La teoria della conoscenza negli studi dei ricercatori cileni
Maturana e Varela. Limiti e possibilità di un approccio
teorico ricco di risvolti anche per un progetto di società
libertaria.
"Chi avrebbe mai pensato - si chiede Feyerabend - che
il confine fra soggetto e oggetto sarebbe stato messo in discussione
e che ciò avrebbe prodotto un avanzamento della scienza?
Tuttavia - prosegue - precisamente questo è accaduto nella
teoria dei quanti e negli studi fisiologici di Maturana e Varela"
(Addio alla ragione, 1987). Si tratta, a ben vedere, di
due casi nettamente diversi. Nella teoria dei quanti, infatti,
l'osservatore - o la sua propaggine strumentale - nel procedere
alla misurazione di un ipotetico "oggetto" in movimento
non può evitare di modificarne la traiettoria o la
velocità. Si tratta di una difficoltà tecnica, che
riguarda i rapporti fra caratteristiche fisiche della strumentazione
di misura e caratteristiche fisiche degli "oggetti" da
misurare. La parola "oggetto" va tenuta fra virgolette
perché in ambito di scienze naturali è proprio il
processo di misurazione - con le schematizzazioni di riferimento
che presuppone - a definirne le caratteristiche: ad esempio, la
terra è in moto rispetto al sole, ma è ferma rispetto
a noi che ci camminiamo sopra. A conferma di ciò può
essere ricordata l'opinione di Ageno. Il famoso biofisico, in dura
polemica con Popper, afferma perentoriamente che "le entità
e le grandezze che una teoria scientifica considera sono costrutti
mentali" (Le radici della biologia,1986). Nelle
scienze naturali, precisa Ageno "di un singolo oggetto,
concettualmente isolato, non sappiamo dire assolutamente nulla",
ciò di cui parlano gli scienziati sarebbe "sempre e solo
le relazioni tra questo oggetto e molti altri". Negli studi
fisiologici di Maturana e Varela, invece, la "messa in
discussione" del rapporto - o "confine" come lo
chiama Feyerabend con un'immagine statica - fra "soggetto"
e "oggetto" non riguarda solo i programmi delle scienze
naturali. Il problema è più complesso (ma i
"teorici della complessività" non ci aiutano di
certo a renderlo comprensibile, Maturana e Varela, forse, ci
provano con maggiore onestà intellettuale). Nel caso degli
studi fisiologici dei due biologi cileni (e in generale della
odierna neurofisiologia) si tratta di stabilire correlazioni che
non riguardano solo fenomeni fisici o biofisici. Da una parte,
infatti, abbiamo i modelli delle trasformazioni fisiche cerebrali -
come scambi di sostanze chimiche, elettricità e via dicendo,
tenendo presente che la delimitazione fisica del "cervello"
e delle "aree cerebrali" fa parte delle condizioni
predisposte dall'osservatore - e dall'altra parte, abbiamo - o
dovremmo avere - i modelli delle funzioni che in generale possiamo
ricomprendere sotto il nome di "mentali" (tenendo presente
che nessuna opzione terminologica è neutrale rispetto alle
teorie esistenti in merito, e che tutte le opzioni terminologiche
sono tuttavia polivalenti rispetto alle teorie). Funzioni "mentali"
che sono necessariamente da specificare, perché, a differenza
che nella meccanica quantistica, non solo bisogna tenerne conto in
generale per poter imputare all'osservatore ciò che gli
spetta, ma, inoltre, vanno attribuite all'osservato (e solo in base
alle ipotesi sulla funzione svolta i modelli del funzionamento
cerebrale acquistano significato). Certo, può aver ragione
Feyerabend nel dire che in tutti e due i casi - meccanica
quantistica e certe neuroscienze - la scienza è
"avanzata". È' stato messo in discussione un
dogma, quello della "conoscenza" - come puro e semplice
trasferimento d'informazione fra un "soggetto" e un
"oggetto" - di cui hanno spesso parlato i filosofi e che,
altrettanto spesso, è stato subìto dagli
scienziati. Il dogma, tuttavia, non sembra del tutto sconfitto.
Maturana e Varela ne propongono il superamento a partire - dicono -
dal "costante rendersi conto che il fenomeno della conoscenza
non può essere concepito come se esistessero "fatti"
od "oggetti" esterni a noi che uno prende e si mette in
testa" (L'albero della conoscenza, 1984) . La
teoria dell'autopoiesi - che sostituirebbe la tradizionale teoria
della conoscenza - muove, allora, dagli assunti seguenti: 1.
