Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 20 nr. 171
marzo 1990


Rivista Anarchica Online

Il pensiero riunificato
di F. P.

Cosa è cambiato in Cina a qualche mese dalla svolta repressiva di Deng? Cosa è rimasto delle speranze dei giovani cinesi accolte solo dai carri armati del regime? In queste note di viaggio alcune risposte e molti interrogativi

Ripensando, a distanza di un paio di settimane, a questo viaggio nella Cina del dopo Tian An Men, sempre più forte si fa la sensazione che sia stato un percorso attraverso l'apparenza, e che quello che chiamo apparenza sia il risultato da una parte dello sforzo di ricomposizione sociale che il regime ha compiuto e sta compiendo dopo la primavera cinese, e dall'altra della natura stessa di questo mio incontro, il terzo, e il più sofferto, con una Cina sempre diversa dalle nostre rappresentazioni di occidentali estroversi.
Attraverso queste due forme di apparenza, che potremmo definire una oggettiva, l'altra soggettiva, ho avuto in qualche momento l'impressione di aver raggiunto delle "realtà", e sono le parole pericolose ascoltate, dove e quando possibile, dai Cinesi incontrati in viaggio, alcuni persi, altri diventati amici.
Queste parole, e le riflessioni che mi hanno suggerito, sono qui, le più significative, raccolte in questo articolo.

Due Cine a confronto?
Sul treno che da Pechino mi sta portando a Wuhan verifico per la prima volta l'inasprimento dei controlli sui passeggeri. Viaggio in prima classe e nel mio scompartimento c'è una sola persona. Il controllore, assai arrogante, lo interroga sulla sua destinazione, l'unità di lavoro, la durata e i motivi del viaggio e annota tutto su di un registro. Appena il controllore esce domando al mio compagno di viaggio se quella a cui ho appena assistito è una prassi consueta. Prima i controlli non erano così severi è la sua risposta -, ma dopo quanto è avvenuto in giugno...È un giovane tecnico che lavora per la Siemens, lo stipendio non sarebbe male, ma il governo se ne intasca una buona percentuale. Mi dice che il popolo si sente ormai distante dal governo e ritiene che questo non lo rappresenti più, non ha fiducia e si sente umiliato da chi usa il potere a scopi clientelari. I nomi sono Li Peng - all'epoca premier del Consiglio di Stato -, e Yang Shang Kun, a capo di una cosca familiare che controlla l'esercito. Jang Zemin, all'epoca segretario generale del Comitato Centrale del Partito Comunista - mi dice - è stato scelto da Deng Xiao Ping per bilanciare il carattere conservatore dei primi due. Deng Xiao Ping, povero vecchio, sembra non sia più in grado di controllare la situazione che, peraltro, non potrà protrarsi ancora a lungo. È questione di pochi anni e altri rivolgimenti avverranno.
Poi, indicando la copia del Quotidiano del Popolo che ho posato sul tavolino, aggiunge: Quanto ai contenuti di quel giornale, si tratta di solenni sciocchezze cui nessuno più crede. Il popolo cinese ha dimostrato in questa occasione un grande coraggio. I tecnici tedeschi con i quali lavoro mi hanno detto di non aver mai avuto una grande considerazione per noi cinesi, ci stimavano poco, ma dopo quel che è successo quest'anno mi hanno detto di aver cambiato parere.
Non dimenticherò facilmente l'espressione del giovane tecnico quando, dopo qualche fermata, sale un gallonato dell'Armata di Liberazione. Il giovane non parla più, naturalmente, ed io ben mi guardo dal riprendere il discorso. Il milite si sbraca, si mette comodo, e ronfa della grossa. Il giorno dopo il giovane tecnico scende lasciandomi indirizzo e biglietto da visita. Questo è il contenuto della conversazione con il militare, e questi contrasti mi abituerò nei giorni a venire.

Hai trovato delle differenze a Pechino, dall'ultima volta che ci sei stato?

Non grandi differenze, in apparenza, a parte la presenza dei militari a presidiare la piazza e una certa difficoltà a comunicare con gli studenti. Sembra quasi che abbiano paura ad avvicinare un occidentale.

Non è che abbiano paura, ma purtroppo è successo che a causa di una minoranza molti sono stati indotti in errore. Adesso devono riflettere su quel che hanno fatto, rivedere e correggere i loro comportamenti, e studiare coscienziosamente il discorso di Jiang Zemin (1). Ma voi, in Italia, quanto avete potuto capire di quel che è successo?

Sono arrivate molte immagini sugli schermi televisivi, ogni giorno avevamo collegamenti con piazza Tian An Men, e anche la stampa ha dato ampio spazio ai fatti di maggio e giugno.

Ma il governo italiano è stato anch'esso molto duro nel criticare l'operato del nostro governo, questo perché molte false notizie sono state diffuse. Ma la vera versione dei fatti, tu che conosci la nostra lingua, la potrai apprendere dal Quotidiano del Popolo.

Le due Cine a confronto? Direi piuttosto i due estremi di una situazione assai più articolata, ma due estremi non sfumati, o marginali, ma come due cardini sui quali ruota la magmatica realtà cinese. Mi chiedo se un personaggio di questo tipo stesse solo recitando la parte che l'uniforme che indossa gli richiede, o se costituisca invece un esempio di come le tematiche della propaganda ufficiale possano essere ancora interiorizzate, e quindi la base di consenso su cui poggia il regime non sia poi così fragile, così legata a motivi di mera convenienza o rassegnazione, o alla paura di stare con chi è perdente, ma invece l'ideologia del partito ancora funzioni su categorie di persone, categorie sociali o psicologiche.

