIRAD (i
PIRATI delle biciclette) l'atmosfera era molto rilassata: quasi tutti ragazzi e ragazze giovani alle prese con
bicicli di ogni forma e dimensione, una piccola officina dove i clienti possono utilizzare gli attrezzi messi a
disposizione per aggiustarsi i propri veicoli, e la palese soddisfazione di aver cominciato da zero
un'attività divenuta in breve tempo una tra le più conosciute e redditizie all'interno di
WESPE. Anche il negozio di prodotti ecologici sembra sbocciare, grazie anche alla sempre più
diffusa coscienza (o moda?) ecologica di questi ultimi anni.
Spirito
festaiolo e goliardico Horst si entusiasma nel descriverci le singole storie e le prospettive di ciascuna
attività: s'immagina e prospetta futuri trasferimenti, locali più ampi, nuove comunità
di convivenza, nuove aperture... Non riesco a scorgere quel delicato confine tra fantasia, ottimismo e
realtà, ma l'aspetto di ciò che vedo è di stabilità e palpabile crescita
continua. Mi sorprendono l'impeccabile organizzazione e la "lussuosità" di certe
imprese: strutture e macchinari moderni ed efficienti, locali spaziosi e ben tenuti, vetrine invitanti...In tal modo
WESPE allunga i suoi tentacoli, si fa conoscere, propaganda la propria esistenza e le proprie istanze, coinvolge,
offre servizi... Non meno importanti dal punto di vista "socializzante" sono gli incontri
collettivi: le feste. Ciò che non manca, ci confessa Horst, è lo spirito festaiolo e goliardico e
ogni occasione è buona per festeggiare, commemorare, inaugurare. Come dicevo la funzione di questa
componente non è soltanto quella evasiva (fondamentalmente comunque in ogni progetto di vita) : le
feste diventano luogo di incontro, scambio, conoscenza, discussioni, consolidamento dei rapporti... sia tra i
componenti stessi della WESPE, sia tra loro e gli "avventori" esterni. Come siamo noi, del
resto. Conosciamo così Paolo, siciliano d'origine e di piglio, che da qualche anno ha deciso di
vivere a Neustadt insieme alla sua compagna Cristiana, tedesca. Grazie alla loro disponibilità e
gentilezza siamo riusciti a penetrare più a fondo nelle problematiche di WESPE, scambiandoci opinioni
e curiosità. Entrambi sono molto realistici e disincantati (voglio dire: meno facilmente
entusiasmabili di Horst...); non mancano di sottolineare gli effettivi problemi finanziari e i diversi progetti
ancora irrealizzati che si accumulano in cantiere. Lamentano, inoltre, uno scarso dibattito politico che coinvolga
l'intera comunità e che è presupposto necessario per una continua crescita e per la definizione
di finalità comuni.
Frastornati ed entusiasti Questo
comunque non basta a demoralizzarli. Tutt'altro: Paolo è impegnatissimo nel gruppo
"culturale-gastronomico" che sta lavorando alla realizzazione del "doppio-progetto"
(appunto culturale e gastronomico) all'interno dell'Okohof. Ed inoltre conviene con Horst che i miglioramenti
rispetto alla qualità della vita "sono moltissimi, come lavorare insieme ad altra gente, collaborare
a progetti comuni, poter autogestirsi, contare sulla solidarietà reciproca. Sono tutti risultati
enormi...". Cristiana con il suo modo di fare dolcissimo ed energico evidenzia problemi concreti
legati all'essere donna, tutti ancora da discutere ed approfondire. E per questo lotta, insieme ad altre donne, per
conseguire un ruolo attivo e realmente paritario anche all'interno di WESPE, cui tiene visibilmente e a cui
riconosce le molteplici potenzialità positive. Purtroppo anche il discorso con Paolo e Cristiana deve
essere interrotto. Ripartiamo dunque a malincuore dopo questa fulminea immersione nella variegata
composizione di WESPE. Frastornati e colmi di un entusiasmo sano, quello che deriva dalla conoscenza
inaspettata di possibili alternative realizzate, di vite parallele reali che sembrano utopie se sentite solo
raccontare...È l'anarchia vissuta? Non saprei. Se al concetto di anarchia si associa un concetto di purezza
assoluta no, ma se dagli scanni dei teorici la si cala nella dimensione popolare, della vita quotidiana direi di
sì; per lo meno: il migliore dei modi che ho visto; fintanto che non ce ne saranno di nuovi per poter fare
un confronto.
Annalisa Bertolo
Noi della WESPE, ecologici e
radicali
Un progetto ecologico può essere coerente solo se fa qualcosa contro le radici dei mali
ecologici. "Protezione
dell'ambiente" non vuol dire soltanto raccolta di lattine di coca vuote, ma anche fare qualcosa perché
non
ci sia più bisogno di lattine di coca! Queste radici si trovano prima di tutto nel nostro
sistema politico ed economico. L'atteggiamento di noi tutti
nei confronti della natura, dell'ambiente, del consumo ne è solo la necessaria conseguenza. Ecco
perché la rete WESPE non è "puramente ecologica", ma anche economica, politica, sociale,
culturale...:
è proprio perché vogliamo cogliere il male anche alla radice che siamo "radicali"
nel vero senso della parola. Non riusciamo a vedere per esempio come un sistema economico centrale,
sfruttatore e spietato (poco
importa se "statale" o "privato"), che pensa solo alla crescita, all'incremento, al concentramento e ai sempre
maggiori profitti, possa essere veramente ecologico. Semplicemente, non è umano. Questo
è il motivo per cui pratichiamo un'altra forma di economia, nella quale non dipendiamo da uno
Stato
e dai suoi titoli e preferiamo fare affidamento sulle nostre proprie forze; nella quale le aziende
sperperano
meno materiale e lavorano in modo compatibile con la natura; nella quale costruiamo in
modo biologico ed
economico, utilizzando solo materiali amici della natura; nella quale ci riduciamo l'un l'altro
il traffico
monetario e ci avvicendiamo negli incarichi; nella quale ci organizziamo da soli,
ci aiutiamo reciprocamente
e percepiamo lo stesso stipendio, fissato in ogni azienda dagli stessi dipendenti. Pratichiamo una
politica differente: non abbiamo bisogno di padroni e non ne abbiamo, discutiamo
democraticamente i problemi, li affrontiamo e li risolviamo. Da noi non si prendono decisioni in
base alla
maggioranza, ma in base al consenso. In poche parole, diamo spazio all'autorganizzazione,
all'aiuto
vicendevole e all'umanità nei rapporti in ogni settore della vita. Questo modello di
vita senza Stato né padroni lo chiamiamo "libertario" e lo troviamo meravigliosamente
vivibile! Ma soprattutto, non c'è denaro che possa ripagare una qualità di vita di
questo genere... I modelli comportamentali da noi messi in pratica e sperimentati evitano il centralismo, le
gerarchie, il
concentramento, lo spreco delle risorse, la gigantomania e il dominio di uomini su altri uomini. Tutto
ciò è
inerente con l'ecologia almeno quanto la scelta del detersivo giusto da usare. L'illusione del "dominio
sulla
natura" affonda infatti le radici in quella del "dominio dell'uomo sugli uomini".
