Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 20 nr. 175
estate 1990


Rivista Anarchica Online

"A" proposito
di AA. VV.

Manca qualcosa di frizzante e dinamico. È un po' asettica, fredda, non riesce a trasmettere una volontà di trasformazione. L'impaginazione andrebbe resa più vivace. Ci vogliono più interviste ed autointerviste. Una serata al Circolo anarchico "Ponte della Ghisolfa" di Milano è stata dedicata ad uno scambio di opinioni tra compagni/lettori. Oggetto: la rivista.

Il più giovane ha diciotto anni, il più "anziano" trentaquattro. Alcuni studiano, altri lavorano, altri ancora lavorano saltuariamente. Sono arrivati all'anarchismo attraverso vissuti, strade ed esperienze diverse.
Da tempo "fanno politica" insieme. Si sono ritrovati una sera al circolo "Ponte della Ghisolfa" per discutere (e fare discutere) di questa rivista, del suo rapporto col movimento e la situazione in cui esso si trova: Le vostre opinioni, critiche, valutazioni su quanto segue saranno molto, molto gradite.

Giuseppe (della redazione di "A") - Possiamo partire da questo: ultimamente un lettore ci ha scritto che, a suo parere, la rivista da qualche tempo assomiglia molto a una pubblicazione genericamente di sinistra perché ha dato spazio a tendenze, movimenti e gruppi "non specificatamente anarchici" e che ciò non ha giovato alla qualità della rivista. Cosa ne pensate?

Mauro condivide questa scelta: secondo lui la rivista, oltre ad essere uno strumento del movimento anarchico, dovrebbe anche farsi portavoce di tutte le istanze libertarie e antiautoritarie sommerse ( comuni, pedagogia, ecologismo) , che noi non leggiamo con la nostra visione delle cose, che è unicamente politica. Bisogna superare certi limiti che sono presenti anche nel movimento anarchico, che ha grosse potenzialità al suo esterno, ma non vedendole perde delle occasioni per essere incisivo, rischiando nel futuro di cacciarsi in un ghetto dal quale sarà difficile uscire .
"A" dovrebbe avere qualcosa di "frizzante" e "dinamico" - è sempre Mauro che parla - ma se questo non lo si può trarre dalla situazione sociale (non certo esaltante), dovrebbe essere tratto da un diverso modo di affrontare le tematiche, di porre degli interrogativi, stimolare la gente a pensare. Mauro indica poi la necessità di avere ben presente chi sono i lettori della rivista e, a questo scopo riterrebbe utile un questionario che informasse su quante volte la gente compra la rivista, quanto la legge, cosa si aspetta di trovarci, quali sono le altre letture. Infine la questione delle lingue: anche se difficile da realizzarsi, Mauro vorrebbe una rivista multilingue, letta, quindi, non solo in Italia. Questo per aumentare la coesione e i collegamenti tra gli anarchici di altre nazioni.

Pietro - Trovo molto lodevole il tentativo di esplorazione di quanto esiste al di fuori del movimento anarchico tradizionale, soprattutto nel momento in cui l'anarchismo attraversa una crisi di strategia. La rivista dovrebbe essere anche un luogo di discussione intorno alla pratica dell'anarchismo. Un luogo dove vari gruppi si possano confrontare, sia sulle iniziative specifiche sia sull'intervento all'interno di movimenti come quello degli universitari. Quello che manca ad "A" è di essere uno stimolo per i lettori a praticare ciò che leggono, a farsi protagonisti di iniziative di trasformazione.
E' un po' asettica, fredda, non riesce a trasmettere una volontà di trasformazione, una volontà di presa di posizione individuale. Nel suo insieme è difficile da digerire, anche se è interessante, soprattutto per il pubblico giovanile.

Paolo - Volevo dire un paio di cose, anche se mi sembra di fare una parte abbastanza brutta, perché, condividendo alcune delle critiche, fatte da Pietro e Mauro, non ho delle proposte alternative. Il problema più importante è quello della mancanza di uno stimolo e io non ho una proposta per realizzarlo. Mi sono avvicinato alla rivista non tanto tempo fa e la mia prima impressione è stata di "rilassamento": ottime analisi storiche, ma quasi assenza di dibattito sulla situazione presente. Apprezzo i dossier, anche se purtroppo lo spazio a disposizione è limitato a non molte pagine, una mia idea è quella di portare avanti un dibattito su più numeri, ma il problema è che scrivono sempre gli stessi...bisognerebbe riuscire a riportare sulla rivista, le opinioni di persone che non si sono mai espresse, ma che lo farebbero se fossero stimolate. Ad esempio io preferisco scrivere che parlare. Non mi piacciono le rubriche sul cinema e sulla musica. Anche l'impaginazione andrebbe resa più vivace.