"Io sono una di loro quindi..."
È difficile rispondere a questo interrogativo, come per altro è arduo pronunciarsi sul grado di coinvolgimento nella protesta che, sul fronte opposto, ha interessato così tante persone.
Avere chiarezza su questi due punti potrebbe esserci d'aiuto nell'avanzar ipotesi su quale potrebbe essere negli anni a venire, il lascito della primavera cinese.
L'affermazione del giovane tecnico, secondo la quale sarebbero imminenti nuovi rivolgimenti, mi ha richiamato alla mente l'analoga affermazione del leader studentesco Wu Er Kaixi, attualmente a Parigi. Che sia una sensazione, una speranza o un timore, in molti è presente l'attesa di un nuovo rivolgimento destinato ad affossare l'attuale classe dirigente.
Dopo l'ascesa e l'apogeo, la dinastia è ormai nella sua fase declinante, questo, in accordo alla tradizionale dinamica cinese del potere, legittima la rivoluzione che ne decreterà la fine. Ma il grande ed ottimo disordine sotto il cielo non è così unanimemente desiderato, non da chi, per esempio, ha avuto dall'era di Deng una dimensione di benessere mai conosciuta in passato.
Rimane da vedere se la pesante crisi economica in cui versa il paese, e i segnali di un aggravamento prossimo, non finiscano per destituire di legittimità gli attuali governanti, ora segnati anche dalla criminosa responsabilità per la strage di giugno. Ma ritroveremo più oltre la tematica della rappresentazione del potere, del potere come vissuto, di come, insomma, oggi si svolge il dramma del rapporto tra suddito e governante nella Cina del dopo Tian An Men.
A Wuhan incontro una studentessa del locale Liceo Artistico. Mi invita a visitare la sua scuola e mi presenta i compagni di classe. Mi chiede cosa ne penso degli studenti cinesi. Rispondo che, in genere, mi piacciono, e le rivolgo la stessa domanda. Mi dice un po' titubante: Io sono una di loro, quindi mi piacciono, ma penso che a volte si sbaglino. A cosa ti riferisci? - le chiedo - ma la conversazione sfuma nello scherzo quando entrano i compagni di classe. Infine mi presenta il professore di disegno - 40 anni circa -, l'espressione amareggiata dell'età della Rivoluzione culturale. È chiaro, inoltre, che economicamente non se la passa bene. La sua opinione è che, comunque stiano le cose, il disordine e l'instabilità non giovano a nessuno. Inoltre, mi dice, su quello che è successo sono state diffuse molte notizie sbagliate. Nella nostra città, per esempio, non ci sono stati i disordini di cui hanno parlato alcuni giornali di Taiwan. Il massimo che è successo, è stata bruciata una macchina.
La riflessione del professore di disegno sul fatto che la instabilità non giovi, non è certo di per sé quel gran che profonda, tuttavia essa è diffusa, e perciò importante e rappresentativa di un modo di pensare maturato specialmente dall'esperienza della Rivoluzione Culturale. A questa senz'altro si pensa ogni qual volta si afferma, con tono di rassegnazione, che l'instabilità non può giovare a nulla, comunque sia.
Questa connessione è per altro incoraggiata dalla propaganda di regime che ha subito inquadrato storicamente la protesta studentesca della Primavera Cinese come un lascito, un residuo delle tendenze negative esplose nel periodo della Rivoluzione Culturale.
Questa analisi, evidentemente impropria e tendenziosa, è di grande utilità nel processo di demonizzazione della protesta studentesca; essa sottrae l'evento alla propria peculiarità di significato e lo inserisce in un contesto storico i cui valori sono già codificati. Quindi: i disordini di Pechino sono un lascito della Rivoluzione Culturale e in rapporto ad essa vanno letti. Questo è un nitido esempio di uso terroristico dello storicismo, pratica ideologica di cui il regime cinese fa ampio uso.
Dai tempi del processo alla "banda dei quattro", la Rivoluzione Culturale è diventata l'esempio negativo da sventolare sotto gli occhi di tutte le nuove generazioni, e certamente non era a questa che facevano riferimento i giovani di piazza Tian An Men e i loro compagni in tutta la Cina, ma per la propaganda di regime e, probabilmente, nella cognizione di milioni di cinesi, essi ne sono i figli ingenui e pericolosi, da correggere e controllare.
La studentessa mi dice che io sono capitalista e loro socialisti, e dunque è ovvio che io non possa capirli. Rispondo che a mio parere, non è un problema di sistemi politici e economici, ma il problema centrale è quello della libertà - in fondo è questo che chiedevano i suoi fratelli maggiori di Pechino e Shangai. Si - mi risponde, elusiva ed infantile -, ma io non sono d'accordo con loro. Poi aggiunge: Ma chissà, quando avrò la loro età forse la penserò anch'io come loro. Sia lei che il suo giovane amico saranno universitari l'anno prossimo. L'incontro con gli studenti più anziani li porrà di fronte alle tematiche che ora vivono distanti, filtrate dalla propaganda, dalla televisione e dalla famiglia. Ogni loro parola esprime incertezza e smarrimento, sono come sospesi nel vuoto che la pianificazione ideologica ha creato attorno a loro.
Il Quotidiano del Popolo dell'8 novembre dedica un articolo proprio a questo problema. Tra l'altro si afferma che gli studenti che passano dalle medie all'università mancano spesso di capacità critica, essendo carenti nello studio del marxismo-leninismo, e sono quindi facili prede delle suggestioni delle correnti di pensiero liberal-borghesi. Il fatto che la "jiaoyu gaige", riforma dell'educazione, si traduca in pratica in un inasprimento del lavoro di propaganda ideologica, con una particolare attenzione ai giovani che si iscrivono per la prima volta all'Università, onde stroncare sul nascere le tendenze negative, e preservare i nuovi arrivati da idee erronee non ancora del tutto estirpate, è evidente sopratutto all'Università di Pechino dove, come vedremo, tutte le matricole devono frequentare un anno di preparazione ideologica presso le scuole militari prima di accedere ai corsi universitari veri e propri.