(estratto dal prospetto informativo dell'associazione WESPE di
Neustadt/Weinstrsse)
Una rete di persone impegnate
Le Wespe sono animali meravigliosi, che esistono da 49 milioni di anni, in piena armonia con la natura. Di
piccole dimensioni, per i lavori impegnativi si associano tra loro. Se attaccate, a volte reagiscono pungendo.
E' così che sono riuscite a sopravvivere ai dinosauri. WESPE (Werk Selbstverwalteter Projekte und
Einrichtungen) significa Progetto e Orientamenti di Lavoro
Autogestito. A questa associazione promotrice hanno aderito singoli individui, imprese autogestite, gruppi
vari e iniziative e anche comuni abitative. Perché? Per ottenere tutti assieme migliori obiettivi,
aiutandosi reciprocamente. Che obiettivi vogliamo
raggiungere? Vorremmo dar vita a nuovi modelli lavorativi e di vita, radicarli nella nostra città,
incoraggiare
individui e progetti nuovi ad afferrare le possibilità che sono date loro e a realizzare i propri sogni. Qui
vengono equiparate l'una all'altra economia, politica (attività sociale e culturale) e il "tempo libero"
(l'abitazione, il divertimento, il "privato"). Ogni persona, gruppo o azienda rimane tuttavia autonoma e decide
per conto proprio in cosa e fino a che punto vuole impegnarsi. Tutte le ditte e i gruppi WESPE sono
autogestiti, vale a dire sono privi di padroni e gerarchie, con diritti e
doveri uguali per tutti. Si aiutano a vicenda sul piano economico, ideale e personale. Uno dei più
importanti
punti fermi del nostro progetto è l'ecologia, in particolare nell'uso di materiali che non danneggino
l'ambiente, ma anche nello sviluppo e nella ricerca di una tecnologia meno dura e la partecipazione attiva
alla società che ci circonda. Il primo frutto di questo sforzo comune realizzato fin qua è
l'Ökohof. Abbiamo comprato un vecchio
stabilimento a Neustadt in cui abbiamo avviato un multiforme progetto ecologico-culturale-politico-economico.
L'Ökohof è solo uno dei tanti progetti, uno solo di una dozzina buona di posti in cui la Wespe
ha deposto le sue uova...Ma ce ne saranno sempre più. In questo modo vorremmo accostare
l'abitante della città al nostro modello alternativo e di lavoro e, passo dopo passo, creare esempi
funzionanti, ecologici, libertari, autogestiti che si muovano in direzione di un
cambiamento della società. La WESPE vuole essere una rete, non un manipolo di associazioni
centralizzate. Cerchiamo persone
impegnate, con cui collaborare attivamente e che portino le proprie idee. Non ci interessano "pecoroni" e
"imbrattacarte".
Com'è nato e come funziona
Realizzazione
Il "Progetto A" ha cominciato ad esistere
in tre città tedesche: Alsfeld, nel centro (Hesse), Leer, nel nord (Frisia, vicino all'Olanda) e Neustadt,
nel sud-ovest (Palatinato). In queste tre città si sono fatte le più svariate esperienze, sia positive
che negative. Ad Alsfeld il progetto prende forma molto lentamente. Sebbene si siano potute comprare
due case, il gruppo non prospera, a causa soprattutto di questioni personali, originate principalmente da
dogmatismi politici di ogni genere e da una considerevole mancanza di tolleranza negli anni passati. In questo
momento il gruppo cerca di irradiarsi nella cultura locale per superare la crisi, congedandosi da ambizioni forse
esagerate. Esiste un progetto agricolo, un altro di intervento culturale, e un bar,gestito da un
compagno. Anche se a Leer l'atmosfera tra i compagni è più gradevole e tollerante, il
piccolo gruppo attivo si sviluppa con lentezza. Hanno un negozio di alimentari e sono attivi nell'importazione
e distribuzione di alimenti biologici; hanno vari progetti in fase di preparazione nei rami del metallo e del legno,
la cui realizzazione è ancora dubbia. In queste due città il gruppo degli attivisti non supera
la decina. Neustadt sembra essere l'unica città dove il "Progetto A" si sta sviluppando
bene e più o meno come previsto, fors'anche meglio. Attualmente a Neustadt si sono federate tredici
imprese economiche, una dozzina di iniziative politico-culturali, e 6-8 comunità di convivenza
raggruppando circa ottanta adulti più i rispettivi bambini e circa 100-200 simpatizzanti. Si
è potuto disporre di vari edifici, comprati o ereditati, tra cui una fabbrica nel centro della città,
dove si sta preparando un progetto multidimensionale. Il gruppo di Neustadt cresce costantemente. A parte
queste tre città, il "Progetto A" come corrente politica a livello nazionale continua ad
esistere con i suoi incontri, gli spettacoli culturali e i circoli di dibattito. Così l'impatto del libro
e dell'idea del progetto tra la sinistra libertaria è stato notevole. Anche se non sempre si possono rilevare
concretamente le influenze dirette ed indirette, il "Progetto A" continua a produrre a largo raggio
le più svariate conseguenze, sia teoriche che pratiche. Inoltre in varie città tedesche ci sono
gruppi di iniziative che cercano di avviare il progetto nelle loro località.
