Rivista Anarchica Online
Musica & idee
a cura di Marco Pandin (marcpan@tin.it)
Mimi festival '90 Io, che credevo di sfuggire almeno
alle battute finali del campionato mondiale di calcio, immaginavo, e
non senza un'accesa speranza, di trovare riparo intelligente e
psicologicamente rinfrescante al MIMI Festival di quest'anno.
Magra consolazione il non saper niente
dei risultati se non a rientro avvenuto: mi sono ritrovato con un bel
mucchietto di delusioni musicali, di cose non viste e persone non
incontrate, francamente poca cosa avuta in cambio del - salato -
biglietto d'ingresso. E cominciamo subito con le lamentele. Mi sono
sentito un po' spaesato in quest'edizione del Festival, partito come
punto di concentrazione e diffusione delle correnti musicali più
bizzarre e inafferrabili e, a quanto sembra, giunto a diluirsi in una
rassegnetta davvero scialba.
A rischio d'essere offensivi (mi
perdoni, se vuole e se può, Ferdinand Richard, che avrà
di certo avuto le sue ragioni e i suoi problemi), mi è parso
di ritrovarmi "di fronte" a una di quelle imprese da
assessori illuminati, invece che "dentro" alla MIMI
Convention appassionante che ricordavo. Pasticcini musicali e soft
drink sonori si sono dunque spesi a profusione, tanto per
accontentare tutti, o forse per cercare di non scontentare nessuno.
Uno sguardo - meglio, un orecchio -
alle passate stagioni, e una bella insalatona di generi, minoranze
etniche, tecnologie ed urgenze, che nelle passate edizioni si era
saputa trasformare in un mosaico ricco. L'aeroplano che faceva bella
mostra di sé nei manifesti e nei dépliant del Festival
è stato costretto a terra, una volta tanto non per colpa dei
controllori di volo, ma per propria temporanea (speriamo...)
incapacità di volare.
Polemiche a parte, questa edizione ha
tenuto democraticamente conto sia delle vecchie tendenze che delle
nuove, assetate rispettivamente di mostri sacri e nomi
sconosciuti: Tim Hodgkinson e Christian Vander costituivano un'esca
prelibata per la fetta oltre gli -enta, e, in particolar modo per la
moltitudine confluita in occasione del concerto dell'ex-Magma, il
"trucco" ha funzionato alla perfezione.
Non c'è niente di male nel
cercare di richiamare gente a manifestazioni di questo tipo: penso
però sarebbe auspicabile "trattenere" l'audience
invece che " intrattenerla". Percorrere strade, invece che
indicarle frettolosamente. In due parole, proporre e dare vita a un
qualche cosa di speciale.
Come si è detto a proposito
dell'edizione scorsa, lo spostamento della manifestazione sulle rive
dell'Etang des Aulnes invece che tra la polvere dell'Arénes
Coinon, ha potenzialmente restituito all'atmosfera del MIMI un
assoluto fascino naturale.
Indecisa tra la Camargue e la Provenza,
questa zona offre aria buona e abbondanza di spunti: un parco
naturale dove fare passeggiate, birdwatching e girare a cavallo a
prezzi accettabili.
Si mangia bene, cucina francese di
discreto livello e vino di campagna, ma vanno benissimo le baguettes
tagliate approssimativamente a metà e riempite di pomodoro e
formaggio di capra. Fare picnic è sempre eccitante...
Gli occhi mi lacrimano, e spero sia
l'effetto della moutarde: macché, sono gli americani FOREVER
EINSTEIN sbarcati sulle rive della prima serata del Festival (che
mi ostino a scrivere con la maiuscola...) che costruiscono
improbabili strutture oblique con impalcature di seconda mano.
Succede che, per irreale circostanza, ci siano Chris Cutler e Fred
Frith in mezzo al pubblico e due loro ologrammi ritmici sul
palcoscenico.
Succede anche che, forse per la stessa
irreale circostanza, ci sia una parte del pubblico che se ne accorge.
Perplessità. La mucca Enrico è bestia di gran razza, ma
è pericoloso mungerla a oltranza: i tre Einstein alternano
ricottine quasi fresche a straripanti mozzarelle...
