Davvero non sospettavo di avere doti divinatorie! Scrivendo
"Tutti a Kronstadt" ("A" n. 176, pag. 41) mi ero
riferito ai burocrati del PCI, allora "Cosa" ora PDS,
con queste parole: "Capacissimi di venire a raccontare che
quelli della Risoluzione di Petropavlovsk, in fondo in fondo, erano
dei seguaci di Flores d'Arcais e/o di Fassino". Non l'avessi
mai fatto! Lo sciagurato mi ha preso in parola. Quello che per me
era solo un divertente paradosso è diventato realtà. Leggendo
tra le righe dell'articolo "Addio a Togliatti, (la Repubblica
del 3/9/'91) di Paolo Flores d'Arcais (PFdA) si dovrebbe
probabilmente dedurre che a Kronstadt si insorse contro il
comunismo, comunque inteso, in nome della libertà d'impresa e
del lavoro salariato (ossia del capitalismo, senza di cui, ci
insegnano i nuovi adepti pidiessini, non può esserci
libertà). Ora non credo che le cose stiano esattamente
così. All'elaborazione della Risoluzione di Petropavlovsk,
come è noto, parteciparono attivamente radicali di diversa
estrazione: socialisti rivoluzionari, menscevichi, anarchici, senza
partito e anche militanti comunisti di base, con buona pace di
PFdA. Al punto undici, il più "intriso" di
velleità capitaliste, dichiarava: "Di conferire ai
contadini piena libertà d'azione per ciò che
riguarda la terra, e anche il diritto di tenere delle mucche,
a condizione che se la cavino con i propri mezzi, senza cioè
impiegare manodopera esterna". Un po' pochino,
veramente. Più che ai programmi pidiessini mi pare si
richiami al classico (e sovversivo) "né servi, né
padroni". Non credo sarebbero piaciuti a Boris Eltsin così
come non piacquero a Vladimir Ilich Ulianov. Inoltre si
rivendicava la libertà per i sindacati operai, libertà
per i prigionieri politici "incarcerati perché
coinvolti nel movimento operaio e contadino". Al punto due:
"Di concedere agli operai e ai contadini, agli anarchici e ai
partiti della sinistra socialista piena libertà di stampa
e di parola". E così via. Nessun accenno alla
restaurazione del lavoro salariato, nessuna difesa
dell'ordine borghese di quei "democratici" patriottardi
che avrebbero voluto mantenere operai e contadini russi nelle
trincee a crepare nella guerra imperialista. Nessun ritorno alla
prima rivoluzione ma un segnale per la terza... Contro vecchi e
nuovi padroni. Ma torniamo al pezzo di PFdA. Considero
indecente quel riferimento a Camillo Berneri e Andres (non
Andras) Nin definiti "dirigenti dell'antifascismo non
comunista". Camillo Berneri bastava chiamarlo per quel che
era, anarchico. Anarchici erano anche buona parte di quelli di
Kronstadt ma anche in questo caso l'autore evita elegantemente di
dirlo, volendo forse lasciare intendere che erano dei bravi
occhettiani antelitteram. Quanto poi a Nin, definirlo
"dirigente dell'antifascismo non comunista" è pura
ignoranza prodotta da malafede. Possibile che un intellettuale di
professione non sia al corrente del fatto che Andres Nin
era fondatore e dirigente del POUM (Partito Obrero de Unificacion
Marxista) e come tale venne perseguitato e assassinato dagli
stalinisti, con il benestare dei loro alleati borghesi? Nin era
un comunista antistalinista (con una militanza giovanile nella CNT)
che voleva la Rivoluzione Sociale. I suoi assassini erano
miliziani del PSUC, braccio armato per la repressione interna,
funzionali alla borghesia repubblicana nell'opporsi alle
collettivizzazioni operate dagli anarco-sindacalisti. In questo
caso chi era più comunista? Non diceva forse il PSUC di
difendere i diritti dei proprietari? Quello che in ogni caso
difendeva era un modello statuale, autoritario e borghese di