Traiettoria
Dopo più di dieci incontri nazionali nei quali
ha preso forma la preparazione pratica e teorica del progetto, alla fine si è svolta nel luglio l988 una
riunione per scegliere la città adeguata e iniziare la realizzazione concreta. Per varie ragioni, soprattutto
di tipo geografico e pratico, i compagni non si sono potuti mettere d'accordo su una sola località, e
così sono state scelte le tre città già menzionate. A Leer e a Neustadt esistevano
già nuclei di compagni, mentre Alsfeld era la città vergine. In una prima fase, a partire
dall'autunno del 1988 alcuni militanti hanno iniziato a trasferirsi ad Alsfeld, mentre i gruppi delle altre due
città cercavano di organizzare la loro crescita qualitativamente e quantitativamente. Fino ad oggi si
può dire che ad Alsfeld, dopo una crescita iniziale, il gruppo ha subito divisioni e perdite; a Leer
è stabile, mentre a Neustadt il progetto è in crescita e in sviluppo costante, dentro e fuori la
città. Dato che dal gennaio del 1990 (dopo nove mesi ad Alsfeld) vivo a Neustadt voglio limitarmi
d'ora in poi alla situazione di questa città, perché mi può servire ad esempio, positivo
e negativo, di sviluppo dell'idea del "Progetto A". Oltretutto le informazioni che posso dare su
Neustadt si basano sulla mia esperienza quotidiana, mentre le informazioni sulle altre due città al
momento sono indirette.
Neustadt / sviluppo
Dopo essersi messi in contatto con i coordinatori del
"Progetto A", a Neustadt, una ventina di compagni si sono riuniti nel maggio 1988 per leggere e
discutere il libro, e decidere di realizzare il progetto nella loro città. La base locale era costituita da
quattro imprese "alternative" che avevano già vari anni di esperienza d'autogestione alle
spalle. Così questo gruppo ha potuto contare fin dall'inizio su una certa maturità e una buona
dose di pragmatismo evitando lo sviluppo di dogmatismi e la paralizzazione purista che il progetto subì
ad Alsfeld. Presto il gruppo ha iniziato a crescere con l'aumento delle persone e delle imprese
coinvolte. Quando si è presentata l'occasione di comprare un terreno in centro con una antica
fabbrica di mobili è nata l'idea di stabilirvi l'"Okohof" un progetto misto con laboratori,
negozi, bar, ristorante, abitazioni, spazio ricreativo e luoghi per i più piccoli. Questo progetto multiplo
ha significato uno sforzo comune ed un legame unificante tra tutti i partecipanti. Per affrontare questa immensa
opera che richiede un investimento totale di circa 1.700.000 marchi (circa un miliardo e 400 milioni di lire),
nell'aprile del 1989 è stata fondata l'associazione "Wespe" sigla che significa: "opere
di progetti e iniziative autogestite" e, contemporaneamente, con un gioco di parole, vuol dire vespa.
"Wespe" si è costituita legalmente e funziona formalmente come associazione di
utilità pubblica; in realtà è un collettivo libertario basato su principi di autogestione
generalizzata. I lavori nell'Okohof sono iniziati nell'autunno del 1989 e continueranno fino al termine del
1999. Intanto, alcune parti della fabbrica sono già in funzione, sono stati installati un negozio di prodotti
ecologici, una falegnameria, un laboratorio d'impianti a energia alternativa, una cantina provvisoria e l'ufficio
di Wespe. L'"Okohof" gode di una certa simpatia pubblica, poiché ha saputo difendersi con
successo dalle trappole amministrative della giunta locale tramite una molto ben accorta campagna pubblicitaria
a carico del gruppo di relazioni pubbliche del progetto. Nello stesso tempo l'"Okohof" è
rapidamente diventato un luogo di incontri, attività e comunicazione per tutto il progetto, visto che si
realizzano lì buona parte delle riunioni, delle feste e il lavoro di coordinamento.
Funzionamento
Il coordinamento e la comunicazione si realizzano
tramite una riunione plenaria mensile, in cui si prendono tutte le decisioni col consenso unanime. Vari
"consigli" come quello di finanziamento, amministrazione, coordinamento di opere, comunicazione
interna, ecc..., assicurano la realizzazione delle decisioni e una preparazione adeguata delle plenarie, facilitando
così i dibattiti fondamentali e le decisioni pratiche. Una volta al mese si realizza un grande
"buffet", che è un'enorme attrattiva per amici, simpatizzanti, visitatori e curiosi, dove oltre
a mangiare si stabiliscono molteplici contatti. Il dibattito di tipo politico e strategico, che superano il confine
tecnico-pragmatico delle plenarie, generalmente si realizzano in forma di riunioni notturne nelle diverse case
o comunità, e son chiamati "feste politiche". Due volte all'anno si realizza una
"clausura", dove si discute sullo sviluppo del passato e si fissano i piani per il futuro a breve e medio
termine. Esistono due periodici per la comunicazione interna, uno attuale (Stichpunke, mensile) e l'altro
retrospettivo (Kraftbruhe: semestrale) con cronologia, e documentazione, che assicurano la trasparenza del
dibattito e dello sviluppo così come l'ampia diffusione delle notizie e informazioni. Questa
struttura "ufficiale" di comunicazione è completata da tutta una serie di incontri, cene,
feste e riunioni "private tra gruppi" comunità e nuclei spontanei. Si sono anche
realizzate, con grande successo, feste pubbliche, in cui la Wespe si è potuta presentare a un vasto e
interessato pubblico. Queste forme "non organizzate" hanno contribuito molto alla formazione di
un sentimento comune nel progetto di Neustadt.
Horst Stowasser
Ökohof vuol dire...
...casa (o corte) ecologica. E' il progetto
più grosso e conosciuto della Wespe. Vediamo come funziona.
