Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 21 nr. 185
ottobre 1991


Rivista Anarchica Online

La gabbia dell'ideologia
di Francesco Ranci

La teoria della conoscenza negli studi dei ricercatori cileni Maturana e Varela. Limiti e possibilità di un approccio teorico ricco di risvolti anche per un progetto di società libertaria.

"Chi avrebbe mai pensato - si chiede Feyerabend - che il confine fra soggetto e oggetto sarebbe stato messo in discussione e che ciò avrebbe prodotto un avanzamento della scienza? Tuttavia - prosegue - precisamente questo è accaduto nella teoria dei quanti e negli studi fisiologici di Maturana e Varela" (Addio alla ragione, 1987).
Si tratta, a ben vedere, di due casi nettamente diversi. Nella teoria dei quanti, infatti, l'osservatore - o la sua propaggine strumentale - nel procedere alla misurazione di un ipotetico "oggetto" in movimento non può evitare di modificarne la traiettoria o la velocità.
Si tratta di una difficoltà tecnica, che riguarda i rapporti fra caratteristiche fisiche della strumentazione di misura e caratteristiche fisiche degli "oggetti" da misurare.
La parola "oggetto" va tenuta fra virgolette perché in ambito di scienze naturali è proprio il processo di misurazione - con le schematizzazioni di riferimento che presuppone - a definirne le caratteristiche: ad esempio, la terra è in moto rispetto al sole, ma è ferma rispetto a noi che ci camminiamo sopra.
A conferma di ciò può essere ricordata l'opinione di Ageno. Il famoso biofisico, in dura polemica con Popper, afferma perentoriamente che "le entità e le grandezze che una teoria scientifica considera sono costrutti mentali" (Le radici della biologia,1986). Nelle scienze naturali, precisa Ageno "di un singolo oggetto, concettualmente isolato, non sappiamo dire assolutamente nulla", ciò di cui parlano gli scienziati sarebbe "sempre e solo le relazioni tra questo oggetto e molti altri".
Negli studi fisiologici di Maturana e Varela, invece, la "messa in discussione" del rapporto - o "confine" come lo chiama Feyerabend con un'immagine statica - fra "soggetto" e "oggetto" non riguarda solo i programmi delle scienze naturali.
Il problema è più complesso (ma i "teorici della complessività" non ci aiutano di certo a renderlo comprensibile, Maturana e Varela, forse, ci provano con maggiore onestà intellettuale).
Nel caso degli studi fisiologici dei due biologi cileni (e in generale della odierna neurofisiologia) si tratta di stabilire correlazioni che non riguardano solo fenomeni fisici o biofisici. Da una parte, infatti, abbiamo i modelli delle trasformazioni fisiche cerebrali - come scambi di sostanze chimiche, elettricità e via dicendo, tenendo presente che la delimitazione fisica del "cervello" e delle "aree cerebrali" fa parte delle condizioni predisposte dall'osservatore - e dall'altra parte, abbiamo - o dovremmo avere - i modelli delle funzioni che in generale possiamo ricomprendere sotto il nome di "mentali" (tenendo presente che nessuna opzione terminologica è neutrale rispetto alle teorie esistenti in merito, e che tutte le opzioni terminologiche sono tuttavia polivalenti rispetto alle teorie). Funzioni "mentali" che sono necessariamente da specificare, perché, a differenza che nella meccanica quantistica, non solo bisogna tenerne conto in generale per poter imputare all'osservatore ciò che gli spetta, ma, inoltre, vanno attribuite all'osservato (e solo in base alle ipotesi sulla funzione svolta i modelli del funzionamento cerebrale acquistano significato).
Certo, può aver ragione Feyerabend nel dire che in tutti e due i casi - meccanica quantistica e certe neuroscienze - la scienza è "avanzata".
È' stato messo in discussione un dogma, quello della "conoscenza" - come puro e semplice trasferimento d'informazione fra un "soggetto" e un "oggetto" - di cui hanno spesso parlato i filosofi e che, altrettanto spesso, è stato subìto dagli scienziati.
Il dogma, tuttavia, non sembra del tutto sconfitto. Maturana e Varela ne propongono il superamento a partire - dicono - dal "costante rendersi conto che il fenomeno della conoscenza non può essere concepito come se esistessero "fatti" od "oggetti" esterni a noi che uno prende e si mette in testa" (L'albero della conoscenza, 1984) .
La teoria dell'autopoiesi - che sostituirebbe la tradizionale teoria della conoscenza - muove, allora, dagli assunti seguenti:
1. "ogni conoscenza è una azione per colui che conosce"; e, quindi,
2. "ogni conoscenza dipende dalla struttura di colui che conosce".
E questa struttura andrebbe indagata - proseguono Maturana e Varela - al livello di una teoria del vivente, ossia di una nuova biologia ("Noi sosteniamo che non si possono comprendere le basi biologiche della conoscenza solo mediante lo studio del sistema nervoso e ci sembra che sia necessario capire come questi processi siano radicati nell'essere vivente preso nella sua totalità").