Propaganda di regime
Cominciano spesso così: Che notizie vi sono arrivate di quello che è successo?. Ma non sai mai come finirà la conversazione. Sono sul battello che collega Wuhan a Shanghai, unico straniero a viaggiare in quarta classe. Non è difficile attirare l'attenzione dei viaggiatori, e il rumore del battello propizia discorsi vietati. È un giovane ingegnere, da poco laureato. Mi dice: Non si può cambiare tutto in una volta. Voi forse non potete capire, in Cina ci sono problemi legati al nostro passato feudale, la libertà che gli studenti chiedono non è una cosa che storicamente ci appartiene, il Confucianesimo l'ha sempre negata, e non la otterremo così d'un colpo. Certo, anch'io la vorrei, ma bisogna procedere gradualmente. Voi in occidente avete seguito con apprensione e commozione la sorte degli studenti cinesi, e questo è comprensibile, ma purtroppo gli studenti, comparati alla totalità della popolazione del nostro paese, sono una piccola parte. Io so, dalla mia esperienza lavorativa a contatto con gli operai, che questi non appoggiano gli studenti, non li approvano quando chiedono miglioramenti economici e una posizione sociale più rispettabile. Essi - gli operai - si considerano e sono considerati emanazioni del partito. Se noi critichiamo il partito, essi si sentono attaccati. E questo vale per tutti i milioni di membri del partito in Cina, ognuno dei quali, a diversi livelli, trae qualche beneficio dall'appartenenza a questo, e nessuno di loro vuole che la situazione cambi. Gli studenti potrebbero fare qualcosa solo se anche altri settori della società appoggiassero le loro richieste. Anche se il movimento studentesco si è espresso in forme massicce in tante altre città, oltre a Pechino, Shanghai, Xian - anche a Wuhan il traffico stradale e ferroviario è rimasto paralizzato per alcuni giorni -, nonostante questo possiamo davvero dire che gli studenti fossero una minoranza. Usa il termine "shaoshu", che avrà letto e sentito chissà quante volte.
È l'espressione usata dalla propaganda di regime, significa appunto "minoranza", ma sta ad indicare quei "pochi" che secondo la versione ufficiale hanno traviato la maggior parte degli studenti, ingenui e in buona fede nella loro ignoranza ideologica che li ha resi vittime dei disegni perversi dei sostenitori dei valori borghesi. È vero - conclude - che noi siamo gli intellettuali, le persone di talento destinate ad occupare i posti chiave nelle future scelte politiche del paese, ma fino a che ne saremo fuori non potremo cambiare nulla con azioni di protesta come quelle della scorsa primavera.
Ma l'idea che gli studenti rappresentino in Cina una classe a parte, cosciente e illuminata, un'oasi di vitalità intellettuale ed ideale nel deserto delle "guanxi" - rapporti clientelari -, della lotta per assicurarsi una qualche parte di privilegio o maggior benessere, anche questa è, a ben guardare, una rappresentazione difettosa della realtà cinese. La sera stessa della mia conversazione con il giovane ingegnere vengo invitato "a forza" nella cabina di un gruppo di cinesi in viaggio di lavoro. L'atmosfera è assai vivace, propiziata dal vino che alcuni di loro hanno bevuto in eccesso. Ma la domanda, comunque, viene fuori e sembra richiamare tutti alla realtà, la "loro" realtà che io - waiguo pengyou, amico straniero - sono chiamato a giudicare. Come hai trovato la Cina dopo quello che è successo a giugno? Molti cinesi guardano oggi all'occidentale come a un fratello maggiore, qualcuno che ha raggiunto già i traguardi verso i quali loro ritengono di camminare a stento, dai quali si sentono lontani. Noi non siamo come voi - mi dicono - non possiamo decidere liberamente di cambiare lavoro, o di espatriare per un viaggio, o di vivere con una persona senza sposarla. Le legge vieta di avere più di un figlio, ma se due persone sposate non hanno figli non sono ben viste dalla comunità. Eppure ziyou - libertà -, questa parola è raro sentirla dalla bocca di un cinese.
Anche l'etimologia la rende vulnerabile ad un uso in senso negativo, esprimendo essa l'idea di "individualità" nel primo carattere. È facile sottolinearne il senso deteriore in una società pianificata dove nessun valore può prescindere dal sociale, da quanto è unito, coerente. Le contraddizioni "buone" - in senso maoista - sono solo quelle false, costruite a bella posta, sapendo in partenza la soluzione.

Il mito dell'occidente
Così la ziyouhua è la tendenza fondamentale da combattere, la "liberalizzazione borghese" è qualcosa che terminologicamente è facile, per chi è vissuto nel mondo pianificato, leggere - a livello subliminale, prima ancora - come connesso ad un pericolo di disgregazione individualistica della società.
Ma tra le diffuse frustrazioni per la precarietà delle condizioni di vita o per le diseguaglianze in campo economico, il problema della libertà sembra farsi strada nelle coscienze, e la brutalità della repressione contro gli studenti - questi figli simbolici della patria, questi "puer" dell'inconscio collettivo - potrebbe aver accresciuto l'insofferenza per tutte le altre forme di repressione che si esprimono attraverso il controllo sociale cui è sottoposto il cinese dalla nascita. L'occidentale che può viaggiare, cambiare lavoro, convivere senza sposarsi, fare tutti i figli che vuole o non farne affatto, è l'immagine mitica dominante di libertà diffusa tra i cinesi. Questo tipo di libertà relativa, libertà dalle direttive del governo, dalle danwei onnipresenti, dai controllori sui treni e dai guardiani alle porte delle Università, è la nuova richiesta o il nuovo sogno di libertà del cinese medio quasi libero dalla fame e dal freddo.
Il mito dell'occidente guadagna terreno sull'ormai corrotta simbolica della propaganda del partito, arriva a colmare il vuoto di simboli e valori che questa lascerà, e questo processo è già assai avanzato.
La realtà più apparente, che pure può essere giusto solo un'altra apparenza, è che la maggior parte dei cinesi stia sognando l'agiatezza e il benessere dell'occidente e a questi dia il nome di libertà. Forse non è esattamente la stessa cosa per cui sono morti gli studenti di piazza Tian An Men. Ma poi - inaspettatamente - uno dei miei ospiti mi chiede: dove sono adesso Wu Er Kai Xi e gli altri leader studenteschi? Certo, se un benessere del tipo di Taiwan, cui spesso nei loro discorsi fanno riferimento i cinesi, fosse sufficiente a soddisfare questa gente senza fornire loro alcuna libertà se non quella di vivere materialmente meglio, la distanza tra loro e i giovani di piazza Tian An Men sarebbe di nuovo enorme.
È importante sottolineare il problema politico della libertà ogni volta che gli organi governativi pongono l'accento su quello economico, ma anche ogni qualvolta qualcuno dice: sì, ma la Cina ne ha fatti di progressi. E a proposito di questo problema voglio osservare come i cinesi che si esprimono a favore del governo e dell'attuale regime sono sempre comunque disposti ad ammettere che in Cina mancano le fondamentali libertà civili, e quando fai loro osservare che il partito unico non consente libertà d'espressione e pluralismo, sorridono, assenzienti ma elusivi, come se in fondo fosse un fatto secondario o inevitabile, come se ci fossero ben altri problemi e questi irrisolvibili senza il Partito Comunista, perché la storia della Cina è stata scritta da questo, da che la Cina è unita e comunista, dai tempi, insomma, della nuova coscienza storica.
Questo atteggiamento è radicato nella mentalità, ed ogni discorso, ogni analisi riguardante il problema della libertà in Cina dovrebbe tenere presente la storia dell'idea e del sentimento di libertà in Cina, le forme politiche da essi assunte e i loro aspetti psicologici. Gli studenti di piazza Tian An Men gridavano "zi you wan sui", viva la libertà, usando quell'espressione di cui si è detto poco sopra. Il liberalismo borghese è propriamente "ziyovzhuyi", quindi il messaggio ideologico dello slogan studentesco era chiaro.
Non era la storica e mitica "Jiefang", liberazione, quella epocale da cui tutto è ricominciato e sulle macerie del mondo feudale è sorta la nuova Cina, ma il nuovo mito, quello del pluralismo e della democrazia, "minzhu" (2). Propriamente una liberalizzazione, e non più un'astratta e retorica "liberazione" sepolta dalle macerie ideologiche assieme a tutto un passato mitico spento ormai in troppe coscienze per ergersi a valore collettivo dell'edificazione della nuova era politica.
Dire che la Cina è paese di contrasti, per una volta potrebbe non apparirmi retorica da agenzia di viaggi.