"ogni conoscenza è una azione per colui che conosce";
e, quindi,
2. "ogni conoscenza dipende dalla struttura di colui che
conosce". E questa struttura andrebbe indagata - proseguono
Maturana e Varela - al livello di una teoria del vivente, ossia di
una nuova biologia ("Noi sosteniamo che non si possono
comprendere le basi biologiche della conoscenza solo mediante lo
studio del sistema nervoso e ci sembra che sia necessario capire
come questi processi siano radicati nell'essere vivente preso nella
sua totalità").
Il rischio dell'ideologia
La definizione di "essere vivente" diventa quindi
decisiva, ed è qui che i due biologi cileni fanno ricorso al
neologismo ("autopoiesi") che li ha resi tanto famosi, e
tanto criticati. La definizione che danno del significato di questo
neologismo è, in effetti, ambigua: "La nostra proposta è
che gli esseri viventi si caratterizzano perché si producono
continuamente da soli, il che indichiamo denominando
l'organizzazione che li definisce organizzazione
autopoietica". Quando vogliono specificare meglio questo
"prodursi continuamente da soli", Maturana e Varela fanno
appello a "componenti" che sarebbero "correlati
dinamicamente in una rete continua di interazioni"; oppure, a
"certe relazioni che descriveremo in dettaglio e che
analizzeremo più facilmente a livello delle
cellule". Sembrerebbe plausibile l'affermazione di Maturana
e Varela che "i nostri meccanismi di esseri viventi sono
l'essenza stessa della nostra conoscenza", ma, partendo dal
livello delle cellule, la strada per arrivare ai processi di
percezione, pensiero e linguaggio non è poi così
facile. A riprova di ciò, abbiamo diverse difficoltà
incontrate dalla teoria dell'autopoiesi, che sono state affrontate
soprattutto da Maturana. Von Glasersfeld, ad esempio, fa notare
che nel sistema filosofico di Maturana, elaborato a partire dalle
sue ricerche di fisiologia della percezione, permangono chiari segni
di difficoltà. L'"osservatore" - o "unità
autopoietica" - dovrebbe "generare il suo mondo
esperienziale" a partire da atti di "distinzione";
procedura la cui analisi, tuttavia, rimane preclusa. Infatti,
dall'ipotesi del "distinguere", Maturana non riesce a
passare in maniera plausibile a quella, apparentemente ben
diversa, del "generare". Von Glasersfeld ritiene che,
nonostante questo impaccio, il pensiero di Maturana segna un
progresso del filone più schiettamente antiautoritario della
storia del pensiero. Si tratterebbe, comunque, di un
"costruttivismo", ossia dell'unica via plausibile per dare
un fondamento teorico e soprattutto programmatico ad una società
di individui autonomi e responsabili di quanto producono, a partire
dalle operazioni mentali. Del tutto opposto - cioè del
tutto negativo -, invece, il giudizio di valore di Feyerabend, che
tanto apprezza gli "sperimentatori" Maturana e Varela
quanto li disprezza come "teorici". Feyerabend
considera Maturana e Varela come teorici del "vecchio
oggettivismo, soltanto avvolto in un linguaggio rivoluzionario e
pseudo-umanitario". Alla stessa stregua di un Prigogine,
neutralizzerebbero "la verità culturale",
riducendola ai "loro schemi". Per inciso, Feyerabend
li accusa di non fornire "una guida per le scelte personali e
sociali", accusa che peraltro stride con le precedenti, e da
cui probabilmente, se non altro per la sua genericità, non
tutti si sentirebbero offesi. I limiti - scientifici e ideologici
- della teoria autopoietica, sono evidenziati dall'accusa di
"soggettivismo" proveniente da Von Glasersfeld - con
riferimento all'incapacità del sistema descrittivo di
specificare le funzioni attribuite all'osservatore (in Methodologia
- Pensiero Linguaggio Modelli, 8, 1991). Ma anche l'accusa di
"oggettivismo", proveniente da Feyerabend serve a rilevare
un limite della teoria autopoietica, quello della provenienza
disciplinare (dalla biologia) dell'intero schema esplicativo, e
della conseguente incapacità di mantenere quella circolarità
del sapere che pure Maturana e Varela si ripromettono
esplicitamente. L'accusa è, in definitiva, sempre la
stessa: quella di non sapere conciliare l'analisi del funzionamento
del sistema nervoso con l'analisi delle sue funzioni, come la
percezione, il pensiero e il linguaggio. Accusa non da poco,
perché - ovviamente - la mancata comprensione delle funzioni
pregiudica qualsiasi comprensione del funzionamento organico,
isolato in relazione ad esse. E' a partire da questo limite che
la costruzione di Maturana e Varela diventa un apparato
ideologico, che - come tanti altri - finisce con l'impoverire e
frustrare le capacità di chi l'adotta , anziché
tonificarle, precludendo ogni consapevolezza di quei processi di
valorizzazione che sono alla base di qualsiasi ideologia.