Rivista Anarchica Online
L'assurdo mito di Peròn
di Luisito
C'è una pianta, l'"ayahuasca", che, provocando uno stato di
schizofrenia temporanea, porta alla luce
parte dell'inconscio dell'individuo, e a questo scopo è stata usata in medicina psichica.
Ugualmente Juan
Domingo Peròn, "el chueco", il vecchio arnese che ha dilapidato le fortune di un
Paese, l'Argentina, che
dopo la guerra mondiale aveva i corridoi della Banca Centrale stracolmi di lingotti d'oro (usava i
corridoi
perché le stanze erano tutte piene zeppe), serve ora da miccia per fare esplodere la rivolta
popolare
contro il regime della spazzatura militaresca. I Lanusse, i Gnavi, i Rey, i Levingston (quest'ultimo, anche
se ufficialmente estromesso, ha sempre i suoi poteri, sia pur limitati) sono terrorizzati. Le
"villas miserias", le immense periferie urbane dove vivono in condizioni miserabili milioni
di poveri,
stanno ribollendo. Parrebbe che alla radice di tutto ci sia lui, Peròn. E ci si chiede (da parte degli
intellettuali, preoccupati, e, come al solito, abituati a lavorare secondo schemi) come milioni di
diseredati
possano invocare un uomo che, quando era al potere, nel momento dell'inizio della crisi economica,
sperperò le ultime riserve auree per costruire una "ciudad de los niños" di
marmi pregiati, in riva al mare,
città mostruosa che mai venne popolata da alcun bambino. Di un uomo che costrinse, attraverso
la
violenza e le minacce, tutto un popolo a partecipare al grottesco omaggio alla salma della sua defunta
signora, Eva Duarte de Peròn, la "santa Evita".
Tragica buffonata
Ricordo ancora (e pensandoci arrossisco per lui, per Peròn, per la sua arrogante idiozia)
le file di gente
di tutti i ceti che sfilavano davanti alla salma di Evita, in una bara col coperchio di vetro, nella
hall del
piano-terra della Centrale Sindacale, guardata da armati, magari gli stessi fanatici nazifascisti che
avevano mitragliato la folla che inneggiava alla liberazione di Parigi durante la guerra. Ricordo l'uomo
con un panno imbevuto d'alcool che puliva il punto del vetro sul quale si era poggiato il labbro di ogni
componente della lunga fila. Un bacio svelto e disgustato, come quelli che si danno alle vecchie zie coi
porri, poi la passata di alcool: avanti un altro! Peròn era questa buffonata. E non solo
questo. C'era di peggio: la sopraffazione, le botte, la galera, gli
assassinii. Lo sfacelo economico che cominciava. E come si fa, ora, ad inneggiare a Peròn, si
chiedono
tutti. Bisogna andare a cercare nel passato e nel presente. L'Argentina visse un lunghissimo
"boom" economico che, partito lento, divenne sempre più accelerato,
dalla fine del secolo scorso alla prima guerra mondiale. Il "boom" coincise con il definitivo sterminio
degli indios delle pampas e della Patagonia, con la cacciata nelle foreste di
quelli dell'estremo nord, con
la grande immigrazione europea (soprattutto italiana, ebraica e galiziana) e con la fine dei governi
conservatori di signorotti di campagna, "los hombres de a caballo". Il partito radicale
vinceva le elezioni,
il clima politico era piuttosto liberale, senz'altro migliore, all'epoca, di quello degli U.S.A. e delle
maggiori nazioni europee.
Socialisti e anarchici
I grandi sindacati erano cresciuti via via che si affermavano le industrie della trasformazione,
conservazione e inscatolamento della carne, l'edilizia, i trasporti. Socialisti ed anarchici (CGT e FORA)
dominavano incontrastati tra le masse proletarie, anche sotto la spinta dell'immigrazione dall'Europa di
molti elementi politicizzati, fuggiti lì proprio per sfuggire alle persecuzioni. Molti dei grandi
anarchici
europei vi soggiornarono: da Malatesta a Fabbri (una figlia di questi, Luce Fabbri de Cressatti, vive
ancora a Montevideo, in Uruguay) da Gori a Durruti, da Ascaso ad Abad de Santillán. La
prima guerra mondiale accentuò il "boom" argentino e l'affermazione radicale: ora
questo partito
rappresentava chiaramente gli interessi della nuova borghesia industriale. La vecchia
"aristocracia"
terriera deperiva via via che la nuova si arricchiva. Di elementi dei "terratenientes", in posti
di potere,
ne erano rimasti soltanto nell'esercito; dal governo e dal sottogoverno erano spariti. L'opinione pubblica
andava via via disprezzando sempre più la nuova classe dirigente radicale, corrotta e rozza
quanto la
precedente conservatrice. Quando i governi radicali si dimostrarono incapaci di spezzare le lotte
sindacali, verso la fine degli anni '20, all'inizio della grande crisi economica mondiale, l'esercito
intervenne.
I militari al governo
Intenzione dei generali era quella di dar vita a normali governi conservatori o misti. Ma la situazione
era
precipitata. Si lottava per le strade. L'anarchico italiano Severino Di Giovanni e i suoi compagni
assalivano la polizia scopertamente, ammazzavano i delatori. Il proletariato non si accontentava di
promesse, ma gli U.S.A., che avevano iniziato una vasta penetrazione economica, volevano la "pace
sociale". I militari dovettero assumere in proprio il governo. Il governo Justo e quello Uriburo
(entrambi generali) non furono certo teneri. Pena di morte (fucilarono
Severino Di Giovanni, dopo giorni di torture: i giornalisti che assistettero all'esecuzione scrissero:
"È
morto come sognerebbe di morire un generale sul campo di battaglia"). "Sovversivi" appesi per
i
genitali legati con fil di ferro ai soffitti dei commissariati. Donne sospettate di fare da "staffette" ai ribelli,
violentate con pezzi di ferro incandescenti. Bambini torturati a morte per far "cantare" i genitori. Fu
l'esercito argentino, allora, ad inventare la tortura con la corrente elettrica. Intanto la crisi
economica continuava. Gli scioperi e le manifestazioni venivano "trattati" con le
mitragliatrici. In Argentina questo periodo viene chiamato "década infame", (il
decennio infame).
