Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 3 nr. 18
febbraio 1973


Rivista Anarchica Online

Il kolkhoz
di A. Di Solata

Cooperazione e statalizzazione nell'agricoltura sovietica: caratteri e vicende

Il termine kolkhoz deriva dalla contrazione delle due parole russe kollectivnoye khozyaistvo che significano fattoria collettiva. In realtà ci furono tre tipi differenti di fattorie collettive nell'U.R.S.S.: la kommuna (comune), l'artel (vecchio termine russo che significa all'incirca associazione di lavoratori) e il Toz (Tovarishchestvo Obrabativayushche Zemlyu, società per la coltivazione del suolo). Ognuno di essi rappresenta un diverso grado di cooperazione. Il tipo più radicale è la kommuna, nella quale sia la produzione che il consumo sono "socializzati" cioè organizzati collettivamente. Il tipo a contenuto cooperativo più ridotto è il Toz, semplice associazione temporanea di agricoltori per eseguire insieme alcuni lavori. La forma intermedia, l'artel, è diventata la forma dominante di cooperativa agricola di produzione, dato che il Toz è completamente sparito sin dagli anni '30 e la kommuna ha avuto una esistenza trascurabile. Kolkhoz è divenuto quindi sinonimo di artel.
Il primo articolo dello statuto kolkhoziano del 1935 diceva: "I contadini lavoratori del villaggio... si riuniscono spontaneamente in un artel agricolo per realizzare una gestione collettiva, cioè socializzata, mettendo in comune i loro mezzi di produzione ed il loro lavoro organizzato, al fine di vincere definitivamente i kulak, gli sfruttatori e tutti i nemici dei lavoratori, di assicurare la piena vittoria sulla miseria, sull'ignoranza e sulle condizioni di arretratezza delle piccole aziende individuali". Questa definizione è stata così modificata nel nuovo statuto kolkhoziano del 1969: "Il kolkhoz... rappresenta un'organizzazione di tipo cooperativo di contadini che si sono uniti spontaneamente per gestire in comune una azienda agricola socialista di grandi dimensioni, basata sulla messa in comune dei mezzi di produzione e sul lavoro collettivo".
Il kolkhoz è dunque una "organizzazione di tipo cooperativo", è bene sottolinearlo. Infatti i lavoratori kolkhoziani, perlomeno formalmente, non sono dipendenti ma soci; il direttore si chiama presidente ed è, perlomeno formalmente, eletto dall'assemblea; ogni socio ha diritto ad un voto; i kolkhoziani sono comproprietari del capitale agrario aziendale (il capitale fondiario è di proprietà statale, dato in usufrutto al kolkhoz a titolo gratuito ed a tempo illimitato): gli utili di gestione (quando ve ne sono) vengono percepiti dai kolkhoziani, ecc....
Certo, il kolkhoz si differenzia per diversi aspetti dalle cooperative di produzione esistenti nei Paesi occidentali. Così, ad esempio, la "spontaneità" con cui s'è formato spesso esiste solo sulla carta. Così l'autonomia decisionale del kolkhoz è fortemente limitata dallo stato e dalla sua pianificazione imperativa. Così le dimensioni medie aziendali, oltre 6.000 ettari, sono enormi (solo i kibbuzim israeliani vi si avvicinano)....
Dal 1935 al 1969 il kolkhoz non è solo mutato in termini di definizione giuridica (che è pure un fatto non privo di significato, perché la vecchia definizione è più politica che economica e viceversa la nuova è quasi esclusivamente economica e potrebbe essere sostanzialmente accettata per una cooperativa in un paese capitalistico): esso ha subito radicali mutamenti strutturali. Il vecchio kolkhoz era generalmente un villaggio in cui tutti si conoscevano, l'assemblea generale era l'erede di istituzioni russe secolari ed il presidente un personaggio familiare e facilmente abbordabile. Il kolkhoz d'oggi è ben altra cosa. Già nel 1964 il 35% dei kolkhoz raggruppavano più di cinque villaggi e da quell'epoca il processo di ingrandimento dei kolkhoz per fusione è continuato. Le dimensioni medie nel 1968 erano di 6.100 ettari e di 418 nuclei familiari (si vedano le tabelle I e II). La convocazione dell'assemblea è diventata rara e difficile, la gestione aziendale pone problemi di portata tale che, in assenza di una elevata istruzione generalizzata, si è resa necessaria al vertice dell'azienda una élite di dirigenti laureati.

l'agricoltura sovietica

All'inizio del 1968 le aziende agricole cooperative erano 36.800, comprendevano 15.300.000 nuclei familiari, un capitale aggirantesi sui 50 miliardi di rubli. Alla stessa epoca i kolkhoz disponevano di 103 milioni di ettari di seminativo (59,4 milioni dei quali a cereali, 11,1 a colture industriali, 3,0 ad ortofrutticoli e 29,4 a foraggere), 40,2 milioni di capi bovini, di 22,1 milioni di suini, e di 56,4 milioni di ovini. Essi possedevano inoltre 856 mila trattori, 255 mila mietitrebbiatrici e 501 mila autocarri (1).
Per avere un'idea dell'importanza relativa dei kolkhoz nell'agricoltura sovietica si veda la Tabella I. Dai dati ivi indicati si può chiaramente arguire come il settore kolkhoziano sia ancora il più importante dell'agricoltura sovietica, nonostante la trasformazione in sovkhoz di numerosissimi kolkhoz, avvenuta negli ultimi venti anni. Questo fenomeno ha determinato, assieme alla creazione di nuovi colossali aziende di stato nelle "terre vergini", un considerevole calo di importanza relativa delle cooperative del settore "socializzato" (kolkhoz + aziende di stato): così ad esempio, i kolkhoz fornivano nel 1950 il 67% della carne totale prodotta dal settore socializzato mentre nel 1968 non ne forniscono che il 52%. Il calo è stato ancor più rilevante (dal 76 al 56%) per il latte e (dal 82 al 35%) per le uova.

