Rivista Anarchica Online
Quel registro assurdo
di Agostino Manni
"Ad essere sincero, quando ho
proposto questa faccenda, non pensavo che sarebbe stata una così
gran fatica: c'è da perderci la salute, a star dietro a questi
'balordi'. Però sono contento". Prosegue, con questa terza "cronaca
dall'interno" del carcere militare di Santa Maria Capua Vetere
(Caserta), il racconto dell'esperienza che Agostino Manni, obiettore
totale, sta vivendo dietro le sbarre grigioverdi. Questa volta parla del suo nuovo
ruolo di "maestro". E di altro. Intanto, il 27 settembre Agostino si
è visto confermare la condanna ad un mese di carcere per il
suo rifiuto di indossare gli abiti militari.
Mi è difficile avvicinarmi a
questa grata e non pensare che lì, su quelle colline , tra i
contadini che abitavano quelle valli, Malatesta ha cercato di fare la
sua rivoluzione, il suo tentativo di cambiare il mondo.
Quando piove, durante le ore d'aria, e
non possiamo andare nei cortili, ci fanno venire qui, in queste tre
sale dove ci sono i televisori. E dalle finestre del corridoio,
sezionate dagli scacchi fitti della doppia grata e delle sbarre -
quasi che anche i nostri sguardi fossero pericolosi, e sentissero il
bisogno di rinchiuderli insieme alle nostre idee -, è da
queste finestre che si vedono le alture del Matese, le valli, la
nebbia.
Gli altri "comuni" giocano a
carte, o guardano qualche film. Sono venuto qui con la "scusa"
che volevo leggere il giornale, e che i miei occhi mal sopportano la
luce del neon; in realtà, volevo respirare il vento e farmi
tagliare la faccia dalla violenza delle sue raffiche, e bagnare la
fronte e le guance da queste rare ma pesanti gocce di fine settembre.
Soffia dalle colline, questo alito
fresco; e mi porta l'odore di erba bagnata, di fiori selvatici, e il
suono di cento campanacci - di vacche, forse, o di capre, portate a
spasso da qualche pastore infreddolito, che non riesco a vedere, del
quale non seguo i passi.
Ho freddo anch'io; ma mi piace star
qui. Mi sento piccolo, piccolo e affamato, ma fiero. Penso al mio
mare: c'era lo stesso vento, l'ultima volta che l'ho respirato
nell'anima.
Penso ai miei compagni (quelli di qui
"dentro", non quelli di "fuori") e mi meraviglio
di chiamarli così, di pensare a loro con questo nome:
"compagni".
Rido al pensiero di me, davanti alla
lavagna, che cerco di insegnargli qualcosa; e di loro, che alla mia
pazienza rispondono con la solita aria strafottente in "Va bene,
professore, va bene: continuiamo".
Come un telegrafo rotto
Questa faccenda della scuola è
nata in maniera molto spontanea. Stavo insegnando a Renzulli le
lettere dell'alfabeto (lo facevo in cortile, o in sala tv, o dove
capitava), quando ci siamo accorti che, praticamente, anche tutti gli
altri erano nelle sue stesse condizioni: il più bravo di loro
leggeva come un telegrafo rotto, e solo pochi riuscivano a tenere la
penna in mano "in maniera dignitosa". Piscitelli non corre più il
rischio di conoscere suo figlio solo quando sarà cresciuto:
"sua moglie" ha avuto un malore quando le hanno comunicato
la sua condanna a 21 mesi di reclusione, ed ha perso il bambino.
"Ha 'ffattu valinu", dicono
dalle nostre parti. "Ha fatto il veleno": la rabbia, cioè,
l'impotenza, la disperazione.
Paolo è stato trasferito qui a
Santa Maria dopo aver inoltrato la domanda per l'affidamento in
prova; adesso è, come si dice, "sotto osservazione"
(come un malato di cuore con il rischio del terzo infarto!). Lui è
uno dei miei allievi, dei miei "scolari".
C'è un'auletta, qui, dove
qualche anno fa uno del reparto "speciali", uno sbirro,
teneva un "corso per analfabeti" per conto delle autorità
del carcere: era inutilizzata da mesi - le pareti sono fradice
d'umidità - ma c'erano dei banchi e una vera lavagna.
