Rivista Anarchica Online
Dietro la finanziaria
di Andrea Papi
Si ripete e si ripropone, con una
ritualità ricorrente negli ultimi mesi di ogni anno, la
rappresentazione parlamentare del dibattito sulla finanziaria. Una
sorta di tira e molla tra maggioranza e opposizione nell'affrontare
un problema fondamentale per le sorti dello stato: la definizione del
bilancio di spesa, corretto annualmente a seconda delle necessità
riconosciute, dal disavanzo pubblico dettato dai debiti e dagli
sperperi, delle entrate fiscali dirette e indirette. È
un olimpo economico per addetti ai lavori e inaccessibile ai più,
in cui si cimentano gli esperti dei partiti per raggiungere il mitico
obiettivo di far quadrare i conti, allo scopo dichiarato di tenere in
piedi l'elefantiaca macchina di gestione centralizzata della cosa
pubblica. Quest'anno i numeri sembrano
impressionanti; ma del resto ogni anno lo sono sempre di più.
Vengono propinati dai media quasi con sadico terrorismo psicologico,
che raggiunge l'effetto di far sentire impotente il classico essere
umano della strada, il quale non può che sentirsi sopraffatto
dalla valanga di cifre in negativo che gli piombano addosso. Si
sortisce l'effetto di una delega psicologica, nel senso d'incentivare
un atteggiamento passivo basato sulla speranza che gli addetti ai
lavori siano effettivamente competenti. Senza intervenire
direttamente, si richiede loro di risolvere la situazione
catastrofica da cui, senza essersene accorti, ci si trova sommersi.
Un panorama poco eclatante
Carlo Azeglio Ciampi, governatore della
Banca d'Italia, ha denunciato che nel bel paese il debito pubblico è
arrivato alla cifra record di un milione e seimilasettecentocinque
miliardi di lire, corrispondente al 98,4% del PIL, che è il
prodotto interno corrispondente al valore di tutto ciò che si
produce sul suolo nazionale. Divisa tra tutti gli italiani residenti,
compresi i neonati, questa enorme cifra corrisponde a circa venti
milioni pro capite. Il che significa che sul capo di ognuno di noi
pende un debito enorme, molto oltre le singole possibilità
finanziarie reali, senza che nessuno di noi abbia contribuito in
alcuna maniera a spendere tanto senza mai pagare, anche perché
ben pochi avrebbero la possibilità concreta di fare tanti
debiti. C'è da chiedersi che cosa lor
signori abbiano comprato di tanto indispensabile in tutti questi
anni, fino ad arrivare al punto di indebitarsi per un valore che
corrisponde a quello che si produce in un anno su tutto il suolo
nazionale, in una nazione considerata tra le maggiori potenze
industriali e commerciali del mondo. La cosa non è subito
evidente. Anzi! non è evidente affatto. Con una simile cifra
si suppone che dovremmo, se non navigare nell'oro, almeno godere di
un benessere spropositato, in cui tutti dovrebbero avere più
del necessario. Invece abbiamo di fronte agli occhi una situazione
ben poco eclatante, dove le cose non risolte sono ampiamente
maggioritarie. Tutto ciò che è sottoposto alla gestione
statale, attraverso la sua gerarchia burocratica, costa molto e
funziona malissimo e, soprattutto, vive in un permanente passivo
destinato ad accrescersi continuamente. Dalle poste alla sanità,
alla scuola, ai trasporti pubblici, alla magistratura, ai beni
culturali, agli enti locali, alle partecipazioni statali, senza
contare il costo enorme e totalmente improduttivo delle varie forze
armate, dipendenti sia dalla Difesa che dal Ministero degli Interni.
A tutto ciò aggiungiamo gli effetti collaterali della
disoccupazione, della sotto occupazione, del lavoro nero mal pagato,
della distruzione progressiva dell'ambiente dovuta all'inquinamento
della terra, delle acque e dell'aria, alla deforestazione e
all'aumento sconsiderato del cemento a detrimento di aree naturali.
Un panorama poco eclatante,
selvaggiamente distruttivo, corroborato dalla gestione dei partiti
improntata all'accaparramento clientelare e alla spartizione del
potere. La macchina statale costa veramente troppo alla società
e ad essa non dà quasi nulla, o meglio ciò che dà
in cambio è irrimediabilmente segnato dall'inefficienza, dalla
corruzione e, nella maggioranza dei casi, dal ladrocinio. Lo stato
possiede le strutture per governare, decidere ed imporre le proprie
decisioni con la forza. È una piovra tentacolare che esercita
un controllo enorme su tutto, senza poter essere controllato o
frenato dai cittadini, che in teoria dovrebbero essere suoi fruitori.
