Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 21 nr. 185
ottobre 1991


Rivista Anarchica Online

Occhio al bioregionalismo

Scrivo per esprimere la mia fondamentale solidarietà con le idee principali contenute nella lettera del compagno Antonio Pasquale, pubblicata nel n. 183 della Rivista Anarchica. Data la mia scarsa familiarità con la lingua italiana, devo specificare che la mia espressione di solidarietà con i contenuti della lettera del compagno Pasquale si basa su di una traduzione non perfetta di quanto vi è esposto, ma il punto di vista espresso dalla lettera è tale che, per quanto sono in grado di giudicare, lo sosterrei senz'altro anch'io se facessi parte del movimento italiano. E' chiaro che con il crollo del socialismo statale e dei movimenti ad esso collegati, come il PCI, si è aperto un vuoto nella vita politica italiana. Da quello che ho potuto ricavarne leggendo la stampa americana, milioni di italiani nutrono una profonda diffidenza verso lo stato centralizzato e sembrano aspirare, anche se in maniera vaga, ad una maggiore democrazia a livello locale e ad una accentuazione delle autonomie regionali. Ritengo che il movimento anarchico italiano si trovi ad avere a portata di mano una rara, forse addirittura storica, opportunità - l'opportunità di portare il municipalismo libertario, con la sua accentuazione anarchica della democrazia locale e del confederalismo regionale, al centro dell'attenzione politica italiana. Forse, oggi più che mai nel nostro recente passato, i nostri compagni hanno un'occasione per dare nuovo vigore alle migliori idee di Proudhon e in particolare alla sua idea finale di una "Comune dei comuni" - se saranno pronti ad assumersi la responsabilità di coraggiose iniziative politiche, anche a livello elettorale locale, mirate alla creazione di assemblee pubbliche e di confederazioni di cittadine e città contro lo stato-nazione e le forme reazionarie di "regionalismo". Mi è fin troppo familiare l'argomento con il quale molti nostri compagni obiettano alla validità della proposta di un municipalismo libertario in Italia: la forte penetrazione dello stato-nazione nelle città italiane, le distinzioni di classe tra le varie municipalità e le difficoltà dell'applicazione del municipalismo libertario in metropoli come Milano e Roma. Ma a questi problemi bisognerebbe guardare come a delle sfide con le quali ci si deve confrontare nel corso di lotte e non come ineluttabili "fatti della vita" ai quali ci dobbiamo passivamente rassegnare. Perché porsi come obiettivo la fine del capitalismo, che come imponente sistema sociale pone degli ostacoli molto più impegnativi ai nostri sforzi - per poi, magari, ritirarsi in una vita marginale, che ci separa completamente dalla sfera pubblica?
Dobbiamo forse ignorare che la gente soffre quotidianamente gli effetti del collasso ecologico, dell'alienazione, della costante sottrazione dei propri poteri, del fardello della burocrazia, problemi che aprono la possibilità di una nuova politica, in cui il nostro approccio libertario, decentralinista e confederale, con la sua accentuazione di una democrazia partecipativa, possa registrare una significativa risposta, perfino una risposta di massa, da parte della gente lungo tutta la penisola italiana?
Sono fortemente preoccupato del fatto che molti compagni guardino al municipalismo libertario come ad un equivalente del "parlamentarismo" e dello statalismo. Niente è più lontano dalla verità di questo atteggiamento. Perfino Bakunin, nel 1870, era preparato a distinguere tra la sfera municipale della vita politica e lo stato-nazione: "(La gente) dimostra un salutare, pratico buon senso quando deve occuparsi di questioni a livello comunale. E' sufficientemente bene informata e sa come selezionare al suo interno i funzionari più capaci. Questa è la ragione per cui le elezioni municipali sono quelle che riflettono sempre meglio quali sono la posizione e la volontà reale della gente".