Ne ho parlato agli altri, ne abbiamo
discusso e abbiamo deciso di chiedere alle autorità di poterla
usare per "fare scuola". Sulle prime gli ufficiali erano
abbastanza imbarazzati e sospettosi: forse avevano paura che io mi
servissi di questo inedito ruolo di "professore" per
insegnare ai comuni chissà quali "materie", più
"pericolose" del saper leggere e scrivere (e, tra
parentesi, il loro timore era più che giustificato).
Per un mese circa siamo andati avanti
senza ottenere alcuna risposta. Hanno anche cercato di "affiancarmi"
nell'insegnamento lo sbirro del corso precedente: un tentativo,
piuttosto maldestro, di effettuare un controllo sulle mie attività,
naufragato a causa del mio "rifiuto di avere qualsiasi contatto
con certa gente". Alla fine, comunque, hanno detto di sì
e ci hanno pure rifornito di penne, quaderni e gessetti. E, a me, di
un vero e proprio registro "per segnare le assenze". "E quando qualcuno non viene a
scuola, cosa vi aspettate che faccia?" ho chiesto ad un tenente,
ironizzando sul fatto che pensassero innanzitutto all'aspetto
poliziesco della faccenda, al "controllo".
"Gli mando un bidello a casa, con
l'obbligo di presentarsi l'indomani accompagnato dai genitori?". Ad ogni modo, la cosa va avanti: al
momento "facciamo scuola" anche 6/8 ore alla settimana. Ad
essere sincero, quando ho proposto questa faccenda non pensavo che
sarebbe stata una così gran fatica: c'è da perderci la
salute, a star dietro a questi "balordi". Però sono
contento. È poca cosa, lo so: solo una
briciola di ignoranza in meno sulla faccia della terra. Ma è
sufficiente perché io mi senta utile e un po' meno in colpa,
per le opportunità che la vita mi ha offerto, lasciando a loro
solo calci in bocca, e miseria, e padroni, e liti da strada, e padri
alcoolizzati, e la solitudine di chi non ha mai avuto un vero amico.
La cosa che più mi fa felice,
però, è l'idea che anche in questo carcere - dove mi
hanno rinchiuso per aver urlato il mio No alla violenza ed alla
subordinazione, e per aver cercato di distruggere un piccolo pezzo di
questo schifoso mondo - anche qui ho trovato la possibilità di
costruire qualcosa, di dire qualche piccolo Sì. Ad una
vita diversa, forse, per me e per questi ragazzi; a "qualcosa"
che ha a che fare con l'umano, il solidale, con il giusto.
Gli ultimi giorni che è stato
qui, Silvestro non faceva altro che rimproverarmi di badare poco a
lui e agli altri che già sanno scrivere - e di dedicare tutte
le mie attenzioni a Renzulli, che non sa scrivere affatto. "Ti
sembra giusto - gli rispondevo ogni volta - che io insegni a qualcuno
a correre, quando c'è gente che non riesce ancora nemmeno a
camminare?".
No. Non sembrava giusto nemmeno a lui.
Neanche a lui che nella vita ha sempre inciampato nel piede di
qualcun altro, messo lì apposta per non farlo correre, per
fargli sbattere il muso per terra. È
stato scarcerato questa mattina.
"Soggetto irrecuperabile"
Ieri pomeriggio, in cortile, abbiamo
riso di gusto, alla lettura dell'ordinanza con la quale il Tribunale
militare di Sorveglianza ha rigettato la sua domanda per
l'affidamento in prova ed anche quella per la "liberazione
condizionale".
"Ma che cosa gli hai fatto a 'sto
maresciallo?" gli chiedevano tutti mentre io leggevo ad alta
voce i reati per cui l'hanno condannato, "gli errori" (come
li chiamano gli ufficiali) per i quali dopo un anno di naja gli hanno
portato via altri 3 mesi della sua giovane libertà: "...
duplice insubordinazione con minaccia aggravata e plurime minacce
continuate", nonché " insubordinazione con ingiuria
aggravata...".