Fabrizio - A me complessivamente la rivista piace, per cui le critiche fatte prima non mi vanno bene. La rubrica di cinema mi piace moltissimo: Accame per me è un riferimento certo; l'attualità è ben dosata: "A" si occupa solo di alcuni problemi perché lo spazio per analizzarli tutti non c'è.
"A" fornisce un punto di vista che si stacca da altre pubblicazioni non anarchiche. I servizi sull'India a me interessano molto perché si ha la possibilità di conoscere delle cose che altrove non si trovano. Per Fabrizio la mancanza di un comune denominatore che unisca le varie esperienze libertarie non è un male in sé: il lettore può trovare un nesso tra tutte le realtà che la rivista fa conoscere. A Fabrizio piace anche la rubrica di musica, mentre la grafica "è un po' povera e ripetitiva, però questo risponde ad esigenze pratiche - comunque non mi interessa l'estetica, mi interessa il contenuto degli articoli. Io non mi colloco in un'ottica particolarmente "militante", per cui sono forse "freddo" e mi va bene una rivista "fredda". Avete trovato il vostro lettore ideale".

Massimo - In linea di massima mi chiamo Massimo e sono un rompicoglioni: di solito quando parlo è meglio che stia zitto, me lo dico prima e me lo dico poi. Se posso non leggo niente...a partire dai quotidiani, perché li trovo molto ripetitivi, anche i settimanali sono molto ripetitivi, poi, man mano che l'occhio è distaccato trovo delle cose interessanti da leggere. La rivista trovo che sia complessivamente buona, anche se certe parti lasciano un po' a desiderare: ad esempio le lettere mi piacerebbe che fossero una tribuna, uno spazio dove parlare di come si vive l'anarchia singolarmente e di come la si viva collettivamente, però se noi non scriviamo - io sono il primo a non scrivere - la rubrica delle lettere rimane una casellina con dentro un puntino o poco più.
A me piacerebbe, nella rivista, l'esperienza sociale concreta: qualcuno che dica "io faccio questo" e noi ci vediamo il segno libertario. Più interviste e più autointerviste. E' bello sapere da Pandin che esistono anche delle note libertarie. Le copertine in genere non mi piacciono perché dovrebbero colpire di più l'attenzione.

Roberto - Voglio fare alcune considerazioni: la rivista è il prodotto delle persone che se ne interessano e, da questo punto di vista, è un prodotto discreto. Il compito di "A" dovrebbe essere quello di dare notizie (sul movimento) e queste notizie vengono date, per lo meno quelle di cui si viene a conoscenza, non disponendo di corrispondenti o professionisti. Un altro compito è quello delle analisi e su questo c'è una certa carenza, dovuta alla scarsità di compagni che se ne occupano. I compagni che si sono avvicinati sono giovani, c'è stato un altro salto generazionale. Non c'è più il collegamento tra la generazione giovane e quella vecchia; la rivista è stata in parte abbandonata da compagni dotati di una certa esperienza. Questi - secondo Roberto - i motivi della carenza di analisi. Il terzo compito è quello di creare dibattito, ma questo è possibile solo se la gente partecipa, e da questo punto di vista, purtroppo, i compagni sono passivi, le lettere non arrivano. Secondo Roberto se "A" ha delle carenze, non sono da imputare ai suoi redattori. Anche Roberto è favorevole ad aprire la rivista a realtà ed esperienze che, pur non essendo specificamente anarchiche, esprimono dei contenuti antiautoritari da valorizzare e da portare alla luce. Ce ne sono tantissimi, basta andarli a cercare, l'importante è non fermarsi davanti alla A cerchiata.