Ad essere sinceri, io stesso non andrei così lontano: il municipalismo libertario punta ad una ristrutturazione più radicale delle municipalità rispetto a quella prevista da Bakunin, anche se è interessante quanto i nostri teorici "fondatori" fossero più flessibili alla fine del secolo scorso, di quanto non lo siano i loro seguaci al giorno d'oggi. E' così forte la paura di una politica localista, di qualsiasi tipo essa sia - di sorpassare la mistica linea di demarcazione tra "non votare" e "votare" - che il rifiuto della attività elettorale, anche se limitata alla località in cui si vive, è diventato un dogma paralizzante. Sarebbe una terribile prova della nostra impotenza, se il vuoto venuto a crearsi venisse riempito non dagli anarchici, ma dalle leghe "populiste" che mescolano federalismo, autodeterminazione, regionalismo e controllo diretto della società con razzismo e opportunismo, l'obiettivo di una maggiore produttività industriale e delle politiche fiscali egoistiche. La mia opinione è che, per il nostro movimento, la scelta di rimanere ai margini degli attuali sviluppi in corso in Italia, a causa di un dogmatico "antielettoralismo", grossolanamente confuso con l'"antiparlamentarismo", sarebbe un grave errore politico e morale. Mi dispiace che i compagni italiani non abbiano accesso ai miei recenti libri sul municipalismo libertario, che cercano di esplorare in profondità le differenze tra una nuova politica basata sul livello locale e il parlamentarismo basato sullo stato-nazione.
Purtroppo, l'"alternativa" di cui si è parlato nel n.183 della Rivista Anarchica e dalle edizioni Eleuthera, consiste in un confuso corpo di idee denominato "bioregionalismo". Mi riferisco in particolare a Le regioni della natura di Kirpatrick Sale edito da Eleuthera (una traduzione insoddisfacente del titolo originale inglese, come esporrò in breve più avanti). L'irrisione del compagno Pasquale all'istanza delle leghe "populiste, di "uno stato più piccolo in modo che noi possiamo così controllare meglio le tasse e tutto andrà bene" potrebbe essere con altrettanta efficacia indirizzata al "bioregionalismo" di Sale, senza parlare poi di tutta la sua retorica ecologica.
Quando il compagno Pasquale dice che dovremmo chiedere alle leghe di spiegare il contenuto politico delle "piccole entità" a cui si riferiscono, la stessa domanda potrebbe essere posta a Sale, che confonde crusca e farina e accosta le nozioni più generiche, frutto di tendenze completamente contraddittorie all'interno del movimento ecologista. Nel libro di Sale si parla in continuazione dei mali della gerarchia, dell'etica della complementarità, della comunità come luogo in cui vengono prese le decisioni, della cittadinanza, di una "legge della diversità" - in breve, una schiera di idee rubate dall'ecologia sociale - ma non vi si trova una vera politica. Quando si cerca di cogliere il nocciolo del pensiero "bioregionalista" di Sale, si scopre che "il concetto di scala in fondo (è) l'unica determinante critica e decisiva di tutte le strutture umane, siano essi edifici, sistemi o società, (i corsivi sono miei - M.B.). Ci si potrebbe ragionevolmente domandare in cosa questa generica "struttura" differisca dalle idee avanzate dalle leghe "populiste".
Se il "bioregionalismo" emerge nel nostro movimento come alternativa al municipalismo libertario, il nostro movimento farà un grosso passo indietro - assumendo in pratica una posizione passiva di fronte ad una situazione che sembra raggiungere in Italia le dimensioni di una crisi. Cosa è, in fin dei conti, una "bioregione", nel vocabolario di Kirpatrick Sale? Sale, che negli Stati Uniti viene considerato come colui che ha dato la definizione più "concisa" del termine, descrive la "bioregione" come un luogo definito dalle sue forme di vita, dalla sua topografia, piuttosto che dai dettami umani; una regione governata (!) dalla natura e non dalla legislatura.
