Rivista Anarchica Online
Gli atti di fede non servono
A proposito dell'astensionismo, non mi
trovo per nulla d'accordo con quanto scritto da Walter Siri su "A"
173 (maggio). Vi sono ancora, purtroppo, da parte di molti compagni,
posizioni che a parer mio sono sorpassate dal tempo, per cui
rischiano di apparire oggi come veri e propri atti di fede. Anzitutto
ritengo che l'astensionismo possa essere tutt'al più un
effetto, non già una causa, come sembra invece pensare Walter.
Per essere per noi rilevante, dovrebbe essere frutto di un
atteggiamento consapevole, da parte della società civile, che
porti ad un rifiuto della delega, del dominio, della società
strutturata gerarchicamente, ecc., o quantomeno sintomo visibile di
un malessere sociale diffuso, che non trova altrimenti sbocco che in
una scheda bianca o in un non voto. Invece, purtroppo, almeno per
ora, la maggior parte della schede bianche, di quelle nulle, dei
non-voti, sono il risultato di un terribile fenomeno che sta
permeando sempre di più la società occidentale: il
qualunquismo. Non abbiamo dunque molto da rallegrarci dal calo dei
votanti, poiché la maggior parte di quelli che non votano non
sono affatto quelli che poi agiscono in prima persona, direttamente,
per difendere interessi individuali ed universali, ma invece quelli
che più se ne fregano, quelli a cui va bene tutto di quanto
accade, quelli meno inclini ad un cambiamento radicale della società.
Frasi come quella di Walter "... è altrettanto vero che
quanti, lo ripeto, per un verso o per l'altro, rifiutano il rito
elettorale, sono poi quei soggetti sociali più inclini al
cambiamento radicale delle condizioni sociali" mi fanno pensare
che c'è ancora chi, tra gli anarchici, alle soglie del 2000,
crede alla madonna vergine e a Gesù bambino. Ma le favole, si
sa, vanno raccontate ai bambini, non alle persone adulte.
E' vero che non tutti sono
qualunquisti, anche tra chi non vota (ci siamo anche noi!). Però
è anche vero che l'insoddisfazione, il malessere sociale, la
rabbia per come vanno le cose, in questo periodo in Italia, ma non
solo, si esprimono attraverso l'adesione ad idee e a programmi di
destra, corporativi, razzisti. Questa adesione, poi, al momento del
voto, si trasforma in voti alle Leghe, alle Liste Civiche, per una
politica della frammentazione e del settorialismo. Il malessere per i
più attuali problemi (immigrazione, spreco del denaro
pubblico) sta trovando sbocco a destra, mentre il qualunquismo si
esprime con il non-voto.
L'astensionismo, dunque, di per sé,
non è un f attore destabilizzante; nei paesi anglosassoni vota
una bassissima percentuale della popolazione, eppure sono paesi che
non conoscono rivolgimenti sociali radicali da molti secoli ormai. Il
fatto è che il crollo delle ideologie e la secolarizzazione
hanno coinvolto, nostro malgrado, anche noi. Per una società
che cambia sempre più velocemente occorrono strategie nuove,
diverse analisi, mentre spesso nel movimento e nella nostra stampa
non si va aldilà degli slogan, del già detto, del non
più attuale. Siamo in un momento di forte crisi, ma è
proprio dalle ceneri che nascono le cose nuove. Come disse già Andrea Papi nel
suo libretto "La nuova sovversione", non è sui
principi che dobbiamo discutere, ma sulle strategie. Ma allora
discutiamo! Non ci sono quasi più articoli sull'anarchismo
attuale nelle riviste anarchiche, se si eccettua forse il dibattito
di "Anarres" sulla fine dell'anarchismo o gli articoli
sull'est europeo. Per tornare dalla teoria alla pratica, senza uscire
troppo dalla traccia, io credo che l'astensionismo potrebbe diventare
un fenomeno rilevante se vi fosse una contro-società e un
contro-potere, una organizzazione della cultura ma anche della vita
pratica, del lavoro, pronta ad accogliere e ad offrire alternative
concrete, reali, a chi rifiuta il potere e il dominio. Anche in
questo concordo pienamente con Andrea Papi.
La nostra astensione, ora come ora, è
un mero atto etico individuale. Non ha valenza politica, ma potrebbe
averla. Per questo, più che a fare propaganda astensionista,
dovremmo tentare di costruire una rete di relazioni sociali,
culturali, dovremmo tentare di dare un nuovo senso al lavoro, un
lavoro libertario, pur tra tutte le limitazioni a cui siamo
sottoposti. Caduta l'idea di una rivoluzione immediata, siamo rimasti
dei rivoluzionari senza rivoluzione: così l'anarchismo si è
trasformato in una scelta etica. Ma nel momento in cui l'anarchismo è
diventato una scelta tra le tante possibili, e ha perso il valore
della Scelta, si è trovato disarmato, perché non ha
progettualità concrete per l'"oggi" ma solo una
speranza (ormai una FEDE) in un improbabile, per ora, domani.
Per uscire da questo tunnel è
necessario, a mio avviso, rivalutare la propositività, cercare
di costruire questa contro-società che ci permetta di
affrontare questo periodo di transizione. Forse proprio da questa
contro-società potrà nascere una nuova idea di
rivoluzione... nel secolo scorso vi fu, all'interno del socialismo,
una aspra polemica tra i rivoluzionari del tutto e subito e i fautori
di una linea cooperativa; non si tratta ora né di scegliere
tra riformismo e rivoluzione, né di riproporre polemiche
ultracentenarie. Però è anche vero che l'epoca degli
slogan e degli urli di piazza sta volgendo rapidamente al termine,
anche se non vogliamo. E non possiamo neppure sempre cercare di
ingabbiare la realtà nelle nostre teorie, quand'essa vuole
dirigersi da tutt'altra parte. Altrimenti perdiamo il senso e la
misura delle cose.
Solo se riusciremo a creare una
alternativa concreta e sperimentabile (circoli, cooperative, stampa,
organizzazione del tempo libero, insieme di relazioni con gruppi
affini, gruppi di pressione e di lotta, interventi nei quartieri e
nel territorio, municipalismo libertario), potremo forse puntare a
cambiamenti rivoluzionari. Non si tratta né di recuperare
(tipo cooperative cattoliche), in una visione assistenzialistica, gli
scarti della società consumistica, né di cercare di
porre rimedio agli errori del capitale e dello stato. Si tratta di
preparare e di prepararci. La rivoluzione delegittimante potrà
avere inizio da solide basi di un contro-potere. Lo spazio per una
progettualità è dato, a mio avviso, come ho già
avuto modo di dire, dall'ecologia sociale, che permette di
attualizzare idee a volte astratte. Solo allora l'astensione, come
anche altri momenti di pura contrapposizione, potrà avere un
senso POLITICO (un senso etico ce l'ha già) e sarà
quasi un'inevitabile conseguenza, e non una forzatura, com'è
ora.
Francesco Berti (Bassano del Grappa)
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