"Questo non è socialismo"
Sul treno da NanJing a Wuxi, un giovane insegnante, al momento in servizio come guardia ferroviaria, si è prodigato per mostrarmi il volto sicuro della Cina del dopo Tian An Men, riunificata attorno al partito. Non ha senso riportare il contenuto di quella conversazione tanto fedelmente riflette la linea ideologica fondamentale.
Ma il volto dell'opposizione, sdegnato e altrettanto sicuro, mi riappare un'ora dopo nel buio di un autobus e i discorsi vietati sono di nuovo pronunciati, questa volta in inglese, come fosse una lingua per iniziati a salvaguardare la sicurezza de giovane Zhang, impiegato, vestito all'occidentale con gusto, passo veloce e nervoso, sguardo amareggiato. Ora dobbiamo riunificare il pensiero, seguire le direttive del partito, gli insegnamenti di mister Li Peng e mister Deng. Non dobbiamo abbandonarci ad opinioni personali, ma studiare coscienziosamente il discorso di Jiang Zemin e attenerci ai quattro principi (3).
Mi dice questo con un sorriso ironico, ma per essere sicuro di non aver frainteso l'espressione del suo viso, gli domando direttamente se ritiene che questa politica possa giovare al suo paese.
No, assolutamente no - mi risponde - penso che questo atteggiamento porterà la Cina alla rovina totale. Anche da noi, a Wuxi, ci sono state manifestazioni, e non solo gli studenti si sono mobilitati, ma anche i lavoratori. Le mie opinioni sono quelle di tutto il popolo, benché non tutti abbiano il coraggio di esprimerle.
Quali provvedimenti sono stati adottati contro gli studenti, a Wuxi - gli domando - ci sono state esecuzioni capitali?
No, nessuno è stato giustiziato, ma tutti i responsabili studenteschi sono stati costretti a denunciare gli studenti che hanno preso parte alle manifestazioni, e questi sono stati "invitati" a presentarsi negli uffici di polizia. Quattro di loro si sono rifiutati di farlo e sono stati tratti in arresto. In seguito, gli studenti più coinvolti nelle manifestazioni sono stati espulsi dalle Università e molti altri sospesi fino a che non abbiano corretto il loro pensiero, vale a dire ammesso di aver sbagliato e riconosciuto la giustezza della linea del governo.
Qual è la situazione attuale? Ci sono tentativi di riorganizzare clandestinamente delle forme di opposizione?
Attualmente ogni tentativo è destinato a fallire, perché il governo ha un controllo totale dei mezzi di informazione. Durante i giorni della protesta, molti giornali si sono pronunciati a favore degli studenti e delle loro rivendicazioni, ma ora c'è stata una massiccia epurazione ed è stata messa a tacere ogni possibile forma d'espressione del dissenso.
In Cina non c'è libertà di parola. Tutti i giochi politici sono nascosti, non c'è "trasparenza", soprattutto in campo politico. II governo cinese è disposto a concedere libertà di azione economica, ma nessuna libertà politica. Essi sostengono che una forma di democrazia occidentale porterebbe la Cina alla Rovina, non adattandosi alla situazione economica cinese. Menzogne, niente altro che menzogne. Li Peng, Deng, Jiang Zemin, essi ingannano il popolo cinese. La filosofia del partito Comunista Cinese può essere espressa con una sola parola: inganno. Solo così essi possono durare al potere, o non avrebbero un solo giorno di vita.
Credi che Zhao Ziyang abbia ancora possibilità di rientrare sulla scena politica? (4)
È molto poco probabile, attualmente egli è agli arresti, anche se non ufficialmente. Si può dire che sia "illegalmente detenuto". Mister Zhao e mister Hu erano una volta le "menti" politiche di Deng, essi riflettevano le aspirazioni del popolo cinese. Sono stati emarginati perché agivano nel senso di una democratizzazione della società.
E cosa riuscite a sapere di Wu Ek Kai Xi, degli altri dissidenti e di quanto stanno organizzando all'estero ?
Molto poco, perché è rischioso ascoltare le emittenti estere, si può incorrere in provvedimenti penali. Siamo arrivati. Zhang si è offerto di accompagnarmi all'Università per una sistemazione economica per la notte. Mi presenta al responsabile dell'ostello per studenti che fa qualche telefonata nello strano dialetto di Wuxt. Zhang mi sussurra in cinese: Dopo giugno sono diventati molto rigidi nei controlli.
Ma forse per la presentazione di Zhang, o per la politica di apertura verso gli stranieri, o chissà, forse perché sono davvero ospitali, ho la mia camera per la notte e l'indirizzo del mio nuovo amico . Questo non è socialismo..., mi dice, e se ne va nel buio, proprio come un oscura figura di cospiratore.