Marco - Opinioni su come è la rivista e su come dovrebbe essere ne sono state espresse. Mescolati ad esse si trovano anche dei cenni di un discorso che sarebbe il caso di approfondire: il movimento anarchico, la crisi che affronta e su come essa si rifletta anche sulle pubblicazioni anarchiche. Più di una persona ha detto che è giusto dare voce a realtà ed esperienze non anarchiche in senso stretto, ma la cui pratica quotidiana è sicuramente libertaria e i cui contenuti sono da conoscere e divulgare. E su questo sono d'accordo. Però (provocatoriamente) tutto ciò può essere visto come una scappatoia per non affrontare una mancanza di proposte del movimento anarchico: se gli anarchici non sono attivi parliamo almeno di quelli che lo sono. Questa scelta editoriale, nel breve periodo è certamente giusta, ma nel futuro ci si deve porre anche il problema dell'uscita degli anarchici dalla crisi che stanno vivendo. In che modo la rivista può fungere da stimolo a che lo stallo in cui ci troviamo venga superato? Un modo potrebbe essere quello di utilizzarla come luogo di incontro e discussione che dovrebbe vedere la partecipazione di quei compagni che sentono l'urgenza di trovare una soluzione alla crisi. Un'ultima questione: si può (e come) utilizzare un giornale per incidere sulla realtà sociale?

Pietro - Sicuramente è la realtà che può modificare il giornale, così come sono sicuro che un movimentò che riesca a trasformare il sociale non possa essere direttamente determinato da noi, ma sia qualcosa che nasce spontaneamente. Nonostante ciò, in un momento come questo in cui non ci sono tensioni sociali, il "compito" di tutti coloro che si pongono, nonostante i tempi, in un'ottica di trasformazione radicale della società è di riuscire a trasmettere una volontà di cambiamento. Ma questo non è facile perché c'è una rottura netta tra il quotidiano e le idee anarchiche, il significato di "libertà" è stato trasformato in senso consumistico. Per Pietro la rivista dovrebbe ospitare un dibattito sulle difficoltà di fare comunicazione libertaria di fronte alla omologazione del linguaggio operata dai mass-media.

Anche Simone è d'accordo sull'apertura nei confronti di esperienze di vita libertarie, ma aggiunge un contributo originale a quanto detto finora: secondo lui i problemi posti da Pietro circa la comunicazione possono essere risolti proprio attraverso la conoscenza e la messa in discussione della pratica quotidiana di tutte quelle realtà che si muovono in senso autogestionario. In questo modo si avrebbe una corrispondenza ben precisa tra le parole e il loro significato, rendendo molto difficile ogni equivoco. Lo stesso vale per l'analisi teorica: piuttosto che un concetto di Utopia assoluta Simone preferisce un concetto di Utopia più relativo, basato sulla reciproca conoscenza e scoperta di ogni esperienza concreta. Una proposta finale: costruire dei gruppi di lavoro autogestiti che si incarichino di scoprire e far conoscere quanto esiste intorno a noi di libertario e autogestionario.

(a cura di Marco Serio)

 

Questo spazio è a disposizione di tutti coloro che vogliono intervenire nella riflessione/dibattito che si apre da questo numero. Argomento: la rivista, i suoi difetti, le sue carenze, ecc.. In realtà la rivista (ed in particolare la rubrica delle lettere) 6egrave; sempre stata aperta agli interventi dei lettori. Da tempo, però, sentiamo l'esigenza di dar maggiore spessore a questa riflessione. Ecco dunque questo spazio apposito, dedicato ad "A". Nelle nostre intenzioni, il dibattito dovrebbe coinvolgere quanta più gente possibile e svilupparsi sui prossimi numeri. Queste le nostre intenzioni: quali siano le vostre, lo chiarirà la quantità di interventi che nelle prossime settimane ci giungeranno in redazione. Da parte nostra, una piccola precisazione: evitiamo di intervenire nel dibattito in quanto redazione, preferendo farlo al caso come singoli redattori, anche per assicurare la massima informalità ed agilità al dibattito.