Riorganizzazione
L'Ökohof per il momento si colloca nel
punto cruciale della fase di riorganizzazione. Un anno fa, era troppo presto per poterne individuare lo sviluppo:
innanzitutto bisognava ripulire, pianificare, corroborare un minimo la sostanza della cosa. Oltre a riparare il tetto
e a sistemare le finestre abbiamo dovuto metter mano anche agli impianti, alle condutture, al consolidamento
delle fondamenta, tutte cose che da fuori non si vedevano. Nel frattempo si compivano con successo le
prime separazioni strutturali. Tra queste, la messa in funzione del mercato delle competenze biologico-edili
"Ökohaus Firnis" (giugno 1990), la fondazione della falegnameria
"Holzwork", e della ditta di impianti elettrici "Wiese", che oltre a
ciò si occupa anche di forme di energia alternative. Anche il WESPE-Büro, come gli
uffici delle altre ditte, ha un proprio posto all'interno dell'Ökohof. E' stato portato a termine inoltre lo
spazio di esercitazione per gruppi musicali nello scantinato. Per realizzare tutto ciò,
bisognava prima effettuare una serie di lavori: isolamento acustico, ricopertura del tetto, riparazione di finestre
e porte, rinnovamento e pulitura della facciata, ristrutturazione interna, consolidamento dei muri, impianti,
lavori di imbiancatura e decorazione interna. Nel frattempo erano stati posti su tutto il terreno pozzi di
smistamento e di smaltimento dei rifiuti e si era iniziata la ristrutturazione interna dei piani superiori negli
edifici 1 e 2. Qui si trovano ora, come da progetto, gli spazi per le attività e per le
abitazioni. In gran parte questi lavori sono stati realizzati con forze proprie, vuoi da ditte WESPE,
vuoi da volontariato autorganizzato. Dall'originario "collettivo di ricostruzione" sono nate
due ditte autogestite, che hanno anche commissioni di lavoro esterne, oltre ad alcuni posti di lavoro liberi,
temporaneamente limitati. Complessivamente finora, sul territorio dell'Ökohof ci sono circa 20 posti
di lavoro nell'ambito dell'autogestione, e 3-4 posti di supplenza. La successiva separazione strutturale
comincia con la costruzione dell'edificio 4, dove troverà sede l'ambito gastronomico.
L'iniziativa culturale e di taverna "Wespennest" (nido di vespe) ha impiantato nel parterre
una locanda con osteria e ristorante, oltre a una birreria sul terreno comune. Al primo piano si trova lo
spazio per le riunioni. Qui si svolge la pianificazione e nel marzo 199I, con una concessione, il
consiglio comunale ne ha finalmente approvato il cambiamento di funzione. Poiché anche il
finanziamento di questo sventramento della struttura è assicurato solo per metà (il
"Wespennest" cerca continuamente nuovi finanziatori), il completamento di questo spazio
importantissimo per la WESPE può essere previsto entro un anno circa. Nell'ultima separazione
è prevista l'inaugurazione dell'edificio 3, che ospiterà l'iniziativa
"socio-sanitaria", e il completamento dei lavori sul terreno comune, dove troveranno posto
un campo giochi per bambini, un prato, un pergolato e un giardino d'inverno. Nuovo è il gruppo
"Kunst am Baun" che curerà l'aspetto estetico dell'Ökohof. Ci sarebbe
anche l'idea di creare uno spazio per i bambini, ma non è ancora un progetto concreto. Contiamo
di terminare i lavori strutturali dell'Ökohof nei prossimi due anni. A quel punto il primo progetto
autogestito di Neustadt, con aziende, iniziative e spazio per il tempo libero sarà pienamente
funzionante.
Struttura
Con l'aumento delle persone impegnate si sono
sviluppate anche le strutture organizzate e di comunicazione dell'Okohof . Tutto ciò che riguarda
l'Ökohof viene discusso durante l' "Hofrat", che si svolge ogni
quattordici giorni: dalle questioni interpersonali di carattere tecnico ed economico fino alle questioni
organizzative quotidiane, questo plenum è il luogo delle discussioni e delle decisioni. Il
"gruppo riorganizzazione" si incontra settimanalmente con i rappresentanti di tutte le ditte
di Ökohof e supervisiona il coordinamento della riorganizzazione. Alle spalle del gruppo
"Hosoh" (Kollektive Selbstorganisation im Ökohof - Autorganizzazione collettiva
dell'Ökohof) vi è la squadra organizzata (per il momento quattro persone), il cui compito
è di far sì che tutte le deliberazioni prese prima o poi vengano applicate: di sua competenza
sono dunque tutte le questioni edilizie, di gestione dell'informazione e della loro trasparenza, la pianificazione
economica e lavorativa, la contabilità, i rapporti con l'autorità e gli aspetti
giuridici. Naturalmente questi compiti non riguardano soltanto l'Ökohof, ma anche tutti i campi
collegati nella rete della WESPE. Occasionalmente a espletare questi compiti danno una mano anche le aziende
WESPE e singoli individui che non risiedono nell'Ökohof.
Funzione
In passato abbiamo visto che il grosso del nostro
progetto globale, l'"Ökohof", svolgeva già una funzione importante per la WESPE.
E' una delle pietre angolari e dei punti di svolta più amati di tutte le attività della
WESPE: vi si incontrano i partecipanti, le persone interessate e le iniziative, vi si incrociano i visitatori, vi sono
state fatte importanti esperienze in relazione alla gente e l'autogestione e, last but not least, è diventato
il punto di partenza di tutti gli aderenti alla WESPE, di tutti gli amici e i curiosi: dall'estate del 1990
nello spazio provvisoriamente allestito per la "Wespennest", una volta al mese viene
organizzato un grande Buffet della colazione a cui partecipano fino a 150 persone, fra bambini e
adulti. Questo evento, insieme al plenum WESPE e alle bicchierate serali, è l'occasione
più importante di divertimento, svago, informazione, conoscenza reciproca e scambio di idee.