Il rischio dell'ideologia
La definizione di "essere vivente" diventa quindi decisiva, ed è qui che i due biologi cileni fanno ricorso al neologismo ("autopoiesi") che li ha resi tanto famosi, e tanto criticati. La definizione che danno del significato di questo neologismo è, in effetti, ambigua: "La nostra proposta è che gli esseri viventi si caratterizzano perché si producono continuamente da soli, il che indichiamo denominando l'organizzazione che li definisce organizzazione autopoietica".
Quando vogliono specificare meglio questo "prodursi continuamente da soli", Maturana e Varela fanno appello a "componenti" che sarebbero "correlati dinamicamente in una rete continua di interazioni"; oppure, a "certe relazioni che descriveremo in dettaglio e che analizzeremo più facilmente a livello delle cellule".
Sembrerebbe plausibile l'affermazione di Maturana e Varela che "i nostri meccanismi di esseri viventi sono l'essenza stessa della nostra conoscenza", ma, partendo dal livello delle cellule, la strada per arrivare ai processi di percezione, pensiero e linguaggio non è poi così facile.
A riprova di ciò, abbiamo diverse difficoltà incontrate dalla teoria dell'autopoiesi, che sono state affrontate soprattutto da Maturana. Von Glasersfeld, ad esempio, fa notare che nel sistema filosofico di Maturana, elaborato a partire dalle sue ricerche di fisiologia della percezione, permangono chiari segni di difficoltà.
L'"osservatore" - o "unità autopoietica" - dovrebbe "generare il suo mondo esperienziale" a partire da atti di "distinzione"; procedura la cui analisi, tuttavia, rimane preclusa. Infatti, dall'ipotesi del "distinguere", Maturana non riesce a passare in maniera plausibile a quella, apparentemente ben diversa, del "generare". Von Glasersfeld ritiene che, nonostante questo impaccio, il pensiero di Maturana segna un progresso del filone più schiettamente antiautoritario della storia del pensiero. Si tratterebbe, comunque, di un "costruttivismo", ossia dell'unica via plausibile per dare un fondamento teorico e soprattutto programmatico ad una società di individui autonomi e responsabili di quanto producono, a partire dalle operazioni mentali.
Del tutto opposto - cioè del tutto negativo -, invece, il giudizio di valore di Feyerabend, che tanto apprezza gli "sperimentatori" Maturana e Varela quanto li disprezza come "teorici".
Feyerabend considera Maturana e Varela come teorici del "vecchio oggettivismo, soltanto avvolto in un linguaggio rivoluzionario e pseudo-umanitario". Alla stessa stregua di un Prigogine, neutralizzerebbero "la verità culturale", riducendola ai "loro schemi". Per inciso, Feyerabend li accusa di non fornire "una guida per le scelte personali e sociali", accusa che peraltro stride con le precedenti, e da cui probabilmente, se non altro per la sua genericità, non tutti si sentirebbero offesi.
I limiti - scientifici e ideologici - della teoria autopoietica, sono evidenziati dall'accusa di "soggettivismo" proveniente da Von Glasersfeld - con riferimento all'incapacità del sistema descrittivo di specificare le funzioni attribuite all'osservatore (in Methodologia - Pensiero Linguaggio Modelli, 8, 1991).
Ma anche l'accusa di "oggettivismo", proveniente da Feyerabend serve a rilevare un limite della teoria autopoietica, quello della provenienza disciplinare (dalla biologia) dell'intero schema esplicativo, e della conseguente incapacità di mantenere quella circolarità del sapere che pure Maturana e Varela si ripromettono esplicitamente.
L'accusa è, in definitiva, sempre la stessa: quella di non sapere conciliare l'analisi del funzionamento del sistema nervoso con l'analisi delle sue funzioni, come la percezione, il pensiero e il linguaggio. Accusa non da poco, perché - ovviamente - la mancata comprensione delle funzioni pregiudica qualsiasi comprensione del funzionamento organico, isolato in relazione ad esse.
E' a partire da questo limite che la costruzione di Maturana e Varela diventa un apparato ideologico, che - come tanti altri - finisce con l'impoverire e frustrare le capacità di chi l'adotta , anziché tonificarle, precludendo ogni consapevolezza di quei processi di valorizzazione che sono alla base di qualsiasi ideologia.