Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 20 nr. 175
estate 1990


Rivista Anarchica Online

Gli atti di fede non servono

A proposito dell'astensionismo, non mi trovo per nulla d'accordo con quanto scritto da Walter Siri su "A" 173 (maggio). Vi sono ancora, purtroppo, da parte di molti compagni, posizioni che a parer mio sono sorpassate dal tempo, per cui rischiano di apparire oggi come veri e propri atti di fede. Anzitutto ritengo che l'astensionismo possa essere tutt'al più un effetto, non già una causa, come sembra invece pensare Walter. Per essere per noi rilevante, dovrebbe essere frutto di un atteggiamento consapevole, da parte della società civile, che porti ad un rifiuto della delega, del dominio, della società strutturata gerarchicamente, ecc., o quantomeno sintomo visibile di un malessere sociale diffuso, che non trova altrimenti sbocco che in una scheda bianca o in un non voto. Invece, purtroppo, almeno per ora, la maggior parte della schede bianche, di quelle nulle, dei non-voti, sono il risultato di un terribile fenomeno che sta permeando sempre di più la società occidentale: il qualunquismo. Non abbiamo dunque molto da rallegrarci dal calo dei votanti, poiché la maggior parte di quelli che non votano non sono affatto quelli che poi agiscono in prima persona, direttamente, per difendere interessi individuali ed universali, ma invece quelli che più se ne fregano, quelli a cui va bene tutto di quanto accade, quelli meno inclini ad un cambiamento radicale della società. Frasi come quella di Walter "... è altrettanto vero che quanti, lo ripeto, per un verso o per l'altro, rifiutano il rito elettorale, sono poi quei soggetti sociali più inclini al cambiamento radicale delle condizioni sociali" mi fanno pensare che c'è ancora chi, tra gli anarchici, alle soglie del 2000, crede alla madonna vergine e a Gesù bambino. Ma le favole, si sa, vanno raccontate ai bambini, non alle persone adulte.
E' vero che non tutti sono qualunquisti, anche tra chi non vota (ci siamo anche noi!). Però è anche vero che l'insoddisfazione, il malessere sociale, la rabbia per come vanno le cose, in questo periodo in Italia, ma non solo, si esprimono attraverso l'adesione ad idee e a programmi di destra, corporativi, razzisti. Questa adesione, poi, al momento del voto, si trasforma in voti alle Leghe, alle Liste Civiche, per una politica della frammentazione e del settorialismo. Il malessere per i più attuali problemi (immigrazione, spreco del denaro pubblico) sta trovando sbocco a destra, mentre il qualunquismo si esprime con il non-voto.
L'astensionismo, dunque, di per sé, non è un f attore destabilizzante; nei paesi anglosassoni vota una bassissima percentuale della popolazione, eppure sono paesi che non conoscono rivolgimenti sociali radicali da molti secoli ormai. Il fatto è che il crollo delle ideologie e la secolarizzazione hanno coinvolto, nostro malgrado, anche noi. Per una società che cambia sempre più velocemente occorrono strategie nuove, diverse analisi, mentre spesso nel movimento e nella nostra stampa non si va aldilà degli slogan, del già detto, del non più attuale. Siamo in un momento di forte crisi, ma è proprio dalle ceneri che nascono le cose nuove.
Come disse già Andrea Papi nel suo libretto "La nuova sovversione", non è sui principi che dobbiamo discutere, ma sulle strategie. Ma allora discutiamo! Non ci sono quasi più articoli sull'anarchismo attuale nelle riviste anarchiche, se si eccettua forse il dibattito di "Anarres" sulla fine dell'anarchismo o gli articoli sull'est europeo. Per tornare dalla teoria alla pratica, senza uscire troppo dalla traccia, io credo che l'astensionismo potrebbe diventare un fenomeno rilevante se vi fosse una contro-società e un contro-potere, una organizzazione della cultura ma anche della vita pratica, del lavoro, pronta ad accogliere e ad offrire alternative concrete, reali, a chi rifiuta il potere e il dominio. Anche in questo concordo pienamente con Andrea Papi.
La nostra astensione, ora come ora, è un mero atto etico individuale. Non ha valenza politica, ma potrebbe averla. Per questo, più che a fare propaganda astensionista, dovremmo tentare di costruire una rete di relazioni sociali, culturali, dovremmo tentare di dare un nuovo senso al lavoro, un lavoro libertario, pur tra tutte le limitazioni a cui siamo sottoposti. Caduta l'idea di una rivoluzione immediata, siamo rimasti dei rivoluzionari senza rivoluzione: così l'anarchismo si è trasformato in una scelta etica. Ma nel momento in cui l'anarchismo è diventato una scelta tra le tante possibili, e ha perso il valore della Scelta, si è trovato disarmato, perché non ha progettualità concrete per l'"oggi" ma solo una speranza (ormai una FEDE) in un improbabile, per ora, domani.
Per uscire da questo tunnel è necessario, a mio avviso, rivalutare la propositività, cercare di costruire questa contro-società che ci permetta di affrontare questo periodo di transizione. Forse proprio da questa contro-società potrà nascere una nuova idea di rivoluzione... nel secolo scorso vi fu, all'interno del socialismo, una aspra polemica tra i rivoluzionari del tutto e subito e i fautori di una linea cooperativa; non si tratta ora né di scegliere tra riformismo e rivoluzione, né di riproporre polemiche ultracentenarie. Però è anche vero che l'epoca degli slogan e degli urli di piazza sta volgendo rapidamente al termine, anche se non vogliamo. E non possiamo neppure sempre cercare di ingabbiare la realtà nelle nostre teorie, quand'essa vuole dirigersi da tutt'altra parte. Altrimenti perdiamo il senso e la misura delle cose.
Solo se riusciremo a creare una alternativa concreta e sperimentabile (circoli, cooperative, stampa, organizzazione del tempo libero, insieme di relazioni con gruppi affini, gruppi di pressione e di lotta, interventi nei quartieri e nel territorio, municipalismo libertario), potremo forse puntare a cambiamenti rivoluzionari. Non si tratta né di recuperare (tipo cooperative cattoliche), in una visione assistenzialistica, gli scarti della società consumistica, né di cercare di porre rimedio agli errori del capitale e dello stato. Si tratta di preparare e di prepararci. La rivoluzione delegittimante potrà avere inizio da solide basi di un contro-potere. Lo spazio per una progettualità è dato, a mio avviso, come ho già avuto modo di dire, dall'ecologia sociale, che permette di attualizzare idee a volte astratte. Solo allora l'astensione, come anche altri momenti di pura contrapposizione, potrà avere un senso POLITICO (un senso etico ce l'ha già) e sarà quasi un'inevitabile conseguenza, e non una forzatura, com'è ora.

Francesco Berti (Bassano del Grappa)