Status quo
La "rete" di iniziative e ditte che costituisce
la WESPE e direttamente o indirettamente fa parte dell'"Ökohof" nel frattempo si è
andata ingrossando e in parte raggruppando. Oggigiorno si presenta così: Iniziative
partecipanti: Gruppo culturale e di taverna "Wespennest" - Progetto
"Ökohof" - Iniziativa socio-sanitaria - Gruppo donne - Iniziativa ciclistica "Amici della
bici" - AnArchiv/Max-Nettlau-Institut - Comunità Libertaria Lavoro-Ambiente e Comitato
Inquinamento (LAUS) - Banda rock "Das lokale Pack" (Gentaglia locale) - Gruppo Media
"pubblico" - Gruppo foto - Musica e artigianato - Ambiente-Tecnologia. Ditte
partecipanti: Libreria "Quodlibet" - Okohaus "Firnis" - Trasporti "Aus
& Davon" - Atelier editoriale e di pubblicità "Die Letter" - Negozio di biciclette
"pirad" - Costruzione di mobili in legno "BAUM' - Negozio di anticaglie Gimmeldingen
und Deidesheim - Restauro di mobili antichi "Firnis" - JPL Costruzioni laboratori - Lavori di
falegnameria "Holzwork" - Impianti elettrici, energia solare "Wiese" - MSR - Tecniche
di misurazione e di regolazione. Tutte le ditte sopra elencate esistono e funzionano; non elenchiamo quelle
ancora in fase di progetto o di preparazione. Fra le iniziative per il momento qualcuna esiste ancora in modo
informale, come proposta per le persone interessate, in quanto coloro che intendono mandare avanti questi
gruppi nel frattempo sono ancora molto impegnati con le loro ditte, per esempio nel lavoro di ricostruzione.
Anche in questo caso, le iniziative che non hanno ancora raggiunto un buon grado di concretezza non sono
riportate. A queste ditte e a questi gruppi vanno aggiunte alcune famiglie e alcune comuni, strettamente
legate, sia pure a livello differente, alla WESPE, nelle quali comincia a svilupparsi ne la vita di tutti i giorni un
accenno non meno importante della nostra cultura libertaria quotidiana . Complessivamente per il momento del
"mondo WESPE" fanno parte un'ottantina di adulti; a Neustadt il progetto può contare
inoltre 100-200 simpatizzanti interessati.
Problemi
Ma la realizzazione di un progetto come questo
naturalmente non è immune da problemi, crisi e contrasti. Un punto sempre dolente sono i
soldi. Bisognava intanto comperare il terreno e fondare l'associazione. Nell'insieme tuttavia si
può dire che la nostra copertura finanziaria è scarsa ma solida, anche il calcolo dei costi si
è rivelato complessivamente realistico. Avremmo scoperto ben presto che la parte preponderante
dei nostri compiti consiste nell'autofinanziamento: con depositi bancari, con il nostro stesso lavoro
e con la riscossione dell'affitto. La falle più grosse provocate dalle ristrutturazioni
normalmente vengono sanate grazie alla solidarietà attiva degli amici e dei simpatizzanti. Qui vi sono
essenzialmente due possibilità, che si concretizzano in una strettissima collaborazione con la GLS-Bank
("Geben, Leihen, Schenken": Dare, Prestare, Regalare): nella "comunità del
prestito" si trovano riuniti amici e promotori del progetto, i quali garantiscono un piccolo credito
mensile, che mettono a disposizione del progetto nella forma di un grosso prestito. I contributi mensili possono
essere fatti all'associazione WESPE come prestiti o come doni, a scelta. Il "conto di risparmio
WESPE" offre così l'opportunità di sostenere il progetto senza impiego diretto di
capitali; il maggior numero possibile di simpatizzanti potrà dunque aprire il proprio conto, invece che
presso una banca "normale", alla GLS, la cui "filosofia di gestione" non è il
profitto, ma l'avanzamento del progetto. Sulle due forme di sostenimento vi sono appositi opuscoli
informativi. Il finanziamento di non facile soluzione è quello del sovraccarico al quale
sono soggetti gruppi e persone, peraltro sempre più numerosi. In tal senso, determinante è
l'inserimento massiccio di forze lavorative, l'impegno finanziario e l'idealismo. Anche se spesso i progressi e
la gioia per quanto realizzato ripaga della stanchezza e delle frustrazioni, qua e là ci capita di arrivare
ai limiti delle nostre possibilità. Qualcosa potrebbe essere migliorato con un'organizzazione più
efficace, e l'aumento dell'esperienza di lavoro contribuisce non poco all'andamento delle cose, ma ci sono ancora
sufficienti punti di attrito, su cui ultimamente troviamo sollievo soltanto con la speranza che questo eccesso di
lavoro termini in un prossimo futuro. Altri problemi sono stati generati dalla crescita
sorprendentemente rapida della WESPE, soprattutto nel campo della comunicazione e dell'amministrazione.
I più grossi, nati dalla difficoltà di gestione delle informazioni fra così tanti aderenti,
sono stati già soddisfacentemente risolti con due bollettini interni, con l'ufficio WESPE e con i vari
appuntamenti e riunioni di ogni tipo. Il sempre maggiore lavoro di gestione per il momento viene espletato in
comune da quattro membri; l'associazione continua a cercare personale qualificato, esperto e politicamente
motivato, da stipendiare per occupare una posizione di coordinamento del lavoro.
La parola ai wespisti
A colloquio con Gianpaolo Silvestri e Horst
Stowasser, due membri della Wespe.
Annalisa - Vorrei, Horst, chiederti
di spiegare brevemente le connessioni che ci sono state tra il "Progetto A" e la sua realizzazione
a Neustadt e il rapporto che c'è adesso tra uno e l'altro.
Horst- Secondo la mia
interpretazione il "Progetto A" è un libro con una determinata idea. Nel migliore dei casi
l'idea è un impulso per fare qualcosa nella vita reale. Quando è nata WESPE (io non abitavo
ancora qui) il libro è stato un impulso per alcune persone che già svolgevano un'attività
qui a Neustadt ad entrare in un dibattito e a maturare l'idea del progetto. WESPE si basa su alcuni concetti
espressi nel mio libro, però non è il "Progetto A", ben definito nella teoria.
Annalisa - Paolo, tu eri tra le
persone che hanno iniziato?