organizzazione sociale. Proprio come i socialdemocratici alla
PFdA. Dietro entrambi c'è lo stesso retroterra gerarchico
e statalista. Quello che non c'era assolutamente dietro i marinai
di Kronstadt, dietro la CNT, dietro i Maknovisti... Qui passa la
differenza tra noi e loro. Si chiamino PSUC o PDS. Teniamo poi
presente che comunque chi voleva coltivarsi da solo la terra dopo la
redistribuzione era libero di farlo. Purché non usasse
lavoro esterno. Contro il capitalismo e il lavoro salariato
quindi, senza per questo passare al socialismo da caserma. Vale
qui la pena di ricordare anche che il comunista Nin era amico
fraterno, oltre che di Victor Serge, di Jaime Balius, anarchico
catalano che accusava la CNT di essere troppo accondiscendente nei
confronti del governo; animatore di quel gruppo libertario
denominatosi "Amici di Durruti", fautore di una
radicalizzazione in senso sociale-rivoluzionario della lotta
antifranchista. Tra l'altro idearono lo slogan "Potere
Operaio". Espressione che non aveva niente a che fare
con la famigerata teoria statalista della dittatura
del proletariato. Intendeva "solo" rivendicare per i
proletari delle fabbriche barcellonesi il diritto di armarsi
anche contro le autorità repubblicane e le milizie
staliniste per difendere le conquiste rivoluzionarie. Era
l'auto-organizzazione armata di proletari. Cosa assai diversa
dalla militarizzazione voluta dagli statalisti e dalla riduzione dei
gruppi operai di combattimento a milizia poliziesca di
partito. Evidentemente PFdA ignora o finge di ignorare che il
Massacro di Barcellona del maggio '37 (in cui tra l'altro persero
la vita Berneri e Nin), scatenato dagli stalinisti contro anarchici
e poumisti, derivava dal fatto che questi si rifiutavano di
riconsegnare le armi, di sottomettersi alla logica statalista,
borghese e militarista che andava affermandosi nel fronte
repubblicano. In questo lo stalinismo era complice dei peggiori
partiti borghesi dello schieramento repubblicano. Nella Catalogna
del '36 anarchici, comunisti libertari e antistalinisti erano, per
quanto a volte in modo confuso, espressione dell'autonomia di
classe del proletariato che si autodeterminava attraverso i
consigli e la "libertà armata" (ossia la libertà
e capacità di armarsi autonomamente) mentre gli stalinisti
erano organici al governo della borghesia repubblicana. Basti
ricordare che razza di giornale pubblicava il nostro Camillo
Berneri: nientemeno che "Guerra di classe" roba da far
inorridire i funzionari del PDS, a cui ormai anche solo
l'espressione "lotta di classe" procura malesseri e
vertigini. Perché poi, a ben guardare, è
soprattutto questo il problema: cancellare dal lessico ogni
riferimento alla lotta di classe. Dopo essersi prodigati per
anni ad annacquare, svuotare, disinnescare ogni accenno di
lotte spontanee, operando come vere quinte colonne del kapitale
infiltrate nel movimento proletario, ora vogliono affossarle
definitivamente, cancellarne anche solo il ricordo (sperando
naturalmente che poi stato e padroni, grati, li chiamino al
governo). Non si tratta quindi di far sparire il cadavere
putrefatto e disgustoso dei vari Ercoli, Stalin, Lenin ecc.. A
questo punto hanno già provveduto le lotte autonome del
proletariato. La sconfitta di queste lotte non ha impedito il
superamento nei fatti delle varie ideologie
marxiste-leniniste. Qui in realtà si vuole seppellire la
memoria storica dei proletari, espropriarli definitivamente di
ogni loro autonomia e identità. Riscrivere la storia
delle classi subalterne in funzione della restaurazione capitalista.
Così come in passato la riscrissero in funzione
dell'ideologia e del partito.