Tornare alla controinformazione

Carissimo Paolo,
(...) nella breve colonna redazionale "ai lettori" a pag. 3 dell'ultimo numero della rivista, ho trovato un sintetico accenno alla riunione di Padova ed ai contenuti delle discussioni sulla rivista che si sono svolte. Mi è parso di capire che ci sono state delle critiche a presunte trasformazioni subite da "A".
A mio avviso le trasformazioni sono inevitabili, perché un giornale non può essere altro che uno "specchio" della realtà circostante e cercare di stare al passo coi mutamenti delle situazioni. Ora, non conosco l'esatto tenore delle critiche sollevate da quei compagni, ma ho la (non allegra) sensazione che ci siano non pochi compagni per i quali l'ideale di una pubblicazione anarchica sarebbe rappresentato da una serie di periodiche ristampe anastatiche dei vecchi numeri di Cronaca sovversiva di Umanità Nova del 1920.
Una nota (non dico "dominante" ma tuttavia "presente") che mi pare di percepire in tanti compagni è una certa "nostalgia" (magari anche solo dell'ormai mitico '68) che ritengo negativa.
Credo poi che lo scopo di un giornale non dovrebbe essere tanto quello di "piacere" ai compagni e di essere un "luogo tipografico" per parlarci tra noi, ma di parlare alla gente, a quelli che anarchici non si dicono e che bisognerebbe riuscire ad interessare. Anche in quest'ottica, fare dell'"informazione". Far cioè conoscere quello che gli altri giornali non dicono o travisano.
Una ventina di anni fa andava di moda la "controinformazione": che poi questa sia spesso degenerata in una forma specifica e particolare di disinformazione, finendo con l'assecondare il gioco manipolatorio portato avanti dal potere stesso, avallandone quasi caricaturalmente le tesi, questo è un altro discorso. L'idea in sé era buona e forse andrebbe riproposta con maggiore serietà...

Gianfranco Bertoli (carcere di Porto Azzurro)


Anarchica: si o no?

Carissimi compagni, ho deciso di scrivervi traendo spunto dalle note redazionali apparse sullo scorso numero riguardanti l'indirizzo ideologico della redazione.
Da molto tempo ormai la rivista non mi convince più, trovo infatti che il vostro orientamento si sia spostato gradualmente verso posizioni piuttosto "soft". Sempre più pagine della rivista vengono riempite da articoli riguardanti l'ecologia, la musica, il cinema, il teatro, tutte cose interessanti ma... l'anarchia dov'è? Talvolta leggendo "A" si ha l'impressione di trovarsi di fronte ad una pubblicazione genericamente di sinistra senza una vera e propria collocazione di parte.
Ritengo inoltre che l'eccessiva apertura verso gruppi e tendenze non specificatamente anarchici non ha giovato alla qualità della rivista. Tale apertura infatti anche se vi ha permesso di conquistare qualche nuovo lettore (era questo l'intento?) ha di certo generato la diffidenza dei compagni che da anni vi seguivano e il disorientamento da parte di chi avvicinatosi per la prima volta all'anarchia non trova nel vostro giornale risposte idonee ad una maturazione in senso anarchico.
Per quanto concerne la scelta di inserire un dossier in ogni numero sono favorevole a patto però che gli argomenti trattati non siano gli stessi che si possono leggere ormai da ogni parte. Penso invece, che sarebbe interessante dedicare i dossier alla storia dell'anarchismo e ai suoi vari pensatori, e ciò con il duplice scopo di non perdere mai di vista quale è (era?) il vostro punto di partenza e per aiutare a capire e a chiarire le nostre idee a quanti attratti dalla anarchia ancora le attribuiscono il significato datole dai mass-media.
Tutto ciò naturalmente se non siete cambiati davvero! Se si, sarebbe ora di chiarimenti, dentro di voi la risposta.
Vi saluto e vi abbraccio con la stima e la simpatia di sempre

Salvatore De Cristofaro (Salerno)


Orgogliosamente anarchica

Nella sua pur breve lettera, Salvatore De Cristofaro tocca argomenti e solleva interrogativi che meriterebbero ben più delle sintetiche osservazioni che qui propongo.
La riflessione, pubblica e collettiva, che da questo numero della rivista inizia a proposito di "A", del suo ruolo, dei suoi limiti, ecc... sarà l'occasione per mettere meglio a fuoco il nostro "chi siamo, che cosa vogliamo" e - dunque - anche per rispondere ai suoi interrogativi.
Per ora mi limito ad alcune osservazioni.
1) E' vero che, rispetto soprattutto ai primi anni '70 (cioè ai primi anni di "A"), sulla rivista ci sono meno articoli "anarchici". Non ci sono (quasi) più, sulle pagine di "A", articoli sulla storia del movimento anarchico, biografie dei più noti militanti anarchici ecc... E' stata, questa, una scelta dovuta a molteplici considerazioni :
a) il fatto di aver già pubblicato molti articoli di quel tipo (sulla Prima Internazionale, sulla Comune di Parigi, su Kronstadt, su Bakunin, Kropotkin, Gori, Fabbri, Bertoni...) e la convinzione dell'inopportunità di ripubblicarli (e, al contempo, la difficoltà di ripresentare la stessa zuppa in altra salsa);
b) la diminuita richiesta da parte dei compagni e dei lettori in generale (anche se, da qualche tempo, notiamo una qualche ripresa della "domanda" di teoria e storia specificamente anarchiche);
c) più in generale - e qui sta probabilmente il nodo di fondo - il nuovo ruolo che progressivamente la rivista è andata ricoprendo ha comportato una diversa considerazione dell'importanza di tali articoli.