Sovkhoz e kolkhoz

La forma di conduzione "concorrenziale" al kolkhoz, il sovkhoz, è dunque in fase di espansione, a spese in parte delle aziende cooperative. Il sovkhoz, del resto, è da sempre destinato nei programmi a lungo termine dei pianificatori sovietici a prevalere sul kolkhoz. I kolkhoz infatti, aziende cooperative, sono considerati dagli economisti e dai politici marxisti forme inferiori di socialismo rispetto alle aziende condotte direttamente dallo Stato.
Sin dalla rivoluzione i sovkhoz furono i pupilli dei dirigenti sovietici: in sovkhoz furono trasformate le più ampie e meglio organizzate aziende private espropriate ed ai sovkhoz andarono i tecnici migliori e gli investimenti più consistenti. Considerazioni strategiche fecero però preferire la socializzazione cooperativa in quanto meno odiosa ai piccoli proprietari della statalizzazione. L'obiettivo della statalizzazione, momentaneamente accantonato, venne ripreso con vigore dopo la seconda guerra mondiale.
Dal 1950 al 1967 il numero dei dipendenti dei sovkhoz è passato da 1 milione 665 mila a 7 milioni 889 mila, le superfici investite a cereali sono passate da 7 milioni e mezzo a 57 milioni di ettari, quelle a coltivazioni industriali da 330 mila a 3 milioni 400 mila, quelle destinate all'agricoltura da 270 mila a 1 milione e 780 mila, quelle a foraggere da 5 a 26 milioni....
Lo stato ha fornito e fornisce, a fondo perduto, ai sovkhoz, tutti i capitali necessari al loro impianto, all'avvio ed allo sviluppo della loro attività e, occorrendo, anche quelli necessari alla copertura dei disavanzi di bilancio (che sono più la regola che l'eccezione: ad esempio nel 1965 metà dei sovkhoz chiusero i bilanci in passivo, con una perdita complessiva di oltre due miliardi di rubli - e non era un'annata particolarmente sfavorevole). È difficile però stabilire se lo stato ci rimetta solo formalmente o anche sostanzialmente, dal momento che è lui a fissare i prezzi dei prodotti. Quello che è incontestabile è il comportamento preferenziale nei confronti delle aziende cooperative.
Nonostante la "generosità" dello stato i sovkhoz sembrano allontanarsi, anziché approssimarsi, all'obiettivo di essere "le aziende socialiste di avanguardia nelle campagne" che devono "servire da modello ai kolkhoz nell'applicazione di metodi avanzati, basati sulla scienza ed economicamente vantaggiosi (il corsivo è nostro), nella gestione aziendale e nel lavoro razionale e altamente produttivo" (2).
Nonostante tutto, il settore kolkhoziano dell'agricoltura è, a giudizio unanime degli economisti (e per ammissione a denti stretti e con riserva degli ideologi dello stato-imprenditore) più efficiente, anche se non di molto, del settore sovkhoziano. I costi medi di produzione sono generalmente superiori nei sovkhoz, a causa di un più modesto livello di rese unitarie, di un meno razionale impiego delle risorse. Ad esempio, nel 1967 il costo medio di un quintale di cereali è stato di 5,5 rubli nei sovkhoz e di 4,8 nei kolkhoz; il costo della bietola rispettivamente di 2,4 e 2,1; quello della patata di 6,4 e 4,9; quello del latte di 16,6 e 16,3; quello di un quintale di incremento in peso dei bovini di 109,2 e 108,9.
La minore efficienza dei sovkhoz nei confronti dei kolkhoz non ha tuttavia fatto abbandonare la sovkhozizastia, cioè la politica di statalizzazione dell'agricoltura, perché la scelta è ideologica e non economica. Solo, la trasformazione dei kolkhoz in sovkhoz s'è molto rallentata e, a partire dal 1967 in poi s'è cercato di porre qualche rimedio, con una maggiore autonomia amministrativa e con una partecipazione dei dipendenti e dei dirigenti ai risultati della gestione aziendale, a quello che era parso essere la principale causa di inefficienza: la burocratizzazione nel sovkhoz e nei rapporti tra i sovkhoz e lo Stato. La statalizzazione dei kolkhoz s'è rallentata, dicevamo, un po' per la minore pressione delle autorità (ufficialmente "il principio del volontariato deve essere rispettato"... ma chi si oppone ai "suggerimenti del Partito"?; un po' perché i kolkhoz più poveri (quelli maggiormente interessati alla trasformazione) si sono già "suicidati", un po' perché da quando, nel 1966 venne deliberata per i kolkhoz una retribuzione minima garantita, i vantaggi della statalizzazione si sono molto ridotti.
Una prova della rinuncia da parte del governo sovietico ad una completa statalizzazione a breve termine delle campagne è il fatto che nel 1969 le autorità hanno ritenuto opportuno elaborare un nuovo statuto kolkhoziano, un documento giuridico che per sua natura dovrebbe essere garanzia di durata. Inoltre i manuali russi più recenti di economia politica si limitano a dire che, in un futuro ancora lontano kolkhoz e sovkhoz si fonderanno in una forma nuova (?) di azienda i cui caratteri non possono ancora essere precisati, il che, al di là delle fumisterie ideologiche dovrebbe comunque spiegare che i kolkhoz sono destinati ad una vita ancora lunga.