Quando, alla fine circa degli anni '30, tornò un barlume di "democrazia", l'Argentina era
rovinata. Non
economicamente, ma nel suo tessuto connettivo sociale. Restavano odi e paure, diffidenza e miseria
intellettuale, provincialismo e isolamento, qualunquismo e apoliticismo. L'impegno politico era
costato tanto che pareva che il proletariato ne rifuggisse. Non erano anni belli.
Erano gli anni del trionfo di Mussolini e Hitler, degli altri fascismi europei, dell'imperialismo economico
U.S.A. che si espandeva sotto l'ala del socialdemocratismo interno di Roosevelt, il movimento operaio
sembrava totalmente conquistato allo stalinismo. L'Argentina si trascinò, ancora sotto i
militari. Questa volta erano meno "duri", meno bestiali. Peròn era uno di loro. Preso il
ministero del lavoro
cominciò un'operazione di rara abilità. Dopo quindici anni di repressione e calci nel
sedere padronali, gli
operai argentini si videro concedere assegni familiari e mutua malattie, diritto di sciopero e assistenza
parto, conservazione del posto per il servizio militare, aumenti considerevoli dei salari e introduzione
di ispezioni per la salubrità dei luoghi di lavoro. Tutto questo piano piano, mese dopo mese. I
colleghi
di Peròn cercarono di fregarlo, ma non poterono truccare a suo danno le elezioni successive:
"el chueco"
era uno di loro, aveva il suo seguito tra le spalline di varie caste.
Plebiscito per Peròn
Juan Domingo ottenne un plebiscito. Reggendosi sulle masse proletarie urbane, sui sottoproletari
(conquistati con distribuzioni gratuite di beni vari, con l'azione accurata di sottogoverno, con la
propaganda di sua moglie Evita) e sugli aspetti deteriori dei piccoli borghesi (riaprì per loro i
casini,
prima aboliti) e sul senso anticlericale popolare (concesse il divorzio) Peròn arrivò fino
al '55. Aveva contro l'"aristocracia" terriera che aveva umiliato in ogni modo (fece
arrestare, una notte, dalla
polizia, schedare e visitare alla clinica dermosifilopatica le donne dei "terratenientes",
trovate, a notte
alta, coi loro mariti, o padri, o fratelli, nei clubs di lusso di Buenos Aires) e i cui profitti
aveva colpito.
Aveva contro la borghesia industriale, legata al partito radicale e impressionata dalla
"arrogancia" delle
masse proletarie. Aveva contro i contadini che aveva sempre ignorati e sfruttati. Aveva contro la chiesa,
alla quale aveva tolto molti beni (oltre ad averla colpita "spiritualmente" con la faccenda dei casini e del
divorzio). Aveva contro gli U.S.A. e gli inglesi, ai quali non aveva concesso il diritto pieno di
sfruttamento dei giacimenti petroliferi e auriferi della Patagonia. Fuori dall'Argentina, non aveva
alcuno dalla sua parte. L'U.R.S.S. ancora non aveva scoperto che i
giochi del tipo di Peròn potevano farle comodo, potevano venir sfruttati nella sua lotta mondiale
per la
supremazia imperialista. Qualche anno dopo lo scoprirà, lo chiamerà "nasserismo" e lo
benedirà
ufficialmente, continua a benedirlo con alterne vicende, ancora. Ma allora si opponeva a
Peròn.
L'esilio e il mito
Ancora una volta i "terratenientes" scatenarono la loro arma: i miliardi. Con
l'appoggio scoperto U.S.A.
e inglese, i militari attaccarono Peròn. Fallirono per una insurrezione dei
"descamisados". Non fallirono
pochi mesi dopo. Peròn se ne andò via in un modo un po' ridicolo: pareva screditato;
finito. Ma, si sa,
i militari riescono sempre nell'impossibile. Rojas, Leonardi e Aramburo vollero fare i "duri". Il radicale
Frondizi, che succedette, organizzò un sottogoverno alla democristiana che disgustò
tutti. Poi ancora
militari, poi Illía, poi Oganía, poi Levingston, poi Lanusse. Generali, generali, ammiragli
ecc. ecc. L'economia è andata completamente a rotoli. L'Argentina è socialmente
un disastro. Ira sorda, che
esplode a tratti. Ogni tanto ribellioni domate nel sangue, scioperi generali, "guerrilleros"
in città e in
montagna. Ma a quale ideologia possono rifarsi i ribelli? A un socialismo o a un anarchismo che ben
pochi conoscono? Sì, alcuni. Ad alcune delle varie ortodossie o eresie marxiste-leniniste?
Sì, alcuni
sparutissimi gruppetti. Ma la massima parte del popolo chi ha conosciuto, chi conosce, di chi gli
hanno parlato padri, madri,
zii o fratelli maggiori? L'unico è Peròn. "All'epoca sua ci aumentavano i salari".
"Quando c'era lui si
mangiava carne tutti i giorni". "Quando Peròn ed Evita ci proteggevano, i ricchi non ci
opprimevano".
Ecco quindi, miserabile e terribile, grande e assurda, l'immensa folla che applaude Peròn di
ritorno. E di lui non sa nulla, sa solo che, invocando il suo nome, vuole giustizia e
libertà.
Luisito
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