E poi, il giudizio: "Il
Tribunale di Sorveglianza, composto dai signori dott. …
Presidente, dott. … Magistrato, dott. .... esperto, dott. ....
esperto, dalla relazione sull'osservazione scientifica della
personalità... ai sensi degli art. 2 e 7 della legge n. ...
dall'apposito gruppo di esperti ... è dato ricavare che ....
trattasi di soggetto per il quale si sono evidenziate capacità
di adattamento e relazioni mediocri ... affettività carente
... costantemente e attentamente seguito comportamenti spesso
istintivi ... alcun evidente ed incontrovertibile recupero sociale
dell'interessato ... rieducazione emenda, recupero sociale ...
recupero sociale ... recupero sociale …". Manni, ma che cazzo significa? Che
cazzo significa tutto quello che hai letto?. Significa che questo mondo è
pieno di merda, Paolo; significa che è stato costruito
sull'ignoranza, sulla miseria, sulla sopraffazione, sullo
sfruttamento, sulla disuguaglianza, significa che per mantenersi, per
conservarsi, per riprodursi, questo sistema deve trasformare ogni
essere umano in un servo, in un nemico, o in un cane fedele;
significa che con te ancora non ci sono riusciti, ed è per
questo che ti hanno rinchiuso qui dentro; significa che non si può
non sentire l'ingiustizia di tutto questo porco mondo, non si può
non vederne la violenza, perché questo mondo è tutto
ingiustizia, questo mondo è tutto violenza; significa che uno
schiavo è una persona che non ha dignità, che china
sempre la testa, che risponde e tu, invece, selvaggio figlio della
strada, bella creatura, tu non sei capace di rispondere sì,
non te l'hanno ancora insegnato questi porci, non ci sono ancora
riusciti, non ci sono ancora riusciti...
Significa che, per loro, sei un
asociale, Paolo: sei irrecuperabile. E la galera è la sola
cosa che ti meriti. Questo è quello che pensano i giudici, gli
"esperti". E così tutti gli altri, in coro sguaiato
- come quei ragazzini del mio paese che ballano la loro allegra
crudeltà intorno al solito povero vecchio, iroso e demente,
curvato in due da secoli di sangue buttato nei campi, e gli fanno
saltare per aria il cappello, e fuggono impauriti al suo levar di
bastone - tutti gli altri, ridendo i "Sei irrecuperabile,
Silvestro! Irrecuperabile! Irrecuperabile!".
Ridevamo tutti.
Anche Massimo ha riso. Lui che di
solito è quello che fa ridere gli altri; lui che comincia a
rompere le scatole prima ancora di saltar giù dal letto, la
mattina, e che il suo ultimo saluto è solo l'ennesima
canzonatura, l'ultima presa per il culo prima di andare a dormire.
Lui che mette in imbarazzo tutti i marescialli con la sua
strafottenza - persino il tenente, persino il capitano - e che oggi
invece se ne sta in un angolo, con gli occhi rossi di un lungo
pianto, perché ha saputo dalla Calabria che sua madre sta a
Vercelli, in una stanza d'ospedale, con un ictus nel cervello.
Ogni tragica stupidità
Anche Massimo ha riso. Abbiamo riso
tutti di gusto, ieri pomeriggio, leggendo quell'ordinanza. La prima
volta, forse, che un tribunale procura tanta allegria a dei detenuti.
A volte penso che mi rimarrà
poco, alla fine, di questa galera. A parte qualche "avanzo di
solitudine" (o, come la chiama Leonardo, "la polvere fredda
di un dolore lontano"). Mi rimarrà poco, di questa
galera. Anche se mi sforzo di fissare nella memoria ogni attimo, ogni
gesto, ogni parola, ogni tragica stupidità, ogni arroganza di
urlo, ogni porta sbattuta, ogni bontà, nel sorriso di un
"compagno". Uno di quelli che vengono in tribunale, a
portarmi la loro solidarietà; o uno di questi, questi di qui,
che l'anarchia non sapevano nemmeno che cosa fosse, quando sono
arrivato, e facevano fatica perfino a pronunciarne il nome.
Carcere militare Santa Maria Capua
Vetere
2 settembre 1988
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