da Lenin a Breznev

Dopo la presa del potere, il 26 ottobre (8 novembre) 1917, Lenin firma due decreti: uno sulla pace, l'altro sulla confisca senz'indennizzo delle grandi proprietà fondiarie, capitalistiche, feudali, imperiali ed ecclesiastiche. Le terre confiscate, con i capitali di scorta, vengono affidate ai comitati agrari locali ed ai soviet dei contadini. Una parte di tali possedimenti viene organizzata in aziende di stato e collettive mentre la maggior parte viene suddivisa in piccole proprietà contadine.
Ancora dieci anni dopo, le aziende collettive non raggiungono il numero di 15 mila e, accanto ad esse ed ai 1.400 sovkhoz (che insieme disponevano del 2,7% dei seminativi), vi è una massa imponente di quasi 25 milioni di aziende individuali. I kolkhoz comprendono in tutto meno di 194 mila nuclei familiari, vale a dire lo 0,8% del totale (con una media di 13 nuclei per azienda).
Nel frattempo le campagne russe hanno visto il "comunismo di guerra", con requisizioni forzate a prezzi irrisori (nel 1920 il prezzo del grano al mercato nero è 7.000 volte superiore al prezzo ufficiale!) e la Nuova Politica Economica (N.E.P.), con il ritorno di una parziale libertà di commercio.
Alla fine del 1929 Stalin, padrone assoluto del potere, decide di accelerare la collettivizzazione delle campagne. Fra l'"estremismo" delle comuni e l'insufficienza del Toz, il compromesso dell'artel viene proclamato come la principale forma di collettivizzazione.
Il ritmo di accrescimento del settore "socializzato" dell'agricoltura, dal 1929 al 1938 in netto contrasto con il decennio precedente, ci dà la misura della "spontaneità" di questa trasformazione. Nel 1930 la percentuale di "socializzazione" è già del 23,16%; nel 1931 del 52,7; nel 1938 del 93,6.
In realtà gli anni '30 sono caratterizzati in tutta la società sovietica ed in particolare nelle campagne dall'esercizio più brutale del potere statale, dalla repressione più feroce forse della storia moderna; sono gli anni del terrore staliniano più allucinante. Nelle campagne è il periodo delle stragi e delle deportazioni in massa. Nelle sue memorie, Churchill riporta questa conversazione con Stalin:
- Le prove e le tensioni di questa guerra sono state per voi così gravi quanto quelle dell'attuazione della politica delle fattorie collettive?
- Oh, no! Quella delle fattorie collettive è stata una lotta spaventosa!
- Avevate a che fare con qualche milione di piccoli contadini...
- Dieci milioni, per l'esattezza.... È stato orrendo ed è durato ben quattro anni.
La collettivizzazione così concepita provoca un trauma, ripete la frattura città-campagna e dell'epoca del comunismo di guerra. Consacra la rottura tra i contadini ed il potere bolscevico. Piuttosto che condurre senza compenso al kolkhoz il loro bestiame (cui tenevano più ancora che alla terra), un gran numero di contadini preferisce abbatterlo. Nel 1933, a causa di questo massacro, i capi bovini censiti sono 33,6 milioni contro i 60 del 1929, i suini sono 10 milioni contro 28, gli ovini 37 contro 115. Anche le produzioni vegetali diminuiscono, a causa della semina e delle altre operazioni male eseguite. Dal 1935 in poi (emanazione dello statuto tipo dei kolkhoz) viene introdotto nella collettivizzazione il compromesso dello dvor (piccolo possesso privato), soprattutto per salvare quanto restava del bestiame.
Ancora nel triennio, 1937-1939, tuttavia, nonostante le concessioni all'individualismo contadino ed alla massiccia meccanizzazione, la produzione è inferiore a quella del 1927-1929.
Dopo la collettivizzazione forzata e fino al 1953 la gestione dell'agricoltura viene caratterizzata da uno sfruttamento brutale dei lavoratori delle campagne i quali fanno quasi interamente le spese di una accumulazione capitalistica primitiva necessaria per la politica di accelerata industrializzazione dell'U.R.S.S. Le forniture obbligatorie dei kolkhoz vengono pagate a prezzi bassissimi. In pratica i kolkhoziani devono vivere dei prodotti del loro dvor e lavorare quasi gratuitamente (nella pseudo-cooperativa) per lo Stato, secondo un modello tipicamente feudale. Nel 1952, ad esempio, le patate sono pagate ad un prezzo inferiore al costo del loro trasporto (a carico del kolkhoz fino al luogo dell'ammasso). Nel 1948 la segale viene pagata ai kolkhoz 8 rubli al quintale e rivenduta dallo Stato ai suoi mulini per 335 rubli (42 volte!).... Con questi sistemi vengono trasferite a colpo sicuro dall'agricoltura allo Stato le risorse necessarie al finanziamento dell'industria pesante, ma con questi sistemi lo sviluppo agricolo viene bloccato a livelli di poco superiori, in termini di produzione e di produttività, a quelli di anterivoluzione, nonostante gli ottimistici piani quinquennali che vengono regolarmente disattesi.
Nel 1953, dopo la morte dell'autocrate Stalin, Malenkov, appena giunto al potere, riduce di metà l'imposta rurale e annulla le imposte di mora. Il fatto è psicologicamente importante: si "fa la pace" con i contadini.
Dopo di lui Kruscev aumenta i prezzi di acquisto. Dal 1952 al 1956 le entrate monetarie dei kolkhoziani aumentano di 3,5 volte e quelle totali (in moneta e in natura) raddoppiano. Vengono incrementati notevolmente anche gli investimenti in agricoltura. La pianificazione agricola nel 1955 viene parzialmente semplificata: sino ad allora tutte le colture aziendali e la ripartizione delle superfici fra di esse venivano stabilite a Mosca, dando luogo a notevoli errori. Dal 1955 il sistema di pianificazione rinuncia a fissare la superficie di agricoltura per i singoli kolkhoz, limitandosi a imporre le quantità delle derrate principali da consegnare allo Stato.
Anche l'apparato burocratico di pianificazione viene in parte decentrato, il che permette di ridurre il personale dipendente dal ministero dell'Agricoltura da 6 a 1 e di trasferirlo dagli uffici di Mosca alle zone agricole, presso i kolkhoz e le S.M.T. (Stazioni di Macchine e Trattori). Dal 1952 al 1958 la produzione agricola aumenta del 40%.
Nel 1956 una disposizione ministeriale consente ai kolkhoz una discreta autonomia e la possibilità di modificare il loro statuto rispetto al modello del 1935.
Nel 1958 vengono soppresse le S.M.T. ed i kolkhoz riscattano le loro attrezzature. Le S.M.T. erano state istituite negli anni '30 come strumento di meccanizzazione, di raccolta e di propaganda politica, vere e proprie "fortezze dello Stato nelle campagne", animate da un complesso di superiorità da servizio pubblico. Le S.M.T. avevano esercitato sui kolkhoz una tutela vasta (ma poco efficiente): esse si occupavano non solo di questioni tecniche ma anche della pianificazione, e addirittura della contabilità dei kolkhoz.
Fino al 1959 agisce la "destalinizzazione", che gettando lo scompiglio nelle autorità locali consente ai kolkhoz di dare prova, a briglia allentata, del loro grado di iniziativa. Ma dopo il 1959 la tutela si consolida, seppure su basi di pianificazione meno rigida e più razionale, ed i progressi diminuiscono. Inoltre, a partire dalla stessa epoca viene presa dai governanti pianificatori-padroni dello Stato un'altra decisione di politica economica anti-kolkhoziana: la trasformazione dei kolkhoz in sovkhoz. Come negli anni '30 era stato giudicato maturo il momento per il passaggio dalle aziende individuali alle aziende collettive, ora si ritiene maturo il momento per lo "stadio successivo di socializzazione". Dal 1956 al 1962 la superficie coltivata dei kolkhoz diminuisce di 38 milioni di ettari. Questa volta però la spontaneità della conversione è spesso reale: è il caso, lo si è visto, dei kolkhoz più poveri, che il riscatto delle S.M.T. aveva ulteriormente indebitato.
Contemporaneamente si accentua un altro fenomeno, già avviato, di grande significato per i kolkhoz: la loro fusione in unità aziendali sempre più vaste, talvolta gigantesche (anche se sempre inferiori ai sovkhoz più ampi). La trasformazione dei kolkhoz in sovkhoz, tuttavia, dopo la spinta iniziale, subisce, come s'è già accennato, un netto rallentamento, di fronte ai risultati economici poco incoraggianti e, nella seconda metà degli anni '60, quasi s'arresta e cominciano anzi le critiche al gigantismo.

