Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 20 nr. 175
estate 1990


Rivista Anarchica Online

Musica & idee
a cura di Marco Pandin (marcpan@tin.it)

Mimi festival '90

Io, che credevo di sfuggire almeno alle battute finali del campionato mondiale di calcio, immaginavo, e non senza un'accesa speranza, di trovare riparo intelligente e psicologicamente rinfrescante al MIMI Festival di quest'anno.
Magra consolazione il non saper niente dei risultati se non a rientro avvenuto: mi sono ritrovato con un bel mucchietto di delusioni musicali, di cose non viste e persone non incontrate, francamente poca cosa avuta in cambio del - salato - biglietto d'ingresso. E cominciamo subito con le lamentele. Mi sono sentito un po' spaesato in quest'edizione del Festival, partito come punto di concentrazione e diffusione delle correnti musicali più bizzarre e inafferrabili e, a quanto sembra, giunto a diluirsi in una rassegnetta davvero scialba.
A rischio d'essere offensivi (mi perdoni, se vuole e se può, Ferdinand Richard, che avrà di certo avuto le sue ragioni e i suoi problemi), mi è parso di ritrovarmi "di fronte" a una di quelle imprese da assessori illuminati, invece che "dentro" alla MIMI Convention appassionante che ricordavo. Pasticcini musicali e soft drink sonori si sono dunque spesi a profusione, tanto per accontentare tutti, o forse per cercare di non scontentare nessuno.
Uno sguardo - meglio, un orecchio - alle passate stagioni, e una bella insalatona di generi, minoranze etniche, tecnologie ed urgenze, che nelle passate edizioni si era saputa trasformare in un mosaico ricco. L'aeroplano che faceva bella mostra di sé nei manifesti e nei dépliant del Festival è stato costretto a terra, una volta tanto non per colpa dei controllori di volo, ma per propria temporanea (speriamo...) incapacità di volare.
Polemiche a parte, questa edizione ha tenuto democraticamente conto sia delle vecchie tendenze che delle nuove, assetate rispettivamente di mostri sacri e nomi sconosciuti: Tim Hodgkinson e Christian Vander costituivano un'esca prelibata per la fetta oltre gli -enta, e, in particolar modo per la moltitudine confluita in occasione del concerto dell'ex-Magma, il "trucco" ha funzionato alla perfezione.
Non c'è niente di male nel cercare di richiamare gente a manifestazioni di questo tipo: penso però sarebbe auspicabile "trattenere" l'audience invece che " intrattenerla". Percorrere strade, invece che indicarle frettolosamente. In due parole, proporre e dare vita a un qualche cosa di speciale.
Come si è detto a proposito dell'edizione scorsa, lo spostamento della manifestazione sulle rive dell'Etang des Aulnes invece che tra la polvere dell'Arénes Coinon, ha potenzialmente restituito all'atmosfera del MIMI un assoluto fascino naturale.
Indecisa tra la Camargue e la Provenza, questa zona offre aria buona e abbondanza di spunti: un parco naturale dove fare passeggiate, birdwatching e girare a cavallo a prezzi accettabili.
Si mangia bene, cucina francese di discreto livello e vino di campagna, ma vanno benissimo le baguettes tagliate approssimativamente a metà e riempite di pomodoro e formaggio di capra. Fare picnic è sempre eccitante...
Gli occhi mi lacrimano, e spero sia l'effetto della moutarde: macché, sono gli americani FOREVER EINSTEIN sbarcati sulle rive della prima serata del Festival (che mi ostino a scrivere con la maiuscola...) che costruiscono improbabili strutture oblique con impalcature di seconda mano. Succede che, per irreale circostanza, ci siano Chris Cutler e Fred Frith in mezzo al pubblico e due loro ologrammi ritmici sul palcoscenico.
Succede anche che, forse per la stessa irreale circostanza, ci sia una parte del pubblico che se ne accorge. Perplessità. La mucca Enrico è bestia di gran razza, ma è pericoloso mungerla a oltranza: i tre Einstein alternano ricottine quasi fresche a straripanti mozzarelle...