Kronstadt, l'Ucraina di Nestor Makno, la Barcellona di Buenaventura
Durruti ci insegnano che le "battaglie di libertà"
non sono monopolio borghese; che la Rivoluzione Sociale ha ben
saputo produrre i suoi anticorpi libertari contro la riproduzione
del potere in seno al movimento antagonista. Quei proletari
seppero realizzare, anche se per poco, una democrazia reale e
compiuta, quella dei consigli, di fronte a cui quella formale di
cui va paludato il capitalismo appare come una caricatura. Perché
non c'è libertà finché c'è fame,
oppressione, sfruttamento... E di tutto questo è intriso il
nuovo ordine mondiale con cui d'Arcais e "compagni"
dichiarano di voler pacificamente (e proficuamente, suppongo)
convivere. Sostiene il PFdA che "quando un partito cambia
politica, devono cambiare anche gli episodi e i personaggi
assunti a simbolo di riferimento". Ossia, in questo caso,
sostituire nell'immaginario collettivo del popolo pidiessino la
presa del Palazzo d'Inverno con la rivolta di Kronstadt, il
ritratto di Lenin con quello di Berneri... in nome del capitalismo
democratico. Il discorso regge a patto che simboli e personaggi
non vengano stravolti e strumentalizzati da quelli che, ad ogni
buon conto, oggi come ieri restano nemici di classe. Sarebbe
aggiungere al danno le beffe nei confronti degli anarchici. Prima
massacrati dai bolscevichi, poi derisi e infangati dai loro epigoni
nostrani e infine riesumati e strumentalizzati da quelli che,
sostanzialmente, rimangono gli stessi. Nonostante gli auspici di
PFdA Kronstadt e Berneri non potranno mai far parte della
tradizione del PCI-PDS. Per almeno due buone
ragioni. Innanzitutto perché nella versione PCI è
stato l'equivalente nostrano dei massacratori. Poi perché
già era, e nella versione PDS lo è ancor più
compiutamente, solo una componente del variegato mondo borghese;
antiproletari per scelta e vocazione. La rivolta di Kronstadt,
espressione di autonomia e coscienza proletaria, sta fatalmente
"altrove". Da che parte deve stare un democratico di
sinistra chiede il "nostro"? Stia pure dove gli pare ma
non cerchi di coinvolgere i martiri dell'anarchismo nelle sue
sciagurate scelte filo-capitaliste. Non ci fa per niente piacere
questa riabilitazione postuma e non richiesta, del tutto
strumentale. Oltretutto è probabile che per l'ex
trotzkista PFdA sia dovuta a cattiva coscienza. Ma il rimedio è,
se possibile, peggiore del male. Non molto tempo fa sullo stesso
giornale di Scalfari l'ineffabile Viola, reduce da un viaggio
nella "giovane democrazia spagnola" dava una conferma di
quanto ho sostenuto sul ruolo di bassa macelleria in funzione
antiproletaria cui spesso si sono prestati gli stalinisti per
compiacere i loro alleati borghesi. Abituati a subappaltare ad
altri i lavori più sporchi (la divisione del lavoro è una
costante del capitalismo), nel '37 a Barcellona, il 7 aprile del
'79, si parva licet, qui nel Veneto, i borghesi non mancano poi
di rilasciare attestati di benemerenza ai loro servi e
complici. Parlando della Guerra Civile Spagnola, Viola accennava
ai contrasti interni al movimento repubblicano. Dichiarava la sua
sostanziale diffidenza e ostilità per gli "estremisti"
della FAI-CNT ("oggettivamente antidemocratici") e tutta
la sua simpatia per quel comandante Lister, noto boia stalinista,
che seppe "riportare l'ordine" in Aragona. In fondo in fondo,
sembra dire, Lister era uno dei nostri. Naturalmente questo non
vuol dire che Kronstadt, Berneri, ecc. siano riserva di caccia
esclusiva degli anarchici. Possono legittimamente far riferimento a
Kronstadt quanti in effetti lottano contro il potere, comunque
inteso. Per coerenza e tradizione si sono richiamati ad essa del
tutto legittimamente, gli anarco-comunisti, i piattaformisti, i
consiliari, i situazionisti, i comontisti, qualche comunista
libertario, quelli di Azione Rivoluzionaria... e anche qualche
autonomo... (del resto in giro per l'Europa c'è un sacco
di brava gente che dell'autonomia operaia dà una lettura
libertaria; in Spagna, in Germania, all'est...). Possono
richiamarsi ad essa oppressi e diseredati del pianeta, se credono...
ma non gli intellettualini, ieri leninisti oggi pidiessini. Non
li riguarda. Sono molto più imparentati con l'altro grande
affossatore dei consigli operai, quel democratico Noske,
giustamente chiamato macellaio dagli operai berlinesi. Un degno
precursore di Calogero. Quello sì rientra nella tradizione
del PDS. A pieno diritto. Giù le mani da Kronstadt.