Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 18 nr. 159
novembre 1988


Rivista Anarchica Online

Dietro la finanziaria
di Andrea Papi

Si ripete e si ripropone, con una ritualità ricorrente negli ultimi mesi di ogni anno, la rappresentazione parlamentare del dibattito sulla finanziaria. Una sorta di tira e molla tra maggioranza e opposizione nell'affrontare un problema fondamentale per le sorti dello stato: la definizione del bilancio di spesa, corretto annualmente a seconda delle necessità riconosciute, dal disavanzo pubblico dettato dai debiti e dagli sperperi, delle entrate fiscali dirette e indirette. È un olimpo economico per addetti ai lavori e inaccessibile ai più, in cui si cimentano gli esperti dei partiti per raggiungere il mitico obiettivo di far quadrare i conti, allo scopo dichiarato di tenere in piedi l'elefantiaca macchina di gestione centralizzata della cosa pubblica.
Quest'anno i numeri sembrano impressionanti; ma del resto ogni anno lo sono sempre di più. Vengono propinati dai media quasi con sadico terrorismo psicologico, che raggiunge l'effetto di far sentire impotente il classico essere umano della strada, il quale non può che sentirsi sopraffatto dalla valanga di cifre in negativo che gli piombano addosso. Si sortisce l'effetto di una delega psicologica, nel senso d'incentivare un atteggiamento passivo basato sulla speranza che gli addetti ai lavori siano effettivamente competenti. Senza intervenire direttamente, si richiede loro di risolvere la situazione catastrofica da cui, senza essersene accorti, ci si trova sommersi.

Un panorama poco eclatante
Carlo Azeglio Ciampi, governatore della Banca d'Italia, ha denunciato che nel bel paese il debito pubblico è arrivato alla cifra record di un milione e seimilasettecentocinque miliardi di lire, corrispondente al 98,4% del PIL, che è il prodotto interno corrispondente al valore di tutto ciò che si produce sul suolo nazionale. Divisa tra tutti gli italiani residenti, compresi i neonati, questa enorme cifra corrisponde a circa venti milioni pro capite. Il che significa che sul capo di ognuno di noi pende un debito enorme, molto oltre le singole possibilità finanziarie reali, senza che nessuno di noi abbia contribuito in alcuna maniera a spendere tanto senza mai pagare, anche perché ben pochi avrebbero la possibilità concreta di fare tanti debiti.
C'è da chiedersi che cosa lor signori abbiano comprato di tanto indispensabile in tutti questi anni, fino ad arrivare al punto di indebitarsi per un valore che corrisponde a quello che si produce in un anno su tutto il suolo nazionale, in una nazione considerata tra le maggiori potenze industriali e commerciali del mondo. La cosa non è subito evidente. Anzi! non è evidente affatto. Con una simile cifra si suppone che dovremmo, se non navigare nell'oro, almeno godere di un benessere spropositato, in cui tutti dovrebbero avere più del necessario. Invece abbiamo di fronte agli occhi una situazione ben poco eclatante, dove le cose non risolte sono ampiamente maggioritarie. Tutto ciò che è sottoposto alla gestione statale, attraverso la sua gerarchia burocratica, costa molto e funziona malissimo e, soprattutto, vive in un permanente passivo destinato ad accrescersi continuamente. Dalle poste alla sanità, alla scuola, ai trasporti pubblici, alla magistratura, ai beni culturali, agli enti locali, alle partecipazioni statali, senza contare il costo enorme e totalmente improduttivo delle varie forze armate, dipendenti sia dalla Difesa che dal Ministero degli Interni. A tutto ciò aggiungiamo gli effetti collaterali della disoccupazione, della sotto occupazione, del lavoro nero mal pagato, della distruzione progressiva dell'ambiente dovuta all'inquinamento della terra, delle acque e dell'aria, alla deforestazione e all'aumento sconsiderato del cemento a detrimento di aree naturali.
Un panorama poco eclatante, selvaggiamente distruttivo, corroborato dalla gestione dei partiti improntata all'accaparramento clientelare e alla spartizione del potere. La macchina statale costa veramente troppo alla società e ad essa non dà quasi nulla, o meglio ciò che dà in cambio è irrimediabilmente segnato dall'inefficienza, dalla corruzione e, nella maggioranza dei casi, dal ladrocinio. Lo stato possiede le strutture per governare, decidere ed imporre le proprie decisioni con la forza. È una piovra tentacolare che esercita un controllo enorme su tutto, senza poter essere controllato o frenato dai cittadini, che in teoria dovrebbero essere suoi fruitori. In Italia i partiti si sono impossessati dei cardini della sua gestione, legittimati ad esercitare tale potere dal sistema elettorale. Riescono così a piazzare i loro uomini nelle leve di controllo e di comando, mentre le loro burocrazie sono diventate uffici di collocamento di incarichi e servizi che, come dimostrano i fatti, sono a detrimento dell'efficienza e dell'utile sociale, quando invece questo dovrebbe essere lo scopo primario del loro operato.
Ma qual è la ricetta del governo attuale per riuscire a sanare il deficit permanente? Propone 14.800 miliardi di nuove entrate, cioè di nuove tasse, e un calo di spesa di 15.400 miliardi, ottenuto attraverso una serie di tagli alle spese correnti; l'aumento del deficit effettivo dovrebbe così essere portato a 117.000 miliardi invece dei tendenziali 146.000. I tagli saranno ottenuti aggiungendo nuove tasse comunali, per cui lo stato concederà meno soldi ai comuni aumentando ugualmente le loro entrate, con l'aumento delle tariffe dei trasporti pubblici, con nuovi ticket sull'acquisto dei medicinali assieme all'assistenza indiretta per i lavoratori autonomi, ai quali verrà anche applicato il condono fiscale, in modo tale che quelli di loro che vorranno mettersi in regola non verranno multati, ma più semplicemente pagheranno le tasse che non hanno pagato negli ultimi cinque anni. L'unico sistema che il governo ha escogitato, consiste dunque nell'aumentare le tasse, all'unico scopo di diminuire l'aumento del deficit, che però continuerà ugualmente ad aumentare di oltre 100.000 miliardi.