Meno male che esiste il dio-della-pioggia-e-del-brutto-tempo, che evidentemente possiede la discografia completa degli Henry Cow e certamente non acquisterà il debut-cd dei tre americani, annunciato per ottobre dalla Cuneiform. Io ne approfitto per collassare (crisi d'astinenza da sonno...) e perdere di netto l'esibizione dei MOMES.
I pareri raccolti il giorno seguente sono discordanti, quindi meglio non tenerne conto. C'è invece l'album "spiralling" autoprodotto ed edito su label Woof, e disponibile naturalmente tramite le basi Recommended: è ruvido e selvatico, e a suo modo affascinante. Forse il "missing link" tra hardcore punk e sperimentazione extra-colta.
Il giorno dopo è già arrivato, ed ecco Christian Vander e signora protagonisti di un concerto difficile. Il mito dei Magma è vivo, e non solo qui in Francia, e quella degli OFFERING più che un'eredità sembra una "missione".
Disgraziatamente per me, ai Magma preferivo i Gong: meno monolitici, più inafferrabili e psichedelici. Questione di gusti, ancora una volta: grande parte del pubblico, e non solo quella francese, è stata più che soddisfatta dell'ex-kobayano. Suggestiva la voce di Stella Vander, grande trionfo dai sapori sinistramente liturgici, in un crescendo di cori, organi sintetici e pianoforte suonato a piene mani.
Il dio-della-pioggia-e-del-brutto-tempo (che, ripeto, esiste!), scontento del bis, se l'è presa con chiunque gli fosse capitato a tiro, costringendo più d'uno alla caccia al maglione (portato più per scaramanzia che per premonizione) ed al plaid della macchina. Una fuga quasi collettiva verso il bar, dove la scelta è tagliata con l'accetta: il caffè e l'unica cosa calda, oppure ci si dà alla birra.
La serata naufraga con i BLAST, olandesi purtroppo non-volanti, new wave e tendencias a dosi massicce. Ci sarebbe da incazzarsi: con tutti i musicisti validi lasciati fuori dal MIMI... Dimenticabili, e così infatti succede.
Terzo appuntamento, stavolta all'insegna dell'innamoramento per la musica etnica. HECTOR ZAZOU è un musicista francese conosciuto qui da noi per collaborazioni fortunate: abbondanti Joseph Racaille e la nouvelle chanson francaise, nonché le scorribande africane in tandem con Bikaye, per il sassofono di Tazou è ora di "tornare a casa", al jazz libero. Ma non è finita qui. L'esperimento di stasera consiste nel sovrapporre (occhio, non "fondere"...) a reticolati fittissimi di sax e percussioni, le melodie popolari eseguite da un ensemble vocale di cinque elementi, LES NOUVELLES POLYPHONIES CORSES.
L'impressione è stata quella di assistere, contemporaneamente, alla proiezione di due film diversi: niente di concettualmente rivoluzionario, intendiamoci, ma se non altro si è trattato di un piatto bizzarro, dopo due serate di digiuno o indigestione.
Se si pensa che le cose migliori di questo MIMI 5 sono state offerte dalla wedding band jugoslava di JOVA STOJILJKOVIC, si ha una discreta misura del mio disorientamento: musiche da ballo popolare balcanico in una situazione che del festoso aveva quest'anno davvero ben poco. Eppure, il tutto funzionava! Dire che il pubblico era in delirio è riduttivo e imbarazzante: i mugugni di chi aveva macinato centinaia di chilometri per una dose di Musiques Innovatrices erano inesorabilmente sepolti da melodie salterine macedoni e da un'agghiacciante lambada in stile levantino. Temerari, irresponsabili, indimenticabili. In bene e in male. Se rimane a mezz'aria anche nella serata conclusiva. Gli spagnoli MOISES MOISES hanno troppe idee e pochi strumenti (eppure conosco gente che ha scritto pagine di Storia con una chitarra e un'armonica...), e, tornando all'aeroplano dei manifesti, proprio non decollano.
Chiudo questo rapporto sconsolato dedicando mezzariga a MIA ZABELKA: austriaca, violinista, probabilmente cantante, sfortunata leader di un ensemble di pagliacci.
Non ce l'ho fatta: me ne sono andato. La fine era giunta da giorni, e solo qualcuno se n'era accorto.