2) Non ci pare che la rivista, comunque, sia diventata "una pubblicazione genericamente di sinistra senza una vera e propria collocazione di parte". Anche se il taglio ed i toni sono meno "militanti" anche se pochi ed episodici sono gli articoli sulla storia e sui pensatori anarchici, anche se...tante altre cose, "A" resta - nella nostra volontà, oltre che nel sottotitolo - una rivista anarchica. Anarchica e orgogliosa di esserlo.
Certo, rispetto alla rivista del passato che De Cristofaro rimpiange, molte cose sono cambiate: è cambiato profondamente il movimento anarchico ed è conseguentemente cambiato il rapporto che con esso ha la rivista; si sono approfondite alcune nostre riflessioni - peraltro tuttora aperte - sulla rivoluzione, sul rapporto mezzi/fini ed in particolare sulla violenza, su tante pagine del patrimonio teorico e storico dell'anarchismo.
Siamo i primi a condividere l'esigenza posta nel corso dell'incontro del 27 maggio a Padova (e ripresa da De Cristofaro) che di questa "mutazione" di "A" si parli e si discuta pubblicamente, senza reticenze. Ed è anche per questo che abbiamo deciso di dare il via a questo dibattito pubblico, aperto a tutti, su "A".
3) Per quanto concerne i dossier, siamo tuttora convinti dell'utilità di focalizzare l'attenzione, numero dopo numero, su argomenti specifici. Né riterremmo utile farci condizionare nella scelta degli argomenti dal fatto che "gli altri" già trattino o meno gli stessi argomenti. L'importante è (o meglio sarebbe) che sempre si riuscisse ad accompagnare i materiali proposti con originali ed approfondite analisi di segno libertario, il che, purtroppo, a volte non avviene - com'è il caso, per esempio, dei dossier sui centri sociali autogestiti (ottobre '89)e sul razzismo (maggio'90), tanto per fare due recenti dossier che ci hanno lasciato in parte insoddisfatti.
4) Il lettore ci chiede preoccupato se siamo cambiati davvero (e aggiunge: Se sì, sarebbe ora di chiarimenti). A noi pare che ci sarebbe davvero da essere preoccupati se i redattori di una rivista, per di più anarchica, rispondessero negativamente alla sua domanda, a quasi vent'anni dall'inizio della pubblicazione.
Certo che siamo cambiati. Non solo perché gran parte delle persone che negli anni '70 ed '80 "facevano" la rivista non fanno più parte della redazione (c'è chi si occupa di altre iniziative anarchiche, chi si è ritirato a vita privata, ecc.). Ma anche - e soprattutto - perché consideriamo il cambiamento un valore positivo, non un pericolo da evitare. Non giocate con le parole, potrebbe obiettarci qualcuno, qui non si parla di cambiamento contrapposto ad immobilismo, qui si tratta di continuare ad essere anarchici e fare una rivista anarchica, o diventare qualcos'altro e fare una rivista diversa, per esempio più "soft". Nessun dubbio sulla connotazione anarchica - orgogliosamente anarchica - di "A"/Rivista Anarchica. Ma anarchica come? E qui sta, secondo noi, uno dei problemi di fondo (qualcuno potrebbe dire il problema) dell'essere anarchici oggi, alla soglia del Duemila. Fare i conti con un passato multiforme e magmatico, cercare di capire il presente con occhi disincantati e privi di schematismi, pensare un futuro possibile di libertà. Non sono questioni da poco:certo ci riguardano tutti. E sono questioni che si intersecano, inevitabilmente, con la specifica riflessione che da questo numero noi proponiamo su "A".

Paolo Finzi (della redazione di "A")