il nuovo statuto

Dal 27 novembre 1969 i kolkhoz hanno un nuovo statuto tipo, sulla base del quale ogni azienda collettiva dell'U.R.S.S. deve elaborare il suo statuto particolare (3). Lo statuto-tipo in vigore precedentemente era stato, come abbiamo accennato, stabilito nel 1935, e a sua volta sostituiva uno statuto provvisorio del 1930. È dunque, questa, la terza revisione in meno di quarant'anni. Quest'ultima riforma si rende necessaria anche per uniformare strutturalmente i kolkhoz, molti dei quali in base alla disposizione ministeriale del 1956 che autorizzava i kolkhoz a modificare ampiamente la loro struttura a loro piacere, s'erano già in pratica discostati dal vecchio statuto tipo.
Il nuovo statuto rende meno rigidamente piramidale l'organizzazione federativa dei kolkhoz, accoglie in parte le esigenze di autonomia gestionale soppressa energicamente nel periodo del maggior rigore accentratore staliniano.
La riforma dello statuto-tipo è elaborata da una commissione istituita nel gennaio del 1966 e composta da 149 membri di cui 90 funzionari statali, 21 presidenti di kolkhoz e 7 professori universitari. Una "strana" composizione, in cui a) sono assenti i rappresentanti dei kolkhoziani né i presidenti possono esserlo costituendo essi una "classe separata, altamente specializzata, un mandarinato di amministratori socialisti liberamente trasferibili", (4) b) la maggioranza assoluta è costituita da tecno-burocrati dello Stato.
Nell'aprile del 1969 la commissione pubblica il progetto del nuovo statuto, invitando i kolkhoziani ad esprimere il loro parere prima del Congresso che avrebbe dovuto ratificare lo statuto stesso. (Secondo una bizzarra interpretazione della "democrazia socialista", per cui gli interessati si esprimono attraverso "lettere al direttore"!). La stampa sovietica pubblica a questo riguardo numerosissime lettere. Le proposte dei kolkhoz si riferiscono per circa un terzo ai rapporti tra dirigenti e diretti (segno dell'importanza attribuita ai problemi di "democrazia aziendale" dai kolkhoziani, ancora cooperatori nello spirito e non dipendenti, nonostante tutto); per il 20% concernono le misure disciplinari e la retribuzione del lavoro, per un altro 10% gli "appezzamenti familiari" (dvor) e solo per un quinto circa riguardano questioni economiche e tecniche.
Il congresso panunionista dei kolkhoz riunitosi nel novembre del 1969, approva il progetto di statuto quasi integralmente, limitandosi a qualche variazione marginale o formale. Contemporaneamente il congresso decide la riorganizzazione "federativa" dei kolkhoz. La federazione dei kolkhoz è diretta da un consiglio centrale di 125 membri alla cui presidenza è eletto il ministro dell'Agricoltura. Anche questa presidenza (come la già sottolineata composizione a prevalenza burocratica della commissione di studio), non depone certo a favore dell'autonomia kolkhoziana!