Anche se sembra una formulazione "antiparlamentarista" ("non una legislatura"), in realtà Sale e i "bioregionalisti" americani hanno largamente subordinato gli esseri umani, la cultura, la lingua, le condizioni sociali e la società stessa ad un rozzo naturismo che, nei fatti, distoglie l'attenzione del lettore dalla necessità di un'azione politica. Se si guarda dietro alla melma delle idee che combinano ecologia sociale ed "ecologia profonda", il secolarismo con il misticismo, il malthusianismo con la pietà cristiana (le idee di James Lovelok, l'inventore dell'ipotesi "Gaia" che è un rozzo malthusiano, mischiate a quelle del Rev. Thomas Berry, che predica una forma revisionata di ecologismo religioso), una dose massiccia di teorie sulle leggi naturali con un pizzico di teoria anarchica, si scopre che il mondo dovrebbe restare affascinato non dai "dettami umani", ma da una nozione mistica, perfino deificata, della "Natura". Nel mondo di "Gaia" a cui fanno riferimento i "bioregionalisti" americani - tra i quali di sicuro vi è anche Sale - gli esseri umani sono dei meri "coinquilini" dei topi, delle zanzare, dei conigli, oppure, se vi piacciono le specie più eroiche, dei lupi, dei grizzly e delle balene.
Non sorprende quindi il fatto che l'edizione originale americana del libro di Sale sia misticamente intitolata Dwellers in the land (Gli abitatori della terra) - vale a dire che noi "dimoriamo" sulla terra, non ci viviamo in una maniera attiva - un modo di esprimersi passivamente ricettivo del vocabolario di Heidegger, che ha contaminato una buona fetta del movimento ecologista americano nel corso degli anni più recenti con la sua disapprovazione del concetto di specie umana come unica nel suo genere e come potenzialmente razionale.
Non sorprende allora che, alcuni anni fa, un congresso bioregionale abbia nominato o eletto tra le sue fila dei "rappresentanti" incaricati di fare da "portavoce" per le piante, gli uccelli, i mammiferi e così via, i quali, nella stravagante teoria "bioregionale" sono "cittadini" della "comunità bioregionale" alla pari degli esseri umani. Non ci sorprende nemmeno che nessun esponente del movimento "bioregionalista" degli Stati Uniti sia sufficientemente sicuro di cosa sia una "bioregione", perlomeno in termini strettamente naturalistici. Uno spartiacque? Un lago o un gruppo di laghi simili? Una catena di montagne? Una valle? Cosa allora? Molte di queste definizioni biofisiche possono essere nel Nord America così ampie da includere grandi aree dell'Europa occidentale, come la "bioregione" dei Grandi Laghi o le praterie dell'ovest. Non è questa la sede in cui posso sperare di esporre una critica dettagliata del "bioregionalismo" - ovviamente nella versione che ne danno negli Stati Uniti un Kirpatrick Sale o molti altri "bioregionalisti" bene intenzionati. A rischio di ripetermi, vorrei sottolineare ancora una volta che le teorie sul bioregionalismo, così come è inteso negli Stati Uniti, dove tale concetto è stato formulato per la prima volta da Allen Van Newkirk - una persona del tutto a posto, ma un po' ingenua che ho conosciuto personalmente negli anni '60 - distolgono gli attivisti del movimento ecologista dall'azione sociale, indirizzandoli verso una forma di pastoralismo d'evasione. Negli Stati Uniti, dove non incombono all'orizzonte minacce di serie crisi, saremo forse in grado di fare fronte a queste futilità, ma per gli anarchici italiani sostituire il municipalismo libertario con questo tipo di naturalismo sarebbe, a mio parere, un errore dalle serie conseguenze. In Italia vi trovate ad affrontare, cari compagni, una crisi seria, che può portare ad una delegittimazione dello stato-nazione. La tendenza popolare alla decentralizzazione e al regionalismo richiedono un'azione politica che sia coerente con i nostri principi anarchici e non una ritirata nel pastoralismo "bioregionale". Se la sinistra libertaria non è in grado di rappresentare uno sfogo adeguato a questi impulsi potenzialmente anarchici, con un programma ricco e con delle analisi sociali che possano essere tradotte in un'azione concreta, la destra aumenterà il suo ascendente e ci relegherà ai margini. Andremo incontro, ahimè, ad un'ennesima sconfitta causata da una rigidità e da una inflessibilità dogmatiche.

Murray Bookchin
(Burlington - USA)
(traduzione di Andrea Ferrario)