Paolo - Io ho abitato qui per
un anno e mezzo quattordici anni fa poi sono ritornato quattro anni fa circa: ero qui quando si iniziava a parlare
e ad organizzarci, conoscevo già molta gente, poiché ho continuato a mantenere i contatti anche
durante il mio periodo di assenza. E' iniziato così: ci siamo incontrati qui a Neustadt tra persone che
avevano in mente di realizzare qualche cosa di concreto e abbiamo iniziato a parlare del "Progetto
A"; per un anno, un anno e mezzo, si è continuato a discutere sulla base teorica del progetto fino
a che è venuta l'idea di realizzarlo qui a Neustadt, sebbene la città prescelta nella decisione
finale fosse un'altra.
Annalisa - Quale?
Paolo - Alsfeld.
La scelta di rimanere a Neustadt fu presa poiché molti di noi erano tornati per realizzare qualcosa nella
propria città ed altri non volevano abbandonare il loro lavoro già avviato. La cosa ha funzionato
e dopo poco tempo c'è stata la possibilità di comprare una ex fabbrica (diventata poi
l'Ökohof, ndr) del centro cittadino...
Annalisa - In che anni
siamo?
Paolo - All'inizio
dell'ottantanove abbiamo fatto questo primo incontro ufficiale per capire chi effettivamente voleva darsi da fare
nella realizzazione del progetto.
Alberto - WESPE è nata
come progetto dichiaratamente anarchico?
Paolo- Ci siamo posti fin
dall'inizio questo problema, cioè il rapporto tra anarchia e la gente che faceva parte del progetto
e ci è stato subito chiaro che in una piccola città come Neustadt sarebbe stato impossibile
trovare una risposta politica adeguata. Inoltre neanche noi eravamo tutti d'accordo su questo punto: molti non
si dichiaravano anarchici e in generale non si voleva ricreare un ghetto anarchico, cioè non ci si voleva
isolare.
Horst- Il fatto che la
maggior parte dei fondatori non fosse anarchica, che non avesse un'esperienza politica alle spalle, mi sembra
uno dei segreti per cui il progetto funziona, perché quando ci sono troppi anarchici (come ad Alsfeld)
è molto più difficile. La vera forza è la base pratica. Io, per esempio, come anarchico,
devo sottomettere le mie idee alla prova pratica, che per me è un'esperienza fondamentale, un'avventura
interessante, perché è qualcosa di concreto mentre il resto è teoria. Il nostro modo di
vivere è libertario nella pratica, ogni ulteriore definizione non ci interessa. Piuttosto il problema lo vedo
all'incontrario; ci può essere gente che si sente strumentalizzata da un'élite politica, per
esempio da quelli che si occupano del centro documentazione o della pubblicità, per questo bisogna
dimostrare la massima trasparenza, non dire in nome del progetto cose che non hanno il consenso di tutti.
Paolo - Quello che si può
chiamare problema politico io 1o riporto direttamente al fatto che fino a quando eravamo un gruppo di persone
abbastanza limitato e che aveva avuto il tempo di conoscersi, sapevamo quale linea seguire in ogni circostanza.
Da quando il gruppo è aumentato considerevolmente la difficoltà nel mantenere stretti contatti
tra di noi ha creato un frazionamento in gruppi e l'impossibilità di sostenere un discorso collettivo,
nonostante rimangano chiari e condivisi i principi di base.
Annalisa - Parliamo
del presente: io immagino che lo scopo principale di questo progetto sia di aggiungere una migliore
qualità di vita, pur rimanendo in stretto contatto con la realtà esterna. Cioè dovrebbe
essere un esempio e non un'isola felice. Vi sono stati dei miglioramenti effettivi?
Paolo - I miglioramenti secondo me
sono tantissimi; dopo vari tentativi precedenti, a cui ho partecipato, che sono falliti, finalmente posso parlare
di risultati concreti; il fatto di riuscire a vivere e lavorare insieme ad altre persone con cui condividi un progetto
è già un risultato enorme e lo si capisce giorno per giorno... anche se è impossibile,
ovviamente, eliminare alcuni aspetti problematici. Per esempio vivere in comunità significa da un lato
una equa condivisione dei doveri e un reciproco appoggio, dall'altro confrontarsi con diversi modi di vivere
scontrandosi spesso con abitudini e situazioni personali diverse.
Horst- volevo intervenire con alcune
esperienze a proposito del miglioramento della qualità della vita: io abito nel centro città in una
casa quasi di lusso che non potrei permettermi da solo, abito con altra gente, ho di che mangiare ogni giorno
(di ottima qualità!) e mi occupo una sola volta alla settimana di cucina e pulizia. Non è
necessario che ognuno possegga una macchina, possiamo utilizzarne una in tanti; se devo trasportare qualcosa
utilizzo il servizio trasporti di WESPE; se ho bisogno di costruire qualcosa in legno posso utilizzare la nostra
falegnameria... Dal punto di vista economico ciascuno guadagna mille marchi circa al mese, in
realtà facendo il calcolo di tutti i servizi gratuiti che offre il progetto, si raggiunge un salario
"reale" molto maggiore. Nonostante ciò penso che non si possa dire "abbiamo una
struttura autogestita e libertaria, quindi la vita è perfetta". Non è vero. Un aspetto che
è sentito negativamente e talvolta si trasforma in tragedia, è quello legato alla sfera
sentimentale. Problemi di tipo emotivo (gelosie, incomprensioni, rivalità...) sorgono dall'instaurarsi di
stretti rapporti tra i conviventi all'interno delle comunità. Inoltre è necessario spesso sacrificare
gran parte del proprio tempo libero per partecipare alle riunioni, per svolgere lavoro volontario
nell'Ökohof: tutto questo è stancante. Anche l'autogestione è una scelta bellissima
però prima dobbiamo superare le difficoltà iniziali dovute all'apprendimento di una
attività professionale. Aspetti positivi e negativi alla fine si bilanciano, altrimenti non mi spiegherei
perché la gente rimane nel progetto.
Dario - In particolare
l'autogestione come è articolata, come funziona?