i rapporti con lo Stato

Il nuovo statuto elenca tre categorie di interessi che il kolkhoz deve prendere in considerazione: quelli dei singoli kolkhoz, quelli del kolkhoz come persona giuridica e quelli dello Stato. Sarà bene partire da questi ultimi perché le obbligazioni verso lo Stato sono prioritarie e condizionano l'economia dei kolkhoz.
Come già s'è detto, il kolkhoz non è proprietario del capitale fondiario, esso appartiene allo Stato che glielo concede a determinate condizioni. Così il kolkhoz è tenuto ad utilizzare razionalmente la terra, ad accrescere la produttività, a difendere il suolo contro l'erosione, ecc.
Un altro aspetto essenziale dei rapporti tra kolkhoz e Stato è quello espresso dall'articolo 14: "Nell'elaborazione dei suoi piani di produzione il kolkhoz deve tenere in considerazione... l'adempimento del piano di acquisto da parte dello Stato...". Cioè i kolkhoz devono orientare i loro piani in base alle qualità e quantità di prodotti richieste dallo Stato. Anche se quest'articolo è più "liberale" della corrispondente norma del codice 1935 che prescriveva la pianificazione da parte dello Stato di tutta l'attività del kolkhoz, purtuttavia il piano d'acquisto dello Stato resta il nodo centrale che condiziona l'impiego delle risorse dei kolkhoz. La decisione presa nel 1956 di stabilire norme quinquennali anziché annuali ha certo facilitato la pianificazione dei kolkhoz, ma l'antinomia tra pianificazione centrale e pianificazione aziendale resta a volte stridente. Non infrequentemente la burocrazia centrale, nelle sue richieste, arriva a estremi assurdi, che costringono le aziende a colture inadatte alle condizioni ambientali. Ricordiamo che lo Stato non solo stabilisce determinate quote di prodotti per ogni kolkhoz ma fissa anche i prezzi (differenziati geograficamente), che spesso non hanno fra di loro alcun rapporto di logica economica, rendendo ancora più acrobatico l'adattamento del piano aziendale.

l'organizzazione produttiva

L'articolo 2 e l'articolo 16 dello statuto-tipo prescrivono ai kolkhoz una serie di norme tecniche che non si discostano da quelle ordinarie per ogni azienda agricola di grandi dimensioni e gestita razionalmente. C'è, fra l'altro, un riferimento alla specializzazione come obiettivo. Non c'è al contrario alcun riferimento alle dimensioni ottimali dell'azienda.
Per quanto concerne gli investimenti il nuovo statuto è meno categorico di quello precedente (il quale stabiliva che al "fondo indivisibile" andasse dal 10 al 20% del prodotto netto aziendale) e parla di "necessario equilibrio tra consumo e investimento" e dichiara che una parte del prodotto deve essere necessariamente destinata agli investimenti, ma la sua entità sarà stabilita anno per anno.
La produzione aziendale si sviluppa secondo piani dettagliati, approvati periodicamente dall'assemblea generale dei kolkhoziani (nel caso di crediti a lungo termine è necessaria anche l'approvazione della Banca di Stato). La produzione ed il lavoro aziendale vengono ripartiti per settori, brigate, squadre (zvenos), secondo modalità stabilite da ogni kolkhoz, secondo le sue specifiche esigenze (lo statuto del '35 prevedeva solo brigate agricole e brigate zootecniche).
Gli zvenos, squadre composte di pochi lavoratori (8-10), sono un raggruppamento sorto spontaneamente sin dalla fine degli anni '30, come correttivo della spersonalizzazione e quindi della carente responsabilizzazione dei lavoratori nelle brigate. Negli ultimi anni si sono sviluppati degli zvenos meccanizzati, dotati di una certa indipendenza, con una dotazione di terreno, di macchine e con un sistema di autofinanziamento. I risultati di questo decentramento sono stati positivi ed è in omaggio alla loro efficienza, probabilmente, che la nuova legislazione li autorizza ufficialmente, nonostante le accuse loro mosse di individualismo, scarso spirito comunista, ecc.
Un altro aspetto importante del nuovo statuto è la scomparsa del trudodien.
Il trudodien, o giornata convenzionale di lavoro, era il parametro secondo il quale venivano classificati qualitativamente e quantitativamente i diversi lavori ("norme d'esecuzione"): parametro di forte sperequazione, se si pensa che la giornata di un lavoratore non qualificato poteva essere pari a 1 trudodien e contemporaneamente quella di un trattorista poteva arrivare a 5 trudodnya. In base ai trudodnya "accumulati" da ogni kolkhoziano veniva suddiviso il prodotto netto a fine d'anno. Ora (in conformità al già visto "suggerimento" ministeriale del '66) sono state stabilite delle tariffe minime garantite, con pagamento mensile, completate a fine d'anno con dei pagamenti complementari.
Questo sistema, iniziato nel '65, nel '69 era già stato applicato nel 90% dei kolkhoz, per cui lo statuto anche in questo caso non fa che ufficializzare una realtà preesistente. Le tariffe ("norme di distribuzione") vengono determinate direttamente dai kolkhoz, ma basandosi su norme standard regionali. Queste tariffe possono essere aumentate ma solo se la produttività del lavoro è cresciuta ad un ritmo maggiore.

