Rivista Anarchica Online
Una valenza nuova
di Roberto Ambrosoli
Non è detto che tutte le minacce
dell'ingegneria genetica siano destinate ad essere mantenute. Quelle
più capaci di influenzare emotivamente l'opinione pubblica
sono destinate a realizzarsi, se si realizzeranno, in un futuro
abbastanza lontano. Al momento attuale le realizzazioni concrete
riguardano soprattutto la produzione di certi farmaci, mentre le più
fantasmagoriche sono rimandate a un futuro che io auspico abbastanza
lontano, ma comunque molto incerto e nebuloso. Indipendentemente da ciò, il
problema si pone al livello che queste nuove tecniche hanno
sull'immaginario. In tale ambito, l'ingegneria genetica ha senza
dubbio avuto una profonda influenza. Questo perché essa, in
ultima analisi, crea o crede di poter creare esseri viventi nuovi. Si
determina una profonda rivoluzione nel rapporto finora esistente tra
l'uomo e tutto quello che sta al di fuori di esso: ambiente, natura,
gli altri uomini, la società, il mondo nel senso più
vasto possibile. Fino ad oggi l'azione umana è
stata improntata dalla capacità di influenzare in maniera
radicale l'ambiente circostante. L'ingegneria genetica dà a
questa capacità una valenza completamente nuova: se prima si
doveva trasformare l'esistente, oggi si può, o si crede di
potere, inventare l'esistente. Se l'uomo era solo una componente del
sistema natura-mondo-ambiente, oggi l'uomo può diventarne
invece "la componente". Non si tratta più di poter
prevedere le conseguenze future della nostra azione, ma di poter, o
di credere di poter programmare il futuro, quindi di inventarlo. La
paura e l'angoscia diffusasi tra la gente comune, ma anche tra la
comunità scientifica, sono proprio l'indice di questa profonda
modificazione. L'ingegneria genetica spalanca una porta
sull'arbitrarietà dell'azione umana, alla quale si presentano
abbattuti una parte dei limiti e dei vincoli che si era sempre
trovata di fronte. La capacità di azione risulta quindi,
almeno a livello immaginario, enormemente accresciuta. Si tratta
allora di determinare i contenuti coi quali riempire questa
potenzialità. Gli appelli all'etica per sostanziare
il bisogno di dare contenuti alle nuove capacità della scienza
provengono, oltre che dalla gente comune, anche dagli stessi ambienti
scientifici, non esclusi quegli ambiti della ricerca applicata
(agronomi, zootecnici, biologi) fino a pochi anni fa sordi di fronte
a queste problematiche. Se però guardiamo alle
effettive realizzazioni dell'ingegneria genetica con occhio
spassionato, sembrerebbe che queste preoccupazioni non siano
giustificate. Sono in corso ricerche per la realizzazione di bestiame
bovino transgenico in grado di dare latte più simile al latte
umano, per ovviare a carenze di latte materno nella prima infanzia.
Le ambizioni vere o presunte dell'ingegneria genetica sono infatti in
linea con le ambizioni vere o presunte perseguite dalla scienza fino
ad oggi. Scopi certo perseguiti con strumenti diversi e con maggiore
efficacia, ma coerenti con quelli precedenti. La stessa attività
di zootecnici, agronomi, coltivatori arborei ed erbacei è
stata finalizzata alla creazione di nuove specie. La fecondazione in
vitro rientra in un filone della medicina moderna che è quello
di curare le difficoltà di procreazione. Non voglio certo fare
l'apologia dell'ingegneria genetica, ma sottolineare come essa non
sia un mostro prodotto in qualche oscura caverna, ma un figlio
legittimo della scienza moderna, che è a sua volta figlia
legittima della nostra civiltà occidentale. Questa scienza ama
presentarsi come svincolata dall'etica, ma vive dei valori che sono
alla base della cultura che l'ha prodotta, gli stessi che sono
presenti nella scienza che ha prodotto l'ingegneria genetica. Questi
valori sono l'ossessione produttivistica, la medicalizzazione
esasperata, l'enorme potere della farmacologia nella pratica medica.
Il problema non è quindi quello di riportare l'etica nella
scienza o sottomettere la scienza ad un'etica, ma di capire di quale
etica possiamo aver bisogno. A questo punto dobbiamo porci il
problema dell'arbitrarietà dell'azione umana di fronte a una
via, quale è quella dell'ingegneria genetica, dalla quale non
è possibile tornare indietro. L'uomo che si trova di fronte a
possibilità praticamente illimitate riconosce che, anche la
decisione di non oltrepassare quei limiti infranti dall'ingegneria
genetica, è sempre una scelta, un atto arbitrario. L'ingegneria genetica ha sottolineato
che, nella definizione di un'etica, non si può fare
riferimento a qualcosa che sta sopra l'uomo, ma a una nuova
antropologia, che ponga l'arbitrarietà delle decisioni umane
al centro di se stessa. Prima che l'uomo avesse la possibilità
di intervenire sul genoma umano, la natura (l'esistente) si poneva
come un dato, che poteva essere preso come riferimento etico. Nel
momento in cui l'uomo può o può credere di inventare la
natura, di creare nuove specie viventi che non esistono, essa non è
più un dato, ma una sua invenzione. Alla natura non è più
possibile riconoscere un qualche diritto di indirizzare l'azione
dell'uomo, in quanto è l'uomo stesso che è in grado di
determinarla, sia pure entro certi limiti. Accettare questa
responsabilità di un'azione arbitraria diventa quindi un passo
fondamentale.
(questo
testo e il precedente sono stati trascritti sulla
base della
registrazione dell'intervento
svolto il 28.11.1987, a Milano, alla libreria Utopia, nell'ambito del
dibattito sul tema
"Gli stregoni dell'ingegneria
genetica: quale etica, quale cultura?")
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