Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 18 nr. 159
novembre 1988


Rivista Anarchica Online

"C'è un giovane alla questura, sembra intelligente..."
a cura della Redazione

Sullo scorso numero abbiamo riprodotto uno stralcio relativo al '68. Questa volta, dal libro/intervista "Licia Pinelli. Una storia quasi soltanto mia" di Piero Scaramucci (A. Mondadori Editore, Milano 1982), stralciamo le pagine relative alle reazioni alla notizia della morte del commissario Calabresi, alle ipotesi sulla morte di Pinelli ed altro ancora.


Piero – Quando hai saputo che avevano ucciso Calabresi?

Licia – Stavo andando a lavorare, ero in piazza San Babila che aspettavo l'autobus O, oggi è la 61. Si vedeva un assembramento molto vasto in corso Venezia, dava l'idea di qualcosa di ordinato, dovevano essere dei poliziotti. Poi alla fermata dell'autobus hanno cominciato a circolare delle voci: hanno ammazzato uno, sembra che...hanno ammazzato Calabresi. In quel momento è arrivato l'autobus: sono salita per forza d'inerzia perché mi sentivo svenire, devo essere diventata così pallida che le persone che erano già a bordo mi hanno guardata incuriosite. Sono andata in Istituto ma non me la sentivo di rimanere, volevo sapere, finché uno dei colleghi mi ha detto: "Hai sentito la radio? Hanno ammazzato Calabresi".
Poi hanno cominciato a telefonare in Istituto i giornalisti.

Piero – Non ti sei sentita in un certo senso vendicata?

Licia – Io mi sono sentita derubata. Perché a quel punto ho avuto la sensazione che il processo era finito. Ma questo in un secondo tempo, quando è venuta fuori la mia parte razionale. Sul momento è stato l'orrore di questa uccisione e poi la paura. Ho avuto paura, ero stravolta, io e le figlie.

Piero – Paura di che cosa?

Licia – Una paura irrazionale, non ci volevo credere, non volevo saperlo. Non volevo affrontare questa nuova cosa. E poi sono ricominciate le telefonate anonime, e anche qualche lettera anonima, meno che dopo la morte di Pino, ma con gli stessi insulti. Delle telefonate ci siamo liberate subito, con cattiveria. Telefonavano insolenze, oppure dicevano: "Visto che cosa è successo? è colpa sua...". Allora li mandavo all'inferno, secondo l'impulso del momento, ma sempre aggressivamente, velenosa, una seconda volta non telefonavano più. E poi sono arrivate lettere, cartoline, non so dirti cosa c'era scritto perché se non sono firmate non le leggo.
E le voci: mia suocera era dal parrucchiere e sente una signora che dice: "Hanno ammazzato Calabresi e sembra che la vedova Pinelli guidasse la macchina!". Pensare che proprio quel giorno, 17 maggio 1972, doveva esserci a Palazzo Reale la presentazione del quadro di Baj, Pino che precipita dalla finestra della questura...

Piero – Pino ti aveva detto di aver conosciuto Calabresi?

Licia – Una volta me ne aveva parlato, diceva:" C'è un giovane alla questura, mi sembra intelligente...", ma solo così.

Piero – E delle minacce che gli avevano fatto Calabresi e Allegra?

Licia – Non mi pare che l'abbia detto a me, sicuramente ai suoi amici. Ma posso sbagliarmi, comunque ricordo la frase che gli fu detta:" Noi possiamo metterti dentro anche se attraversi la strada col rosso".

Piero – Era stato fermato qualche volta?

Licia – Che sappia io no, una volta ha avuto un processo in pretura per una manifestazione alla quale non c'era perché era in servizio, e basta...fermato no, a meno che non lo invitassero cortesemente come l'ultima volta. Comunque da casa non è mai mancato.

Piero – È stato durante questi cortesi inviti che è nata quella specie di amicizia tra Pino e Calabresi?

Licia – Era stato Calabresi, si vede che voleva stabilire un rapporto, aveva regalato a Pino Mille Milioni di uomini di Enrico Emanuelli. Chissà dove è finito, volevamo restituirlo, ma poi non so che fine abbia fatto. La vedova di Emanuelli mi ha mandato altri due libri, dicendomi che suo marito era antifascista e non era dalla parte del potere, con una bella lettera. Forse aveva vissuto il fatto di quel regalo come un insulto, non lo so. Ma tutto questo dopo. Allora Pino aveva ricambiato Calabresi con una copia dell'Antologia di Spoon River.

Piero – Non ti era sembrato un gesto un po' strano questo regalo a un poliziotto?

Licia – Forse perché lo considerava una persona intelligente, cosa vuoi che ti dica. Per elevargli la cultura. Se parli con una persona ti viene da dire: io sto leggendo questo, tu non lo conosci, te lo faccio conoscere. Perché ogni tanto Pino riprendeva in mano Spoon River e se lo rileggeva.