Furto organizzato
Nulla di nuovo sotto il sole. La vecchissima logica si aggiorna: da sempre i potenti fanno i loro “porci comodi" rimpinguati dalla ricchezza collettiva. Così facevano i romani che succhiavano sangue e ricchezze ai popoli colonizzati con la forza delle armi; così i feudatari, che costringevano contadini e artigiani a dar loro la maggior parte del frutto del proprio lavoro; così i preti, che sottoponevano il popolo a pagare gabelle esose; così i Borboni, che mantenevano la loro burocrazia e il loro esercito con continue tasse, tenendo il popolo in miseria. L'elenco potrebbe continuare e sarebbe lungo. Gli stati si ristrutturano, adeguandosi alle democrazie in auge e alle logiche tecnologiche e planetarie divenute indispensabili. Ma il rapporto di sottomissione e di ladrocinio organizzato è rimasto intatto nella sua essenza.
Ogni rinnovamento è funzionale alla perpetuazione della logica del dominio, che vede strati sociali privilegiati imporsi e farsi sostenere da quelli sottoposti con la forza.
Non è facile dire cosa si potrebbe fare. Noi non siamo al loro posto e non sappiamo cosa faremmo se ci fossimo. Ma il fatto è che non vogliamo esserci. Pensiamo infatti che al loro posto sarebbe difficile agire diversamente, o comunque sarebbe un agire diverso incapace di mutare sia la forma che la sostanza del problema e di eventuali "soluzioni". Se di possibile soluzione si vuol parlare, dal nostro punto di vista, non può che partire dal rifiuto della logica vigente. La causa fondante dell'agire mafioso e di ladrocinio dello stato controllato dai partiti risiede nella strutturazione della gestione burocratica e centralizzata.
Fino a quando continuerà ad esserci, il debito pubblico rimarrà incontenibile e tutti noi dovremo continuare a pagare le loro scelte militariste, burocratiche e clientelari. Solo quando verrà assunto collettivamente un pensiero di rifiuto radicale dell'organizzazione politica in atto, distruggendo nei nostri cuori e nelle nostre menti il mito della necessità delle strutture gerarchiche, cioè il mito della ineluttabilità del dominio, forse allora sarà possibile ipotizzare e cominciare a mettere in pratica un modo di autogestione dell'economia e delle decisioni, che non sarà più basato sul furto organizzato dall'élite dominante, a detrimento di tutto il corpo sociale.