Il controllo sugli intellettuali
Non è vero, ma non te l'ho voluto dire, caro Zhang, che tutti la pensano come te. Il consenso ha tanti volti diversi, ogni giorno ne incontri uno. Oggi, sulla nave da Shanghai a Quingdao è il volto di un giovane impiegato dell'Agenzia di viaggi Nazionale, anglofono e antipatico. Dovresti parlare solo con chi conosce l'inglese - dice -perché per gli altri è difficile esprimere quello che pensano veramente, anche se tu conosci il cinese. Intende dire che forse fraintendo quando, parlando con me, i suoi connazionali criticano il governo. Che forse mi invento tutto. Ma Wang parla chiaro, è laureato in lingua e letteratura cinese, ma lavora nel campo del commercio. Le riforme all'inizio sono state una scelta politica buona, quando ad ispirarle erano Hu e Zhao, ma ora siamo entrati in una fase di conservatorismo.
Mi ricordo di avere letto, la sera prima, su di un Quotidiano del Popolo un severo articolo di critica alle eccessive libertà dei dirigenti d'azienda nello scegliere i propri collaboratori, scavalcando il partito. Così non va, sentenziava il giornalista, il partito deve avere il controllo totale sulle decisioni delle aziende. Questo è il riflesso in campo economico della svolta autoritaria in corso nel campo politico.
Così non va - dice anche Wang - due sono i problemi fondamentali della nostra società: l'inflazione e la corruzione. E questo è quanto sostengono anche gli organi governativi, con la differenza, non certo secondaria, di non riconoscersi essi stessi quali artefici di entrambe, come invece vengono indicati dai loro oppositori e come venivano denunciati dagli studenti nei giorni della primavera. Che ne penso di Jiang Zemin? - continua il mio interlocutore, e sorride amaro e beffardo - noi lo chiamiamo hua bing (ridicolo, buffone). Egli è irrilevante per peso politico. Yang Shangkun? È il più pericoloso, controlla l'esercito grazie al suo parentado. Ha la stoffa di un despota di età feudale. Mentre mi parla si guarda attorno, siamo sul ponte della nave e spesso altri cinesi si avvicinano a noi incuriositi, allora smette di parlare. Mi dice poi: Sai, è pericoloso per me esprimere queste opinioni, se qualcuno dovesse venirle a sapere... Oggi è così, il controllo sugli intellettuali è severo, ogni libertà d'espressione ci è negata...
Libertà! In Cina si usa l'espressione "zichanjieji ziyouhua", liberalizzazione borghese, i giornali non dicono mai "libertà", ma usano questa espressione, ma cosa voglia dire veramente io ancora non l'ho capito.
Ma il discorso di Jiang Zemin che dovete studiare con impegno e attenzione, non ti ha aiutato a capirlo?.
Non l'ho letto! Chiedo scusa al signor Jiang, ma proprio non l'ho letto, i miei compagni l'avranno fatto, ma io no!.
È uno scrittore di 35 anni che pubblica i suoi racconti sulle riviste di letteratura, è desideroso di far conoscere le sue opere all'estero, mi regala un numero di Beifang Wenxue in cui appare un suo racconto. Mi dice : Jiang Zemin o chi per lui non devono venirmi a dire cosa devo fare. So da me come e cosa scrivere. Io, come vedi, non ho paura ad esprimere le mie opinioni né a farmi vedere mentre parlo ad un occidentale.
È vero, non mi sorprende tanto il contenuto delle sue opinioni, quanto il fatto che le esprima ad alta voce, in cinese, camminando per strada e addirittura all'interno dell'Università di Pechino, la culla della rivolta.
La nostra Università è stata la più colpita dalla repressione, perché la più attiva nella protesta. Le matricole della nostra Università, e solo loro, dovranno frequentare un anno di rieducazione politica nelle scuole militari. Questa esperienza, anche se potrà essere loro utile per sperimentare le durezze della vita a cui non sono abituati, sarà tuttavia negativa per la loro libertà di pensiero. Nessuno di loro, naturalmente, vi partecipa volentieri, è umiliante per giovani che si sono iscritti alla più prestigiosa Università di tutta la Cina.
Il governo sostiene che la Cina non è pronta per una liberalizzazione politica in senso occidentale, tu sei d'accordo? È una risposta sofferta. Sì, purtroppo è così.
E perché? È per la situazione economica, perché la gente non è pronta, o è perché il governo vuole che le cose stiano così?
Tutte e tre le ragioni giocano la loro parte. La mentalità della gente è ancora chiusa, sai, fuori da Pechino nessuno sapeva cosa stesse accadendo veramente in piazza Tian An Men. Ci scrivevano dicendoci di essere contenti che l'esercito fosse entrato nella piazza... Quanto al governo, ben lo conosciamo ormai. E la situazione economica è tale da impedire che la gente progredisca culturalmente, questo perché il sistema socialista vuole attenersi a principi teorici che oramai non hanno riscontro, né possibilità di applicarsi nella realtà. Io concordo con Gorbaciov quando dice: "perché mai il capitalismo non è tramontato come Marx sosteneva dovesse accadere? Perché ha saputo riformarsi in tempo". Noi oggi dobbiamo attenerci ai quattro principi, ma il più importante di questi è quello che recita: "Perseverare nella leadership del Partito Comunista". Io credo che in occidente sia veramente il popolo a decidere il corso degli eventi socio-economici, mentre da noi questo è un principio astratto che non trova riscontro nella realtà. Tuttavia, oggi in Cina molte persone guardano con speranza e ammirazione ai paesi occidentali senza sapere nulla di quello che veramente è l'occidente.
Guardano alla libertà dell'occidente e non si rendono conto di quanto differente sia la nostra realtà, di quanto sia arduo pensare di coniugarla con la libertà dei paesi occidentali.
Tuttavia, l'impressione che ho avuto io - mi permetto di osservare - è che la richiesta di libertà degli studenti di piazza Tian An Men andasse al di là dell'ammirazione per un occidente mai vissuto, ma si esprimesse come richiesta di un valore universale, tale da meritare il sacrificio delle proprie vite. - mi risponde -, sono d'accordo, così va inteso, d'altronde, il bisogno di libertà, come un bisogno proprio di tutto il genere umano".
In un primo momento ho avuto l'impressione di averlo tirato per i capelli ad una conclusione di questo tipo, così astratta e idealistica, ma in fondo credo che in lui convivano e si esprimano con uguale vivacità le due anime cinesi, quella terrena, che lo muove ad una pessimistica - ma realistica - visione della situazione in corso, e quella celeste, che lo spinge ad idealizzare una cultura libera dalla noiosa stupidità dei giornali e dei programmi televisivi. Mi dice: Se chi non legge giornali né ascolta la televisione è un incolto, ebbene io sono un incolto. Però libri sì, quelli li leggo.