Paolo- Per noi è fondamentale
mantenere innanzitutto l'autonomia delle singole iniziative. Non chiediamo ad alcun gruppo di attenersi ad una
specifica teoria, per cui anche la pratica dell'autogestione è risolta in maniera differente tra un gruppo
e l'altro. Personalmente ho notato, nei gruppi che hanno cominciato a lavorare a Neustadt, l'importanza data alla
rotazione nei compiti. Autogestione significa principalmente tutti in grado di svolgere qualsiasi mansione; solo
alcuni gruppi sono riusciti a realizzarla, in quanto bisogna scontrarsi anche con la realtà del mercato
e vivere questo tipo di gestione significa spesso non essere "concorrenziali".
Annalisa -
Perché?
Paolo - Perché la tendenza
ad eliminare la specializzazione e la settorialità nel lavoro comporta, in qualche modo, una perdita di
efficienza. Oramai ciascun collettivo ha trovato un proprio equilibrio interno, arrivando ad una situazione
intermedia ottimale. Autogestione significa per tutti i gruppi essere partecipi a qualsiasi decisione oltre ad avere
la conoscenza dei fondamentali processi produttivi ed amministrativi; naturalmente senza delega.
Horst - Tramite la mia esperienza qui
a Neustadt ho potuto constatare che applicare ciecamente la teoria di eguaglianza e rotazione nel lavoro
è una scelta limitante e controproducente, perché ostacola l'andamento delle attività
produttive. Per me è fondamentale la trasparenza e la fiducia reciproca che ho riscontrato all'interno dei
vari gruppi.
Annalisa - un altro aspetto
basilare è il salario uguale per tutti.
Paolo - In
realtà il salario è definito da ogni collettivo in base alle esigenze di ciascun individuo; si cerca
di valutare i problemi personali caso per caso. Sapendo esattamente quanti soldi ci sono (cosa facile in collettivi
autogestiti), si tratta soltanto di dividerli in maniera equa.
Alberto - E questo viene accettato
tranquillamente?
Paolo - In genere
le controversie che ne nascono sono facilmente risolvibili.
Horst - La prospettiva comune
è di trovare dei modelli economici ancora più libertari e fare i primi passi verso un'economia
più solidaristica fra le ditte.
Dario - Di che dimensione sono
i collettivi?
Paolo - In genere
i nostri sono abbastanza piccoli, il più grande è quello cultural-gastronomico siamo in
quindici.
Horst - Quando
c'è un gruppo troppo grande con anche l'intenzione di convivere, spesso si impone una visione
anarco-bolscevica, ossia la soppressione dell'individualità, dell'indipendenza. C'è un certo
terrorismo ideologico, che ho visto in tanti progetti comunitari in Germania, nel dire "dobbiamo essere
tutti uguali". La collettivizzazione deve essere volontaria, non forzata. Nel nostro progetto le scelte
ideologiche sono volontarie e individuali, come ad esempio l'abolizione della proprietà privata o la
partecipazione al Plenum. Se alle iniziative proposte non c'è una sufficiente partecipazione, dobbiamo
cercare di cambiare le stesse iniziative e non fare pressione perché la gente partecipi.
Annalisa - Cioè questo
vuol dire modellare la teoria sull'esperienza e non viceversa.
Horst - Sì,mi sembra che questo sia
il funzionamento della WESPE: non c'è un'ideologia dominante che regola l'agire collettivo. Credo che
non siamo gli unici all'interno del movimento anarchico che cercano di rompere con le vecchie strutture
dogmatiche.
Annalisa - Come prendete le
decisioni che interessano l'intera collettività?
Paolo - Le
decisioni vengono prese con lo stesso principio sia nei piccoli collettivi che nella riunione plenaria. In genere
si parla prima tra piccoli gruppi e si arriva a proposte che costituiranno poi il tema di discussione collettiva.
Bisogna che siano tutti d'accordo per poter prendere una decisione.
Annalisa - Non esistono
votazioni, quindi?
Paolo - No,
neanche in assemblea.
Horst - Mi sembra importante dire
che ciò non è stato teoricamente stabilito in precedenza. La gente ha sempre voluto evitare le
votazioni e fino ad ora ciò è stato possibile.
Alberto - Quindi raggiungete
sempre l'unanimità?
Paolo - Non
sempre, ma le piccole divergenze che si sono presentate fino ad ora sono state risolte tramite discussione. Esiste
ed è applicato volontariamente il diritto di veto: chiunque può opporsi ad una decisione
rimettendola in discussione.
Dario - Mi sembra che voi
all'inizio vi foste preoccupati di organizzare una risposta adeguata ad una eventuale reazione negativa esterna
al vostro progetto. Si è rivelato necessario?
Paolo - Io credo
che ci sia bisogno sempre di persone che stiano sulla difensiva. Ci sono dei pericoli effettivi in una piccola
città come Neustadt (circa cinquantamila abitanti, ndr), come essere messi al muro in quanto anarchici,
sia dalla gente che dalle autorità. Per questo non ci dichiariamo apertamente anarchici, ma ci facciamo
conoscere attraverso il nostro lavoro. Altri tipi di pericoli sono dipendenti dall'ondata di estremismo di destra
che sta rinascendo in Germania.
Dario - Comunque la reazione
esterna è stata migliore di quella prevista, vero?
Paolo - Sì,
anche perché all'inizio abbiamo pubblicizzato moltissimo le attività economiche anche
attraverso inserzioni sui giornali, per vincere la diffidenza della gente. Ora siamo molto conosciuti, e questo
ci consente di avere una certa credibilità sia da parte della gente comune che dell'amministrazione
comunale. Grande effetto in questo senso hanno avuto i contatti diretti con la popolazione che abbiamo
instaurato tramite iniziative come l'Assemblea pubblica e le domeniche "porte aperte"
all'Ökohof.
Alberto -Che rapporto avete con
le istituzioni?
Paolo - A volte
ci siamo trovati davanti alla scelta tra non riconoscere le istituzioni e avere rapporti con esse. È un
problema serio, i rischi sono enormi. Se noi avessimo optato per una scelta estrema, probabilmente non
avremmo comprato bensì occupato la ex fabbrica e in questo momento probabilmente non saremmo
più qui. Siamo dovuti scendere ad un certo tipo di compromessi, questo è fuori di dubbio. Noi
non riconosciamo in toto la validità delle istituzioni e da questo derivano iniziative come l'assemblea
popolare o il contatto diretto con la popolazione, cose che speriamo diventino un'arma per noi.