In Italia i partiti si sono impossessati dei cardini della sua
gestione, legittimati ad esercitare tale potere dal sistema
elettorale. Riescono così a piazzare i loro uomini nelle leve
di controllo e di comando, mentre le loro burocrazie sono diventate
uffici di collocamento di incarichi e servizi che, come dimostrano i
fatti, sono a detrimento dell'efficienza e dell'utile sociale, quando
invece questo dovrebbe essere lo scopo primario del loro operato.
Ma qual è la ricetta del governo
attuale per riuscire a sanare il deficit permanente? Propone 14.800
miliardi di nuove entrate, cioè di nuove tasse, e un calo di
spesa di 15.400 miliardi, ottenuto attraverso una serie di tagli alle
spese correnti; l'aumento del deficit effettivo dovrebbe così
essere portato a 117.000 miliardi invece dei tendenziali 146.000. I
tagli saranno ottenuti aggiungendo nuove tasse comunali, per cui lo
stato concederà meno soldi ai comuni aumentando ugualmente le
loro entrate, con l'aumento delle tariffe dei trasporti pubblici, con
nuovi ticket sull'acquisto dei medicinali assieme all'assistenza
indiretta per i lavoratori autonomi, ai quali verrà anche
applicato il condono fiscale, in modo tale che quelli di loro che
vorranno mettersi in regola non verranno multati, ma più
semplicemente pagheranno le tasse che non hanno pagato negli ultimi
cinque anni. L'unico sistema che il governo ha escogitato, consiste
dunque nell'aumentare le tasse, all'unico scopo di diminuire
l'aumento del deficit, che però continuerà ugualmente
ad aumentare di oltre 100.000 miliardi.
Furto organizzato
Nulla di nuovo sotto il sole. La
vecchissima logica si aggiorna: da sempre i potenti fanno i loro
“porci comodi" rimpinguati dalla ricchezza collettiva.
Così facevano i romani che succhiavano sangue e ricchezze ai
popoli colonizzati con la forza delle armi; così i feudatari,
che costringevano contadini e artigiani a dar loro la maggior parte
del frutto del proprio lavoro; così i preti, che sottoponevano
il popolo a pagare gabelle esose; così i Borboni, che
mantenevano la loro burocrazia e il loro esercito con continue tasse,
tenendo il popolo in miseria. L'elenco potrebbe continuare e sarebbe
lungo. Gli stati si ristrutturano, adeguandosi alle democrazie in
auge e alle logiche tecnologiche e planetarie divenute
indispensabili. Ma il rapporto di sottomissione e di ladrocinio
organizzato è rimasto intatto nella sua essenza.
Ogni rinnovamento è funzionale
alla perpetuazione della logica del dominio, che vede strati sociali
privilegiati imporsi e farsi sostenere da quelli sottoposti con la
forza. Non è facile dire cosa si
potrebbe fare. Noi non siamo al loro posto e non sappiamo cosa
faremmo se ci fossimo. Ma il fatto è che non vogliamo esserci.
Pensiamo infatti che al loro posto sarebbe difficile agire
diversamente, o comunque sarebbe un agire diverso incapace di mutare
sia la forma che la sostanza del problema e di eventuali "soluzioni".
Se di possibile soluzione si vuol parlare, dal nostro punto di vista,
non può che partire dal rifiuto della logica vigente. La causa
fondante dell'agire mafioso e di ladrocinio dello stato controllato
dai partiti risiede nella strutturazione della gestione burocratica e
centralizzata.
Fino a quando continuerà ad
esserci, il debito pubblico rimarrà incontenibile e tutti noi
dovremo continuare a pagare le loro scelte militariste, burocratiche
e clientelari. Solo quando verrà assunto collettivamente un
pensiero di rifiuto radicale dell'organizzazione politica in atto,
distruggendo nei nostri cuori e nelle nostre menti il mito della
necessità delle strutture gerarchiche, cioè il mito
della ineluttabilità del dominio, forse allora sarà
possibile ipotizzare e cominciare a mettere in pratica un modo di
autogestione dell'economia e delle decisioni, che non sarà più
basato sul furto organizzato dall'élite dominante, a
detrimento di tutto il corpo sociale.
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