Quale repressione
Lo scrittore, del quale sarei ben presto diventato amico, è stato il mio primo incontro significativo a Pechino, e proprio il primo giorno che ho preso alloggio nell'ostello all'interno dell'Università di Pechino, culla dei più importanti movimenti politici dall'inizio del secolo ad oggi, e cuore della protesta della scorsa primavera. I cinesi la chiamano Beida, e così anche noi, da qui in avanti.
Ho raccontato di questo mio incontro ad alcuni amici europei che risiedono da lungo tempo a Beida e che si trovavano qui anche nei giorni della protesta studentesca. Qualcuno sostiene che la repressione non sia per nulla condotta con efficacia, che manchi di fatto coordinamento tra le autorità delle varie città, e che il fatto che un movimento così vasto sia stato sedato in così breve tempo sia dovuto al gran numero di arresti effettuati, al "terrore" e alla delazione che in Cina funziona come valore sociale. Se questa tesi è vera è possibile che all'interno del territorio cinese siano rimasti personaggi significativi e potenzialmente pericolosi per il regime che, pur non avendo avuto ruoli di primo piano nei giorni della Primavera, dispongono della capacità e della volontà per crear forme di dissenso ed opposizione una volta che sia caduta la tensione repressiva.
Di fatto, talvolta la macchina repressiva sembra dar segni di ingenuità. Mi dicono che a Beida è ostacolata pesantemente ogni forma di attività collettiva che coinvolga assieme occidentali e cinesi, ma pochi chilometri più in là, all'Università del Popolo, le stesse attività sono permesse, o addirittura "benvenute". Ciò significa che se Beida rischia di estinguersi nella sua funzione storico-simbolica di crogiuolo della rivolta, la realtà dell'opposizione potrebbe trovare spazio e respiro altrove, sempre che la realtà possa - questa volta - sopravvivere al simbolo.
Ma la repressione che non conosciamo deve svolgersi ad altri livelli, e probabilmente è mirata sull'individuo, con provvedimenti che tendono a colpevolizzare e ad isolare il singolo studente politicamente impegnato, a spezzare l'unità di intenti di quei giorni che, se pur, presumibilmente , tra maggior differenze di quanto non si sia portati ad immaginare, si era con concretizzata nell'identificazione di un nemico comune. Ma attenzione, anche questa volta, a non semplificare: questo movimento di ventenni che dava dello hutu (rimbambito) a Deng, dei corrotti a Li Peng e Yang Shangkun, che non risparmiava neppure Zhao Ziyang, questo movimento tuttavia chiedeva ai dissacrati padri e zii della nazione un gesto di riconciliazione, un riconoscimento, un dialogo davanti a tutto il popolo, in cui si ammettesse che non erano sovversivi ad occupare il cuore del paese, ma giovani decisi a sacrificarsi per il bene della patria.
Questo gesto non è arrivato, se non nel guanto d'acciaio dei carri armati della famiglia Yang. Oltre al sangue e alla paura, la mortificazione ha preso il posto dell'entusiasmo, il senso di solitudine ha sostituito l'esaltazione collettiva dettata dall'illusione di essere fatalmente il cuore di un unità di genti e di classi diverse, ma solidali, depositari delle sorti della nuova "nuova Cina".
La mortificazione ha prodotto rassegnazione ed ha agito con più forza di ogni tipo di repressione. Torture ed esecuzioni sono possibili, ma non provate. Forse non sono necessarie. Questa vita quotidiana fatta di mense buie e sporche, di lezioni banali e dottrinarie, auto-critiche indotte e libri stranieri che non si trovano mai, giorni che verranno e che saranno come altri hanno deciso debbano essere, tutto questo basta per convincersi d'aver perso - almeno per un po'- e, almeno per un po', di non aver speranze.

"Sembrava dormisse"
Così, scoprire che la propria rivoluzione non è quella "desiderio di tutti gli uomini" (5), giusta e trionfante contro l'ultima declinante dinastia, ma una volgare sommossa di sprovveduti studentelli ideologicamente incolti e quindi in balìa di perversi politicamente controrivoluzionari, scoprire di non essere con Tong e Wu, "in accordo con l'ordine del cielo", ma solo vittime del lascito dell'infausta Wenhua da geming (Rivoluzione culturale) summa di tutti i mali sociali nell'immaginario del cinese contemporaneo, questo improvviso tragico mutamento nella rappresentazione di sé stessi, in quale abisso di scoramento può aver precipitato questi ragazzi? Proprio alla luce della rappresentazione del potere e del rapporto tra suddito e governante del cinese vanno letti, a mio avviso, i meccanismi della repressione, così come tutta la complessa fenomenologia della Primavera Cinese, del suo triste esito e di questi giorni che non sappiamo a cosa preludano.
Non avevo mai visto scene così, tutti quei soldati, e i carri armati... Io lavoro già da un anno, ma se fossi stata ancora una studentessa sarei stata con loro. Tuttavia anche la nostra ditta ha scioperato per alcuni giorni. Ricordo che un giorno io ero rimasta in ufficio e il nostro direttore mi ha mandato in piazza per cercare il persuadere gli altri a tornare al lavoro, ma quando sono arrivata là mi sono unita a loro e al telefono ho detto al direttore: "guardi qui non c'è modo di persuadere nessuno". E ricordo che tutti gridavano "abbasso Deng", "abbasso Li Peng". Ma adesso hanno tutti paura, nessuno di noi si immaginava che il governo avrebbe usato le armi contro giovani innocenti che avanzavano richieste legittime, e ancora non sappiamo farci una ragione del fatto che non abbiano usato idranti, o lacrimogeni, ma abbiano sparato selvaggiamente sugli studenti. Eppure una risposta c'è. Il massacro era voluto per giochi politici tra correnti del partito. Colpendo così duramente i giovani dimostranti si è voluto colpire una corrente del partito avversa a quella oggi al potere. Sai, durante il periodo degli scontri sono stata in un ospedale, ho visto anch'io dei morti. Una ragazza con un foro nel petto, sembrava dormisse, non fosse stato per quel foro. E un giovane con tutte e due le gambe tranciate (...) Sai, questo movimento a Pechino e in tante altre città è stato un fenomeno complesso, in cui hanno giocato diversi fattori, è difficile da capire, anche per noi. (...)