Lo indica in uno scaffale sopra la sua testa, tra alcune guide turistiche. Subito sotto c'è la riga grigia dei romanzi di un club per lettori e più sotto la collezione rilegata di "Crimen" anni '40 e '50. In uno scaffale alto, irraggiungibile, riconosco La strage di stato, Le bombe di Milano, Pinelli, Il silenzio di stato e le altre letture di quegli anni.
Spoon River invece è lì a portata di mano.

Piero – Ha proprio attraversato tutta la vostra vita, vero?

Licia – Sempre, sempre. Pensa, la prima volta me lo hanno regalato che avevo quindici anni, e man mano che me ne regalavano una copia io regalavo quella vecchia. Ora la copia che ho me l'ha regalata una mia amica d'infanzia: lei ha voluto la mia che era in italiano e me ne ha data una con il testo inglese a fronte.

Piero – Allora sei tu che l'hai fatto conoscere a Pino?

Licia – Sì, quando eravamo ancora fidanzati, poi non se n'è più separato. Rileggeva qualche poesia e ci faceva i suoi commenti su dei bigliettini, ormai per ogni pagina c'erano bigliettini, segnetti: due puntini volevano dire una cosa, tre puntini un'altra cosa. In definitiva anche se lo leggi tutto non è che lo esaurisci, c'è dentro la storia di un paese e ogni volta può rispondere a una tua domanda: un libro di poesie serve a questo.

Piero – Ti chiedevo se non ti era sembrato strano quel regalo, perché in quegli anni non usava trattare con i poliziotti.

Licia – La differenza tra me e Pino era questa: per me il poliziotto era il diverso che non volevo neppure mettesse un piede a casa mia, e per lui invece era un uomo. Io sono sempre stata così mentre lui è sempre stato all'altro modo. Cioè lui dava a tutti la possibilità di esprimersi perché in tutti vedeva del buono.

Piero – Arrivava a fidarsi?

Licia – Non credo. Era pieno di entusiasmi ma non era uno sprovveduto.

Piero – E di Calabresi può essersi fidato?

Licia – Diceva:" È giovane, è intelligente, ci si può parlare", per quel poco che ricordo, "ma è sempre un poliziotto".

Piero – La vedova di Calabresi l'hai mai sentita?

Licia – Mai, né sentita né vista.

Piero – Non ti è mai venuto in mente di andarla a trovare?

Licia – Perché? Il mio è un mondo e il loro un altro. Non siamo sullo stesso pianeta.

Piero - Questa morte non ha creato un legame tra voi? Queste due morti...

Licia – Per quale motivo? Non è che la morte dell'uno risarcisca quella dell'altro. Per quale motivo un legame?

Piero – Ti sei sentita in qualche modo responsabile?

Licia – No, assolutamente. Io ho denunciato delle persone alla magistratura, non ho pensato né a faide né alla legge del taglione. Ho seguito le vie legali. Io mi sono sentita defraudata, io non volevo che morisse, volevo che il processo continuasse e venisse a galla la verità, invece con quella morte il processo sarebbe finito così, e qualsiasi altra cosa sarebbe finita.
È molto difficile da esprimere: io parlo di giustizia e si intende sempre la giustizia del tribunale. Benissimo, la vuoi ottenere anche dai tribunali, perché sono la dimostrazione del potere, e se riesci è una vittoria. Ma non basta, la questione della giustizia per me è una cosa più ampia: una persona che uccide deve essere allontanata dalla società, ma non messa in galera o giustiziata. L'ostracismo degli amici, dei parenti, dei conoscenti è una punizione sufficiente. Capisci ora cosa intendo per giustizia, una cosa molto elementare.

Piero – In questo senso avere giustizia è che tutti sappiano la verità.

Licia – Sì, avere giustizia è che tutti sappiano la verità. Non il mettere una persona in prigione, per me le prigioni non dovrebbero neppure esistere, non è quella la maniera di far capire gli errori. La prigione non fa capire nulla a nessuno, lo si vede anche oggi, no? Serve ad abbruttire l'individuo, asservirlo al più forte, annullare la personalità specialmente dei più deboli, a umiliare. Angelo della Savia mi diceva che quando entra uno nuovo tutti si voltano a guardarlo, specie se è molto giovane, come se una ragazza entrasse in una caserma. Tutto questo non c'entra con la giustizia. Sarà utopia. Io davo dell'utopico a Pino, sono forse più utopica di lui. Per questo concetto di giustizia.
Sai, non è che tu ti rivolti solo per amore. Se ami molto, se è solo amore, rimani schiacciato dal dolore. Reagisci se cercano di calpestarti, umiliarti, renderti zero, reagisci per una questione di giustizia, non reagisci solo per amore.
Io mi sono sposata a ventisette anni. Ci siamo sposati tutti e due a ventisette anni e quando mi dicevano: "Ma come mai tu non ti sposi?" rispondevo: "Sai, veramente io vorrei trovare uno che sia un amante, un compagno, un amico". Mi dicevano: "Non lo troverai mai". Poi quando l'ho trovato, dopo quattordici anni finisce tutto cosi.