Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 18 nr. 152
febbraio 1988


Rivista Anarchica Online

Una valenza nuova
di Roberto Ambrosoli

Non è detto che tutte le minacce dell'ingegneria genetica siano destinate ad essere mantenute. Quelle più capaci di influenzare emotivamente l'opinione pubblica sono destinate a realizzarsi, se si realizzeranno, in un futuro abbastanza lontano. Al momento attuale le realizzazioni concrete riguardano soprattutto la produzione di certi farmaci, mentre le più fantasmagoriche sono rimandate a un futuro che io auspico abbastanza lontano, ma comunque molto incerto e nebuloso.
Indipendentemente da ciò, il problema si pone al livello che queste nuove tecniche hanno sull'immaginario. In tale ambito, l'ingegneria genetica ha senza dubbio avuto una profonda influenza. Questo perché essa, in ultima analisi, crea o crede di poter creare esseri viventi nuovi. Si determina una profonda rivoluzione nel rapporto finora esistente tra l'uomo e tutto quello che sta al di fuori di esso: ambiente, natura, gli altri uomini, la società, il mondo nel senso più vasto possibile.
Fino ad oggi l'azione umana è stata improntata dalla capacità di influenzare in maniera radicale l'ambiente circostante. L'ingegneria genetica dà a questa capacità una valenza completamente nuova: se prima si doveva trasformare l'esistente, oggi si può, o si crede di potere, inventare l'esistente. Se l'uomo era solo una componente del sistema natura-mondo-ambiente, oggi l'uomo può diventarne invece "la componente". Non si tratta più di poter prevedere le conseguenze future della nostra azione, ma di poter, o di credere di poter programmare il futuro, quindi di inventarlo. La paura e l'angoscia diffusasi tra la gente comune, ma anche tra la comunità scientifica, sono proprio l'indice di questa profonda modificazione. L'ingegneria genetica spalanca una porta sull'arbitrarietà dell'azione umana, alla quale si presentano abbattuti una parte dei limiti e dei vincoli che si era sempre trovata di fronte. La capacità di azione risulta quindi, almeno a livello immaginario, enormemente accresciuta. Si tratta allora di determinare i contenuti coi quali riempire questa potenzialità.
Gli appelli all'etica per sostanziare il bisogno di dare contenuti alle nuove capacità della scienza provengono, oltre che dalla gente comune, anche dagli stessi ambienti scientifici, non esclusi quegli ambiti della ricerca applicata (agronomi, zootecnici, biologi) fino a pochi anni fa sordi di fronte a queste problematiche.
Se però guardiamo alle effettive realizzazioni dell'ingegneria genetica con occhio spassionato, sembrerebbe che queste preoccupazioni non siano giustificate. Sono in corso ricerche per la realizzazione di bestiame bovino transgenico in grado di dare latte più simile al latte umano, per ovviare a carenze di latte materno nella prima infanzia. Le ambizioni vere o presunte dell'ingegneria genetica sono infatti in linea con le ambizioni vere o presunte perseguite dalla scienza fino ad oggi. Scopi certo perseguiti con strumenti diversi e con maggiore efficacia, ma coerenti con quelli precedenti. La stessa attività di zootecnici, agronomi, coltivatori arborei ed erbacei è stata finalizzata alla creazione di nuove specie. La fecondazione in vitro rientra in un filone della medicina moderna che è quello di curare le difficoltà di procreazione. Non voglio certo fare l'apologia dell'ingegneria genetica, ma sottolineare come essa non sia un mostro prodotto in qualche oscura caverna, ma un figlio legittimo della scienza moderna, che è a sua volta figlia legittima della nostra civiltà occidentale. Questa scienza ama presentarsi come svincolata dall'etica, ma vive dei valori che sono alla base della cultura che l'ha prodotta, gli stessi che sono presenti nella scienza che ha prodotto l'ingegneria genetica. Questi valori sono l'ossessione produttivistica, la medicalizzazione esasperata, l'enorme potere della farmacologia nella pratica medica. Il problema non è quindi quello di riportare l'etica nella scienza o sottomettere la scienza ad un'etica, ma di capire di quale etica possiamo aver bisogno.
A questo punto dobbiamo porci il problema dell'arbitrarietà dell'azione umana di fronte a una via, quale è quella dell'ingegneria genetica, dalla quale non è possibile tornare indietro. L'uomo che si trova di fronte a possibilità praticamente illimitate riconosce che, anche la decisione di non oltrepassare quei limiti infranti dall'ingegneria genetica, è sempre una scelta, un atto arbitrario.
L'ingegneria genetica ha sottolineato che, nella definizione di un'etica, non si può fare riferimento a qualcosa che sta sopra l'uomo, ma a una nuova antropologia, che ponga l'arbitrarietà delle decisioni umane al centro di se stessa.
Prima che l'uomo avesse la possibilità di intervenire sul genoma umano, la natura (l'esistente) si poneva come un dato, che poteva essere preso come riferimento etico. Nel momento in cui l'uomo può o può credere di inventare la natura, di creare nuove specie viventi che non esistono, essa non è più un dato, ma una sua invenzione.
Alla natura non è più possibile riconoscere un qualche diritto di indirizzare l'azione dell'uomo, in quanto è l'uomo stesso che è in grado di determinarla, sia pure entro certi limiti. Accettare questa responsabilità di un'azione arbitraria diventa quindi un passo fondamentale.

(questo testo e il precedente sono stati trascritti sulla base della registrazione dell'intervento svolto il 28.11.1987, a Milano, alla libreria Utopia, nell'ambito del dibattito sul tema "Gli stregoni dell'ingegneria genetica: quale etica, quale cultura?")