diritti e doveri dei kolkhoziani

Per quanto riguarda l'ammissione, chiunque abbia compiuto 16 anni può chiedere ed ottenere di essere ammesso in un kolkhoz.
Per converso, se è facile entrare in un kolkhoz pare difficile uscirne. Il vecchio statuto addirittura non prevedeva casi di dimissioni, solo di espulsioni (esso d'altronde esprimeva la logica brutale delle leggi staliniane contro l'urbanesimo e contro la libera mobilità della manodopera). Questo comportava casi frequenti di conflitto tra kolkhoziani che volevano andarsene (per i più vari motivi, dal matrimonio al desiderio di andare a vivere altrove) ed i dirigenti che rifiutavano loro l'autorizzazione. Diversi giuristi avevano proposto l'abolizione di questo medievale servaggio della gleba, chiedendo che lo statuto kolkhoziano sancisse la libertà di ogni kolkhoziano di andarsene, salvo l'obbligo del preavviso. Il nuovo statuto non ha accolto che parzialmente l'istanza, stabilendo che "la richiesta di dimissioni di un kolkhoziano deve essere esaminata dalla direzione e dall'assemblea generale entro tre mesi dalla sua presentazione". L'esame presuppone ovviamente la possibilità di un rifiuto. Lo statuto è più esplicito per quanto riguarda i kolkhoziani che abbiano condotto a termine gli studi con l'aiuto del kolkhoz: essi sono obbligati a tornare al loro kolkhoz per lavorarci secondo la specializzazione acquisita (lo statuto non stabilisce alcun limite di tempo).
Un capitolo speciale dello Statuto tratta dei diritti e dei doveri dei membri del kolkhoz.
Il primo diritto di ogni kolkhoziano è il diritto al lavoro. La partecipazione al lavoro dà diritto (dal 1964) alla pensione. Un altro diritto è quello di partecipare alla gestione dell'azienda come elettorato attivo e passivo delle varie cariche.
Un diritto fondamentale è quello di possedere uno dvor, cioè un appezzamento privato; ogni famiglia può possedere una casa, un pezzo di terra e qualche capo di bestiame. Questa concessione all'individualismo contadino ed alla tradizione (lo dvor si ricollega ad un diritto consuetudinario antichissimo) introdotta come s'è visto nel '35 e riconfermata dal nuovo statuto, è sempre stata considerata provvisoria. Eppure lo dvor familiare s'è rivelato sinora vivacissimo ed ha resistito a tutti i tentativi di ridurlo o abolirlo. I suoi possessori non solo ne ricavano dei prodotti di loro consumo ma riescono anche a vendere parte dei prodotti al mercato libero (o mercato kolkhoziano). Tra il '56 ed il '64 gli dvor avevano subito rilevanti riduzioni e le riforme statutarie suggerite nel '56 tendevano ad abolirlo, ma nel '64 questa politica venne sospesa e gli dvor aumentarono la loro produzione del 15% in quattro anni. Lo statuto del '65 fissa come dimensione massima dello dvor mezzo ettaro, una vacca, 2 maiali, 10 pecore (gli animali di bassa corte non hanno restrizioni). Il kolkhoz deve aiutare gli dvor sia con la fornitura di foraggio sia con la concessione di diritti di pascolo.
I doveri del kolkhoziano consistono essenzialmente nell'osservare la "disciplina del lavoro". Lo statuto ha un suo codice penale con ammende che arrivano fino al massimo di un terzo del salario mensile per i danni involontari ma che per i danni volontari coprono interamente il danno. Il riferimento ai danni volontari è un'innovazione del codice del '69 ed è oltremodo significativo.
Se si verificano atti di "sabotaggio" con una frequenza tale da giustificarne l'istituzionalizzazione della loro repressione vi deve essere tra kolkhoziano e kolkhoz un rapporto più simile a quello salariato-padrone che non a quello socio-cooperativa! Ecco emergere anche all'interno del kolkhoz (oltre che tra kolkhoziani e burocrazia statale) il conflitto di classe.
Le infrazioni disciplinari comportano ammonizioni, passaggio a lavori meno remunerativi ed in casi particolarmente gravi l'espulsione.

le amministrazioni dei kolkhoz

L'"assemblea generale dei membri dell'azienda collettiva" è formalmente l'organo sovrano del kolkhoz. Essa deve approvare i rendiconti amministrativi, i piani di produzione ed i regolamenti interni. Essa elegge la direzione, il presidente del kolkhoz ed i revisori dei conti, decide dell'ammissione di nuovi membri e dell'assunzione di specialisti (agronomi, veterinari, ecc.). L'assemblea è valida quando sono presenti almeno due terzi dei membri e si deve riunire almeno quattro volte all'anno. Le elezioni ai vari incarichi possono essere fatte a scrutinio segreto o no, a scelta dell'assemblea.
Per i grandi kolkhoz, (cioè oramai, per la norma) i cui membri sono troppo numerosi perché si possano riunire in assemblea, lo statuto del '69 istituzionalizza quanto era già stato realizzato di fatto, cioè il passaggio dalla democrazia diretta a quella indiretta, attraverso la delega di potere ed il passaggio dall'assemblea dei soci all'assemblea dei rappresentanti. Anche nei kibbuzim israeliani più vasti si sono proposti gli stessi problemi e, secondo Infield, (5) nelle cooperative con oltre 100 membri la democrazia diretta diventa una forma, dietro la quale si sviluppa una frattura fra dirigenti e diretti.
Comunque la proposta di scindere i kolkhoz troppo vasti riducendoli a "misura d'assemblea" non è stata accettata.
Un'altra conseguenza importante dell'accrescimento territoriale dei kolkhoz è lo sviluppo dell'autonomia delle "brigate". La brigata, da formazione professionale quale era alle sue origini, è diventata una ripartizione territoriale del kolkhoz. Una brigata ora corrisponde spesso a un villaggio e supera le dimensioni medie del kolkhoz d'un tempo. La brigata ha una sua dotazione in fabbricati, macchine e bestiame ed una sua contabilità autonoma (con autofinanziamento) che determina retribuzioni differenziate da brigata a brigata a seconda del livello di produttività. C'è una assemblea di brigata che discute i problemi specifici ed elegge i delegati all'assemblea kolkhoziana ed un capobrigata o "brigadiere" (la cui nomina dev'essere però ratificata dalla direzione del kolkhoz). I kolkhoz più vasti cioè possono evolversi dalla gestione centralizzata verso una sorta di federazione di brigate.
Al vertice della gerarchia kolkhoziana c'è il presidente formalmente eletto dai membri del kolkhoz, ma più spesso scelto al di fuori di esso dalle autorità locali dello Stato e del Partito Comunista. Il presidente è assistito da un vice-presidente, da un pravlenie o consiglio direttivo e da specialisti il cui numero è considerevolmente aumentato negli ultimi tempi. Malgrado le diffusissime critiche contro i presidenti troppo autoritari, il nuovo statuto non ha voluto specificare o restringere i loro poteri ed ha al contrario prolungato il loro mandato da due a tre anni.
In definitiva il nuovo statuto esprime le esigenze di una struttura statale e di una pianificazione economica più razionali e dunque più decentrate ed insieme esprime gli interessi della burocrazia periferica e della tecnocrazia aziendale.