Salotti letterari e frivolezze
Che parli con la voce rotta dalla commozione, al sicuro nella mia camera, o quasi sussurrando al tavolo di un bar, riconosco l'amica di quattro anni fa, ma non saprei dire, e forse non capirò mai, quanto mutata dall'esperienza di cui mi parla.
Mi dice ancora: Oggi molti intellettuali lasciano la Cina o fanno di tutto per non tornarci quando riescono ad uscirne. Questo è un fatto negativo.
Ricordo le sue lettere, quando mi parlava del suo paese e quanto lo amasse - mi sembrava che cercasse di convincere sé stessa -, penso ai giovani di Tian An Men e a quel loro morire sacrificale per la nazione, penso a chi vuole andarsene per sogni di libertà e benessere, penso a Liu Shaobo, denigratore dichiarato della patria e della cultura nazionale, accusato perciò di maiguozhuyi (Tradimento della patria), ma in prigione per aver partecipato allo sciopero della fame assieme ai giovani patrioti. Penso alla diversità, che sembra la vera ragion d'essere di questo movimento di coscienze, contro la pretesa dispotica alla tuanjie sixiang (riunificazione del pensiero) in nome della stabilità e del benessere relativo.
La mia amica non ha perso tempo nel parlarmi dei fatti della Primavera, quasi mi fosse dovuto, o come se tutto il resto fosse diventato secondario. Poi la tensione diminuisce, il discorso sfuma in altri toni e su altri argomenti. Mi dice: Non mi piace lo stile di Lu Xun, perché non è né volgare né letterario, ma i suoi contenuti sono assai profondi, e mi piacciono le sue idee. Era un uomo coraggioso, un intellettuale che se fosse vivo adesso non avrebbe paura a parlare, e ne avrebbe da dire contro questi individui che ci governano. Ma oggi, non so perché, di personaggi così ce ne sono pochi, troppo pochi.
Un giovane critico, amico dello scrittore, mi dice:
Oggi, in campo letterario, c'è troppo divario tra il nostro paese e l'occidente. E perché questo? Per limiti politici ed economici. Ma soprattutto politici. La cultura letteraria cinese non riesce ad esprimersi perché non le è permesso di esprimersi liberamente. Oggi una grande quantità di energia intellettuale è sprecata nelle cosiddette zhengzhi xuexi (lezioni ideologiche).
È un'attività imposta dall'alto che attraversa tutti gli strati della società e i cui effetti negativi possono essere paragonati a quelli derivati dalla Rivoluzione Culturale, quando, allora come adesso, vi fu un inasprimento dell'indottrinamento politico e una chiusura verso tutto quanto non fosse parte del Marxismo-Leninismo. Il risultato fu un inaridimento culturale di cui ancora oggi paghiamo le conseguenze.
Per esempio, proprio nel campo delle traduzioni letterarie e filosofiche da lingue straniere, manca a noi cinesi una tradizione che ci consenta di raggiungere risultati soddisfacenti tranne che in rari casi. Quanto sta avvenendo oggi, con il dispendio di energie nello studio della politica e, in particolare, delle idee politiche dei nostri leader, rischia di rallentare ulteriormente il processo di recupero culturale del nostro paese rispetto ai paesi occidentali. Oggi il "politico" è al centro della vita culturale cinese, è ciò verso cui deve essere finalizzata ogni attività culturale. Anziché essere solo uno strumento - come dovrebbe essere - è lo scopo, imposto dall'alto, della nostra vita, in ogni campo.
Un giorno la mia amica cinese mi invita ad una specie di salotto letterario. Sono presenti giovani poeti e romanzieri. In una stanza separata alcuni giornalisti di riviste letterarie e non. Questa sarebbe stata la mia prima delusione, poiché mi aspettavo che l'incontro fosse stato organizzato spontaneamente dai giovani intellettuali e costituisse quindi un'occasione culturale al di fuori dagli schemi istituzionali. La presenza di rappresentanti di riviste e giornali ufficiali poneva invece dei forti limiti alle possibilità che la discussione si svolgesse liberamente. La seconda delusione è stata la mancanza di un qualunque discorso che sottendesse un minimo di tensione intellettuale. La frivolezza di questi giovani poeti di belle speranze e dei loro pigmalioni della stampa mi ha fatto così ripensare alle parole della amica a proposito di Lu Xun e anche al problema dei limiti politici di cui mi parlava il giovane critico.
Questi limiti non sono solo la censura, l'intimidazione, l'indottrinamento, ma anche l'invadenza paternalistica del giornalista a caccia di scoperte letterarie e l'ambizione del giovane arrampicatore culturale che preferisce l'atmosfera istituzionale e salottiera (dove pure gli è concesso di sibilare qualche sagacità contro il vice-sindaco di Pechino) che gli garantisca una poesia ogni tanto su di una rivista letteraria, a spazi autonomi di incontro e discussione che gli consentano di infrangere questi "limiti", che sono poi la violenza e la banalità della presenza istituzionale, sempre assillante, ma sempre in una camera separata.