Meno male che esiste il
dio-della-pioggia-e-del-brutto-tempo, che evidentemente possiede la
discografia completa degli Henry Cow e certamente non acquisterà
il debut-cd dei tre americani, annunciato per ottobre dalla
Cuneiform. Io ne approfitto per collassare (crisi d'astinenza da
sonno...) e perdere di netto l'esibizione dei MOMES.
I pareri raccolti il giorno seguente
sono discordanti, quindi meglio non tenerne conto. C'è invece
l'album "spiralling" autoprodotto ed edito su label Woof, e
disponibile naturalmente tramite le basi Recommended: è ruvido
e selvatico, e a suo modo affascinante. Forse il "missing link"
tra hardcore punk e sperimentazione extra-colta.
Il giorno dopo è già
arrivato, ed ecco Christian Vander e signora protagonisti di un
concerto difficile. Il mito dei Magma è vivo, e non solo qui
in Francia, e quella degli OFFERING più che un'eredità
sembra una "missione".
Disgraziatamente per me, ai Magma
preferivo i Gong: meno monolitici, più inafferrabili e
psichedelici. Questione di gusti, ancora una volta: grande parte del
pubblico, e non solo quella francese, è stata più che
soddisfatta dell'ex-kobayano. Suggestiva la voce di Stella Vander,
grande trionfo dai sapori sinistramente liturgici, in un crescendo di
cori, organi sintetici e pianoforte suonato a piene mani.
Il dio-della-pioggia-e-del-brutto-tempo (che, ripeto, esiste!), scontento
del bis, se l'è presa con chiunque gli fosse capitato a tiro,
costringendo più d'uno alla caccia al maglione (portato più
per scaramanzia che per premonizione) ed al plaid della macchina. Una
fuga quasi collettiva verso il bar, dove la scelta è tagliata
con l'accetta: il caffè e l'unica cosa calda, oppure ci si dà
alla birra.
La serata naufraga con i BLAST,
olandesi purtroppo non-volanti, new wave e tendencias a dosi
massicce. Ci sarebbe da incazzarsi: con tutti i musicisti validi
lasciati fuori dal MIMI... Dimenticabili, e così infatti
succede. Terzo appuntamento, stavolta
all'insegna dell'innamoramento per la musica etnica. HECTOR ZAZOU
è un musicista francese conosciuto qui da noi per
collaborazioni fortunate: abbondanti Joseph Racaille e la nouvelle
chanson francaise, nonché le scorribande africane in tandem
con Bikaye, per il sassofono di Tazou è ora di "tornare a
casa", al jazz libero. Ma non è finita qui. L'esperimento
di stasera consiste nel sovrapporre (occhio, non "fondere"...) a
reticolati fittissimi di sax e percussioni, le melodie popolari
eseguite da un ensemble vocale di cinque elementi, LES NOUVELLES
POLYPHONIES CORSES.
L'impressione è stata quella di
assistere, contemporaneamente, alla proiezione di due film diversi:
niente di concettualmente rivoluzionario, intendiamoci, ma se non
altro si è trattato di un piatto bizzarro, dopo due serate di
digiuno o indigestione.
Se si pensa che le cose migliori di
questo MIMI 5 sono state offerte dalla wedding band jugoslava di JOVA
STOJILJKOVIC, si ha una discreta misura del mio disorientamento:
musiche da ballo popolare balcanico in una situazione che del festoso
aveva quest'anno davvero ben poco. Eppure, il tutto funzionava! Dire
che il pubblico era in delirio è riduttivo e imbarazzante: i
mugugni di chi aveva macinato centinaia di chilometri per una dose di
Musiques Innovatrices erano inesorabilmente sepolti da melodie
salterine macedoni e da un'agghiacciante lambada in stile levantino.
Temerari, irresponsabili, indimenticabili. In bene e in male. Se
rimane a mezz'aria anche nella serata conclusiva. Gli spagnoli MOISES
MOISES hanno troppe idee e pochi strumenti (eppure conosco gente
che ha scritto pagine di Storia con una chitarra e un'armonica...),
e, tornando all'aeroplano dei manifesti, proprio non decollano. Chiudo questo rapporto sconsolato
dedicando mezzariga a MIA ZABELKA: austriaca, violinista,
probabilmente cantante, sfortunata leader di un ensemble di
pagliacci.
Non ce l'ho fatta: me ne sono andato.
La fine era giunta da giorni, e solo qualcuno se n'era accorto.
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