l'ultimo proletario

Nonostante tutti i progressi dei kolkhoz dalla loro nascita ad oggi, nonostante un notevole innalzamento del livello di vita sia materiale che culturale del kolkhoziano (soprattutto negli ultimi 20 anni), in termini comparativi con altre categorie di lavoratori egli rimane in condizioni economiche e psicologiche di inferiorità.
Il kolkhoziano è l'ultimo "proletario". Politicamente rimane un cittadino di seconda categoria: il solo cui si contesti, per via della sua modesta proprietà individuale e della sua discutibile comproprietà cooperativa, proprio il titolo di proletario, mentre tale titolo, paradossalmente ma coerentemente con la teoria marxista, compete agli alti funzionari dello Stato e del partito, vera classe privilegiata.
Il compenso medio di un kolkhoziano che pure era raddoppiato tra il '53 ed il '58 e poi ancora aumentato del 36% dal '58 al '65, è agli inizi del '66 pari ai due terzi di quello dei sovkhoziani e poco più della metà di un operaio dell'industria. Successivamente il divario tra i compensi medi dei lavoratori dei kolkhoz e quelli dei lavoratori dei sovkhoz s'è ridotto (ma non è scomparso), mentre la sperequazione esistente con gli operai non è sostanzialmente mutata. Ci sono, è vero, kolkhoz "ricchi" che grazie a privilegi che nascono insieme da condizioni ambientali favorevoli e dal sistema dei prezzi statali (differenziati in cinque zone con lo scopo di perequare le disuguaglianze naturali e spesso con il risultato di accentuarle) riescono a garantire discreti ed anche buoni livelli di vita ai loro soci, con retribuzioni in alcuni casi più elevate di quelle operaie. Nei kolkhoz si trovano teatri, cinema, biblioteche, impianti sportivi, circoli di cultura scientifica, di musica...
È però altrettanto vero che esistono kolkhoz "poveri" che presentano caratteristiche diametralmente opposte.
Proseguendo nel confronto tra kolkhoziani e operai, bisogna considerare, a svantaggio dei primi, che nella città i prezzi dei prodotti industriali e qualche volta persino di quelli agricoli sono sensibilmente inferiori a quelli praticati nelle campagne e che, soprattutto, gli operai beneficiano di un "salario invisibile" di gran lunga superiore a quello dei kolkhoziani.

efficienza e dimensioni

La produttività dell'agricoltura sovietica è, notoriamente, bassa. Il kolkhoziano ha una capacità produttiva quattro volte superiore a quella del muzik del 1913, ma ancora da tre volte (secondo i sovietici) ad otto volte (secondo Dumont (6) inferiore a quella di un farmer americano. È vero che in alcuni casi la produttività del lavoro dell'Unione Sovietica supera anche quella statunitense (in alcuni kolkhoz e sovkhoz si ottiene un quintale di grano con meno di 30 minuti di lavoro; un quintale di bietole in meno di 20 minuti; un quintale di cotone in 10 ore...), ma si tratta, appunto, di casi. La regola rimane quella di una produttività molto bassa soprattutto se misurata secondo parametri non fisici ma economici.
Le cause sono probabilmente molteplici. Fra di esse le principali ci paiono essere le seguenti:
a) le scelte antieconomiche imposte dai piani d'acquisto statali i quali, pur meno assurdi che in passato, ancora impongono la consegna di prodotti inidonei alle peculiari realtà aziendali ed impongono inoltre un assortimento eccessivo che impedisce la specializzazione sulle colture più adatte;
b) il grosso peso di un'eccedenza di mano d'opera (anche nell'U.R.S.S. l'agricoltura serve per l'impiego di mano d'opera altrimenti disoccupata: nel 1965 gli addetti all'agricoltura erano il 38% della popolazione attiva, contro il 20% dell'Italia e l'8% degli U.S.A.);
c) l'esodo delle migliori forze cioè dei più giovani e dei più intraprendenti che, nonostante le difficoltà e le restrizioni tendono a lasciare il lavoro dei campi, alla ricerca di migliori condizioni di vita;
d) la crescita eccessiva delle dimensioni aziendali, un fenomeno che, seppure meno accentuato che nei sovkhoz (dove si arriva a dimensioni medie di oltre 27.000 ettari) ha determinato situazioni di burocratizzazione e insieme di "ingovernabilità" delle aziende.
Quest'ultima causa è particolarmente interessante perché offre una conferma, se pure settoriale, (7) alle teorie libertarie che, rifiutando il feticistico culto della grande azienda (tipico riflesso in sede ideologica del processo di concentrazione capitalistica), avanzano modelli di decentramento produttivo in unità a misura d'uomo.
Il mito acritico della "grande azienda" ha generato aziende giganti - come il kolkhoz "Lenin" di Krasnodar che dà lavoro a 1900 soci - le quali però non hanno dato le soddisfazioni che da esse ci si aspettava. Anzi quasi sempre i problemi di controllo e di gestione che esse hanno creato hanno superato i vantaggi delle economie di scala. In effetti, quando la maggior parte delle macchine agricole sono pienamente impiegate su, diciamo, 500 ettari, quali economie di scala si avranno da 500 a 20.000 ettari?
Del resto anche ricerche eseguite da economisti canadesi (8) hanno dimostrato che, superata una certa soglia dimensionale (abbastanza bassa), l'efficienza aziendale dipende sempre meno dalle dimensioni stesse e sempre più da altri fattori.