Rivolta e libertà
Oggi li vediamo passare con le scodelle del riso in mano, silenziosi, quasi tranquilli, quasi come se nulla fosse successo, e ci chiediamo come è stato possibile che tutto si sia estinto così, in pochi mesi, ma addirittura, mi dice chi c'era in quei giorni: tre giorni dopo era tutto finito. Altri mi hanno detto: Stanno aspettando, aspettano il momento buono e poi ricominceranno. Oppure: Manca un segnale dall'alto, manca la capacità di un programma politico a lungo termine. Ma gli studenti cinesi non sono le marionette per le solite nostre rappresentazioni della Cina favolosa. Ed è vero quanto tutti sostengono, cinesi ed occidentali, ovvero che, anche questa volta, il movimento non è stato scevro da contaminazioni con correnti del partito, che ancora abbiamo assistito al turpe gioco dell'uso strumentale di giovani vite per contese di potere.
Ma è anche vero che la spontaneità - ovvero l'autonomia di pensiero e di azione dalle direttive del potere - si è espressa questa volta nella forma dominante della critica radicale alla politica del Partito Comunista e della domanda di quanto tale politica ha sempre negato, di quanto ne rappresenta quindi la negazione, ovvero la "libertà", intesa nel senso liberale del termine, come pluralismo e democrazia.
Questi valori, certamente ispirati da personalità intellettuali di rilievo quali il fisico Fang Lizhi o il critico letterario Liu Shaoho, o ancora lo scrittore in esilio Hu Ping, sembrano tuttavia emergere da un passato storico non remoto, quello di Sun Yat Sen e di Lu Xun. Sembrano tornare per ridare senso all'altro valore fondamentale, conteso alla retorica del potere, il sentimento nazionale, valore matrice, nel bene e nel male, dello spirito di riscossa dei paesi del terzo mondo, all'inizio del nostro secolo. Questi valori hanno agito, nei giorni della primavera cinese, con un'intensità spirituale tale da renderne arduo l'accostamento con le loro opache espressioni nel mondo occidentale moderno, sono stati in qualche modo trasmutati dalla sentimentalità cinese nella forma di un sacrificio collettivo, una ricerca della sofferenza per fame e sete che leggerei anche, su di un piano psicologico, come una spinta ad un riscatto esistenziale dalla vuotezza della quotidianità svilita dalla ideologia e una affermazione di una propria dimensione eroica, nuova e altra dalla mitologia della Lunga Marcia, dai valori dei "rivoluzionari della vecchia generazione", dei padri inariditi della nazione.
Questo meccanismo costituisce la componente di originalità e spontaneità, e forse è quanto è sfuggito al controllo di chi, dall'interno delle istituzioni, intendeva guidare per propri fini il fenomeno, o anche di quegli intellettuali che costituivano all'inizio il punto di riferimento per gli studenti.
Questa spinta sacrificale e il suo contenuto psicologico credo non vadano sottovalutati e non spieghino solo le dimensioni e la forza del movimento nei giorni della sua pienezza, ma anche, in parte, le ragioni del suo rapido declino, e questi giorni di adesso, quando nessuno parla e il grigiore cinese è tornato ad offendere la sensibilità dell'occidentale che, come di consueto, poco sa e ancor meno capisce. Il rapporto col padre è, come sempre, ambivalente.
Ieri era odio, oggi certo non è amore, ma sopportazione di chi comunque è più forte, e questa forza, in fondo, gli attribuisce una qualche ragione. Questo padre che non ammette altro culto al di fuori di quello che costituisce la sua ragion d'essere, ritorna con la forza nella legittimità del suo ruolo di potere.
Forse non è tempo ancora per il declino della dinastia e quindi non resta che aspettare. Questo può essere il ragionamento che ferma gli studenti, l'attesa può essere accettazione e nel contempo strategia politica. Può voler dire, come mi è stato detto, questo governo non può durare, è questione di pochi anni oppure il disordine non giova a nessuno. Può voler dire hanno vinto loro, non c'è niente da fare oppure aspettiamo il momento buono, un segnale, un leader e poi ricominciamo.
Insomma, se il giovane cinese di Beida oggi è rimasto solo, abbandonato da chi lo appoggiava all'interno delle istituzioni, ha visto crollare il sogno di una rifondazione dei valori della società, chiudersi gli spazi di confronto con i suoi compagni, con i lavoratori del suo paese e con gli stranieri, se la festa è finita e ricomincia la dura vita di esami che sembrano infiniti, il grigiore di quel suo camminare d'automa con la ciotola del riso in mano è tuttavia un segnale, anche se di difficile interpretazione per noi occidentali. Come reagirà, come potrà e vorrà reagire lo studente cinese a quell'assillante continuo crimine contro la sua intelligenza perpetrato dal Quotidiano del Popolo, dalle lezioni ideologiche, dalle menzogne che, secondo le parole del giovane Zhang di Wuxi, costituiscono la filosofia politica del PCC?
Certo la risposta a queste domande non risiede nelle nostre speranze di occidentali, nel nostro fastidio nel vederli così piegati, ricordando come sono stati per una breve stagione.
La risposta la troveremo solo nella differenza che restituisce ad una propria realtà il fenomeno della Primavera cinese e il suo seguito e li strappa alle nostre erronee rappresentazioni. Tu sei occidentale, non puoi capire. Chi non si è sentito apostrofare in questo modo, parlando con i cinesi? Ed è vero.
Che questo vostro essere diversi, nel bene e nel male, nel mondo pianificato, non vi conduca alla rovina, ma sia la sostanza della vostra riscossa.



1) Il discorso pronunciato da Jiang Zemin, all'epoca segretario generale del Comitato Centrale, in occasione del 40° anniversario della Liberazione, è stato assunto a cardine della propaganda di regime contro le tendenze liberal-borghesi.

2) Per prendere le distanze, anche linguisticamente, dalla propaganda di regime che pure fa ampio uso del termine "minshu", democrazia, gli studenti ne hanno adottato un altro, "de", utilizzando il carattere che indica la virtù nella tradizione filosofica cinese, e che foneticamente riprende la prima sillaba del termine inglese "democracy".

3) I quattro principi sono:
1. Persistere sulla via del socialismo.
2. Persistere nella dittatura del proletariato.
3. Persistere nella leadership del partito comunista.
4. Tener fede al marxismo-leninismo e al pensiero di Mao Zedong.

4) Accusato di gravi responsabilità nei disordini della primavera e perciò destituito da ogni carica politica, Zhao Ziyang deteneva il posto di segretario generale del Comitato Centrale, poi affidato a Jiang Zemin. In lui e in Hu Yaobang - già allontanato dalla scena politica prima del decesso avvenuto lo scorso aprile - sono indicati gli artefici della politica di riforme portata avanti da Deng Xiaoping.

5) Yi Jing. "Le rivoluzioni guidate da Tong e Wu erano in accordo con l'ordine del cielo, e rispondevano al desiderio degli uomini".