Dario - Visto che vi
definite libertari e che mantenete i principi base quali il mutuo appoggio, l'autogestione, l'assenza di gerarchia,
l'ecologia... quali di questi aspetti hanno avuto il miglior impatto sulla popolazione, quali una funzione
provocatoria?
Horst - In questo
momento mi sembra che l'ecologia sia un messaggio molto importante da tutti i punti di vista. Ogni nostra
attività è collegata al discorso ecologico, sia per i materiali che utilizziamo, sia per i prodotti
che vendiamo. Non la consideriamo una mossa tattica, ma una esigenza etica della maggior parte di noi.
Semplificando si potrebbe dire che WESPE è libertario ed ecologico: due aspetti ugualmente importanti
che ci differenziano da molti altri progetti politici. Per quanto riguarda il concetto dell'autogestione devo dire
che è stato meno condiviso, anche se ha destato una certa curiosità.
Alberto - Quanta importanza date
all'aspetto esteriore delle vostre attività commerciali?
Paolo -
Sicuramente molta; è stato importante in questo senso esserci appoggiati a ditte che già
esistevano e avevano una buona immagine e clientela. Non dimentichiamoci che Neustadt è una
cittadina dove tutti si conoscono: questo facilita molto.
Horst - Volevo aggiungere, a questo
proposito, che il nostro obbiettivo non è di provocare bensì di proporre un'alternativa accessibile
a tutti.
Alberto - Qual'è la
situazione attuale della WESPE, quali i progetti per il futuro?
Paolo - In questo
momento siamo in una fase di stasi voluta, per risolvere una serie di problemi interni legati ai rapporti
interpersonali ed economici. Per adesso, quindi, non siamo in grado di accogliere persone che non abbiano una
solida base professionale. Dopo una fase di veloce crescita in questi primi anni, abbiamo il bisogno di
rafforzarci all'interno per poi passare ad una nuova fase di espansione. Credo che l'obiettivo principale in questo
momento sia di concludere i lavori all'Ökohof.
Horst - Una cosa che io mi auguro
e che in parte ho già riscontrato nella WESPE è che le persone che vi partecipano operino una
scelta a lungo termine e globale, piuttosto che come parentesi momentanea di vita. Inoltre spero che questo
dossier, insieme a qualsiasi tipo di divulgazione del nostro tentativo, contribuisca a dare uno stimolo per la
realizzazione di qualche nuovo progetto in Italia o altrove, nella speranza che si crei finalmente una rete
internazionale di piccoli progetti "rivoluzionari".
a cura di Anna Bertolo, Alberto Mauro e Dario Sabbadini
Intervista a Cristiana, giovane donna della WESPE
Abbiamo saputo che esiste un gruppo donne all'interno del progetto.
Sì, ci incontriamo una volta al mese. Siamo circa una quindicina e fin'ora abbiamo cercato di
utilizzare questo
spazio per conoscerci meglio.
Avete un progetto, delle finalità precise?
Prima di tutto vorremmo chiarire che parte hanno le donne nella WESPE, perché in molte
attività, come i
negozi, le ditte e altre iniziative ci sono meno donne che uomini; e poi capire cosa davvero comporta avere dei
bambini, capire quale sia, se c'è, in questo nuovo progetto, un reale salto di qualità
nell'intendere la libertà delle
donne.
Quindi anche all'interno del vostro progetto si ripropongono i soliti problemi legati al ruolo
della donna...
Sì, per certi versi, per altri ammetto che ci siano stati dei miglioramenti reali.
Quali per esempio?
Per esempio il fatto di vivere in comunità comporta numerosi vantaggi per una madre, legati
soprattutto alla
distribuzione delle mansioni domestiche tra tutti i membri del gruppo (pulizia della casa, spesa, cucina) e alla
possibilità di contare sulla collaborazione nella cura dei bimbi.
Come funziona la divisione dei turni a casa?
Nella mia comunità di convivenza ci siamo organizzati in modo tale che ogni giorno della settimana
uno di noi
rimanga a casa.
Quindi per una giornata questa persona non lavora?
Sì. Per chi lavora all'interno della Wespe è previsto che la giornata in casa venga retribuita
come giornata
lavorativa. Più difficile è il discorso per chi lavora all'esterno.
Avete in progetto un centro educativo per i bambini?
Fino ad ora non ha avuto successo. All'inizio io e altre persone tra le quali assistenti sociali e psicologi ci
siamo
incontrati per realizzare questa idea, però ci sono stati grandi problemi per il finanziamento e le persone
si
dichiarano disponibili solo una volta pronto l'edificio. E quindi questo è rimasto uno dei tanti progetti
che
aspettano di essere realizzati in futuro.
Il gruppo donne è esclusivamente limitato alle donne?
Sì, a noi sembra una cosa logica, ma non per tutti è così.
Avete sentito la necessità di dare una spiegazione a quelli cui non sembrava logica
l'esistenza del vostro
gruppo?
Abbiamo discusso parecchio, anche perché un ragazzo si era accanito nell'esprimere la sua
contrarietà.
Per quali motivi?
Noi siamo convinte dell'importanza di stare tra donne, aver tempo di parlare di cose che ci riguardano in
un
modo che ci è proprio e che sarebbe senz'altro diverso se partecipassero anche gli uomini. Lui invece
sosteneva
di poter avere lo stesso livello di comunicazione e di poter partecipare senza problemi.
E tra di voi eravate tutte d'accordo su questo punto?
Sì.
Le critiche di questo ragazzo sono rimaste isolate o altri le hanno sostenute?
Sono rimaste isolate perché non abbiamo neanche provato a metterle in discussione.
Ti sembra che la reazione del resto degli uomini sia sintomo di indifferenza e disinteresse
oppure di
consenso?
Più che altro di disinteresse: mi capita raramente che un uomo mi chieda: "che cosa avete fatto e
di che cosa
avete parlato". Anche nel caso di questo ragazzo se per lui fosse stata una questione di grande importanza
avrebbe insistito nella discussione e l'avrebbe portata al plenum.