agricoltura e industria

"Il processo di ulteriore sviluppo dei kolkhoz e dei sovkhoz vedrà intensificarsi i legami produttivi fra di loro ed i legami con le aziende industriali locali, vedrà estendersi la prassi dell'organizzazione in comune di varie attività produttive.... Si formeranno gradualmente, nella misura in cui ciò sarà economicamente conveniente, comunità agro-industriali nelle quali l'agricoltura verrà ad unirsi organicamente alla trasformazione industriale della sua produzione, nel quadro di una razionale specializzazione e cooperazione delle aziende agricole ed industriali". Queste indicazioni programmatiche del 22° Congresso del P.C.U.S. non hanno sinora avuto altro che realizzazioni episodiche. Le une e le altre tuttavia sono sintomatiche dell'esigenza sentita da ogni economia avanzata di integrare funzionalmente l'agricoltura e l'industria.
Sinora le iniziative pilota in questa direzione hanno visto protagonisti soprattutto i sovkhoz, con la creazione delle "fabbriche-sovkhoz". Un esempio è quello del consorzio saccarifero di Kiev, che amministra unificandoli un sovkhoz bieticolo, uno zuccherificio ed un centro di ingrasso del bestiame.
Il coordinamento delle attività produttive di settori che sono complementari tra di loro e concentrate in epoche differenti consente uno spostamento di personale e di mezzi tecnici e quindi una maggiore razionalità del loro impiego. L'importanza che avrebbe questo tipo di integrazione per i kolkhoz risulta evidente se si considera che durante la stagione morta oltre 10 milioni di kolkhoziani restano inattivi. Tuttavia la partecipazione dei kolkhoz a questi complessi agro-industriali a direzione ed amministrazione unificate appare problematica. Infatti i kolkhoz dovrebbero in pratica rinunciare in queste fusioni alle loro caratteristiche di cooperative. Questo spiega le resistenze che le aziende collettive generalmente oppongono a progetti simili.
I kolkhoz preferiscono organizzare la loro collaborazione con le industrie trasformatrici secondo rapporti contrattuali. I kolkhoz più solidi tendono addirittura a fare da sé nel campo della trasformazione, puntando sulla creazione di proprie aziende ausiliarie oppure di aziende consortili interkolkhoziane. In questo tuttavia l'iniziativa dei kolkhoz si scontra con grosse difficoltà per le resistenze corporative dei dirigenti dell'industria alimentare statale.

l'agricoltura settore dominato

Come s'è visto, uno studio sui kolkhoz offre numerosi e rilevanti elementi di interesse. Fra tutte le indicazioni, quella che ci piace enucleare in sede conclusiva, è la sopravvivenza, in regime di statalizzazione (sovkhoz) e semistatalizzazione (kolkhoz) dell'agricoltura, della contraddizione città-campagna. Capitalismo o socialismo di Stato, libero mercato o pianificazione centrale, la città sfrutta la campagna, l'industria sfrutta l'agricoltura. L'agricoltura è un settore dominato (9).
Una conclusione sembra inevitabile: se l'agricoltura non riesce ad ottenere quella "parità" che rivendica e che le spetta, è a causa di una oggettiva posizione di soggezione agli altri settori produttivi. Parrebbe quindi che tale parità e la conseguente realizzazione dell'eguaglianza dei lavoratori della terra con gli altri lavoratori siano solo possibili risolvendo nel modo corretto il nodo di quell'integrazione tra l'agricoltura, l'industria ed il terziario che, in chiave libertaria, Kropotkin (10) ipotizzava settant'anni fa e che, in chiave capitalistica e tecnoburocratica, si trovano ad affrontare oggi tutte le economie avanzate.

A. Di Solata

1) G. Gaddi, Mezzo secolo di agricoltura sovietica, Milano, Vangelista, 1969.
2) XXII Congresso del P.C.U.S., Atti e Risoluzioni, ed. Riuniti, Roma, 1962.
3) A.N. Sakoff, L'agricolture sovietique et le nouveau statut type du kolkhoze, "Economie et Statistique Agricoles", settembre 1970.
4) P. J. D. Wiles, Economia politica del comunismo, UTET, Torino, 1969.
5) H. F. Infield, Dalla utopia alle riforme. Esperienze di sociologia della cooperazione, Milano, "Comunità", 1956.
6) R. Dumont, Problemi agrari del comunismo, "Il Saggiatore", Milano, 1966.
7) Ma non è detto che studi opportunamente condotti non possano portare ad analoghe stupefacenti risultanze anche in campo industriale.
8) L. M. L. Rokosh et al., Resource use efficiecy as related farm busuness size, "Canadian Farm Economics", febbraio 1971.
9) Cépéde, Agriculture, secteur dominé, "Economies et Sociétés", maggio 1971.
10) Kropotkin P., Fields, factories and work-shops, Londra, 1897.

Tabella I. Dimensioni medie del kolkotz
1950 1956 1960 1964 1968
Numero do famiglie 165 238 383 418 420
Numero di lavoratori 225 325 494 505 504
Sup. Agraria (in migliaia di ettari) 3,1 4,5 6,3 6,0 6,1


Tabella II. Distribuzione percentuale dei kolkotz in base al numero delle famiglie associate
1956 1960 1964 1968
Fino a 100 famiglie 18,9 7,5 5,2 4,1
Da 101 a 200 34,2 21,4 19,1 19,0
Da 201 a 300 20,7 19,1 19,1 19,5
Da 301 a 500 17,7 26,0 27,3 28,2
Oltre 500 famiglie 8,5 26,0 29,3 29,2